Prefazioni
Prefazione all'edizione
tedesca del 1872
Ritratto di Friedrich Engels e
Karl Marx realizzato da Piero Leddi |
La Lega dei comunisti01,
un’associazione internazionale di lavoratori, che a quell’epoca
non poteva che essere segreta, incaricò i sottoscritti, nel corso
del congresso tenuto a Londra nel novembre del 1847, di redigere
un approfondito programma teorico e pratico del partito, rivolto
all’opinione pubblica. Nacque così il seguente Manifesto,
il cui manoscritto viaggiò verso Londra per essere stampato poche
settimane prima della rivoluzione di febbraio02.
Dapprima pubblicato in tedesco, è stato stampato in questa lingua
in almeno dodici diverse edizioni in Germania, Inghilterra e
America. In inglese è uscito per la prima volta nel 1850 a
Londra, sul "Red Republican", tradotto da Helen
Macfarlane, e nel 1871 in almeno tre diverse traduzioni in
America. In francese è uscito dapprima a Parigi poco prima della
insurrezione di giugno del 184803,
poi di nuovo in "Le Socialiste" di New York. Si sta
preparando una nuova traduzione. In polacco il Manifesto è
apparso a Londra poco dopo la sua prima edizione tedesca. In
russo, a Ginevra negli anni Sessanta. Anche in danese è stato
tradotto poco dopo la sua pubblicazione.
Per quanto la situazione sia cambiata
negli ultimi venticinque anni, i fondamenti generali sviluppati in
questo Manifesto conservano grosso modo anche oggi la loro
piena pregnanza. Qualcosa si potrebbe migliorare qua e là. L’applicazione
pratica di tali fondamenti, afferma lo stesso Manifesto,
dipenderà dovunque e sempre dalle condizioni storiche date. Non
va dunque assolutamente conferito un peso particolare alle misure
rivoluzionarie proposte alla fine della parte II. Oggi tale passo
suonerebbe diversamente sotto molti aspetti. Questo programma è
oggi parzialmente invecchiato rispetto all’immenso sviluppo
della grande industria negli ultimi venticinque anni e al
parallelo progresso dell’organizzazione di partito dei
lavoratori, rispetto alle esperienze pratiche, dapprima della
rivoluzione di febbraio e molto più ancora della Comune di
Parigi, quando, per due mesi, il proletariato ha esercitato per la
prima volta il potere politico. In particolare, la Comune ha
dimostrato che «la classe operaia non può semplicemente prendere
possesso dell’apparato statale così com’è e metterlo al
servizio dei propri fini» (si veda La guerra civile in
Francia. Indirizzo del Consiglio generale dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori, edizione tedesca, p. 19, dove
tale concetto è ulteriormente sviluppato). È poi ovvio che la
critica della letteratura socialista è oggi lacunosa, giacché
arriva solo al 1847; così anche le osservazioni sulla posizione
dei comunisti rispetto ai vari partiti di opposizione (parte IV),
seppure tuttora valide nelle linee generali, sono però
invecchiate nella loro esposizione, se non altro perché la
situazione politica è totalmente cambiata e lo sviluppo storico
ha eliminato la maggior parte dei partiti colà citati.
Il Manifesto è tuttavia un
documento storico che noi non abbiamo più il diritto di
modificare. Una successiva edizione potrà forse uscire con un’introduzione
che colmi la distanza che ci separa dal 1847; questa ristampa è
giunta per noi troppo inattesa per lasciarcene il tempo.
Londra, 24 giugno 1872
Karl Marx Friedrich Engels
Prefazione all’edizione
tedesca del 1883
La prefazione alla presente edizione devo
purtroppo firmarla da solo. Marx – l’uomo cui l’intera
classe operaia d’Europa e d’America deve più che a chiunque
altro – Marx riposa nel cimitero di Highgate, e sulla sua tomba
cresce già la prima erba04.
