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CAPITOLO I
PER UNA BIOGRAFIA INTELLETTUALE

§ 1: La vita in Austria

Schütz nasce a Vienna |1| il 13 aprile 1899 dove svolge studi classici e coltiva la sua passione per il pianoforte|2|.
Appena finito il liceo è arruolato in artiglieria e partecipa alle battaglie sul Piave e a Conegliano; il ritorno in una Vienna allo sfascio economico è traumatico (cfr. ad es. Schütz 1945a); altrettanto traumatico è 1‘impatto con «l’impersonalità» dell’ambiente accademico: nelle università austriache di questo periodo l’insegnamento è finalizzato all’acquisizione di nozioni senza far rientrare le conoscenze trasmesse agli studenti nel mondo significativo degli allievi (Wagner 1983b p. 6). Dovendo scegliere un corso di laurea Schütz opta per Giurisprudenza, iscrivendosi a un corso accelerato per reduci e rinunciando a improponibili aspirazioni concertistiche, vista la situazione del suo paese. Poco prima degli esami di Laurea accetta un posto all’Associazione Austriaca dei Banchieri; nel 1926 si sposa |3|.
Negli anni dell’università|4| inizia a interessarsi a tematiche sociali per l’influenza di alcuni suoi docenti: a tal riguardo ricordiamo soprattutto Ludwig Von Mises e Hans Kelsen, ma anche Othmar Spann|5|, sebbene l’influenza di quest’ultimo non perduri a lungo; nonostante il fatto che tutti questi si oppongano alla sociologia di Weber, per motivi diversi e da posizioni diverse, Schütz sceglie di interessarsi a un approccio «soggetti vo» e a Max Weber. Dati gli studi economici e giuridici egli tende in questo periodo a collegare sociologia ed economia e a considerare le scienze sociali come un’unità diversificata di approcci, cioè non come un coacervo di discipline specializzate fra loro disgiunte.
Come abbiamo visto Schütz si accorge presto che c’è differenza fra ciò che si vuole e ciò che si deve fare: nel porre l’accento su «rilevanze « e «piani di vita» egli non fa altro che esprimere ciò che ha sperimentato in prima persona. Schütz infatti basa la propria vita su quattro interessi prevalenti: 1) famiglia e amici; 2) lavoro; 3) interessi teorici; 4) interessi estetico-artistici. Possiamo considerare tale elenco come una dimostrazione vivente della sua teoria delle «realtà multiple» (cfr. Wagner 1983b p. 18 e Gorman 1977 p. 36); la tendenza a svolgere un’esistenza «duale» (intellettuale e finanziaria) aumenterà negli anni della maturità.
Sul lato teorico sente la necessità di una fondazione filosofica della sociologia weberiana e su consiglio di Felix Kaufmann legge Husserl:in particolare, le Ricerche Logiche e Ideen I, ma egli non riesce a vedere queste opere come apportatrici di spunti interessanti ed importanti per i suoi obiettivi e opta per Bergson, probabilmente su consiglio di Eric Voegelin (Thomason 1982, p. 18). Il progetto di un’opera bergsoniana verrà però abbandonato probabilmente alla fine del 1927.
In questo primo progetto (cfr. Schütz 1981) egli già pensa a una scienza empirica del tu: la durata è vista come una nozione importante a tale fine. Tuttavia Schütz vuole procedere in senso inverso rispetto a Bergson: non si parte con un’analisi del mondo spazio-temporale per mostrarne l’inadeguatezza ad esprimere la durata e quindi optare per la nozione di «immagine» intesa come « una determinata esistenza che è più di ciò che l’idealista chiama una rappresentazione, ma meno di ciò che il realista chiama una cosa» (Bergson 1896, tr. it. p. 143), nozione di immagine che in qualche modo si configura come il trait d’union fra la materia, costituita da un insieme di immagini (Bergson 1896, ibidem), e il tempo interno secondo l’ipotesi per cui «l’affezione debba sorgere dall’immagine. Potremo così capire in quale modo, da una percezione che ha una estensione, si passi a una affezione che si ritiene inestesa. «(Bergson 1896, tr. it. p. 180-1). Schütz, invece, sviluppata la nozione di forme di vita (Lebensformen) che rappresentano le posizioni della coscienza dell’io rispetto al mondo, ne colloca il primo livello nella pura durata per proseguire via via gerarchicamente verso l’io agente e interpretante il mondo, cioè un io inserito in una sfera spazio-temporale e in relazione con gli altri io.
In sintesi, si può affermare che se Bergson procede nei suoi scritti dal mondo spazio-temporale alle immagini alla durata Schütz invece passa dal tempo interno al concetto di spazio mediante la gerarchia delle forme di vita.
Schütz distingue sei forme di vita: 1) della pura durata (reinen Dauer), che rappresenta un concetto limite, solo immaginabile, essa è la consapevolezza della pura durata, cioè del continuo cambiamento delle «qualità»; 2) la forma della vita di durata dotata di memoria (gedächtnisbegabten Dauer), che porta alla consapevolezza del divenire dell’io e che vede ogni momento della durata come 1’immagine memorizzata dei precedenti più un qualcosa; 3) la forma di vita dell’io agente (handelden Ich), che comprende le esperienze del corpo in movimento e le azioni razionali, in questo modo si esce dalla molteplicità senza dimensioni delle qualità.
Come forme ulteriori all’io agente, ma che per certi versi rappresentano una sua specificazione (cfr. Schütz 1981, cap. 3): 4) la forma di vita dell’io in relazione al tu, in cui l’io è consapevole della durata dell’altro mediante la conoscenza esterna dei suoi consociati, il parallelismo fra i movimenti del corpo dell’io e dell’altro e il loro essere interpretati come azioni; 5) la forma dell’io che esprime relazioni di significato mediante il linguaggio; 6) la forma di vita dell’io pensante e interpretante, la cui descrizione, però, non è portata avanti da Schütz.
Nel primo capitolo di questo lavoro sulle forme di vita Schütz svolge alcune riflessioni sulla durata, sulla memoria, sul corpo, sulla simbolizzazione; il secondo capitolo è dedicato alle relazioni fra le prime due forme di vita e ai cinque «principi di simbolizzazione» nelle forme di vita: se nella pura durata simbolo e simbolizzato formano una unità, tale unità è rifratta come in un prisma nel passaggio alla seconda forma di vita; per tutte le altre forme la relazione simbolica consiste nel fatto che «il simbolizzato è vi vi bile attualmente solo nella più primitiva delle forme di vita, (mentre) nella presente esso è simbolo...» (Schütz 1981, p. 122)|6|. Ciò implica da una parte che ciascuna forma di vita è fondata su quella inferiore in quanto è in essa che trova il proprio materiale da simbolizzare, ma dall’altra ne consegue che si può cogliere il significato di una forma di vita solo mediante quella successiva.
Ciascuna forma di vita rappresenta sia strati di esperienza, sia strati di simbolizzazione dal momento che tutte le esperienze dell’io totale entrano in ogni forma di vita come simboli che rimandano ad esperienze più profonde, cioè ad esperienze attuali in una qualche forma di vita precedente. Come sottolinea Schütz, l’io è un campo unitario e tutte le esperienze nonché tutte le interpretazioni di significato hanno luogo «fra» la pura durata e il pensiero puramente razionale; le forme di vita, dunque, vengono distinte solo a fini espositivi e rappresentano esclusivamente degli intervalli in tale continuum (Wagner 1977, p. 189).
Bisogna infine ricordare che il progetto avrebbe dovuto sviluppare, oltre a questa teoria della coscienza solitaria, anche una teoria della comunicazione e dell’intersoggettività concludendosi con una trattazione della sociologia.
Forse il motivo per cui Schütz abbandona questo primo tentativo è l’insolubilità del paradosso della durata: la durata costituisce una idealizzazione che può essere dedotta solo mediante l’uso di un sistema simbolico, ma ogni sistema simbolico presuppone lo spazio e il tempo ed è pertanto in antitesi alla durata. Schütz pensa che possa essere di aiuto l’analisi del meccanismo con cui la memoria trasforma il flusso della durata, che è una qualità meramente continua, nei concetti di estensione e di materia: l’obiettivo è in sostanza quello di trovare la via dalla durata al concetto. Ma ciò in realtà non risolve il problema poiché il paradosso si è solo spostato dal livello simbolico-espresssivo a quello concettuale.
