TUTTO LENIN
Il socialismo non è altro che il capitalismo monopolistico di stato messo al servizio di tutto il popolo e che, in quanto tale, ha cessato di essere monopolio capitalistico. Non vi è via di mezzo. La guerra imperialista è la vigilia della rivoluzione socialista. E non solo perché la guerra con i suoi orrori genera l’insurrezione proletaria, ma perché il capitalismo monopolistico di Stato è la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo.
VITA E STORIA DI LENIN
Lenin (pseudonimo di Vladimir Ilic Uianov) era nato nel 1870 a Simbirsk (oggi Uianovks) e suo padre era un ispettore scolastico. Gli anni di studio e di adolescenza coincisero con uno dei periodi più travagliati della storia sociale e politica della Russia. Il governo zarista dopo l'uccisione dello zar Alessandro II nel 1881, da parte dei populisti, si era affrettato ad annullare quelle limitate riforme che erano state introdotte durante il decennio precedente. In questo clima con Lenin ancora 17enne, il fratello Alessandro con più anni di lui e a cui era molto affezionato, viene arrestato e condannato a morte sotto l'accusa di aver partecipato alla preparazione di un attentato allo zar. Anche Lenin viene espulso dall'Università di Kazan per la sua adesione a un circolo studentesco di tendenze rivoluzionarie. Si avvicina allo studio del marxismo, e in particolare al Capitale di Marx, poi nel 1893 si trasferisce a Pietroburgo entrando in contatto con il movimento fondato da Plechanov, "Emancipazione nel lavoro". Movimento che confluisce nel 1898 al Congresso di Minsk, nel partito operaio socialdemocratico di Russia (POSDR). Lenin sempre sotto stretta sorveglianza politica, viene alla fine arrestato e condannato a tre anni con la deportazione in Siberia. E qui che nel 1899, porta a compimento il suo primo saggio: Lo sviluppo del capitalismo in Russia; ed è un'altra polemica contro i populisti. Polemica già iniziata nel 1894 a Pietroburgo con l'articolo " Che cosa sono "Gli amici del Popolo" e come lottano contro i socialdemocratici ". La questione controversa era -sostenevano i populisti- che la Russia a differenza dell'Europa, sarebbe passata dal feudalesimo al socialismo, senza attraversare la fase dello sviluppo capitalistico. La replica di Lenin, fu nel dimostrare con una minuziosa analisi economica e statistica, che l'agricoltura russa era già entrata nella fase del suo sviluppo capitalistico; e che l'idea populista di una rivoluzione contadina, senza la guida della moderna classe operaia (più sveglia, determinata, consapevole politicamente, unita, e forte, pur non essendo ancora numerosa) era quindi un'utopia. Per molti intellettuali radicali, dalla metà dell'Ottocento, il problema centrale era " ma la Russia è Europa? ", questo orientamento dei radicali era chiamato narodnik , da narod popolo; e s'intendevano le masse rurali in cui si scorgeva la base di una società socialista con una versione rivoluzionaria di tipo marxista. Invece per altri intellettuali (con Lenin in prima fila) la Russia faceva parte già dell'Europa o almeno era in via di europeizzazione, ed era già presente il capitalismo e quindi già presente quella classe operaia che doveva prendere la guida della rivoluzione (e fu questo secondo orientamento rivoluzionario che poi si trasformò in bolscevismo). La prima domanda posta dai radicali, divise i pensatori russi per tutto l'Ottocento e continua a dividerli ancora oggi. Ed anche Marx quella domanda se la pose, e nel 1877 rispose a un saggio di un noto radicale della linea narod secondo il quale la sua teoria Marxista presupponeva " lo scioglimento delle comunità agricole e l'avvento del capitalismo come condizione preliminare all'affermarsi del socialismo ". Poi Marx dissentì da questa impostazione enunciando altre alternative; che però convinsero poco quelli della narod e meno ancora i loro avversari che seguitarono a guardare in avanti dando ragione solo a quello che Marx aveva affermato in quelle due righe. Quando Lenin poi ottenne la sua vittoria politica, costrinse all'esilio chi preferiva il Marx della prima maniera. Ma le difficoltà nell'attuazione del socialismo in Russia - sostennero poi i critici di Lenin - sono insite appunto nel tentativo di realizzare una rivoluzione proletaria in un paese che era prevalentemente agricolo. Lenin nel 1901 emigrato in Svizzera fondò un periodico rivoluzionario intitolato Iskra (la scintilla), per guidare e organizzare all'estero le lotte e le agitazioni degli operai russi. Ma al secondo congresso del partito socialdemocratico russo, tenutosi