Dopo la sua morte non ha più alcun senso parlare di una
rielaborazione o di un completamento del Manifesto. Tanto
più necessario considero stabilire nuovamente ciò che segue.
Il pensiero di fondo che ricorre nel Manifesto
– che la produzione economica e l’articolazione sociale che ne
consegue necessariamente in ogni epoca costituisce il fondamento
della storia politica e intellettuale di tale epoca; che quindi
(dopo l’abolizione dell’arcaica proprietà comune della terra)
tutta la storia è stata una storia di lotte di classe, lotte fra
sfruttati e sfruttatori, classi oppresse e oppressive nei diversi
stadi dello sviluppo sociale; che però oggi questa lotta ha
raggiunto uno stadio in cui la classe sfruttata e oppressa (il
proletariato) non si può più liberare dalla classe che la
sfrutta e opprime (la borghesia) senza insieme liberare per sempre
l’intera società da sfruttamento, oppressione e lotte di classe
– questo pensiero di fondo appartiene solo e unicamente a Marx05.
L’ho già affermato molte volte; tanto
più oggi però conviene che questa affermazione stia qui come
premessa al Manifesto stesso.
Londra, 28 giugno 1883
Friedrich Engels
Prefazione06
all’edizione inglese del 1888
Il Manifesto venne pubblicato come
piattaforma programmatica della "Lega dei comunisti",
associazione di lavoratori dapprima esclusivamente tedesca, poi
internazionale, e – date le condizioni politiche del Continente
prima del 1848 – società inevitabilmente segreta. Nel corso di
un congresso della Lega tenutosi a Londra nel novembre 1847, Marx
ed Engels vennero incaricati di preparare per la pubblicazione un
completo programma teorico e pratico di partito. Redatto in
tedesco nel gennaio 1848, il manoscritto fu spedito in tipografia
a Londra alcune settimane prima della rivoluzione francese del 24
febbraio. Una traduzione francese fu pubblicata a Parigi poco
prima dell’insurrezione del giugno 1848, mentre la prima
traduzione inglese, a opera di Helen Macfarlane, apparve a Londra
sul "Red Republican" di George Julian Harney, nel 1850.
Vennero pubblicate anche un’edizione danese e una polacca.
La sconfitta dell’insurrezione parigina
del giugno 1848 – la prima grande battaglia tra proletariato e
borghesia – spinse da capo in secondo piano, per un certo tempo,
le aspirazioni sociali e politiche della classe operaia europea.
Da allora in poi la lotta per la supremazia fu di nuovo, come lo
era stata prima della rivoluzione di febbraio, soltanto tra gruppi
diversi della classe possidente; la classe operaia fu costretta a
battagliare per la propria libertà di manovra, e a ricoprire la
posizione di ala estrema dei radicali del ceto medio. Ovunque i
movimenti proletari indipendenti continuassero a manifestare segni
di vita, essi venivano inesorabilmente perseguitati. Così la
polizia prussiana scovò il comitato centrale della Lega
comunista, stabilitasi allora a Colonia: i membri vennero
arrestati e, dopo diciotto mesi di prigione, processati nell’ottobre
del 1852. Questo famoso "processo comunista di Colonia"
si protrasse dal 4 ottobre fino 12 novembre; a sette prigionieri
furono comminate pene dai tre ai sei anni. Subito dopo la sentenza
la Lega venne formalmente sciolta dai restanti membri. Per quanto
riguarda il Manifesto, sembrava da allora in poi condannato
all’oblio.
Allorché la classe operaia europea
recuperò forza sufficiente per un altro attacco contro le classi
dominanti, sorse l’Associazione Internazionale dei Lavoratori07.
