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Piccolo nota di prefazione.Il 1999 è stato il centenario della nascita di Alfred Schütz (1899-1959), quindi è possibile proporre diversi link a pagine preparate per questa occasione. Innanzi tutto ALFRED SCHUTZ CENTENNIAL e la conferenza relativa; poi un video ora disponibile. Sempre nel sito del «Center for Advanced Research in Phenomenology» è possibile trovare in diverse pagine indicazioni bibliografiche su studi effettuati. Oppure una introduzione. Sulla teoria sociologica, oppure sui principi della sua fenomenologia sono ugualmente disponibili diverse pagine. Dopo lunghi dubbi, ho pensato di inserire l'indice, l'introduzione e il primo capitolo (una biografia intellettuale di A. Schütz). Ampliato: Giovedì, 28 marzo 2002 |
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INTRODUZIONE L’etichetta con cui comunemente si designa l’opera di Alfred Schütz|1| è quella di »sociologia fenomenologica»: «sociologia» perché Schütz si occupa di tematiche sociologiche, «fenomenologica» perché egli attinge spesso a concetti della fenomenologia husserliana e inoltre perché Husserl stesso (in una lettera del 3 maggio 1932, cit. da padre Van Breda nella prefazione a Schütz 1962) riconosce in lui un serio studioso di fenomenologia; da ultimo per il fatto che Schütz stesso vede il suo lavoro come una «fenomenologia dell’atteggiamento naturale» (Natanson 1973 p. 107). La sociologia di Schütz ha come referenti principali Max Weber|2| e, dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti, la scuola di Chicago. Dall’individualismo metodologico weberiano Schütz mutua la preminenza data all’azione dell’individuo e al significato dell’azione, ma a differenza di Weber manca in Schütz ogni ambizione a tracciare comparazioni fra lunghi archi spaziali o temporali cosicché l’analisi rimane sempre centrata sulle strutture dell’esperire individuale nel mondo sociale e nella vita quotidiana. Per contro, in Mead, Cooley e Thomas, Schütz trova una convergenza di interessi: la interazione fra individuo e società è interpretata da questi sociologi statunitensi nei termini di processi simbolici (di valutazione, di astrazione...) il che li porta alla nozione del self formantesi nel rapporto fra l’individuo e il mondo: il sé è cioè la «cerniera fra lo psichico e il sociale» (Amerio 1982 p. 106). Naturalmente Schütz coglie l’occasione per prendere a prestito nuovi concetti ed eventualmente rielaborarli |3|. Mead è uno dei fondatori teorici della psicologia sociale|4|: sotto questo profilo sorge il problema se l’opera di Schütz, visti anche i «precedenti» di Husserl, possa essere considerata come un esempio di psicologia sociale. a tale quesito si può dare una risposta negativa e non solo perché né Amerio (1982) nella sua carrellata sulle Teorie in psicologia sociale, né Brown (1980, ed. orig. 1965) nella sua esposizione degli argomenti trattati in psicologia sociale citano Schütz. Schütz non si occupa infatti degli aspetti sociali della percezione o degli aspetti sociali dei processi cognitivi: quando si interessa a tali processi lo fa sempre da un punto di vista «fenomenologico» e non di psicologia sociale. Cioè, né si occupa di percezioni da un punto di vista psicologico, né delle influenze sociali su processi psicologici: il centro dell’analisi è, come in Weber, l’agire soggettivo e non i processi cognitivi (cfr. ad es. Weber 1958 p. 247). Anche se, a dire il vero, nell’analisi reale, sia pratica che teorica, è probabilmente impossibile scindere lo psichico dal sociologico e quindi stabilire una linea fra psicologia sociale e sociologia, o, segnatamente, microsociologia. Infatti, la psicologia sociale può estendere il suo campo a temi microsociologici (relazioni interpersonali e dinamica dei piccoli gruppi) e perfino macrosociologici (Amerio 