a Londra nel 1903 il partito si spaccò in due fazioni; quella maggioritaria (bolscevica) capeggiata da Lenin e quella minoritaria (menscevica) capeggiata da Plechanov e altri: i Menscevichi volevano instaurare un movimento sul modello della Socialdemocrazia tedesca, i Bolscevichi guardavano invece alla rivoluzione e volevano un partito 'di quadri', costituito da pochi esponenti altamente qualificati che guidassero la rivoluzione. In effetti, in Germania, dove spazio per la democrazia ve n'era (sebbene poi il parlamento, con Bismarck, non contasse nulla), poteva avere un senso un movimento di massa quale la Socialdemocrazia; ma in una realtà quale la Russia, in cui ogni cosa che si intraprendeva naufragava miseramente e tutto era dominato dal rigido regime zarista, aveva molto più senso un movimento elitario a mò di setta segreta, una sorta di seme sotto la neve , per dirla con Silone, che sotto la fredda coltre dell'inattivo regime zarista in mano allo stregone ciarlatano Rasputin, potesse cogliere il momento opportuno per dare una fioritura magnifica. . Lenin intendeva creare l'organizzazione del partito con una struttura fortemente centralizzata alla quale dovevano essere ammessi solo i "rivoluzionari di professione", non le masse popolari (sul modello della Socialdemocrazia tedesca). La divisione interna si approfondì in occasione della rivoluzione del 1905, scoppiata a seguito dell'ingiuriosa sconfitta inflitta dai Giapponesi ai Russi . I menscevichi intendevano lasciare la guida della rivoluzione alle forze della borghesia liberale russa, mentre Lenin pur riconoscendo il carattere democratico-borghese della rivoluzione, sosteneva che essa dovesse essere capeggiata dalla classe operaia e dai contadini, giudicando che la borghesia russa, per la sua debolezza, sarebbe stata incapace di portare la rivoluzione sino all'abbattimento dello zarismo e avrebbe sempre ripiegato su un compromesso con la monarchia e con l'aristocrazia terriera. ' Quando Lenin andò all'estero all'età di trent'anni ' racconta Trotsky, che proprio a Londra, dopo essere fuggito dalla Siberia, lo conobbe per la prima volta, ne La mia vita, ' era già completamente maturo. In Russia, nei circoli studenteschi, nei gruppi socialdemocratici e nelle colonie degli esiliati, egli era un personaggio di spicco. Non poteva non realizzare questo suo potere, se non altro per il fatto che chiunque lo incontrasse o lavorasse con lui glielo dimostrava in modo chiaro. Quando lasciò la Russia, possedeva già un ottimo equipaggiamento teorico ed un solido bagaglio d'esperienza rivoluzionaria. All'estero, c'erano collaboratori che lo attendevano: il gruppo di 'Emancipazione del lavoro' e, primo fra loro, Plechanov […] 'con questi Lenin entrò presto in contrasto, ' ma Lenin era vigoroso. Tutto ciò di cui necessitava era la convinzione che i più anziani erano incapaci di assumersi una leadership diretta dell'organizzazione militante dell'avanguardia proletaria nella rivoluzione ch'era chiaramente vicina. I più anziani - e non erano gli unici - si sbagliavano nel loro giudizio; Lenin non era semplicemente un rimarcabile lavoratore del partito, egli era un leader, un uomo in cui ogni fibra era tirata verso il raggiungimento di un fine particolare, un uomo che infine, dopo aver lavorato fianco a fianco coi più anziani, aveva realizzato di essere un leader e di essere più forte e più necessario di loro. Nel mezzo degli ancor vaghi atteggiamenti che eran comuni nel gruppo che sorreggeva le bandiere dell'Iskra, Lenin solo, ed in modo definito, concepiva il 'domani', con tutte le sue severe fatiche, i suoi crudeli conflitti e le innumerevoli vittime '. Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 (conclusasi in un bagno di sangue per il movimento operaio, fucilato sulle piazze dalla polizia), si videro i bolscevichi e i menscevichi impegnati sempre di più in questa aspra polemica; i secondi si identificavano sempre di più con il movimento di "revisione" del marxismo rivoluzionario, inaugurato in Europa occidentale da Bernstein. Ma la rottura definitiva si completa nella II Internazionale e con lo scoppio della prima guerra mondiale. La parola d'ordine di Lenin è quella di trasformare la "guerra imperialista" in "guerra civile": Lenin era sì convinto che la guerra imperialista fosse un male, ma tuttavia ne vedeva anche gli aspetti positivi. Tutto stava nel riuscire a trasformare la guerra in rivoluzione e così effettivamente fu. Tuttavia il partito bolscevico, a differenza di quello menscevico, fu contrario alla guerra e la