Speciale in Medioriente

Cronologia 2002

aggiornato al 12 aprile 2002

9-10 gennaio. Hamas e la Jihad rompono la tregua: i due gruppi estremisti annunciano la ripresa degli attacchi contro Israele.

17 gennaio. A Hadera un palestinese irrompe in una sala dove si celebra un matrimonio, sparando all'impazzata. Il bilancio e' di sei morti israeliani oltre all'attentatore.
27 gennaio. Donna kamikaze si fa esplodere nella centralissima Jaffa Road di Gerusalemme. E' il primo esempio di terrorista donna della nuova Intifada.

11 febbraio. Viene completata la bozza di un accordo tra Peres e il presidente del Consiglio legislativo palestinese Abu Ala.

16 febbraio. Un kamikaze palestinese dell'Fplp si fa saltare in aria in una pizzeria a Karnei Shomron, provocando quattro morti.

17 febbraio. Il principe ereditario dell'Arabia saudita Abdullah, in un'intervista al "New York Times" rilancia l'idea di pace in cambio di terra.

20 febbraio. Dopo l'uccisione di sei soldati israeliani, scatta una violenta rappresaglia con massicci attacchi aerei, navali e di terra nei Territori. Colpito per la prima volta il quartiere generale di Arafat a Gaza.

24 febbraio. Il gabinetto israeliano per la sicurezza decide che Arafat continuerà a restare confinato a Ramallah e che potrà circolare liberamente nella città. Al tempo stesso decide di ritirare le truppe e i carri armati che circondano il suo quartiere generale.

25 febbraio. Una ragazza kamikaze palestinese di 15 anni si lancia, armata di un coltello, contro un posto di blocco israeliano nei pressi di Tulkarem, in Cisgiordania, finendo uccisa dai soldati. Due giorni dopo, una donna kamikaze palestinese si fa saltare in aria a un posto di blocco.

2 marzo. Attentato suicida nel quartiere ultraortodosso di Beit Yisrael, a Gerusalemme. Muoiono dieci israeliani.

6 marzo. Elicotteri da combattimento israeliani lanciano due razzi contro un edificio dei servizi d'informazione palestinesi, a Ramallah, adiacente agli uffici di Arafat. Inizia una serie di rappresaglie nelle quali gli israeliani uccideranno più di 50 palestinesi.

9 marzo. La polizia palestinese arresta Majdi al Romawi, considerato da Israele il "cervello" dell'assassinio di Zeevi. Nella notte raid israeliani distruggono gli uffici della presidenza dell'Anp a Gaza.

11 marzo. Israele abolisce le misure di confino di Arafat a Ramallah e gli ridà libertà di movimento ma solo in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Nel comunicato si afferma che la revoca del confino è una conseguenza dell'arresto dei responsabili dell'uccisione del ministro del turismo e dell'arresto di uno degli organizzatori del tentativo di contrabbandare armi dall'Iran nei territori palestinesi.

12 marzo. Su proposta degli Usa, il Consiglio di sicurezza dell'Onu approva la risoluzione 1379 che tra l'altro prefigura "una regione nella quale due Stati, Israele e la Palestina, vivano fianco a fianco, all'interno di frontiere riconosciute e sicure". Carri armati israeliani prendono posizione attorno all'ufficio di Arafat, a Ramallah. Le forze israeliane occupano gran parte della città. Nuovi scontri provocano almeno 40 morti, 33 palestinesi e 7 israeliani.

14 marzo. Riprende la spola diplomatica di Anthony Zinni, l'inviato statunitense in Medio oriente. L'esercito israeliano inizia il ritiro di tutte le sue truppe e dei carri armati dalle città palestinesi di Ramallah, Qalqilyia, Tulkarem e Betlemme, in Cisgiordania, e dal campo profughi di Al Boureji, nella striscia di Gaza.