Tale associazione però, formata con lo scopo dichiarato di
saldare in un unico corpo l’intero proletariato militante di
Europa e America, non poté immediatamente proclamare i princìpi
formulati nel Manifesto. L’Internazionale era tenuta a
redigere un programma sufficientemente ampio da poter essere
accettato dalle Trade Unions inglesi, dai seguaci di
Proudhon in Francia, Belgio, Italia e Spagna, e dai lassalliani08
in Germania09. Marx,
che stese tale programma per la soddisfazione di tutti i partiti,
confidava interamente nello sviluppo intellettuale della classe
operaia, che doveva di sicuro risultare dall’azione congiunta e
dalla reciproca discussione. Gli stessi eventi e vicissitudini
della lotta contro il Capitale, le sconfitte ancor più delle
vittorie, non potevano fare a meno di persuadere gli uomini dell’insufficienza
dei loro vari toccasana prediletti, e di preparare la strada per
una più completa comprensione delle effettive condizioni atte a
favorire l’emancipazione della classe operaia. E Marx aveva
ragione. I lavoratori lasciati dall’Internazionale al suo
scioglimento nel 1874 erano uomini alquanto differenti da quelli
che essa aveva trovato nel 1864. Il proudhonismo in Francia, il
lassallismo in Germania stavano scomparendo, e persino le
conservatrici Trade Unions inglesi, sebbene molte di loro
avessero da tempo troncato la loro relazione con l’Internazionale,
stavano avanzando gradualmente verso il punto in cui, lo scorso
anno a Swansea, il loro presidente poteva affermare nel loro nome
«Il socialismo continentale non è più uno spauracchio per
noi». In effetti i princìpi del Manifesto avevano
registrato considerevoli progressi tra i lavoratori di tutti i
paesi.
Lo stesso Manifesto tornò alla
ribalta. Dal 1850 il testo tedesco è stato ristampato parecchie
volte in Svizzera, Inghilterra e America. Nel 1872 è stato
tradotto in inglese a New York e pubblicato sul "Woodhull and
Claflin’s Weekly". Da questa versione inglese ne è stata
tratta una francese sul "Le Socialiste" di New York. Da
allora almeno due altre traduzioni inglesi, più o meno mutilate,
sono state date alle stampe in America, e una di esse è stata
ristampata in Inghilterra. La prima traduzione russa, eseguita da
Bakunin10, è stata
pubblicata nella tipografia del "Kolokol"11
di Herzen a Ginevra intorno al 1863; una seconda, ad opera dell’eroica
Vera Zasuli è12,
ancora a Ginevra, nel 1882. Una nuova edizione danese si trova
sulla "Socialdemokratisk Bibliothek", Copenhagen 1885;
una nuova traduzione francese sul "Le Socialiste",
Parigi 1885. Da quest’ultima è stata preparata una versione
spagnola, pubblicata a Madrid nel 1886. Non si possono contare le
ristampe tedesche: ce ne sono state almeno dodici. Una traduzione
armena, che doveva essere pubblicata a Costantinopoli alcuni mesi
fa, non ha visto la luce – mi si dice – perché l’editore ha
avuto paura di far uscire un libro con sopra il nome di Marx, e il
traduttore si è rifiutato di farla apparire come una propria
opera. Ho sentito di ulteriori traduzioni in altre lingue, ma non
le ho vedute. La storia del Manifesto riflette così, in
larga misura, la storia del movimento della moderna classe
operaia; al momento è senza dubbio il prodotto più diffuso e
più internazionale di tutta la letteratura socialista, la
piattaforma comune riconosciuta da milioni di lavoratori dalla
Siberia alla California.