Russia bolscevica, all'indomani della rivoluzione, pur di uscire dalla guerra stipulerà accordi con le nazioni nemiche a tal punto sfavorevoli che Lenin li definirà 'vergognosi'. L'unico scontro conflittuale riconosciuto dai Bolscevichi era, del resto, lo scontro di classe, non la guerra, quell'inutile strage contro cui Lenin si scaglia in chiusura di Stato e Rivoluzione : La deformazione e la congiura del silenzio intorno al problema dell'atteggiamento della rivoluzione proletaria nei confronti dello Stato non potevano mancare di esercitare un'immensa influenza, in un momento in cui gli Stati, muniti di un apparato militare rafforzato dalle competizioni imperialiste, sono diventati dei mostri militari che mandano allo sterminio milioni di uomini per decidere chi, tra l'Inghilterra e la Germania, tra questo o quel capitale finanziario, dominerà il mondo. Quando scoppia la Rivoluzione in Russia nel febbraio del 1917 Lenin era ancora esule in Svizzera. Rientrato a Pietroburgo con la sua celebre Tesi di Aprile traccia il programma per l'abbattimento del governo liberal-democratico nel frattempo salito al potere dai Cadetti (di ispirazione liberale) e per il passaggio della rivoluzione alla sua fase socialista. Nei successivi mesi compone la sua famosa opera Stato e Rivoluzione , poi guida l'insurrezione di Ottobre che si conclude con la formazione del primo governo sovietico da lui capeggiato. Gli anni dal 1918 al 1921, sono gli anni del "comunismo di guerra", della "nuova politica economica", ma anche dei forti contrasti con Stalin, che Lenin non può più avversare ma di cui ha già presagito la pericolosità (celebre è lo scritto ' Quello Stalin è pericoloso ') , gravemente ammalato muore il 21 gennaio del 1924, all'età di 54 anni.
Alla fine del secolo diciannovesimo, Lenin dovette sostenere, prima in Russia e poi all'estero, una dura lotta contro i "marxisti legali" e gli "economisti". In quegli anni particolarmente difficili, carichi di contraddizioni sociali ed economiche, privi di una vera prospettiva rivoluzionaria, in quanto il movimento socialdemocratico era ancora troppo debole, soprattutto nei livelli direttivi, il marxismo legale era riuscito a emergere nella letteratura sottoposta a censura solo perché il governo zarista, vendendolo impegnato a combattere le idee populiste, pensava che fosse una corrente meno pericolosa. In realtà i marxisti legali contribuivano alla diffusione del marxismo rivoluzionario, benché tale teoria -osserva Lenin- venisse esposta in un "linguaggio esopico", cioè indiretto, mediato, non trasgressivo. Il progressivo declino del populismo fece diventare il marxismo molto popolare in Russia. Lenin e la sua "Unione di lotta" non disdegnavano l'intesa con i marxisti legali in funzione antipopulistica, pur essendo consapevoli che tali pseudo-marxisti erano nati dalla fusione di "elementi estremisti con elementi molto moderati". Quando infatti -dopo che il governo s'accorse della loro pericolosità- ci si trovò di fronte all'alternativa di radicalizzare il taglio rivoluzionario degli interventi o di rinunciarvi definitivamente, la maggioranza dei marxisti legali non ebbe dubbi: scelse il revisionismo di Bernstein. A questo punto la rottura, fra marxismo rivoluzionario e legale, divenne inevitabile. Gli "ex-marxisti" continuarono a scrivere su giornali e riviste autorizzati dal governo, rivendicando una piena "libertà di critica" nei confronti dello stesso marxismo, ma questa volta con lo scopo principale di subordinare il movimento operaio agli interessi della borghesia. Affermavano, da un lato, che lo sviluppo capitalistico in Russia era una necessità storica, ma, dall'altro, non ne chiedevano il superamento immediato. Il loro marxismo era "senza socialismo". Molti di questi "compagni di strada" -come li chiamava Lenin- diventeranno dei "cadetti" (il partito principale della borghesia russa) e persino delle "guardie bianche" durante la guerra civile. Nel tentativo di superare gli evidenti limiti del marxismo legale, si sviluppò all'interno del movimento socialdemocratico una corrente più pratica e concreta, ma unicamente interessata a risolvere i problemi di natura sindacale: era la corrente che Lenin chiamava col nome di "economicismo". Non si trattava di una vera alternativa al marxismo legale ma di un suo complemento. Sul piano "legale" infatti si continuava a predicare, anche da parte degli economicisti, la fusione degli intellettuali marxisti coi liberali, mentre su quello "illegale" si chiedeva agli operai di lottare sindacalmente contro i