15 marzo. Nel suo ufficio di Ramallah, Arafat riceve Zinni il mediatore Usa che dichiarerà: "Dai colloqui una speranza di pace". Altri incontri ci saranno nei giorni successivi.

20 marzo. Attentato suicida su un autobus diretto a Nazareth. Il bilancio è di otto morti e 30 feriti.


24 marzo. Sharon dichiara: "Finché proseguono gli episodi di terrorismo, il presidente palestinese Yasser Arafat non sarà autorizzato a lasciare i Territori".

26 marzo. Sharon nega ad Arafat il permesso di andare a Beirut per il vertice arabo. Un responsabile israeliano dichiara che "le condizioni non sono mature per permettere a Arafat di andare all'estero. Egli non ha impartito alcun ordine alla sua polizia di lottare contro il terrorismo e continua a abbandonarsi a incitazioni alla violenza".

27 marzo. Pasqua ebraica di sangue in Israele: attentato kamikaze in un hotel di Netanya (20 morti e oltre 130 feriti), l'uomo bomba si fa esplodere durante la cerimonia che inaugura le festività; un kamikaze si fa esplodere in un ristorante a Tel Aviv (un morto e 27 feriti) e il giorno dopo un altro attentato suicida ad Haifa fa diciassette morti.

28 marzo. Arafat dichiara: "Io affermo che siamo pronti a un cessate il fuoco immediato e ne ho informato il generale Zinni". Il portavoce di Sharon replica che il suo paese "ne ha abbastanza delle dichiarazioni fatte da Arafat ogni volta che è sottoposto a pressioni". A Beirut, la Lega Araba approva una proposta per la pace in Medo Oriente.

31 marzo. Sharon annuncia: "Arafat nemico del mondo libero, Israele vincerà". Si stringe la rappresaglia intorno a Ramallah, al quartier generale del leader palestinese. E inizia l'occupazione delle principali città dei Territori.


 

Assedio ad Arafat

29 marzo. Arafat è ormai assediato dai carri armati israeliani nel suo quartier generale della Moqata a Ramallah. Lo scontro a fuoco è violento. I soldati israeliani entrano nell'edificio. Arafat è costretto a rifugiarsi in poche stanze con i suoi fedelissimi e un telefono satellitare. Non hanno luce né acqua.

30 marzo. I palestinesi denunciano "Sharon vuole la resa di Arafat". Israele replica: "Lui non è un obiettivo".

1-2 aprile. Intorno alla Moqata piovono le bombe. Si parla di 30 morti tra i palestinesi.

I pacifisti (tra loro un gruppo di italiani) riescono a portare medicinali e aiuti agli assediati della Moqata

5 aprile. Il mediatore di Bush, Anthony Zinni è il primo diplomatico che può incontrare Arafat, assediato nel bunker di Ramallah. Ma l'assedio ad Arafat continua. Gli americani chiedono che non gli sia fatto del male.

13 aprile. Arafat, nonostante continui l'attacco israeliano, condanna tutti gli attentati suicidi.

 

Gli attentati

27 marzo. Pasqua ebraica di sangue in Israele: attentato kamikaze in un hotel di Netanya (20 morti e oltre 130 feriti), l'uomo bomba si fa esplodere durante la cerimonia che inaugura le festività; un kamikaze si fa esplodere in un ristorante a Tel Aviv (un morto e 27 feriti) e il giorno dopo un altro attentato suicida ad Haifa fa diciassette morti.

30 marzo. Attentato al Caffè Bialik sulla Allenby Street a Tel Aviv: Muore l'attentatore e ci sono 27 feriti di cui alcuni gravi.

31 marzo. Bomba umana nel ristorante "Matza" nel centro commerciale "Grand Kanion" di Haifa. I morti sono 17, una trentina i feriti. Il kamikaze ha 18 ani, si chiama Shadi Tobassi. L'azione è rivendicata da Hamas che promette altri attentati. Durisisma la reazione di Israele: "Non lasceremo neppure una pietra al suo posto finché non avremo fermato la campagna di terrore".