Volendo dare una valutazione complessiva possiamo osservare che comunque tutto ciò non ha rappresentato un lavoro inutile in quanto Schütz ha modo di elaborare una prima trattazione della simbolizzazione e del linguaggio su uno schema sociologico, definendo di conseguenza anche il posto della sociologia entro il proprio approccio, sviluppando infine una teoria dell’intersoggettività.
Esponi amo brevemente questi risultati. Per quanto riguarda la trattazione della simbolizzazione bisogna tener presente che la trasformazione di qualcosa di simbolizzato in un simbolo è un atto di posizione di significato e la sociologia si interessa dei contesti di significato già posti; il riferimento a idee già pronte e al senso comune possono essere considerati come dei presti ti da Bergson (Wagner 1983b, p. 31), tali riferimenti perdurano costanti nel pensiero di Schütz.
Il linguaggio rappresenta, dal canto suo, una parte preminente nei sistemi simbolici e l’analisi delle relazioni fra parlante e ascoltatore consente di mettere assieme le sfere dell’intersoggettività e dell’interazione sociale; tali relazioni sono analizzate soprattutto nel manoscritto Sinnstrukturen der Sprache (cfr. Wagner 1983b, p. 27) che fa sostanzialmente ancora parte del periodo bergsoniano essendo stato redatto nell’estate del 1925. L’argomento delle relazioni fra ascoltatore e parlante verrà trattato anche nel lavoro del 1932 (Schütz 1932, tr. it. pp. 186 e segg.) ove vengono altresì analizzate le relazioni fra notificazione e interpretazione dei segni posti. Nell’interazione sociale c’è tuttavia una terza possibilità: l’osservatore, un sociologo potenziale, che potrebbe anche essere visto come il bergsoniano spettatore conscio oppure come il fenomenologo nel suo atteggiamento distaccato.
Infine per quanto riguarda l’intersoggettività, il problema da risolvere è come sia possibile che la conoscenza dell’altro raggiunga la coscienza dell’io solitario: Schütz propone una soluzione a specchio in quanto ritiene che l’io sia posto come tu e che ciò avvenga sia per il passato che per il futuro tramite il progettare. Ma nel manoscritto Sinnstrukturen der Sprache è rintracci abile anche un primo abbozzo di quella che poi Schütz chiamerà «relazione del noi»: non solo il tu è visto come se avesse una durata, una memoria e movimenti corporei come i miei, ma io interpreto il simbolo «tu» come una durata parallela alla mia ed è come se «i contenuti della sua esperienza entrassero nella mia»; il «tu», perciò, può essere considerato come «l’intersezione di due durate, di due memorie, di due corsi di azione: i miei, di cui io ho una conoscenza di prima mano, e i suoi, in cui io interpreto le mie esperienze» (cit. in Wagner 1977, p. 190); ecco in quale senso si è detto che l’io è posto come tu. E’ importante notare che il punto di partenza, forse l’unico possibile, è sempre l’io; inoltre tale posizione è considerevolmente vicina alla nozione di Cooley dell’effetto dello specchio e a quella di Mead dell’assumere il ruolo dell’altro, nozioni che però Schütz ancora non conosce.
In questo periodo Schütz partecipa alle riunioni del Geistkreis (circolo degli spiriti) che si occupa di larghi strati delle scienze umane e prepara alcune lezioni per il seminario di Von Mises, composto soprattutto da sociologi che si interessano di temi metodologici e teorici. Tali lezioni vertono ad esempio sul witz, sul Pragmatismo e la Sociologia, su Scheler (partendo dalla teoria weberiana dell’azione con alcune modifiche alla luce della filosofia di Bergson), sul problema del comprendere gli altri (sempre combinando Bergson e Weber), sul tema della rilevanza nelle sue dimensioni storiche, sociologiche e psicologico-fenomenologiche, infine stila alcuni appunti sulla teoria delle formazioni sociali e delle organizzazioni sociali in senso lato.
Come si vede, Schütz sta già sviluppando alcuni temi che lo accompagneranno per tutta la vita e sta formando le sue personali concezioni sociologiche e, ormai abbandonato completamente il progetto bergsoniano, si accosta a Husserl con l’aiuto dell’amico Kaufmann: proprio in quegli anni vengono pubblicate le Lezioni sulla coscienza interna del tempo (1928) e Logica formale e trascendentale (1929), che lo interessa particolarmente per il problema dell’intersoggettività (cfr. Schütz 1933), inoltre Schütz, nel 1930, ritorna su Ideen I.
Schütz inizia così a lavorare a Der sinnhafte_Aufbau|7| sempre con l’aiuto della moglie e di Kaufmann. Gli obiettivi e i temi di questo nuovo lavoro sono simili a Theorie der Lebensformen, ma il piano di sviluppo è piuttosto differente, in quanto egli ora tenta di trattare la fondazione fenomenologica separatamente dall’oggetto della sociologia stessa (cfr. Schütz 1932, cap. 2) e accosta per la prima volta Bergson e Husserl. Sul lato prettamente sociologico il principale punto di riferimento è Weber la cui posizione intellettuale va però «corretta» con mezzi filosofici; in maniera particolare Weber non ha ben sviluppato le conseguenze della distinzione fra significato oggettivo e soggettivo e della scelta di assegnare a quest’ultimo la preminenza nella nozione di azione sociale; inoltre, le radici delle relazioni sociali vanno cercate nei fatti fondamentali della vita della coscienza, cioè la chiave va cercata nella nozione filosofica di tempo interno (cfr. Schütz 1932, tr. it. p. 18-19).
Su questi temi il vantaggio della fenomenologia husserliana rispetto alle teorie di Bergson, sebbene non si tratti ancora di una soluzione del paradosso della durata, è che Husserl procede in direzione opposta rispetto a Bergson e, partendo dalla costituzione di «oggetti di esperienza nel tempo oggettivo», procede passo a passo verso «l’assoluto flusso della coscienza costituente» (cfr. Wagner 1983b p. 41): la trattazione viene formulata non in base ad oggetti nel tempo, ma rispetto a oggetti in generale, vale a dire a concetti.
Husserl nell’articolo «Phenomenology» scritto per la quattordicesima edizione dell’Enciclopedia Britannica suddivide la fenomenologia in tre parti: 1) psicologia fenomenologica descrittiva; 2) fenomenologia eidetica; 3) fenomenologia trascendentale. Fra queste tre parti Schütz restringe i suoi interessi alle prime due senza peraltro negare la terza, cioè egli rinuncia alla trattazione del problema della soggettività e della intersoggettività trascendentali e decide di utilizzare la riduzione fenomenologica solo per ottenere una migliore visione dei fenomeni della coscienza interna: viene a costituirsi in questo modo il punto di partenza desiderato per ciò che egli vuole analizzare e cioè i significati del mondo sociale, delle quotidiane interazioni sociali.
Il metodo fenomenologico parte esplorando la coscienza solitaria ed è necessario che esso riesca a risolvere il problema dell’intersoggettività e soprattutto, per poter fungere da fondazione della sociologia comprendente, deve risolvere il problema dell’intersoggettività mondana, non tanto di quella trascendentale; infatti è proprio nelle strutture di significato della vita quotidiana che Schütz cerca un ponte fra fenomenologia e sociologia.
Da Husserl Schütz mutua l’accento sulle strutture generali, ma anche sulla tipicità dei significati e sull’esperienza scientifica come fondata nella vita quotidiana. E’ proprio con la pubblicazione di Der sinnhafte Aufbau che inizia l’amicizia fra Schütz e Husserl: Schütz, spesso in viaggio di affari fuori dell’Austria, si reca diverse volte a far visita a Husserl; se, chiaramente, non è possibile sapere il contenuto delle loro conversazioni sappiamo comunque che Husserl diede a Schütz una prima elaborazione di Esperienza e Giudizio e che Schütz ne apprezzò in maniera particolare la trattazione della tipificazione nell’esperienza antepredicativa. Le visite a Husserl continuano periodicamente negli anni successivi, cioè negli anni in cui Husserl lavora alla Krisis e in cui Schütz inizia ad assumere la posizione di «fenomenologo critico»: in una lettera a Kaufmann del 2 settembre 1932 (cit. in Wagner 1983b p. 47) scrive: «Ora dubito di molte cose che, prima, mi apparivano completamente determinate» (established). Evidentemente Schütz ha in mente soprattutto le Meditazioni Cartesiane che, proprio con il loro «carattere preparatorio», «servono solo per puntare all’intersoggettività trascendentale» (Schütz 1932a p. 2404).