padroni. Gli economicisti -che, come dice Lenin, rifuggivano da qualsiasi " discussione teorica, dissenso di frazione, ogni vasta questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari ecc. "- avevano un loro manifesto: il Credo (redatto dalla Kuskova), che Lenin e altri 17 compagni sottoposero a dura critica scrivendo dalla prigione siberiana la Protesta dei socialdemocratici russi (1899). Con la Protesta, pubblicata sul Raboceie Dielo, Lenin rivendicava l'unità della lotta economica della classe operaia con quella politica e condannava il revisionismo di Bernstein, che voleva trasformare il partito operaio da rivoluzionario a riformista, spazzando via l'ingrediente fonfdamentale del marxismo: la rivoluzione . Lenin e gli altri autori della Protesta volevano integrare la battaglia contrattuale della classe operaia con una lotta politico-rivoluzionaria organizzata in un partito indipendente, che portasse, anche attraverso il consenso e l'appoggio degli elementi democratico-borghesi del Paese, all'emancipazione di tutti i lavoratori oppressi. Nello stesso tempo Lenin scrisse, fra le altre cose, Il nostro programma , che però rimase inedito fino al 1925. In esso si costatava che l'opinione dominante in seno alla socialdemocrazia russa considerava il marxismo rivoluzionario "invecchiato e inadeguato". L'influenza del revisionismo si faceva sempre più sentire. Alla stregua di Bernstein ci si limitava -dice Lenin- ad elaborare "piani per riorganizzare la società", a proporre "ai capitalisti e ai loro reggicoda il modo di migliorare la situazione degli operai", a predicare agli operai "la teoria dell'arrendevolezza". Lenin si rendeva conto che un'interpretazione dogmatica del marxismo poteva trasformare questa scienza in una fraseologia senza senso; però teneva a precisare che qualsiasi critica del marxismo non poteva andare oltre le "pietre angolari" da esso poste, "i principi direttivi generali". La teoria di Marx -diceva Lenin nel Programma- non è qualcosa di "definitivo e di intangibile"; i socialisti devono anzi farla progredire "se non vogliono lasciarsi distanziare dalla vita"; ma con ciò -prosegue Lenin- resta vero che mai potrà esistere "un forte partito socialista se manca una teoria rivoluzionaria che unisca tutti i socialisti". Queste idee Lenin, a causa delle persecuzioni dell'infame regime zarista, dovette portarle avanti all'estero. Con l'aiuto di molti compagni pubblicò per tre anni il giornale Iskra. Nell'importante articolo di fondo scritto nel primo numero, I compiti urgenti del nostro movimento , Lenin, rifiutando le teorie opportuniste dell'economicismo, rivendicava l'unità del socialismo col movimento operaio. Solo mediante questa unità si poteva -a suo giudizio- superare la mera attività propagandistica esercitata, a livello di circolo, dai socialdemocratici russi negli ultimi decenni e, nel contempo, evitare che il movimento operaio e il socialismo cadessero nell'ideologia borghese o degenerassero nello sterile terrorismo individuale (come quello dell'organizzazione clandestina "Volontà del popolo", che, dopo aver assassinato nel 1881 lo zar Alessandro II, venne immediatamente liquidata dal governo). L'unità, in sostanza, era indispensabile non solo per l'"ortodossia" del socialismo, ma anche per la "ortoprassi" del movimento operaio. "Nessuna classe della storia -dice Lenin nell'articolo suddetto- ha conquistato il potere senza esprimere dei propri capi politici, dei propri rappresentanti d'avanguardia capaci di organizzare e dirigere il movimento". A contatto con le organizzazioni socialdemocratiche all'estero, Lenin poteva facilmente rendersi conto di come la tendenza economicistica avesse acquistato sempre più seguaci. Infatti, dopo il giornale Rabociaia Mysl, stampato in Russia, anche la rivista Raboceie Dielo, stampata a Ginevra, decideva, a partire dal numero 10, di compiere la svolta revisionista verso l'economicismo. Alle giustificazioni ch'essa ne dava, e cioè: 1) l'inesistenza delle condizioni "oggettive" per compiere una rivoluzione (donde l'inutilità di organizzare un partito politico); 2) il timore di vedere la propria attività equiparata a quella dei terroristi - Lenin ribatteva dicendo: 1) "si deve lavorare per creare un'organizzazione combattiva e condurre un'agitazione politica in qualsiasi situazione", anzi, proprio nei momenti di declino dello "spirito rivoluzionario" è particolarmente necessario tale lavoro, "poiché nei momenti degli scoppi e delle esplosioni non si farebbe in tempo a creare un'organizzazione"; 2) "oggi il terrorismo non