1982, p. 14), ma sempre ovviamente dalla propria posizione: il punto è che la psicologia sociale è meglio definita da un punto di vista che non da un oggetto, che è invece in comune con altre scienze; nella psicologia sociale si lavora con una teoria dello psichico ed una del sociale e l’ottica è la interdipendenza fra le due (Amerio 1982, pp. 17 e segg., soprattutto p. 22). D’altro canto, non sarebbe difficile trovare in Schütz gli elementi di una psicologia sociale teorica e anzi buona parte della sua opera potrebbe essere interpretata in questo senso. Volendo svolgere questo compito si potrebbero seguire vie diverse: ad esempio da Mead, da Weber e perfino da Husserl|5|. In questo senso si può citare Alberto Izzo (intr. alla tr. it. di Schütz 1962-64, p. XLVI) e Barry Hindess (1972, pp. 19 e 20) dalle cui critiche prende spunto Izzo sottolineando gli aspetti psicologico sociali di alcuni articoli di Schütz e la conseguente scarsa attenzione ai contesti storici e sociali. Del resto, tale conseguenza è dovuta alla impostazione individualistica, che affonda le sue radici nella definizione weberiana di azione da una parte e, dall’altra, nella fenomenologia di Husserl: la prospettiva è quella dell’analisi dei «vissuti coscienziali del singolo agente» (Signore 1985, p. 13) |6|. Ma non c’è solo questo, c’è anche il punto di vista antropologico (filosofico), mai veramente esplicitato da Schütz, per cui «umano implica sociale» (cfr. ad es. Berger-Luckmann 1969, tr. it. p. 69). Ecco che ci troviamo di nuovo nell’ambito del sociale, o meglio ancora della microsociologia teorica. Teorica in un senso banale perché Schütz non ha mai fatto indagini empiriche: è uno di quei sociologi «all’antica» che non usa né tabelle né questionari. In un senso più profondo perché Schütz vuole utilizzare i suggerimenti della filosofia (soprattutto della fenomenologia, ma anche delle filosofie di Bergson e di Leibniz) per procurare degli strumenti di indagine e dei termini scientifici alla sociologia|7|, strumenti e termini che purtroppo nel caso di Schütz non sono stati «tarati» sul campo. Riassumendo, si può parlare per Schütz di una microsociologia teorica con tendenze alla psicologia sociale. Come osserva Mario Proto (1985, p. 330): «Sul tema, quindi, dei rapporti tra fenomenologia e scienze sociali 1’analisi va rigorosamente circoscritta ai contributi di tipo antropologico-filosofico, psico-sociale e, in genere, micro-sociologico...» o si può dire con Schütz: «Non si riferiscono i concetti di significato, di motivi, di fini, di atti, a una certa struttura della coscienza, a una certa organizzazione di tutte le esperienze nel tempo interiore, a un certo tipo di sedimentazione?» (1945b, tr. it. p. 116). Per concludere la nostra analisi sul possibile posto della psicologia sociale in Schütz facciamo una osservazione; si può affermare che ogni analisi psicologica tiene conto del sociale: Renzo Canestrari (in Filosofia e sociologia 1954, p. 181) sostiene che se la sociologia studia i fenomeni sociali «... la psicologia studia invece l’uomo immerso in un campo psicologico sociale», cioè studia anche i fenomeni sociali, ma da un punto di vista psicologico: «... in quanto hanno un riflesso nei confronti dell’individuo, nella formazione della personalità...». Ciò evidentemente vale di converso anche per la sociologia e in questo senso si potrebbe provare a definire l’opera di Schütz come «sociologia psicologica»: una sociologia che derivi le sue prospettive di fondo (e di sfondo) da una comprensione «psicologica» della condizione umana. Un’altra domanda che ci si può porre è se la sociologia di Schütz sia sociologia della conoscenza: anche qui si può rispondere in due modi opposti in funzione della de finzione che si decide di dare a «sociologia della conoscenza». Una prima definizione, che può essere