Eppure, quando fu scritto, non avremmo
potuto chiamarlo un "Manifesto socialista". Nel
1847 con "socialisti" si intendevano, da un lato, i
seguaci dei vari sistemi utopici – gli owenisti in Inghilterra,
i fourieristi in Francia, gli uni e gli altri già ridotti al
rango di mere sette, e sulla via di una graduale estinzione –;
dall’altro lato, i più svariati ciarlatani sociali che, con
ogni sorta di rabberciamenti, dichiaravano di riparare, senza
alcun pericolo per il capitale e per il profitto, ogni genere di
ingiustizia sociale. In entrambi i casi si trattava di uomini
esterni al movimento dei lavoratori, e che contavano anzi sull’appoggio
delle classi "colte". Qualunque porzione della classe
operaia si fosse convinta dell’insufficienza delle mere
rivoluzioni politiche e proclamasse la necessità di un
cambiamento sociale totale, era quella che si dichiarava
"comunista". Era un tipo di comunismo appena abbozzato,
grossolano, puramente istintivo; ciò nonostante toccava il punto
cardinale ed era sufficientemente potente tra la classe operaia da
produrre il comunismo utopistico, in Francia, di Cabet13,
e di Weitling14 in
Germania. Nel 1847 il socialismo era perciò un movimento della
classe media15, mentre
il comunismo un movimento della classe operaia. Il socialismo era,
almeno nel Continente, "rispettabile"; il comunismo era
l’esatto opposto. E poiché il nostro punto di vista, sin dall’inizio,
era che «l’emancipazione della classe operaia deve essere un
atto della classe operaia stessa», non ci poteva essere alcun
dubbio su quale dei due nomi dovevamo assumere. Oltre a ciò, da
allora ci siamo ben guardati dal ripudiarlo.
Sebbene il Manifesto sia un nostro
comune prodotto, ci tengo a dichiarare che l’idea fondamentale,
che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L’idea è che in
ogni epoca storica il modo prevalente di produzione e scambio
economici, e l’organizzazione sociale che necessariamente ne
scaturisce, forma la base su cui viene edificata, e da cui
soltanto può essere spiegata, la storia politica e intellettuale
di quell’epoca; che di conseguenza l’intera storia dell’umanità
(dalla dissoluzione della società tribale primitiva,
caratterizzata dal possesso comune delle terre) è stata una
storia di lotte di classe, di conflitti tra classi sfruttatrici e
sfruttate, dominanti e oppresse; che la storia di tali lotte di
classe forma una serie evolutiva in cui, al giorno d’oggi, si è
raggiunto uno stadio dove la classe sfruttata e oppressa – il
proletariato – non può conseguire la propria emancipazione dal
dominio della classe sfruttatrice e dominante – la borghesia –
senza, allo stesso tempo, e una volta per tutte, emancipare la
società nel suo insieme da qualsiasi sfruttamento, oppressione,
distinzioni di classe e lotte di classe.
A questa idea che, è mia opinione, è
destinata a rappresentare per la storia ciò che la teoria di
Darwin ha rappresentato per la biologia, ci eravamo gradualmente
avvicinati, tutt’e due, alcuni anni prima del 1845. La misura in
cui mi ci ero avvicinato io in maniera indipendente lo mostra nel
modo migliore il mio scritto La condizione della classe operaia
in Inghilterra16.
Ma quando rividi Marx a Bruxelles nella primavera del 1845, egli l’aveva
compiutamente elaborata, e me l’aveva esposta, in termini quasi
altrettanto chiari di quelli che io ho usato qui.
Dalla nostra comune Prefazione all’edizione
tedesca del 1872 riprendo quanto segue:
[...] 17
La presente traduzione è dovuta a Samuel
Moore, il traduttore della maggior parte del Capitale di
Marx. L’abbiamo rivista insieme, e ho aggiunto alcune note
esplicative di carattere storico.
Londra, 30 gennaio 1888
Friedrich Engels
Al lettore italiano18
Si può dire che la pubblicazione del Manifesto
del Partito Comunista coincise esattamente con il 18 marzo
1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino, che
rappresentarono la sollevazione delle due nazioni situate al
centro, l’una del continente europeo, l’altra del Mare
Mediterraneo; due nazioni fino a quel momento indebolite dalla
frammentazione territoriale e dalle diatribe interne, e di fatto
assoggettate al dominio straniero. Mentre l’Italia era soggetta
all’imperatore d’Austria, la Germania doveva sopportare, pur
se non altrettanto direttamente, il non meno efficace giogo dello
zar di tutte le Russie. Il risultato del 18 marzo 1848 fu di
liberare Italia e Germania da tale oltraggio; se tra il 1848 e il
1871 queste due grandi nazioni furono ricostruite e in un certo
senso restituite a se stesse, ciò accadde, come disse Marx,
perché gli stessi uomini che avevano represso la rivoluzione del
1848 ne divennero poi gli involontari esecutori testamentari.