viene affatto proposto come un'operazione dell'esercito operante, strettamente legata e adeguata a tutto il sistema di lotta, ma come mezzo di attacco singolo, autonomo e indipendente da ogni esercito" (così in due articoli pubblicati nei numeri 23 e 24 dell'Iskra). In altre parole, la situazione di quel momento storico non era "oggettiva" per la rivoluzione solo in questo senso, che non si doveva compiere un "assalto frontale" alle postazioni nemiche prima di aver organizzato debitamente un "regolare assedio". E, allo scopo -pensava Lenin-, nulla era più indispensabile di un giornale politico panrusso: ecco perché era nata l'Iskra. "La maggiore o minore frequenza e regolarità dell'uscita (e diffusione) del giornale -diceva Lenin, con grande senso della concretezza- potrà essere l'indice più esatto della solidità con la quale saremo riusciti a organizzare [il settore della] propaganda e dell'agitazione multiformi e conseguenti". La scelta di un giornale politico, comune a tutto il marxismo rivoluzionario, era stata imposta dalla situazione di frazionamento localistico del movimento operaio. Essendo "l'enorme maggioranza dei socialdemocratici quasi completamente assorbita dal lavoro puramente locale", l'instabilità e l'incertezza del movimento e dei suoi dirigenti diventavano un fatto inevitabile. Ciò spiega il motivo per cui il giornale non era nato solo per svolgere un ruolo di propagandista e agitatore collettivo, penetrando, attraverso il proletariato, "nelle file della piccola borghesia urbana, degli artigiani rurali e dei contadini", che avrebbe conquistato alla rivoluzione: esso doveva pure svolgere la funzione di "organizzatore collettivo". Nel senso cioè che la rete di "fiduciari" del partito preposta alla redazione e diffusione del giornale, doveva mantenere strettissimi legami "con i comitati locali (gruppi, circoli) del partito", o almeno con quelli che desideravano la loro unificazione in un partito. Attraverso questo lavoro tutti i militanti avrebbero avuto la possibilità non solo di osservare gli avvenimenti da un punto di vista nazionale, ma, in virtù dell'organizzazione capillare, anche l'opportunità d'intervenire direttamente su tali avvenimenti. Gli stessi militanti insomma dovevano diventare i protagonisti dell'Iskra. Un altro importante articolo pubblicato sul no 12 del giornale è il Colloquio con i sostenitori dell'economicismo. Qui Lenin risponde, approfondendo gli argomenti soprattutto nel capitolo Secondo di Che fare? , a una lunga lettera che "un gruppo di compagni" aveva fatto pervenire alla redazione del giornale. In particolare, Lenin rilevava il fatto che "i dirigenti coscienti sono in ritardo sullo sviluppo del movimento spontaneo della massa operaia e degli altri strati sociali". Ai dirigenti, di cui il movimento dispone, mancano le cose più necessarie: solida teoria, vasti orizzonti politici, energia rivoluzionaria, capacità organizzativa. Il grave però è che "dalla fine del 1897 e specialmente dall'autunno del 1898" -dice Lenin-, cioè proprio quando si è voluto costituire il partito operaio socialdemocratico, essi hanno fatto di questi difetti una "virtù", portando il "ritardo" della coscienza rivoluzionaria al livello di una "giustificazione teorica". Tutte le questioni che in quel periodo più urgevano nel dibattito interno alla socialdemocrazia russa, saranno efficacemente sintetizzate e magistralmente risolte in Che fare? (1902), il libro più importante che Lenin scrisse prima della rivoluzione del 1905. Dopo la svolta del Raboceie Dielo verso l'economicismo, con la quale, fra l'altro, s'impedì d'unificare le organizzazioni socialdemocratiche all'estero in nome del marxismo rivoluzionario, Lenin fu costretto a radicalizzare, anche nello stile letterario, i termini dello scontro. Rendendosi d'altra parte conto che l'economicismo aveva molto più seguito di quel che non si credesse, egli non poteva agire diversamente. L'opposizione fra le due correnti di pensiero era per lui così netta da imporre una "chiarificazione sistematica" su tutti gli aspetti fondamentali del dissenso. Proprio nella drammaticità del confronto con il marxismo "ufficiale", "dominante", venivano alla luce le indicazioni più sicure da seguire.
LA CRITICA ALLA LIBERTA' DI CRITICA
La
"libertà
di
critica"
è
il
primo
aspetto
che
Lenin
esamina
nella
sua
importante
opera
anti-opportunista
Che
fare?
Trattasi
di
quella
libertà
che
i
marxisti
legali
e
soprattutto
gli
economicisti,
in
Russia,
si
erano
presi
per
indurre
il
neonato
Posdr
a
trasformarsi
da
rivoluzionario
a
riformista.