8 aprile. Ancora un kamikaze ad Haifa. Il terrorista palestinese, proveniente dal campo profughi di Jenin, colpisce su un autobus. Risultato: 9 morti (compreso l'attentatore) e decine di feriti. L'azione è rivendicata dalle brigate Ezzedin al Qassam di Hamas. Gli israeliani confermano che andranno avanti nella loro azione sui Territori.

12 aprile. Una terrorista kamikaze, ancora una donna, si fa esplodere nel centro di Gerusalemme vicino a un mercato affollato. I morti sono sei, decine i feriti.

 

Esercito nei territori occupati

12 aprile. Arrivano le prime ammissioni dell'esercito israeliano: "A Jenin centinaia di morti e feriti". Il ministro dell'informazione palestinese Yasser Abed Rabbo però nega che vi siano stati massacri e fosse comuni nella città.

11 aprile. Sharon fa visita ai suoi soldati che hanno appena preso Jenin: "Lottiamo per sopravvivere".

11 aprile. Si arrendono gli ultimi 29 difensori di Jenin. L'esercito israeliano si ritira da 24 villaggi ma controlla ancora le città di Jenin Nablus, Ramallah, Hebron e Tulkarem. I carri armati circondano anche l'università di Bir Zeit. Più tardi si ritirano.

11 aprile. I frati della Basilica della Natività lanciano una nuova proposta. Chiedono che l'esercito israeliano garantisca la vita dei 200 palestinesi assediati con loro nell'edificio. Non pretendono neppure più che sia loro permesso di arrivare liberi a Gaza. I frati, (fra loro c'è anche un ferito) fanno sapere di essere pronti a morire.

10 aprile.
L'esercito israeliano completa la presa di Jenin. Si parla di centinaia di morti, ma i giornalisti sono tenuti fuori dalla città e nessuno può dare cifre precise.

9 aprile.
Infuria la battaglia a Jenin. Un gruppo di soldati israeliani cadono in un'imboscata. Un kamikaze si fa esplodere mentre perlustrano un palazzo. L'edificio crolla. Muoiono in tredici.

8 aprile.
Cade la città di Nablus. Gli attacchi israeliani si concentrano su Jenin dove la resistenza palestinese è più dura.

7 aprile. Ultimatum per gli assediati della Basilica di Betlemme. I soldati israeliani chiedono loro di uscire. Nessuno si muove.

6 aprile. Sempre più dura la battaglia a Jenin e Nablus. I palestinesi resistono casa per casa. I mori sono decine.

5 aprile.
Si combatte a Nablus. Uccisi 9 palestinesi. Perquisita la casa del ministro dell'informazione di Arafat, Yasser Abed Rabbo. L'Anp fa sapere che sono morti 81 palestinesi e ci sono oltremille prigionieri.

5 aprile. Prosegue il dramma dei francescani nella Basilica. A corto d'acqua e di viveri, si sentono due volte ostaggi.

4 aprile. I frati della Basilica lanciano l'allarme: "I soldati stanno attaccando". Gli israeliani smentiscono: "Non è vero". Padre Ibrahim: "Siamo in pericolo, aiutateci".

4 aprile. Sono ormai sei le città palestinesi in mano all'esercito israeliano: Ramallah, Betlemme, Jenin, Qalqilya, Tulkarem e Nablus.

3 aprile. Dopo 48 ore di paura, i giornalisti italiani vengono liberati da un convoglio di auto diplomatiche. Ma l'assedio alla Basilica rimane. I frati vogliono restare nel luogo sacro e chiedono che siano lasciati liberi senza far loro del male, i 200 palestinesi. Gli israeliani, convinti, che fra i palestinesi ci sono diversi ricercati propongono che gli uomini escano e si consegnino. La trattativa non ha sbocco.