Questa rivoluzione fu fatta dovunque
dalla classe operaia; fu la classe operaia a erigere le barricate
e a rischiare la vita. Solo gli operai di Parigi avevano l’intento
esplicito di abbattere il dominio della borghesia, quando fecero
cadere il governo. Ma per quanto fossero anche coscienti dell’ineluttabile
antagonismo fra la loro classe e la borghesia, né lo sviluppo
economico del paese né lo sviluppo della coscienza delle masse
operaie francesi avevano raggiunto quella misura che avrebbe
permesso una ricostruzione della società. I frutti della
rivoluzione furono quindi in ultima analisi raccolti dalla classe
capitalistica. Negli altri paesi, in Italia, in Germania, in
Austria, i lavoratori non fecero in fondo altro che portare la
borghesia al potere. Ma in nessun paese il dominio della borghesia
è possibile senza l’indipendenza nazionale. Sicché la
rivoluzione del 1848 doveva comportare l’unità e l’indipendenza
di quelle nazioni in cui era scoppiata: Italia, Germania,
Ungheria; la Polonia seguirà a suo tempo.
Se dunque la rivoluzione del 1848 non fu
una rivoluzione socialista, nondimeno essa le aprì la strada e le
preparò il terreno. Grazie all’impulso che il regime borghese
ha dato in tutti i paesi alla grande industria, in questi ultimi
45 anni esso ha creato dovunque un proletariato numeroso, coeso e
forte; in tal modo il regime borghese, per usare un’espressione
del Manifesto, ha prodotto i suoi stessi becchini. Senza la
ricostituzione dell’indipendenza e dell’unità di ogni nazione
non si sarebbe potuta compiere né l’unificazione internazionale
del proletariato né la pacifica, intelligente collaborazione di
queste nazioni per raggiungere obiettivi comuni. Si provi solo a
immaginare una comune iniziativa internazionale dei lavoratori
italiani, ungheresi, tedeschi, polacchi, russi nelle condizioni
politiche di prima del 1848!
Sicché le battaglie del 1848 non furono
inutili; e anche i 45 anni che ci separano da quella tappa
rivoluzionaria non sono trascorsi vanamente. I frutti maturano, e
tutto ciò che mi auguro è che la pubblicazione di questa
traduzione italiana sia un buon viatico per la vittoria del
proletariato italiano, così come la pubblicazione dell’originale
lo è stata per la rivoluzione internazionale.
Il Manifesto riconosce appieno il
ruolo rivoluzionario giocato nel passato dal capitalismo. La prima
nazione capitalistica è stata l’Italia. La conclusione del
Medioevo feudale e l’inizio della moderna era capitalistica sono
segnate da una figura grandiosa : è un italiano, Dante, l’ultimo
poeta medievale e insieme il primo poeta della modernità. Come
nel 1300, una nuova era è oggi in marcia. Sarà l’Italia a
darci un nuovo Dante, che annuncerà la nascita di questa nuova
era, l’era proletaria?
Londra, 1° febbraio 1893
Friedrich Engels
continua...
Note
01 (torna)
Dopo il suo arrivo a Parigi, la prima grande tappa della sua lunga
esistenza di emigrante forzoso, alla fine di ottobre 1843, Marx
entrò in contatto con la Lega dei Giusti (Bund der Gerechten),
una società segreta di operai e artigiani, per lo più emigrati
tedeschi, fondata nel 1836 come ramo della più antica Lega dei
Proscritti (Bund der Geächteten), obbiettivo della quale
era di instaurare una "repubblica sociale" in Germania.