Emulando
i
colleghi
revisionisti
di
Germania
e
Francia,
essi
chiedevano
di
rinunciare
alla
pretesa
di
dare
un
fondamento
scientifico
al
socialismo
e
di
limitarsi
ad
accettarlo
solo
sul
piano
utopistico,
in
quanto
l'opposizione
di
principio
fra
socialismo
e
liberalismo
era
per
loro
inesistente.
Essi
inoltre
negavano
il
fatto
della
crescente
miseria
sociale,
cioè
della
proletarizzazione
di
ampi
strati
sociali
e
dell'inasprimento
delle
contraddizioni
capitalistiche.
Respingevano,
in
sostanza,
la
teoria
della
lotta
di
classe
e
l'idea
della
dittatura
del
proletariato.
In
un
contesto
del
genere,
la
"libertà
di
critica"
-pensava
Lenin-
altro
non
significava
che
"critica
borghese
di
tutte
le
idee
fondamentali
del
marxismo".
Naturalmente
la
novità
non
era
piovuta
dal
cielo.
"Già
da
tempo
-scrive
Lenin-
si
muoveva
contro
il
marxismo
questa
critica
dall'alto
della
tribuna
e
della
cattedra
universitaria,
in
innumerevoli
opuscoli
e
in
una
serie
di
dotti
trattati;
da
decine
di
anni
tutta
la
nuova
gioventù
delle
classi
colte
è
stata
educata
a
questa
critica".
In
pratica,
la
linea
opportunistica
del
marxismo
era
stato
il
risultato
di
un
trasferimento
di
concezioni
borghesi
dalla
letteratura
liberale
a
quella
socialista.
A
livello
europeo
i
migliori
rappresentanti
di
questa
nuova
tendenza
erano
Bernstein,
sul
piano
teorico,
e
Millerand
su
quello
pratico.
Avvalendosi
della
"libertà
di
critica"
come
di
una
rivendicazione
politica,
essi
e
gli
economicisti
in
genere
evitavano
di
confrontarsi
con
le
tesi
del
marxismo
rivoluzionario,
tacciato
preventivamente
di
"dogmatismo".
Ma
in
tal
modo
-spiega
bene
Lenin-
la
tanto
declamata
parola
d'ordine,
libertà
di
critica
anche
nei
confronti
del
marxismo,
"si
riduceva
all'assenza
di
ogni
critica",
anzi,
"all'assenza
di
ogni
giudizio
indipendente".
Di
nuovo,
in
realtà,
c'era
solo
questo,
che
"l'urto
delle
diverse
tendenze
in
seno
al
socialismo
si
era
per
la
prima
volta
trasformato
da
nazionale
in
internazionale".
Storicamente
parlando,
gli
economicisti
rappresentarono
una
reazione
all'intellettualismo
parolaio
dei
marxisti
legali.
Là
dove,
nell'ultimo
decennio
dell'800,
si
lottò
con
successo
contro
il
populismo,
paventando
però
l'idea
della
rivoluzione
proletaria,
qui
invece
si
pretendeva
una
maggiore
concretezza,
una
più
sollecita
attenzione
ai
problemi
di
natura
sindacale
dei
lavoratori,
benché
i
tempi
-a
giudizio
di
Lenin-
fossero
maturi
per
ben
altro
che
non
per
una
semplice
politica
tradunionista.
Di
fronte
alle
posizioni
rinunciatarie
e
rigorosamente
circoscritte,
a
livello
sia
teorico
che
pratico,
degli
economicisti,
Lenin
raccomandava
anzitutto
di
"riprendere
[sottoponendolo
a
critica]
quel
lavoro
teorico
appena
cominciato
all'epoca
del
marxismo
legale";
dopodiché
occorreva
rimediare
alla
confusione
e
all'esitazione
prodotte
dagli
economicisti
nel
movimento
"pratico".
"Libertà
di
critica
[per
gli
opportunisti]
non
significa
-scriveva
Lenin-
la
sostituzione
di
una
teoria
con
un'altra,
ma
la
libertà
da
ogni
teoria
coerente
e
ponderata,
eclettismo
e
mancanza
di
principi".
Quando
una
tendenza
del
genere
diventa
dominante
nel
movimento
operaio
o
addirittura
nel
partito,
non
resta
che
separarsene
-
e
Lenin
operò
appunto
in
questa
direzione.
"Ci
hanno
biasimato
-disse-
per
aver
costituito
un
gruppo
a
parte
e
preferito
la
vita
della
lotta
alla
via
della
conciliazione".