§ 2: L’ombra di Hitler e la vita fra Vienna e Parigi

A insaputa di Schütz il suo Der sinnhafte Aufbau è andato in mano a studiosi come Parsons, Ortega Y Gasset e Raymond Aron. Schütz, sebbene con qualche preoccupazione per l’ascesa al potere del nazismo in Germania, continua il suo lavoro concentrandosi soprattutto sui tipi ideali e sulla metodologia delle scienze sociali, con un riguardo particolare anche per la teoria dell’utilità marginale in quanto un articolo su questo tema gli era stato chiesto dalla rivista londinese Economica, purtroppo lo scritto non è mai stato ultimato.
Schütz pensa anche a un secondo libro (col probabile titolo: La personalità nel mondo sociale) i cui temi principali dovrebbero essere: 1) la «persona sociologica», con particolare riguardo alle relazioni con i e ai tipi ideali personali; 2) poi il problema della rilevanza |8|; 3) la costituzione del tu (Wagner 1983b, p. 53). Di tale lavoro restano i primi due capitoli di un centinaio di pagine in totale. Schütz continua anche ad ampliare le sue basi filosofiche: utilizza diffusamente nozioni fenomenologiche e si rinnova il suo interesse per Bergson, ma si occupa anche di Leibniz e, marginalmente, di Kant e Kierkegaard. Soffermiamoci brevemente su Leibniz: la monade è interpretata come un tipo ideale posto da Dio; le piccole percezioni sono viste come un flusso di conoscenza spontanea sempre in eccedenza rispetto alle nostre percezioni che, come tale, può essere assimilato alla durata di Bergson.
La «personalità sociale» è una nozione molto vicina a quella di ruolo sociale anche se più estesa in quanto si riferisce a qualsiasi aspetto dell’io che si riveli nelle interazioni con altri individui. Sorge però il problema dell’unità dell’io: come può un individuo che esperisce sé stesso sempre in posizioni e forme diverse rispetto a individui diversi costituire sé stesso come una persona sola? La memoria può fornire un senso di identità unendo pezzi fra loro collegati della vita dell’individuo, ma si tratta, in tal caso, sempre di pezzi che costituiscono «l’io che ero»|9|. Oltre alla memoria c e però anche la consapevolezza dell’individuo che aiuta a vedere tutti questi momenti dell’io come manifestazioni parziali e periferiche di ciò che è autenticamente il mio io, ma è anche possibile, come spesso avviene nell’atteggiamento naturale, che si considerino queste manifestazioni parziali di volta in volta come il proprio sé totale. Schütz presta infine particolare attenzione all’unità del corpo, corpo da cui dipendono le esperienze dell’essere qui nello spazio e dell’invecchiare nella temporalità. Il passaggio da una manifestazione parziale dell’io all’altra è pertanto alquanto repentino: Schütz ha già in mente la nozione, derivata probabilmente da Kierkegaard, di «salto», di trasformazione.
Sempre collegata alla nozione, non presente in Der sinnhafte Aufbau, degli aspetti parziali dell’io c’è la concezione dei motivi pragmatici come base per la realizzazione di progetti di azione, la cui chiarezza dipende soprattutto dalla possibilità di utilizzare o meno tipificazioni e attività standardizzate.
Per quanto riguarda l’azione bisogna distinguere: 1) il potenziale effettivo di azione; 2) la decisione deliberata di agire (fiat); 3) l’atto di scelta sia di un oggetto che del corso dell’azione. Se nell’azione |10| sono presenti sia il progetto che l’intenzione (fiat) si ha un’azione razionale; se invece non c’è né intenzione né progetto si è di fronte a un mero fare; se c’è l’intenzione ma non il progetto si ha un’azione tradizionale o affettiva; se c’è il progetto ma non l’intenzione siamo nella mera fantasia.
Va infine notato che il mondo della vita quotidiana è caratterizzato oltre che dai motivi pragmatici anche dal «tempo civico « e acquista la qualità di mondo dell’operare con una piena attenzione alla vita: tutte queste nozioni saranno spesso utilizzate da Schütz nei suoi saggi statunitensi.
Oltre all’analisi del mondo della vita è altresì rintracciabile in questo progetto del 1937 un abbozzo dell’analisi di altri «regni di significato»: la fantasia, il sogno |11|, la contemplazione scientifica cioè il teorizzare|12|; in questo lavoro va dunque cercata la prima formulazione schützeana della teoria delle realtà multiple.
E’ giunto il momento di formulare un breve raffronto fra il primo esperimento bergsoniano e il manoscritto sulla personalità sociale: questo secondo tentativo di realizzare un libro parte dall’io inteso come persona sociale e quindi vengono indagati gli interessi pragmatici della persona nel mondo sociale, mentre nel primo tentativo del 1925-26 (cfr. Schütz 1981) ci si fermava all’indagine dell’esperienza interna dell’io solitario, seppure in una situazione sociale, cioè di fronte alla presenza fisica dell’altro, infatti le forme di vita non sono altro che una gerarchia di strati dell’ego. In altri termini, il tentativo bergsoniano, come il lavoro del 1932, vuole analizzare la coscienza solitaria dell’io per poi arrivare ad una fondazione della teoria dell’intersoggettività che a sua volta dovrà servire da base alla sociologia (Wagner 1977, p. 188); mentre nel progetto del 1937 l’indagine si svolge fin dall’inizio in ambito sociologico.
Per quanto riguarda la situazione politica e la vita nell’Europa centrale, bisogna dire che essa si fa sempre più pesante: alcuni studiosi iniziano a emigrare verso Ovest, soprattutto in Francia e Gran Bretagna, già prima della metà degli anni trenta. L’associazione bancaria presso cui lavorava Schütz trasferisce la sua sede a Parigi e quindi egli fa frequenti viaggi nella capitale francese; proprio mentre Schütz è in Francia Hitler invade l’Austria, nel marzo del 1938. Vista la situazione, Schütz, pur desiderando di tornare in patria, riesce a ottenere i visti per la propria famiglia: la moglie, la figlia e il figlioletto neonato, che lo raggiungeranno in giugno.
Il periodo parigino è importante soprattutto per le nuove conoscenze che Schütz ha l’occasione di fare: si tratta sia di rifugiati come lui, sia di intellettuali francesi. Tra questi ricordiamo brevemente soprattutto Paul Landsberg|13| e Aron Gurwitsch|14|, poi Louis Rougier|15| e Raymond Aron|16|; inoltre Schütz ha anche qualche incontro con Jacques Maritain, Jean Wahl e Merleau-Ponty. In questo periodo arriva però anche la rottura con Kaufmann per incompatibilità fra le loro personalità (Wagner 1983b, p. 66).