Benché intimo di alcuni suoi dirigenti, come Ewerbeck o Germain
Maurer, Marx non si unì alla Lega durante la sua permanenza a
Parigi. Nel novembre del 1846 il comitato centrale della Lega dei
Giusti, che fino ad allora aveva mantenuto la propria sede a
Parigi, fu trasferito a Londra. Marx, residente in quel momento a
Bruxelles – la seconda grande tappa del suo esilio – in
seguito alla sua espulsione dalla Francia da parte di Guizot,
entrò formalmente nella Lega, così come Engels, nella primavera
del 1847. Dal 2 al 9 giugno dello stesso anno ebbe luogo a Londra
il primo congresso della Lega dei Giusti, nel corso del quale si
decise di cambiare nome in "Lega dei comunisti" (Bund
der Kommunisten) e di pubblicare un periodico – Kommunistische
Zeitschrift –, del quale un solo numero arrivò a veder la
luce. A differenza di Engels, che assistette in rappresentanza dei
comunisti parigini, e di Wolff, che lo fece come delegato dei
comunisti di Bruxelles, Marx non partecipò – per ragioni
economiche, a quanto pare – a questo congresso. Intervenne
invece al secondo, celebrato parimenti a Londra tra novembre e
dicembre del 1847, nel quale si fissarono come obbiettivi centrali
della Lega dei comunisti «l’abbattimento della borghesia, il
dominio del proletariato, l’abolizione della vecchia società
borghese, basata sull’antagonismo di classe, e la fondazione di
una società nuova, senza classi e senza proprietà privata», e
si stilarono i suoi nuovi statuti. Al termine del congresso Marx
ed Engels ricevettero l’incarico di redigere, nel più breve
tempo possibile, un manifesto inteso a far conoscere gli
obbiettivi e le tesi della Lega: il Manifesto del Partito
Comunista.
02 (torna)
Si intende la rivoluzione del febbraio 1848 in Francia.
03 (torna)
Caratterizzata da Engels come «la prima grande battaglia tra
proletariato e borghesia», l’insurrezione degli operai parigini
ebbe luogo tra il 24 e il 26 giugno 1848. Fu duramente repressa
dal ministro della guerra Cavaignac.
04 (torna)
Karl Marx morì il 14 marzo del 1883 a Londra, e tre giorni dopo
venne sepolto nel cimitero di Highgate, nella stessa città.
05 (torna)
Nell’edizione tedesca del 1890 Engels introduce qui una nota,
riprendendo letteralmente e per intero il capoverso della
Prefazione all’edizione inglese del 1888 che comincia con le
parole «A questa idea...» (cfr. infra, p. 197).
06 (torna)
Questa Prefazione, scritta da Engels direttamente in inglese, è
stata tradotta in italiano dall’originale.
07 (torna)
L’Associazione Internazionale dei Lavoratori venne fondata a
Londra nel 1864, con la partecipazione dei sindacati operai
britannici e francesi, e di alcuni esuli di varie parti d’Europa
allora stabiliti a Londra, come Marx ed Engels, che vi svolsero
sin dal principio un ruolo direttivo essenziale. Pur cominciando
come movimento dei sindacati operai, non smise di avere, fin dal
primo momento, un interesse e un significato politici. Marx
pronunciò l’allocuzione inaugurale e redasse i suoi statuti:
con stile conciso e sintetico propose come compito dell’Internazionale
la lotta volta al miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro degli operai mediante i metodi sindacali e l’agitazione
in favore di leggi come quelle che avevano condotto a una
riduzione della giornata lavorativa. Tutto ciò senza rinunciare
all’impegno volto a organizzare un partito operaio teso a
conquistare il potere politico. Nella conferenza inaugurale della
Associazione Internazionale dei Lavoratori erano rappresentate
quattro nazioni (Gran Bretagna, Francia, Belgio e Svizzera), oltre
a quelle rappresentate nominalmente dagli esuli residenti a
Londra. L’Associazione generale degli operai tedeschi di
Ferdinand Lassalle non fu invitata. Il Consiglio Generale si
stabilì a Londra. L’Associazione Internazionale dei Lavoratori,
che cessò di esistere nel 1876, nei suoi ultimi anni costituì lo
scenario di un duro dibattito tra i seguaci di Marx e quelli di
Bakunin.