Ma
non
si
trattava
di
settarismo
o
di
frazionismo
fine
a
se
stesso.
Il
fine
era
quello
di
realizzare
l'unità
della
classe
operaia
con
un'avanguardia
rivoluzionaria.
E
perché
questo
potesse
avvenire
"occorreva
anzitutto
-dice
Lenin-
definirsi
risolutamente
e
nettamente"
(un'altra
traduzione
italiana
usa
il
termine
delimitarsi).
Quando
l'unità
di
un
partito
o
di
un
movimento
è
palesemente,
irrimediabilmente
nociva
agli
interessi
della
verità
delle
masse
che
aspirano
a
liberarsi
dallo
sfruttamento
capitalistico,
non
resta
che
denunciarla,
che
rompere
il
suo
formalismo
e
la
sua
ipocrisia,
ricostituendola
su
fondamenta
più
solide,
soprattutto
più
autentiche.
Certo,
sarà
il
consenso
delle
masse
popolari
a
decidere
dell'efficacia
di
una
iniziativa
del
genere.
D'altra
parte
"senza
teoria
rivoluzionaria
-ha
detto
Lenin-
non
ci
può
essere
movimento
rivoluzionario":
"la
predicazione
opportunistica
venuta
di
moda,
viene
accompagnata
dall'esaltazione
delle
forme
più
anguste
di
azione
pratica".
Non
deve
dunque
spaventare
l'idea
d'essere
una
piccola
minoranza
(cosa
peraltro
inevitabile
agli
inizi);
è
invece
indispensabile
avere
le
idee
chiare,
saper
dove
andare,
lottare
contemporaneamente
sul
fronte
teorico,
politico
ed
economico
-
questo
l'insegnamento
che
si
trae
dalle
prime
pagine
di
Che
fare?
.
LENIN E CHE FARE?
E'
impressionante
la
sicurezza
con
cui
Lenin
afferma,
in
Che
fare?
,
che
la
coscienza
politica
di
classe
può
essere
portata
all'operaio
solo
dall'esterno,
cioè
dall'esterno
della
lotta
economica
o
della
sfera
dei
rapporti
contrattuali
tra
operai
e
imprenditori:
‘
la
coscienza
politica
di
classe
può
essere
portata
all’operaio
solo
dall’esterno,
cioè
dall’esterno
della
lotta
economica,
dall’esterno
della
sfera
dei
rapporti
tra
operai
e
padroni
‘
egli
scrisse.
Perché
questa
necessità?
Perché
l'operaio
che
lotta
sindacalmente
contro
l'imprenditore
capitalistico
non
ha
per
questo
la
consapevolezza
che
la
sua
stessa
lotta
economica,
se
non
si
traduce
in
lotta
politica,
non
serve
che
a
perpetuare
il
suo
sfruttamento.
"La
politica
tradunionistica
della
classe
operaia
-dice
Lenin-
è
precisamente
la
politica
borghese
della
classe
operaia".
Ora,
un
operaio
che
ha
consapevolezza
di
questo
non
può
continuare
a
fare
l'operaio:
deve
lottare
per
un
fine
superiore,
organizzando
la
propria
attività
in
modo
politico.
"Le
masse
non
impareranno
mai
a
condurre
la
lotta
politica
fino
a
quando
non
contribuiremo
a
educare
dei
dirigenti
per
tale
lotta,
sia
fra
gli
operai
colti
che
fra
gli
intellettuali".
Ma
come
può
un
operaio
passare
dalla
lotta
economica
a
quella
politica?
Egli
deve
acquisire
la
consapevolezza
che
tutta
la
società
borghese
va
superata
e
non
solo
il
suo
rapporto
contingente
coll'imprenditore.
Se
non
ha
consapevolezza
di
questa
necessità
di
ordine
generale,
se
non
ha
rinunciato
a
tutte
le
illusioni
sulla
possibilità
di
"riformare"
la
società
borghese,
egli
continuerà
per
tutta
la
vita
a
chiedere
aumenti
salariali
o
migliori
condizioni
di
lavoro,
senza
mai
riuscire
a
superare
l'idea
in
sé
dello
sfruttamento.
Noi
invece
-dice
Lenin-
"dobbiamo
occuparci
di
spingere
coloro
che
sono
insoddisfatti
[di
singoli
aspetti
sociali]
a
convincersi
che
quel
che
non
va
è
l'intero
regime
politico".
Ma,
di
nuovo,
come
può
l'operaio
acquisire
tale
consapevolezza
politica?
E'
forse
l'intellettuale
che
deve
dargliela?
Un
intellettuale
staccato
dalle
classi
sociali
non
è
in
grado
di
fare
alcunché.