§ 3: La vita negli Stati Uniti

Le vicende di Schütz sono ancora una volta legate a quelle dell’associazione bancaria di cui è dipendente e a quelle dell’Europa: se Hitler medita di invadere la Polonia, Schütz è incaricato di studiare il trasferimento della Reitler & Associates da Parigi agli Stati Uniti.
Infatti egli compie viaggi in America già dal 1937: tale necessità di lavoro è un’ottima occasione per interessarsi alla sociologia statunitense e accorgersi che anche qui ci sono alcuni studiosi dediti alle basi teoriche della sociologia. Quando la situazione in Europa precipita Schütz si trasferisce con la famiglia a New York nel 1939.
Si può dire che fra i sociologi quattro soprattutto attirano il suo interesse: Sumner|17|, Thomas|18|, Cooley|19|, Mead|20|.
Vale la pena qui concentrarsi un po’ su Mead visto che si tratta sicuramente del sociologo americano più importante per 1’approccio microsociologico di Schütz e per chiarirne l’influenza basta un’affermazione dello stesso Schütz (1945b, tr. it. p. 115): la «psicologia fenomenologica intesa correttamente converge con molti aspetti della psicologia di James, con certi concetti fondamentali di quella di Mead «e, infine, con la teoria della forma...
Mead, pur essendo partito autodefinendosi come un comportamentista, in realtà ha compreso i fenomeni non-comportamentistici dell’esistenza umana mediante la sua teoria della genesi del sé e mediante la sua distinzione (mutuata da James) fra io e «me»: l’individuo acquista man mano sempre una maggiore capacità a rappresentarsi la propria funzione e quella dell’altro con cui interagisce, finché non emerge il sé maturo con la capacità di interiorizzare il concetto di «altro generalizzato», cioè gli atteggiamenti organizzati fra loro dell’intera comunità. Tale tipo di qualità dell’individuo adulto è espressa in maniera paradigmatica da Mead come capacità di « assumere il ruolo dell’altro» e di interpretare il proprio modo di agire dal punto di vista dell’altro.
Oltre a questo formarsi del sé nell’interazione, che dà all’inizio della vita del bambino un carattere meramente imitativo, bisogna sempre tener presente che l’io maturo ha invece un carattere attivo e creativo in grado di scegliere e valutare quale me mostrare in una certa situazione; infatti ciascuna persona, in quanto io, è in grado di riflettere su sé, di dar luogo a un «dialogo interiore» che si svolge attraverso significati sociali, di dare un contributo individuale al processo sociale: come nella concezione leibniziana ciascuna monade rispecchia l’universo da un diverso punto di vista. Ecco che l’io è «qualcosa che non è mai perfettamente determinabile (...) è sempre qualcosa di diverso da ciò che la situazione richiede.» (Mente, sé e società, tr. it. p. 189)
Il «me» sono invece gli atteggiamenti di volta in volta pre-organizzati con cui comportarsi, ma anche l’io parziale ricordato, l’io come oggetto e non come soggetto agente.
Consideriamo ad esempio l’articolo «What Social Objects Must Psychology Presuppose?» (1910) in Phenomenology and Sociology 1978 in cui Mead passa in rassegna alcuni temi di forte interesse per Schütz: «la coscienza psichica è una fase particolare nello sviluppo della realtà», in tale prospettiva si può vedere addirittura una convergenza con Husserl anche se chiaramente non bisogna dimenticare che Mead e Husserl operano in campi diversi e con intenti diversi; inoltre per Mead esistono oggetti sociali e psicologici indagabili senza doversi limitare allo studio di «analogie» fra i movimenti del corpo e i processi psichici. Ma ciò che è più importante è che i gesti, di cui il linguaggio è una «differenziazione», costituiscono uno scambio di significato e ciò implica che: 1) il significato appare solo «immaginando le conseguenze del gesto» (in Schütz è l’azione progettata che dà significato) e tale prova nell’immaginazione è necessariamente effettuata in una fase soggettiva del sé, cioè nell’introspezione; 2) trattandosi di uno scambio è necessario fare riferimento ad un alter ego entrando così in un campo sociologico e nell’ambito di una «coscienza oggettiva» che è inscindibile dal sé e ne diviene anzi il prius: «La coscienza oggettiva del sé deve precedere la coscienza soggettiva e deve continuamente condizionarla se la stessa coscienza del significato presuppone (gli altri) sé come (presenti) là.»
A margine osserviamo che per Hartshorne|21| anche Husserl sarebbe stato d'accordo con questa affermazione cioè avrebbe potuto parlare di un’esperienza immediatamente sociale, immediatamente in relazione con gli altri uomini; sebbene lo stesso Hartshorne riconosca che tale nozione sia stata più accuratamente sviluppata da altri autori come ad esempio Bergson o James.
E’ facile notare in queste nozioni delle convergenze col pensiero di Schütz: in una lettera a Mauri ce Natanson del primo gennaio 1956 (cit. in Wagner 1983b, p. 74) egli attira l’attenzione, dal punto di vista sociologico, sull’interpretazione meadiana della coscienza socializzata (la dialettica io-me come la definisce Natanson 1956) e sulla sua trattazione dei ruoli sociali (il me), mentre fra i temi filosofici bisogna tener presente, oltre alla concezione del tempo come flusso (con forti debiti verso James e Bergson), che egli scopre la sfera manipolatoria come realtà predominante, che concepisce l’io come inaccessibile alla riflessione, la quale può solo afferrare le fasi passate cioè dei me parziali e passati; infine non si deve dimenticare la sua scelta dell’azione, incarnata nel gesto, invece che della percezione come punto di partenza per 1’analisi del mondo del senso comune.
Ci troviamo di fronte a nozioni che Schütz utilizza nei suoi saggi e che a volte vengono un po’ rielaborate: ad esempio la relazione io-me-altro generalizzato è espressa come tipificazione e autotipificazione; inoltre tali nozioni posseggono una notevole similarità con ciò che Schütz ha già affermato in Der sinnhafte Aufbau: ad esempio, i motivi causali possono essere colti dall’individuo solo con uno sguardo riflessivo a posteriori, cioè, dal punto di vista di Mead, il sé vive nell’io non nel me. Un’altra convergenza può essere vista nella preminenza data da Mead al cercare di considerare le situazioni dal punto di vista dell’attore, dei significati soggettivi, pur conservando la fede in una scienza oggettiva; infine vanno tenute presenti le influenze reciproche fra Mead e Dewey (ad esempio è basilare per entrambi la socialità dell’atto) ed «egualmente sorprendente è lo stretto rapporto tra molte idee di Mead e quelle di Cooley e di James.» (Coser 1983, tr. it. p. 491).
Schütz, pertanto, si trova di fronte a una splendida occasione per rinnovare e sviluppare ulteriormente il proprio pensiero.
Fra i sociologi statunitensi che Schütz vorrebbe conoscere ce n e soprattutto uno, Talcott Parsons, di cui ha già letto in Francia The Structure of Social Action del 1937 e che viene considerato da Schütz come un weberiano che ha afferrato appieno il significato e l’importanza dell’approccio soggettivo. Bisogna in effetti riconoscere che Parsons è forse il maggiore divulgatore di Weber negli Stati Uniti e che in questo suo primo libro non mancano gli accenni, ma nulla più che accenni, a prospettive che potrebbero essere considerate microsociologiche o addirittura di psicologia sociale. Si può forse provare a spiegare in questi termini 1’abbaglio di Schütz; del resto egli stesso si rende conto di non aver compreso tutto di Parsons e avendo scritto nel 1940, appena approdato negli Stati Uniti dunque, un lungo articolo sul libro del sociologo americano glielo invia per chiedergli delucidazioni e per eventuali modifiche da apportare all’articolo stesso. Parsons, però, vede in Schütz la richiesta di una revisione troppo amplia del suo lavoro ed egli non ha nessuna intenzione di sottoporre la sua opera a ciò|22|.
In effetti i punti di incompatibilità sono molti e fondamentali: Parsons critica Weber proprio per non aver apprezzato a sufficienza il ruolo dei sistemi generalizza ti nella teoria e ritiene che la nozione schützeana di senso soggettivo, senso inteso dall’attore, neghi se non l’esistenza almeno l’accessibilità di tale senso.
Tale incompatibilità si farà comunque molto più evidente con le opere successive di Parsons, cioè quelle in cui viene sviluppata completamente la teoria struttural-funzionalista |23|.
Schütz, vista la situazione, rinuncia a far pubblicare il suo articolo, che è apparso poi nel 1978 assieme alla corrispondenza fra i due nel volume The Theory of Social Action (ad eccezione della parte conclusiva, di intento espositivo delle teorie schützeane, già apparsa nel 1960 su Social Research).
I contatti con altri sociologi statunitensi sono piuttosto sporadici, visti anche gli impegni di lavoro di Schütz, ma possiamo ricordare brevemente Albert Salomon, Howard Becker e Gordon Allport (lo psicologo sociale di Harvard).
Più importanti sono invece i rapporti con Machlup, Voegelin e Gurwitsch, infatti negli Stati Uniti si è costituita quella che potrebbe essere definita come una comunità di rifugiati, di cui naturalmente Schütz fa parte, all’interno della quale i contatti vengono mantenuti tramite epistole visto che i suoi membri risiedono spesso in città distanti fra loro; è forse proprio tale situazione che dà modo a Schütz di tornare a pensare alla lettera come a una forma particolare di interazione sociale (cfr. Schütz 1932, tr. it. p. 193 e 1945c, tr. it. pp. 192 e 195).
Dal punto di vista filosofico bisogna invece ricordare che Schütz legge con molta attenzione i Principles of Psychology (1890) di James. Schütz si interessa a James non tanto come pragmatista, ma come psicologo della coscienza, citandolo già in Der sinnhafte Aufbau. Schütz si rende ben conto che James non è un fenomenologo e non vuole farlo diventare tale, l’obiettivo di Schütz è invece quello di accogliere spunti utili e di stabilire delle convergenze, che sono forse ancora più significative proprio perché provengono da posizioni così distanti.
Nell’articolo del 1941 sul flusso di coscienza in James, Schütz si preoccupa di dare informazioni sulla fenomenologia a un pubblico non pratico di essa partendo da una teoria invece ben nota (cfr. Schütz-Gurwitsch 1985, p. 69, lettera del 16 novembre 1940). La principale convergenza è motivata dal comune punto di partenza di James e Husserl: l’indubitabilità dell’esistenza della coscienza, una coscienza come flusso e non come agglomerato di elementi (atomismo), una coscienza che vive nel presente specioso, che cioè vive fra ritenzioni e protensioni. Ma le convergenze con Husserl non si fermano nella trattazione della coscienza: c’è tra loro una convergenza altrettanto importante nell’area della percezione: entrambi parlano di campi percettivi, di frange (James), di orizzonti (Husserl) nonché di sintesi di identificazione e del principio della costanza dei significati che sono nella mente; del resto per entrambi orizzonti e frange sono ugualmente presenti al livello cognitivo | 24|.