08 (torna)
Ferdinand Lassalle (1825-1864), ebreo della Slesia, nato a
Breslavia, è una figura centrale del socialismo tedesco e, di
fatto, il creatore nel maggio 1863 del primo importante movimento
socialista in Germania, l’Associazione generale degli operai
tedeschi (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein). Quantunque
si riferisse in qualche occasione a Marx come suo maestro, le sue
relazioni con gli autori del Manifesto non furono facili.
Tale tensione si tradusse in una contrapposizione tra i due rami
del socialismo tedesco, il gruppo di Wilhelm Liebknecht e August
Friedrich Bebel, appoggiato da Marx ed Engels e dall’Internazionale,
e i lassalliani. I due rami finirono ad ogni modo per unirsi nel
1875, in un congresso di unificazione celebrato a Gotha, durante
il quale nacque un unico Partito socialdemocratico tedesco. Marx
elaborò una relazione riguardante il programma originario di
questo partito, successivamente pubblicata da Engels col titolo Critica
del programma di Gotha, in cui impostava di nuovo le
differenze principali che lo avevano separato da Lassalle nel
corso degli anni Sessanta dell’Ottocento. Questa relazione
esercitò grande influenza in certi ambienti
"marxisti-leninisti", dopo la grande scissione nella
socialdemocrazia classica che aprì la Rivoluzione bolscevica del
1917.
09 (torna)
Lassalle ammise sempre di persona, davanti a noi, di essere un
discepolo di Marx, e come tale aderì alle tesi esposte nel Manifesto.
Tuttavia, nel corso della sua agitazione pubblica del 1862-64 non
andò più in là della richiesta di officine cooperative
sostenute dal credito statale.
[Nota di Engels]
10 (torna)
Michail Aleksandroviè
Bakunin (1814-1876), figlio di un aristocratico e possidente russo
di idee liberali moderate, è una delle figure fondamentali e di
più chiara fama dell’anarchismo moderno. Conobbe Proudhon, del
quale subì un notevole influsso, e Marx, i cui meriti non negò
mai, sebbene non mancò di confrontarsi duramente con lui all’interno
della Associazione Internazionale dei Lavoratori, dalla quale fu
espulso nel 1872. Prese parte ai movimenti rivoluzionari del 1848,
in seguito ai quali passò sette anni in una prigione russa.
Tentò di ottenere clemenza dallo zar, indirizzandogli una famosa
"confessione" di tono panslavista in cui ripudiava il
suo passato rivoluzionario relativamente alla Russia, atto che è
stato inevitabilmente oggetto di interpretazioni di segno opposto.
Dopo vari anni di confino in Siberia, fuggì in Europa occidentale
attraverso il Giappone e gli Stati Uniti, stabilendosi
inizialmente nel Regno delle Due Sicilie. Fondò una Lega per la
Pace e la Libertà, della quale perse subito il controllo,
fondando poi la Alleanza della Democrazia Socialista. In seguito
alla sua espulsione dalla Associazione Internazionale dei
Lavoratori cercò di organizzare una nuova Internazionale
anarchica segreta. Dopo il fallimento dell’insurrezione di
Bologna, e a causa delle sue condizioni di salute, si ritirò,
fino alla morte, da tutta l’attività politica attiva. Grande
fautore della libertà, la sua ostilità verso lo Stato, la Chiesa
e lo stesso Dio, così come le sue idee anarchiche e federaliste,
esercitarono una notevole influenza negli ambienti socialisti
libertari e antimarxisti della fine del secolo XIX e dei primi
decenni del XX. Pëtr Alekseeviè
Kropotkin, autore di una teoria sistematica dell’anarco-comunismo,
ha in lui una delle fonti principali.