considerata quella più ristretta e storicamente accreditata, vede 1’interesse della sociologia della conoscenza nelle relazioni fra il pensiero umano ed il contesto sociale da cui tale pensiero scaturisce. E’ pertanto necessaria un’analisi su due fronti: la «conoscenza» (informazioni, credenze, opinioni, atteggiamenti) e la «società» (gruppi, classi, strutture dei livelli sociali) e successivamente, ed è questa la parte più difficile del compito, occorre stabilire costanti relazioni fra gli elementi dei due fronti|8|. Da questo punto di vista si può senz’altro dire che Schütz non fa sociologia della conoscenza: se c’è infatti nella sua opera un’analisi delle strutture della conoscenza sociale e della sua formazione nell’individuo, manca completamente o quasi un’analisi delle strutture della società, mancano le tipologie globali, manca cioè la macrosociologia|9|: l’angolazione prospettica usata è sempre quella «cognitiva». a maggior ragione mancano le relazioni (concatenazioni o simmetrie che siano) fra «conoscenza» e «società». Bisogna però tener presente che, a rigor di termini, se si segue tale definizione di sociologia della conoscenza forse nessuno ha mai fatto sociologia della conoscenza o con le parole di Berger e Luckmann (1969, p. 17): «... si potrebbe quasi dire che la storia di questo settore della sociologia finora è stata la storia delle sue diverse interpretazioni. «|10|. a tal riguardo ecco che essi propongono una ridefinizione «... della sua natura e della sua portata (che) porterà la sociologia della conoscenza dalla periferia al centro stesso della teoria sociologica.» (Berger-Luckmann 1969, p. 36): «... la sociologia della conoscenza si occupa dell’analisi della costruzione sociale della realtà.» (ibidem, p. 16) e la «realtà» è sempre una «costruzione sociale». In questo senso è chiaro che qualsiasi studio sociale o culturale ha quantomeno degli addentellati nella sociologia della conoscenza: non certo ultima l’opera di Schütz. Infatti Berger e Luckmann devono proprio a Schütz l’intuizione della necessità di una ridefinizione della sociologia della conoscenza |11|. Sebbene essi stessi riconoscano che Schütz «... non elaboro una sociologia della conoscenza, egli vide però con chiarezza quali erano gli obiettivi su cui questa disciplina avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione» (ibidem, p. 33). Si può dire dunque che l’opera di Schütz è più una teoria della conoscenza riguardante la situazione del sociale che non una sociologia della conoscenza: essa è un prolegomeno alla sociologia della conoscenza (Psathas 1975, p. 512)|12|. Come abbiamo già visto gli scritti di Schütz si pongono come una sociologia accoppiata a una filosofia: dal lato filosofico gli autori da tener maggiormente presenti sono innanzi tutto Husserl, poi Bergson, nonché per certi aspetti Leibniz e il pragmatismo statunitense|13|. Ciò che dirige le scelte di Schütz in settori così varii della filosofia è sempre l’interesse personale, cioè la possibilità di trovare dei punti di contatto e magari dei suggerimenti per le proprie analisi, oltre a vicende contingenti come l’emigrazione negli Stati Uniti e la necessità, notevolmente sentita da Schütz, di presentare ai propri lettori riferimenti a idee che essi conoscessero bene. Ma ora è venuto il momento di osservare che parlare di «sociologia fenomenologica» probabilmente più che servire a definire con chiarezza l’opera di Schütz fa sorger delle perplessità. C’è chi come Helmut Wagner propone addirittura di rifiutare tale etichetta, nonostante il fatto che la abbia usata egli stesso, in quanto Schütz in fondo non sviluppa delle analisi fenomenologiche vere e proprie (Wagner 1983b, p. 45 e nota n. 6): non si tratta di un’evoluzione fenomenologica della sociologia comprendente in quanto Schütz ha sviluppato un pensiero