Lenin
dice
chiaramente
che
"per
dare
agli
operai
cognizioni
politiche,
i
socialdemocratici
devono
andare
fra
tutte
le
classi
della
popolazione".
Ciò
in
pratica
significa
che
la
coscienza
politica
della
necessità
di
superare
in
maniera
globale
la
società,
può
essere
solo
il
frutto
di
una
sensibilizzazione
di
tutte
le
classi
popolari.
Ovvero,
quando
la
stragrande
maggioranza
è
convinta
che
la
società
nel
suo
complesso
va
superata,
ecco
che
allora
si
realizza
il
socialismo.
La
consapevolezza
politica
deve
maturare
nelle
masse
in
modo
progressivo,
ma
chi
già
la
possiede
non
deve
aspettare
ch'essa
maturi
da
sola.
Egli
anzi
deve
"reagire
-dice
ancora
Lenin-
contro
ogni
manifestazione
di
arbitrio
e
di
oppressione,
ovunque
essa
si
manifesti
e
qualunque
sia
la
classe
o
la
categoria
sociale
che
ne
soffre".
L'operaio
cioè
di
per
sé,
solo
perché
"operaio",
non
ha
maggiore
consapevolezza
politica
di
chi
non
lo
è.
Perché, secondo Lenin, gli operai non possono avere “la coscienza dell’irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto l’ordinamento politico e sociale contemporaneo” ? Risposta: perché tale coscienza non riesce a sorgere in loro spontaneamente, naturalmente, ma deve essere data “dall’esterno”, dall’intellettuale consapevole. Lenin arriva a porsi questa domanda guardando la storia del movimento operaio russo, euroccidentale e mondiale. Questa storia dimostra che “la classe operaia con le sole sue forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista”, cioè sindacale. Perché questo limite? Per due ragioni: 1) all’operaio manca il tempo di farsi una consapevolezza teorica dell’irriducibile antagonismo tra lavoro e capitale (non dispone cioè delle condizioni materiali favorevoli); 2) il capitalismo, stando al potere, è in grado di disporre d’ingenti mezzi per propagandare l’ideologia borghese, che è molto più antica di quella socialista: chi detiene il potere materiale detiene anche quello ideologico. Dunque al massimo l’operaio arriva a “sentire”, a “percepire” il suddetto antagonismo, ma non arriva -proprio perché il lavoro da schiavo e il condizionamento dell’ideologia borghese glielo impediscono- a maturare la consapevolezza della necessità di un’alternativa organica, globale, al sistema dominante. Questo è un compito che spetta ai rivoluzionari di professione. “La dottrina del socialismo -dice Lenin- è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali”. Ciò significa ch’esiste un processo autonomo del pensiero, indipendente “dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio”, che porta alla consapevolezza della necessità del socialismo. Gli intellettuali progressisti arrivano a “comprendere” sul piano teoretico ciò che gli operai arrivano a “sentire” su quello pratico. Cosa proponeva Lenin? Due cose: 1) permettere anzitutto agli operai dotati di capacità intellettuali, di dedicarsi esclusivamente all’attività politica del partito (le capacità ovviamente vanno dimostrate, cioè possono essere riconosciute solo a-posteriori); 2) far convergere la teoria rivoluzionaria degli intellettuali verso la protesta sindacale degli operai, al fine di creare un movimento di massa capace di prassi rivoluzionaria. Altrimenti la teoria resterà utopica e la prassi velleitaria. Lo sviluppo coerente di queste due condizioni è in grado di evitare due pericoli: 1) quello di credere che la coscienza dell’irriducibile antagonismo sia un processo che possa maturare solo “dall’esterno” e non anche “dall’interno”; 2) quello di credere che senza “teoria rivoluzionaria” possa esserci una “prassi rivoluzionaria”, ovvero che una “teoria rivoluzionaria”, per funzionare praticamente, possa essere formulata una volta per tutte, e non continuamente riformulata. L’elemento spontaneo e quello consapevole devono quindi integrarsi in un’unica esperienza. Lenin aveva così chiarito il motivo fondamentale per cui, a suo parere, erano falliti tutti i tentativi rivoluzionari condotti in Europa occidentale e in Russia. Ma mentre in Russia si arrivò ad accettare questo suo nuovo modo d’impostare la lotta politica, in Europa invece, in un modo o nell’altro, lo si è sempre rifiutato: sia perché l’individualismo non permetteva di accettare, da parte degli operai, l’idea di una consapevolezza trasmessa dall’esterno; sia perché l’intellettualismo non permetteva di accettare, da parte degli intellettuali, la responsabilità di dover organizzare lo sviluppo di tale consapevolezza in un’esperienza politico- rivoluzionaria.