11 (torna)
Rivista rivoluzionaria russa ("La Campana"), pubblicata,
sotto il motto di Vivos voco, da A.I. Herzen e N.P. Ogarëv,
dapprima a Londra (1857-65) e poi a Ginevra (1865-67). Con i suoi
243 numeri in russo e 15 in francese svolse un ruolo importante
per la diffusione del movimento rivoluzionario in Russia.
12 (torna)
Nella postfazione, redatta nel 1894, a uno scritto sulla questione
sociale in Russia, Engels cita invece il teorico marxista russo
Georgij Valentinoviè
Plechanov come autore di questa traduzione. Nell’edizione russa
del Manifesto del 1900 lo stesso Plechanov si aggiudica
tale paternità.
13 (torna)
Étienne Cabet (1788-1856), giurista e pubblicista repubblicano
francese cui conferì non poca fama il romanzo utopico pubblicato
nel 1840 Voyage en Icarie, grazie al quale è passato alla
storia del pensiero utopistico, nel suo versante comunista. Alla
vigilia della rivoluzione del febbraio 1848 organizzò una
spedizione allo scopo di fondare negli Stati Uniti una colonia di
"Icariani". Confidava di poter realizzare il suo sogno
utopico nel seno stesso di un ordinamento sociale capitalistico,
edificando sul suolo americano la Nuova Gerusalemme. A tal fine si
rivolse non solo ai circoli borghesi "illuminati", ma
anche, benché con scarso successo, a varie organizzazioni
operaie, tra le quali la Associazione comunista di cultura operaia
di Londra, i cui membri di spicco (Bauer, Moll, Schapper, Lessner,
ecc.) svolsero un ruolo non di secondo piano nelle creazione della
Lega dei comunisti. In capo a qualche anno diversi Icariani
partiti alla volta dell’utopia tornarono, disingannati, al
vecchio mondo e alle sue lotte.
14 (torna)
Wilhelm Weitling (1808-1871), sarto tedesco, incluso da Marx ed
Engels – sebbene non giungessero a citarlo espressamente nel Manifesto
– nel gruppo dei "comunisti egualitari" dominato dalle
idee di Babeuf. Il passo del Manifesto in cui si parla del
sottoproletariato può anche essere interpretato come una velata
allusione a Weitling, tant’è vero che sia questi che Bakunin
vedevano nel Lumpenproletariat l’elemento più leale e
sicuro della rivoluzione. Weitling non ammetteva la necessità,
nel cammino verso il comunismo, di un periodo di transizione nel
quale la borghesia agisca come classe dirigente, cosa che lo
distanziò da Marx. Secondo lui, il modo migliore per instaurare
un diverso ordine sociale consisteva nel portare il disordine
sociale esistente a un livello tale da far esaurire la pazienza
del popolo. Benché Marx salutasse con entusiasmo l’apparizione,
nel 1842, del libro di Weitling Garanzie dell’armonia e della
libertà, ruppe definitivamente con lui il 30 marzo 1846,
quasi un anno prima della fondazione della Lega dei comunisti.
15 (torna)
Nel senso di "piccola borghesia".
16 (torna)
The Condition of the Working Class in England in 1844, di
Friedrich Engels, tradotto da Florence Kelley Wischnewetzky, New
York, Lovell – London, W. Reeves, 1888.
[Nota di Engels]
17 (torna)
Cfr. retro, dal capoverso che inizia con le parole «Per
quanto la situazione...», fino alla prima frase del capoverso
successivo, che termina con le parole «... diritto di
modificare».
18 (torna)
Questa Prefazione, scritta in francese da Engels dietro richiesta
di Filippo Turati – che la tradusse e vi appose il titolo –,
apparve per la prima volta nell’edizione italiana del Manifesto
tradotta da Pompeo Bettini (Uffici della "Critica
sociale", Tipografia degli Operai, Milano 1893). Qui è stata
ritradotta a partire dall’originale francese. |