Ci sono in James anche altri temi che attirano l’attenzione di Schütz: la distinzione fra conoscenza per familiarità (knowledge of acquaintance) e sapere (knowledge about), la quale implica già una stratificazione della conoscenza fra zone di conoscenza superficiale e di sapere profondo, la cui distribuzione è determinata socialmente (cfr. Schütz 1966a, ed. ing. p. 120).
Il punto di contatto più importante fra Schütz e James è forse, tuttavia, un altro: la definizione jamesiana di realtà, che viene considerata come una questione soggettiva, dipendente da ciò che noi man mano definiremo come reale (cfr. Schütz 1945c, tr. it. p. 181 e 1955a, ed. ing. p. 135: reale è ciò che non è contraddetto) da cui deriva la nozione di subuniversi che Schütz preferisce chiamare province chiuse di significato.
Infine ricordiamo la nozione jamesiana di fiat, l’ordine volitivo per l’azione (cfr. Schütz 1932, tr. it. p. 92). Sul tema dell’azione bisogna anche ricordare che 1’azione è preceduta da una «prova nella immaginazione» e che è nell’appropriazione di tale nozione che Schütz riconosce il proprio debito verso un altro pragmatista: Dewey (cfr. Schütz 1951a, tr. it. p. 69)|25|.
Per quanto riguarda i rapporti personali di Schütz con filosofi statunitensi citiamo brevemente: McJill, Ducasse e Mandelbaum, ma bisogna soprattutto ricordare Marvin Farber, conosciuto da Schütz già in Europa nel 1937 mentre questi studiava in Germania. Farber è il fondatore della International Phenomenological Society (1939), che raccoglie i più noti fenomenologi di tutto il mondo e della rivista Philosophy and Phenomenological Research (1940), cui scopo fondamentale è la divulgazione della fenomenologia in America. Schütz è per Farber, almeno potenzialmente, un importante collaboratore della rivista: sia come autore di saggi, sia come collaboratore redazionale; infatti tale incarico è svolto da Schütz per qualche tempo, ma poi è abbandonato sia a causa degli impegni di lavoro sia per gli impegni di insegnamento assunti dal 1943 alla New School for Social Research di New York, dove Schütz vive, istituto che dal 1934 ha una propria rivista: Social Research.
E’ su queste due riviste che Schütz pubblica la quasi totalità dei suoi articoli, che rappresentano da una parte un esempio di ciò che egli ha da offrire al pubblico statunitense, dall’altra sono un documento di ciò che Schütz sta assorbendo dalla filosofia e dalla sociologia statunitensi. Fa eccezione alla regola «The Stranger» (1944a) che è pubblicato sull’American Journal of Sociology, la rivista diretta da Herbert Blumer che ne comprende l’importanza per la tradizione di Chicago; del resto queste pagine avevano suscitato discussioni accese alla New School, ove non si era compreso, da parte di molti partecipanti alla discussione, la forma di analisi sociologica distaccata di una situazione pur con molti possibili riferimenti alla concreta situazione storica; lo stesso vale per «The Homecomer» (1945a). Fra i saggi di carattere filosofico di questo periodo è particolarmente importante quello sulle realtà multiple (1945c): si tratta di una nozione presente in Schütz già dal 1937 col lavoro sulla personalità sociale, ma che ora è sviluppata con più vigore anche sulla scia della concezione jamesiana dei subuniversi.
I corsi tenuti alla New School mostrano una notevole ampiezza di raggio: i temi vanno dalle nozioni di gruppo e di disadattamento a quelle di sé sociale e di causazione sociale, dalla vita quotidiana alla sociologia del linguaggio, alla metodologia; gli autori in programma sono scelti nella sociologia classica europea, nel funzionalismo, nella scuola di Chicago, nell’antropologia culturale statunitense. C’è da notare che i materiali dei suoi corsi trattano soprattutto la preistoria dei temi che lo interessano (Wagner 1983b, p. 115).
Schütz riceve sempre più richieste perché tenga un numero maggiore di corsi e nel 1947 è pronto a pensare di nuovo a un progetto di ampio respiro cui dedicarsi durante le ferie estive, visto che i saggi, l’insegnamento e il lavoro occupano interamente gli altri periodi dell’anno. Il progetto di questo libro avrebbe dovuto essere svolto in lingua inglese allo scopo di acquisire spunti dai filosofi e dai sociologi americani e che pertanto costituisse un’occasione sia per riesaminare la fondazione filosofica e fenomenologica del suo approccio sia per considerare con un particolare riguardo il tema dell’intersoggettività. Il titolo avrebbe dovuto essere The World as Taken for Granted: Toward a Phenomenology of the Natural Attitude e tale progetto prevedeva una suddivisione in cinque parti: 1) note preliminari sul problema della rilevanza; 2) il mondo dell’azione umana; 3) il mondo sociale e le scienze sociali; 4) le realtà multiple; 5) il mondo non questionato e il problema della scienza.
Da tempo Schütz ha compreso che il problema della rilevanza |26| è centrale per la sociologia (cfr. ad es. Schütz 1932, tr. it. p. 354); inoltre, anche se per strade diverse, pure il suo amico Gurwitsch è arrivato alla stessa conclusione riguardo alla fenomenologia della coscienza |27|. E’ però solo nell’estate del 1950 che Schütz pensa di essere sufficientemente avanzato nella «giungla» dei problemi della rilevanza, grazie anche all’aiuto di un filosofo greco: Carneade; ha inoltre iniziato a pensare alla parte sulle realtà multiple. Ma in una lettera a Fritz Machlup del 20 agosto 1952 afferma di essere in crisi e di dover ricominciare di nuovo (cit. in Wagner 1983b, p. 95). Di questo lavoro rimangono solo la prima parte, incompleta, (ora Schütz 1970b) e altre pagine sparse.
Negli anni che seguono si occupa di nuovo di Husserl: in occasione dell’edizione di Ideen II e III (cfr. Schütz 1953a e 1953b: scritti con un forte spirito critico), ma soprattutto si occupa di un tema che gli è stato sempre a cuore e su cui aveva tenuto un corso nel 1949: il linguaggio. Ma nonostante ciò, «Symbol, Society and Reality» (1955b) è uno scritto di occasione preparato per una conferenza ad Harvard nel 1954. Schütz ha qui 1’occasione di esporre la propria opinione sugli usi non soddisfacenti delle nozioni di marchio, indicazione, segno e simbolo e ciò ancora una volta prendendo a prestito una nozione fenomenologica, quella di appresentazione. Inoltre tali designazioni vengono ridefinite ed attivamente collocate all’interno del suo pensiero: in modo particolare la nozione di simbolo diviene un modo per trattare esperienze al di fuori della provincia della vita quotidiana entro cui avvengono tutte le comunicazioni.
Sempre da un punto di vista filosofico Schütz, oltre che su Husserl, si concentra negli ultimi anni anche su Scheler (cfr. 1956b; 1957d; 1958a; il postumo 1966b)|28|, ma si preoccupa anche di bloccare i fraintendimenti dei suoi ultimi lavori su Husserl scrivendo l’articolo sull’importanza di Husserl per le scienze sociali (1959c).
Nel 1956 c’è un drastico cambiamento nella vita di Schütz: lascia il suo impiego bancario per dedicarsi a tempo pieno alla vita accademica. Nella veste di docente ordinario si preoccupa a che la fenomenologia sia inserita nel curriculum filosofico della New School. Egli a tale scopo si è già assicurato la collaborazione di Dorion Cairns, visiting professor alla New School già dal 1954, e spera di riuscire ad ottenere un posto anche per l’amico Gurwitsch, cosa che purtroppo si avvera solo un paio di mesi dopo la morte di Schütz avvenuta nel 1959. Si sarebbe in questo modo determinata una situazione ideale: Cairns si occupa di fenomenologia da un punto di vista prettamente filosofico e teorico, Gurwitsch ha competenze sia di psicologia gestaltica che di fenomenologia e Schütz avrebbe continuato a dividersi fra il dipartimento di sociologia e quello di filosofia.
Altro obiettivo era quello di istituire alla New School un archivio microfilmato degli inediti husserliani, ma tale progetto sarà realizzato solo nel 1969 sotto la direzione di Gurwitsch.
Per quanto riguarda il lavoro di Schütz, si può riscontrare nel suo pensiero un cambiamento di direzione: egli passa dagli sforzi di ampliamento a quelli atti a una strutturazione generale della sua opera; infatti dal 1957 egli è consapevole che il suo stato di salute va gradualmente peggiorando. Contatta l’editore Springer di Vienna per una riedizione del suo Der sinnhafte Aufbau a cui pensa di aggiungere un capitolo alla luce delle ultime opere di Husserl e della sociologia americana, ma tale progetto non è realizzato e la riedizione è costituita da una ristampa anastatica.
Dopo il 1953 Schütz aveva abbandonato l’idea di un volume complessivo pensando di sostituirlo con una selezione dei suoi scritti che eliminasse le varie ripetizioni in essi contenute e che magari traducesse alcune parti del suo libro, soprattutto quelle dedicate alla distinzione fra contemporanei, predecessori e successori; i suoi articoli saranno però pubblicati in una raccolta di tre volumi senza apportare alcuna modifica. Inoltre in tale raccolta non vengono inseriti due inediti che Schütz aveva proposto per la pubblicazione: «T. S. Eliot’s Theory of Culture» e «Problem of a Sociology of Knowledge», ma di quest’ultimo Schütz non riesce a preparare nemmeno una stesura preliminare.
C’è però un altro progetto che preoccupa in maniera particolare Schütz; ad esso egli pensa già dal 1957 e avrebbe dovuto essere realizzato durante un anno sabbatico nel 1960; per tale lavoro ha già deciso di consultare gli archivi di Lovanio sul Lebenswelt e 1’intersoggettività.
Ecco che fra l’agosto e il novembre 1958 stila alcuni quaderni di note in tedesco: evidentemente pensa a una pubblicazione in questa lingua forse perché si è convinto che l’Europa sia una terra più adatta alla sua sociologia, essendogli sembrata particolarmente ricettiva verso la fenomenologia durante il Royoumont Colloquium del 1957. Forse anche istruito dai suoi precedenti tentativi non inizia con una redazione del primo capitolo, ma lascia appunti un po’ per tutte le parti del libro, ponendo anche in evidenza le chiavi di passaggio dai suoi saggi in inglese (cfr. prefaz. di Luckmann a Schütz-Luckmann 1973); inoltre appronta un indice notevolmente dettagliato e numerose note sulla suddivisione dei capitoli (ora in appendice a Schütz-Luckmann 1984). Forse si è reso conto di non avere più molto tempo a disposizione.
Luckmann accetterà l’onere di approntare la redazione definitiva e il primo volume de Die Strukturen der Lebenswelt uscirà nella traduzione inglese nel 1973, solo nel 1975 è stampata l’edizione in lingua originale, mentre per il secondo volume bisognerà attendere il 1984.
Anche quest’ultima vicenda rappresenta una concretizzazione delle teorie di Schütz in quanto Luckmann instaura un colloquio con un predecessore tramite i suoi scritti, cosa che giustifica la doppia paternità dell’opera |29|.
Schütz avrebbe voluto in quest’opera tirare le somme del suo impegno intellettuale sviluppando compiutamente una sociologia oggettiva del mondo della vita: in ogni caso però si sarebbe trattato, pur nella migliore delle ipotesi, di una versione definitiva ma non finale, in quanto il compito assunto da Schütz è infinito, non finibile (Wagner 1983b, p. 116). Schütz muore per problemi cardiaci il 20 maggio 1959.