2 aprile. Un gruppo di giornalisti italiani è costretto a trovare rifugio nella Basilica della Natività di Betlemme. Fuori ci sono i soldati israeliani che impediscono il passaggio. Dentro, insieme a una quarantina di frati e suore e ai giornalisti, arrivano circa duecento miliziani e civili palestinesi. Comincia un lungo assedio.

2 aprile. I pacifisti italiani raccontano l'assedio: "Betlemme sembra un inferno".

1 aprile.
Scatta l'operazione "Muraglia di difesa". La morsa dell'esercito israeliano si stringe sui Territori. I tank entrano a Betlemme e Tulkarem.

 

La "diplomazia" internazionale

12 aprile. Primo incontro tra Ariel Sharon e Colin Powell che però non si accordano sulla data del cessate il fuoco. Il premier israeliano nega al segretario di Stato Usa un impegno per la fine dell'offensiva. Slitta l'incontro tra Powell e Arafat dopo il nuovo attentato kamikaze a Gerusalemme.

11 aprile. Anche Colin Powell, che sta per arrivare in Israele, chiede la tregua. Incontrerà sia Sharon che Arafat. Interviene pure Romano Prodi a nome della Ue. Ma Sharon resta fermo sulle sue posizioni che, in sostanza, sono "Faremo più rapidamente possibile, ma completeremo la nostra operazione contro il terrorismo".

10 aprile.
A Madrid, i rappresentanti di Usa, Ue, Russia e Onu approvano un documento congiunto: "esigiamo il ritiro immediato di Israele".

10 aprile.
All'ennesima richiesta di Bush per un ritiro immediato, Sharon risponde con durezza: "Basta con le pressioni Usa". E aggiunge: "Gli americani sono nostri grandi amici, ma noi combattiamo una battaglia per la sopravvivenza".

8 aprile.
Prima, parziale, risposta positiva di Israele alle richieste di Bush. L'esercito si ritira da due città: Tulkarem e Qualqilya. La radio israeliana spiega in odo lapidario la decisione: "Il lavoro è finito". Powell, dal Marocco, non sembra entusiasta: "Iniziativa incoraggiante ma non sufficiente. Il ritiro deve essere completo e immediato".

7 aprile.
Ancora la pressante richiesta di Bush a Israele: "Ritiratevi senza indugi".

7 aprile.
Netto "no" di Sharon alla richiesta di Bush di ritirare le truppe. "Per Israele, questa è una battaglia positiva".

5 aprile.
L'Onu appoggia la missione di Colin Powell in Medio Oriente e vara una nuova risoluzione: è la 1403 che impone a Israele di "ritirare subito l'esercito dalle città occupate".

4 aprile.
La Ue invia Javier Solana e il ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué in Israele per una missione di pace.

4 aprile.
Solana e Piqué chiedono di incontrare Arafat. La stessa richiesta viene dal mediatore americano Anthony Zinni. Il governo Sharon risponde negativamente agli inviati Ue e lascia uno spiraglio per Zinni. Solana e Piqué annullano l'incontro con Sharon e tornano a casa.

4 aprile.
Bush decide di inviare in Medio Oriente il segretario di Stato Colin Powell. Il presidente Usa chiede che Israeli si ritiri dai Territori e che i palestinesi fermino gli attacchi suicidi. Obiettivo: due stati in pace e sicurezza. Arafat fa sapere che "accetta senza condizioni".

2 aprile.
Sharon dichiara: "Potremmo espellere Arafat". Replica il segretario di Stato Usa, Colin Powell: "Sarebbe un errore. Ha un ruolo da svolgere".

2 aprile.
Si fa sentire il Vaticano: "Profanata la Terrasanta. Così si violenta la storia".

1 aprile.
Il ministro degli Esteri israeliano, Shimon Peres, sembra prendere le distanze da Sharon: "Bisogna allentare l'assedio ad Arafat".

30 marzo.
Il presidente Usa, George Bush parla dal Texas e invita Israele "a trovare la via della pace". Ad Arafat chiede di "fare di più contro il terrorismo".

grazie a repubblica.it