sociologico strettamente personale|14|. Al contrario, Maurice Natanson è forse lo studioso che più di ogni altro difende l’etichetta di «sociologia fenomenologica» che, come tale, implica: 1) la liberazione dal dualismo cartesiano fra mente e corpo (che fa parte della situazione di crisi delle scienze); 2) una fondazione della scienza sociale; 3) e più importante, «una esplorazione della storia del mondo della vita per scoprirne la sedimentazione di significato» (cfr. intr. di Natanson a Phenomenology and the Social Sciences 1973, pp. 37 e segg.). Pertanto per Natanson è una «impasse artificiale» il negare per principio l’applicabilità della fenomenologia alla sociologia solo perché la prima è una disciplina che si occupa delle «irrealtà» mentre la seconda si interessa ai «fatti». Inoltre lo stesso Schütz ribadisce più volte i suoi legami da una parte con Husserl e dall’altra con Weber, pur riservandosi la possibilità di criticare entrambi, ed in una lettera a Gurwitsch del 20 aprile 1952 (cit. anche in Wagner 1983b, p. 222) riferendosi al proprio lavoro parla di «un’analisi fenomenologica del mondo del senso comune» (cfr. Schütz-Gurwitsch 1985, p. 279)|15|. Ecco che per Schütz si è giunti a parlare di «fenomenologia mondana»|16| o di «fenomenologia dell’atteggiamento naturale» (ad es. Natanson 1973, p. 107): si può pensare ad una contraddizione|17| dato che Husserl in Logica formale e trascendentale non ritiene che il con tenuto essenziale della fenomenologia possa essere compreso da una filosofia mondana che non effettui la riduzione. Da parte sua però Schütz afferma la validità delle scoperte nella sfera ridotta anche in quella non ridotta |18| giustificando pertanto il proprio ampio uso di nozioni fenomenologiche. Tenendo presente che la fenomenologia husserliana può essere considerata come intrinsecamente trascendentale nel senso che essa sviluppa le sua analisi dei vissuti coscienziali in riferimento a un puro ego è facile notare la paradossalità dell’espressione «fenomenologia mondana», ma è proprio a un tale tipo di fenomenologia che punta Schütz senza peraltro, con ciò, farsi sostenitore di una posizione contraddittoria, ma divenendo semmai un «fenomenologo critico». Infine bisogna notare che le espressioni paradossali nel pensiero di Schütz sono piuttosto frequenti e per il momento può bastare come esempio la definizione schützeana di sociologia che va intesa come una «scienza oggettiva di significati soggettivi», ma nel corso del presente lavoro cercheremo costantemente di metterle in luce per fini espositivi. Infatti, anche se Schütz stesso riconosce esplicitamente in alcuni casi la presenza di paradossi, come appunto nell’ambito della sua concezione della scienza, egli in molti altri casi non fa questo tipo di dichiarazioni e le espressioni paradossali emergono accostando osservazioni diverse che Schütz fa nello sviluppo del suo discorso cercando di analizzare concettualmente la realtà sociale e le sue strutture di significato. Proprio in tali espressioni paradossali, dunque, va colta una delle qualità del pensiero schützeano, ossia il tentativo di esprimere la complicatezza, e forse la contraddittorietà, del reale; ammesso che il reale sia così contraddittorio come a volte si vuol far credere. NOTE ALL’INTRODUZIONE 1) La grafia «Schutz» senza Umlaut è meno corretta rispetto all’originale grafia austriaca con l’Umlaut. Ma fu lo stesso Schütz ad adottarla negli Stati Uniti, dopo aver utilizzato per qualche tempo «Schuetz», e tale grafia è quella invalsa in tutti gli studi in lingua inglese. 2) Sulle relazioni fra Schütz e Al. Weber si veda soprattutto Twenhöfel (1985) e anche Williame (1973), ma ovviamente osservazioni e analisi più o meno estese su tali relazioni sono presenti un po’ in tutta la letteratura critica su Schütz. Di Schütz si veda soprattutto Der sinnhafte Aufbau (1932) tr. it. i capp. 2, 4 e 5; in ogni caso riferimenti a Weber non mancano mai nelle opere di Schütz. 