NOTE AL CAPITOLO I

1) Sulla Vienna di questo periodo cfr. ad es. A. Janik e S. Toulmin, La grande Vienna, Milano, Garzanti, 1975. Per una panoramica sulle sociologia in Austria fra il 1885 e il 1935 cfr. Torrance (1976).

2) La maggior parte delle notizie riportate in questo capitolo sono tratte da Wagner 1983b, anche dove non specificatamente segnalato. Egli suddivide la vita di Schütz in tre fasi e varii periodi.
Per Wagner la vita intellettuale di una persona dipende da: 1) ciclo di vita biologico; 2) condizionamenti culturali e istituzioni sociali; 3) corso particolare della vita biografica; 4) eventuali modifiche storiche e sociali che interferiscano con le prime tre linee di continuità. Wagner sostiene la correlazione fra la vita di Schütz e il suo pensiero; anche se non ci troviamo di fronte ad un rapporto di determinazione, cfr. A. Schutz: Appraisals and Developments 1984, p. 1.

3) La moglie, Ilse, ha dato il proprio aiuto a Schütz sollevandolo dall’onere della dattiloscrittura dei suoi scritti, ed egli avrebbe forse avuto difficoltà a trovare tempo anche per tale compito; inoltre essa ha conservato tutte le sue carte e appunti.

4) Schütz instaura facilmente relazioni di amicizia con persone che influenzano la sua storia intellettuale, in maniera particolare ricordiamo: negli anni 1919-32 Felix Kaufmann; dal 1932 al 1938 Husserl e in USA Aron Gurwitsch (cfr. Wagner 1983b, nota 3 al cap. I).
5) Kelsen è docente di diritto internazionale ed è esponente del Rechtspositivismus che punta a una teoria del diritto sviluppata da concezioni metafisiche basate sul concetto di legge naturale; in maniera particolare Kelsen postula l’autogiustificazione delle leggi e si interessa dei rapporti fra diritto e società senza con ciò fare grosse concessioni alla sociologia ed opponendosi alla teoria storico-sociologica delle leggi in Weber. Thomason (1982, p. 16-17) sottolinea l’importanza dell’influenza di Kelsen su Schütz in quanto egli è un sostenitore della necessità di una fondazione filosofica della sociologia weberiana ricercandola nel neokantismo.
Von Mises è un rappresentante della scuola austriaca della teoria dell’utilità marginale che tende a privilegiare gli aspetti soggettivi degli scambi economici, in quanto sono la domanda e le momentanee preferenze dei consumatori a determinare l’andamento dei prezzi, senza che ciò implichi, tuttavia, la rinuncia a un approccio impersonale ed oggettivo ai processi economici. Anche Von Mises è un critico severo di Weber: egli considera le leggi economiche universali e pertanto rifiuta il «relativismo storico» weberiano.
Spann, invece, pur essendo uno studioso di sociologia, non incontra molto gli interessi di Schütz in quanto è l’esponente di una teoria organicistico-olistica della società che si accorda con la teologia morale cattolica e non lascia molto spazio agli attori individuali.

6) Con le parole di Schütz: «Das Symbolisierte ist aktuell (als Entwordenes) nur in der primitiveren Lebensform erlebbar, in der gegenwärtigen ist es Symbol, eben darum nur potentiell erlebbar, d. h. wird mit unserer inneren Dauer».

7) La pubblicazione avviene nel 1932 a spese di un nuovo amico di Schütz, Tamoo Otaka, pochi mesi prima che Hitler chiuda il mercato a libri di autori che risiedano nell’area della «fenomenologia giudaica». Il libro è ristampato nel 1960 e la traduzione inglese è solo del 1967, in quanto Schütz si è sempre opposto a una traduzione che non tenesse conto della preparazione dei lettori statunitensi.
C’è da notare infine che Schütz tiene conto delle Meditazioni Cartesiane, apparse nel 1931, solo in alcune note.

8) Il tema della rilevanza, sviluppato particolarmente in Schütz 1970b, aveva già attirato l’attenzione di Schütz in 1932, tr. it. pp. 119 e segg. e p. 354.

9) Si tratta di posizioni molto vicine alla teoria dei ruoli sociali: nel 1934 esce Mind, Self and Society di Mead che offre visioni per l’interpretazione soggettiva dei ruoli e nel 1936 R. Linton pubblica The Study of Man, che rappresenta la teoria funzionalista dei ruoli. Ma all’epoca Schütz non conosce né Mead né Linton (Wagner 1983b, p. 54). In seguito Schütz non farà più rivivere queste personalità sociali, anche se tratterà varie volte dei ruoli.

10) Per quanto riguarda i motivi ricordiamo che in Schütz 1932 è già presente la distinzione fra motivi «al fine di» e «a causa di» (tr. it. p. 41 e soprattutto pp. 123 e segg.); allo stesso modo l’azione è già considerata come condotta in base a un progetto effettuato come se l’azione fosse già avvenuta; è parimenti presente l’accento sulla volontarietà e la scelta (cfr. Schütz 1932, tr. it. pp. 92 e segg.).

11) Nel sogno non si è neppure liberi di sceglier ciò che sognare, mentre nella fantasia, sebbene non si agisca, tale scelta è possibile; inoltre Schütz considera compatibili le sue analisi sul sogno con quelle di Freud, pur non accettando la teoria freudiana sulle forze istintive, Eros e Thanatos (Wagner 1983a, p. 116), infatti per Schütz come per Husserl l’attività dell’intenzionalità nel sogno «continua a sussistere, ma senza essere diretta verso gli oggetti del mondo esterno» (Schütz 1945c, tr. it. p. 215). Su Schütz e Freud cfr. anche Wagner 1983b, p. 133.

12) Sorge il problema di come possa lo scienziato mantenere la sua obiettività e il suo distacco pur studiando il mondo dell’operare; tale problema è risolto con un espediente metodologico: la formazione da parte dello scienziato di modelli.
Il tema dell’obiettività dello scienziato è già presente in Der sinnhafte Aufbau come pure naturalmente quello dell’utilizzo di tipi, ma saranno sviluppati in maniera più precisa nei saggi di carattere metodologico: cfr. Schütz 1953c, tr. it. pp. 34 e segg. e anche 1943, tr. it. pp. 363 e segg. Il manoscritto si conclude osservando che per migliorare le concezioni della scienza è necessaria la comunicazione fra gli scienziati nel mondo della vita, altro tema parimenti ripreso nei saggi statunitensi. Rimangono altresì alcune note sui capitoli successivi che avrebbero dovuto trattare il tema dell’intesoggettività.

13) Landsberg (1901-1944) studiò con Scheler e si è occupato soprattutto di antropologia filosofica: in maniera particolare colpisce l’attenzione di Schütz un suo libro sulla morte. Rimasto in Francia sotto falsa identità sarà fucilato dai nazisti come partigiano alsaziano. I due hanno intrecciato una grossa corrispondenza che però è andata perduta.

14) Gurwitsch (1901-1973), che diverrà negli Stati Uniti il migliore amico di Schütz, ha studiato in Germania matematica, fisica, filosofia e soprattutto psicologia: studia con Karl Stumpf (allievo di Brentano), Goldstein e Gelb (pionieri della Gestalttheorie) e quindi si avvicina alla fenomenologia da una posizione di carattere psicologico. Di Gurwitsch cfr. soprattutto The Field of Consciousness, Pittsburg, Duquesne Univ. Press 1964; inoltre per l’esposizione di una critica che Gurwitsch rivolge a Husserl, e che interessa pure Schütz, cfr. anche «A Non-Egological Conception of Consciousness», Philosophy and Phenomenological Research 1941, vol. 1, n. 4, pp. 325-38: per Gurwitsch non c’è un ego dietro alla coscienza attuale, non c’e un puro ego, un puro soggetto dell’azione, ma ci interesseremo di questo tema nel cap. 4 del presente lavoro.

15) La moglie di Rougier è parente con la moglie di Schütz; Rougier si occupa di logica, fisica, gnoseologia ed economia; in particolare condivide con Schütz l’interesse per la teoria dell’utilità marginale. Come osserva Wagner (1983b, p. 164): «... economics ranked second in his (di Schütz) private scale of the relative relevance of the various disciplines for his work. «

16) Aron (1905-1983), dopo aver trascorso alcuni anni di studio in Germania, insegna filosofia e poi sociologia al Collège de France. Egli può essere considerato un mediatore fra la sociologia classica francese e tedesca (Durkheim, Simmel, Weber) e la filosofia della storia. Si interessa inoltre anche di fenomenologia e delle teorie marxiane.
E’ opinione di Schütz che egli cerchi di dare una fondazione fenomenologica ai suoi due campi d’interesse: la sociologia e la storia, la storia intesa come un aspetto della conoscenza che l’uomo ha di sé (Wagner 1983b, p. 67).

17) Di William Graham Sumner (1840-1910) Schütz legge con particolare attenzione Folkways: a Study of the Sociological Importance of Manners, Customs, and Morals, New York, Ginn & Co., 1906. La sua nozione di etnocentrismo aiuta Schütz a meglio comprendere la funzione delle tipificazioni derivate socialmente che in ogni interazione e in ogni attribuzione di rilevanza definiscono il buono e il giusto (cfr. ad es. Schütz 1953c, tr. it. p. 13 e 1955b, tr. it. pp. 319 e segg.)
Sempre parte di questa tematica è la coppia di opposti in-group e out-group utilizzata da Schütz nelle sue brevissime note sulla responsabilità e la conseguente attribuzione di una sanzione (cfr. Schütz 1958b, ed. ing. p. 276).

18) William Isaac Thomas (1863-1947) lo interessa soprattutto per la sua nozione di «definizione della situazione» (cfr. ad es. Social Behavior and Personality: Contributions of W. I. Thomas to Theory and Social Research, raccolta di saggi a cura di E. H. Volkart, New York, Social Science Research Council, 1951). Schütz dà molta importanza a questa nozione che è attivamente inserita nel contesto della sua teoria e non è ridotta, come fa la maggior parte dei sociologi americani, a ruoli prescritti culturalmente: tale nozione costituisce una coppia di opposti con quella di situazione determinata biograficamente.
A margine va notato che Schütz non cita quello che è considerato il capolavoro di Thomas, assieme a F. Znaniecki, sul contadino polacco, come in generale non si serve di studi empirici.

19) Charles Horton Cooley (1864-1929) riveste un ruolo importante nel pensiero di Schütz in quanto l’etichetta di «relazione faccia a faccia» (cfr. C. H. Cooley, Social Organization, New York, Scribner’s, 1909) è considerata da Schütz come un sinonimo di «relazione del noi». Egli obietta però a Cooley che una relazione faccia a faccia implichi la intimità di quella relazione, come avviene nel gruppo primario (altro concetto fondamentale di Cooley): cfr. Schütz 1953c tr. it. p. 17, egli infatti considera la denominazione «faccia a faccia» come una designazione puramente formale del rapporto di interazione.
Un’altra nozione che attira l’attenzione di Schütz è quella dell’origine del sé mediante un «effetto dello specchio»: l’io è inteso come riflesso delle idee che egli immagina che gli altri abbiano di lui. Il sé pertanto si origina dal modo in cui l’individuo interpreta sé e la situazione sociale in cui si trova: siamo con ciò di fronte ad una conseguenza del fatto per cui «non possiamo mai afferrare l’unicità «individuale del nostro compagno nella situazione biografica unica e l’altro appare sempre come un sé parziale (Schütz 1953c, tr. it. p. 18-19).
Sull’effetto-specchio cfr. Cooley, Human Nature and Social Order, New York, Scribner’s, 1922 ed. riveduta; su Cooley cfr. anche Coser 1983, tr. it. p. 427-63.
Altri fondamentali punti di convergenza fra Cooley e Schütz vanno cercati nel rilievo dato da Cooley ai significati che gli attori attribuiscono alla situazione, cioè ai significati soggettivi (e ciò autonomamente rispetto a Weber), per cui lo studio sociologico deve andare oltre la descrizione del semplice comportamento; inoltre bisogna anche ricordare che Cooley rifiuta la rigida separazione cartesiana fra «soggetto pensante e mondo esterno»: io e società nascono assieme.