3) Per una trattazione delle relazioni fra G. H. Mead e la fenomenologia cfr. Natanson (1956) specialmente il cap. 3 e le relative note: si tratta di un raffronto critico fra Mead e la fenomenologia; non di secondo piano in tale raffronto è 1’opera di Schütz che fu corelatore del PhD di Maurice Natanson. 4) Cfr. ad es. Amerio (1982 p. 25 e pp. 105 e segg.); Contemporary Sociology 1958 in particolare l’articolo di R. M. Frumkin (pp. 70-85): l’interazionismo simbolico in psicologia sociale, cioè la scuola di Chicago, rifiuta sia il determinismo biologico (sia esso freudiano o comportamentista) sia quello sociologico, in quanto personalità e società sono prodotti dell’interazione sociale. 5) Di Mead bisogna tener presente che coglie il formarsi del sé nel momento interazionale: «questo ruolo costitutivo del sociale è ancora oggi il nodo discriminante per una psicologia sociale...» (Amerio 1982, p. 110); su Weber e la psicologia sociale cfr. Amerio (1982 pp. 43-5) e allo stesso modo su Husserl cfr. Amerio (1982 pp. 33-4). 6) Con le parole di Izzo: 7) In proposito cfr. Schütz 1945a (tr. it. p. 399) e anche Schütz 1964 (intr. di A. Brodersen, ed. ing. p. IX). 8) Cfr. ad es. Berger-Luckmann 1969 p. 17; Contemporary Sociology 1958, l’articolo di L. P. Chall (pp. 286-303): nella sua completezza la sociologia della conoscenza è perseguita da pochi sociologi: «Each has taken one or two links from the long concatenated chain that constitutes the sociology of knowledge on the conceptual level...» (Chall, cit., p. 289). 9) Gorman (1977 a p. 41) arriva a dire che in Schütz non è possibile una macrosociologia. 10) In questa storia delle interpretazioni ricordiamo velocemente: W. Dilthey e lo storicismo, come presupposto alla sociologia della conoscenza, Marx, per certi versi anche Nietzsche, M. Scheler, K. Mannheim e P. Sorokin, questi ultimi due sono quelli più interessati a una sociologia della conoscenza in quanto essa diviene 1’obiettivo del loro lavoro sociologico. 11) Cfr. Berger-Luckmann (1969 p. 33) ove citano Schütz 1959c (tr. it. p. 148) -ma sullo stesso tema cfr. anche Schütz 1946a, tr. it. p. 405-: 12) Sulla sociologia della conoscenza di Schütz si può vedere la tesi di dottorato di Michael D. Barber, The Place of the Sociology of Knowledge of Alfred Schütz’s Phenomenology, 1987. Tale tesi di dottorato è stata pubblicata nel 1988 col titolo Social Tipifications and the Elusive Other. 13) Le relazioni fra Schütz e Husserl sono trattate un po’ da tutta la letteratura critica su Schütz e lo stesso Schütz ne parla molto spesso. 14) Con le parole di Wagner: «... Schutz had laid out the framework for a sociological thinking that is strictly his own.» Wagner ribadisce nel suo articolo in A. Schutz: Appraisals and Developments 1984, p. 8: 15) Schütz scrive: «damit wird natürlich die Analyse der Common-Sense-Welt phänomenologish aufgeklärt.» 16) Cfr. ad es. Valone (1975, pp. 93 e segg.) e Phenomenology and Social Reality 1970, l’articolo di Gurwitsch (p. 47): Schütz sviluppa una «... mundane phenomenological psychology rather than transcendental phenomenology. « 17) Tale contraddizione è rilevata da vari studiosi di Schütz anche se con valutazioni notevolmente diverse riguardanti la sua portata: cfr. ad es. Natanson (1973 pp. 107 e segg.) e Gorman (1977 pp. 38 e segg.); anche Hindess (1972). 18) In proposito cfr. Schütz 1940a (tr. it. p. 132 e p. 138); Schütz sostanzialmente ribadisce in 1959c (tr. it. p. 148), sebbene egli rifiuti la trattazione trascendentale dell’intersoggettività, ma avremo modo di parlare specificatamente di questi temi nel cap. 4 del presente lavoro. |
N.B. il I capitolo è in un file a parte: Per una biografia intelettuale di A. Schutz |