20) Di Mead (1863-1931) ricordiamo: The Philosophy of the Present, Chicago, Open Court, 1932; Mind, Self and Society, Chicago, The Univ. of Chicago Press, 1934, tr. it. Firenze, Barbera, 1966; The Philosophy of the Act, ibidem, 1938; si tratta di volumi postumi contenenti saggi o appunti di lezioni.
Su Mead, oltre a Natanson 1956, cfr. anche Coser 1983, tr. it. pp. 465-96 e per gli sviluppi del pensiero meadiano nell’interazionismo simbolico cfr. ad es. Wallace-Wolf 1985, tr. it. pp. 273-321.

21) Le parole di Mead sono: «Objective consciousness of selves must precede subjective consciousness, and must continually condition it, if consciousness of meaning itself presuppose the selves as there.»
Per l’articolo di Charles Hartshorne, «Husserl and the Social Structure of Immediacy», cfr. Philosophical Essays in Memory of E. Husserl, a cura di M. Farber, Cambridge, Mass., Harvard Univ. Press, 1940.
Da un punto di vista diverso si può affermare che se per Mead il sé è sociale, per Husserl è invece essenzialmente fuori della società: Mead non ha alcun interesse per la sfera trascendentale mentre Husserl sviluppa le sue analisi nella sfera del puro io; in proposito cfr. V. A. Ames, «Mead and Husserl, On the Self», Philosophy and Phenomenological Research, vol. 15, n. 3, 1955. Ma cfr. anche la risposta di Natanson il quale afferma che da una parte Mead può non essere interpretato come comportamentista e dall’altra che Husserl è stato per certi versi frainteso da Ames, ad es. il sé nella fenomenologia non è fuori della società in quanto l’io trascendentale non può né essere dentro né fuori la società empirica e soprattutto bisogna tener presente che i problemi dell’essere dentro o fuori la società emergono come problemi di costituzione trascendentale all’interno della sfera ridotta (Philosophy and Phenomenological Research, vol. 17, n. 2, 1956, pp. 241 e segg.).

22) Schütz-Parsons 1978 p. 63: «... I must say that I am unable to consider that your critical analysis necessitates any far reaching revision of my own work, although in certain respects it points in directions in which my own thinking has already been moving. «

23) Sul funzionalismo cfr ad es. Wallace-Wolf 1985, tr. it. pp. 21-96; di Parsons a esemplificazione dei testi che Schütz ha potuto consultare prima della morte: oltre a The Structure of Social Action, tr. it. Bologna, Mulino 1962, The Social System, Glencoe, The Free Press, 1951, tr. it. Milano, Comunità e con E. A. Shils: Toward a General Theory of Action, Cambridge, Harvard Univ. Press, 1951 e Working Papers in the Theory of Action, New York, The Free Press, 1953 che amareggi a notevolmente Schütz in quanto egli si rende conto che il funzionalismo è diventato un’occupazione accademica a tempo pieno (Wagner 1983b, p. 78).
Parsons è infatti uno dei sociologi statunitensi più prolifici: una bibliografia completa dei suoi lavori, comprensiva delle opere scritte in collaborazione con i suoi allievi, dovrebbe includere circa 200 articoli e oltre venti libri, e tale elenco è destinato ad allungarsi per la pubblicazione di inediti.

24) Sulle relazioni fra James e la fenomenologia cfr. anche lo scambio epistolare fra Schütz e Gurwitsch ove vengono approfonditi alcuni temi, quali le frange, il significato, il noema, in vista di un paio di articoli pubblicati da Gurwitsch: lettere del 7 novembre 1940, del 16 novembre, del 20 novembre, del 10 giugno 1941, del 8 novembre 1941 in Schütz-Gurwitsch 1985 pp. 60-73 e pp. 85-91; purtroppo la discussione fra Schütz e Gurwitsch su questi temi è lasciata cadere.

25) L’importanza di Dewey per Schütz va cercata nell’accento dato dallo studioso americano all’io nella posizione naturale delle sfere di attività pragmatica che sostanzialmente corrisponde al mondo dell’operare di Schütz e come in Schütz è in tale ambito che va collocata la socialità. Inoltre Dewey attira l’attenzione di Schütz per la sua analisi dello scegliere e del progettare (cfr. Schütz 1951a) e la necessità del «fermarsi e pensare» per trasformare «una situazione indeterminata (...) in una determinata» (Schütz 1946a, tr. it. p. 408) e per trovare il significato di azioni e situazioni.
Ciò che invece Schütz non può condividere di Dewey è il suo interpretare la condotta umana nei termini di abiti e stimoli, come non condivide la «monomotivazionalità» insita nel pragmatismo.
Infine un punto di convergenza fra Schütz e Dewey può essere visto nella loro concezione della scienza intesa come un’attività che punta ad una «asseribilità garantita» e all’oggettività (il significato e la portata di tali concezioni epistemologiche in Schütz sarà trattato nel cap. 5).

26) Ritengo necessario fare alcune osservazioni terminologiche: l’italiano rilevanza significa «cosa importante, di valore relativamente a» e la «pertinenza « e solo una conseguenza logica; l’inglese relevance ha piuttosto il significato di «pertinente a, attinente a» e solo secondariamente vi si può vedere il senso di «cosa importante per»; mentre il tedesco Relevanz significa innanzi tutto «importanza» (Wichtigkeit, Belang), ma anche marginalmente «pertinenza» (Belang deriva da belangen: riguardare, concernere).
Ecco che in inglese ci si può permettere l’espressione system of relevance mentre l’italiano sistema di rilevanza di primo acchito lascia un po’ perplessi; una soluzione abbastanza elegante è quella proposta da Izzo nella traduzione dei Collected Papers (Schütz 1962 e 1964): sistema di attribuzione di importanza, anche se risulta meno percettibile la frangia di significato, come la chiamerebbe Schütz con James, di «pertinenza».
In effetti, quando Schütz parla di rilevanza è utile pensare al «rilievo» nel senso di «rilievo delle colline» ed è lo stesso Schütz a suggerire questo accostamento in 1944a tr. it. p. 377: si tratta di «attribuzioni di un sistema di rilievi», anche se tale traduzione non è di fatto proponibile.

27) Per un raffronto fra le teorie della rilevanza di Schütz e Gurwitsch cfr. Grathoff 1970, il terzo cap. Cfr. anche Wagner 1983b, p. 229. Infine cfr. l’articolo di L. Embree in A. Schütz und die Idee des Alltags.

28) In Scheler, Schütz trova interessante innanzi tutto il tentativo di delineare una teoria dell’intersoggettività mondana e una «tesi generale dell’alter ego» (cfr. Schütz 1942), inoltre egli presta anche una certa attenzione alla sociologia della conoscenza di Scheler sottoscrivendo la sua distinzione fra conoscenza allo scopo di dominio (scienza e tecnica), allo scopo di conoscenza (filosofia e scienze «pure») e allo scopo di salvezza (teologia e religione) accogliendo anche la distinzione fra le due sfere, influenzantesi reciprocamente, dei fattori reali e dei fattori ideali. Ma quello che Schütz considera il vero contributo dato alla sociologia della conoscenza da Scheler è la sua nozione di «concezione relativamente naturale del mondo», la visione del mondo di una certa comunità; su questo tema cfr. qui il cap. 2, sez. 1.

29) Va notato che Luckmann apporta alcune modifiche al piano di lavoro lasciato da Schütz: ad es. nel terzo cap. del volume I che viene ampliato e sviluppato in due capitoli, il terzo e il quarto, mentre il progettato ultimo capitolo sulla metodologia delle scienze umane viene soppresso; inoltre è chiaro che Luckmann finisca coll’esprimere il pensiero di Schütz tramite le sue parole e anche tramite il suo pensiero, ma avremo modo di ritornare su questo punto e in maniera particolare si cercherà di mostrare la tendenza di Luckmann a dissolvere le espressioni paradossali presenti nei testi di Schütz tramite una esplicazione ed una esposizione lineare dei loro elementi.


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