Ci
siamo chiesti se non fosse una scelta demagogica quella di aprire il
giornale sulla storia di questo suicidio. Ci siamo risposti che non
c'è niente di demagogico nel raccontare la realtà, le cose che
succedono, le tragedie e nel dire perché ci indignano. Vedete, tanti
giornali tengono in prima pagina, da giorni e giorni, la morte di
Meredith, una ragazza americana dolcissima, seria, innocente, uccisa
misteriosamente a Perugia, e che merita tutto il nostro rispetto e
amore. Ma perchè alla storia di Meredith spetta la prima pagina e a
quella di Paolo no? Vedete, tutti i grandi giornali hanno tenuto per
giorni e giorni nei titoli di apertura la storia di quella signora
sfortunatissima, uccisa e violentata a Tor di Quinto qualche settimana
fa, e hanno raccontato il dolore della sua famiglia mite e
meravigliosa che si è dimostrata assai più tollerante delle autorità e
dei leader politici, e soprattutto hanno raccontato dell'orrida
immoralità del suo assassino, un rom, e per estensione di tutti i
simili a quell'assassino (e cioè non gli altri assassini ma gli altri
rom...).
Certo il caso di Paolo è meno appassionante. Noi non sappiamo chi ha
ucciso Meredith e non sappiamo nemmeno in che modo le autorità
riusciranno a perseguitare il popolo rom...Invece l'uccisione di Paolo
possiamo archiviarla subito, sappiamo che ha fatto tutto da solo, che
è suicidio.
Non ci sono colpevoli? Certo, non ci sono colpevoli, nessuna persona
porta la responsabilità per questa morte. Però c'è un sistema che è
colpevole. Ed è il sistema che funziona sul precariato, cioè sulla
riduzione del costo del lavoro che avviene attraverso il semplicissimo
meccanismo di considerare i lavoratori "cose", oggetti inanimati e
interscambiabili", strumenti della produzione, e dunque nel
considerarli una "variabile" economica da tenere sotto controllo. E
nel considerare il lavoro solo un aspetto "subordinato"
dell'imprenditoria, non un momento fondamentale della vita di milioni
di donne e uomini, non la chiave di volta di tante esistenze, che
influisce sul benessere, sui rapporti individuali, sulle relazioni
familiari, sulle emozioni, sulla stabilità emotiva. Il sistema del
precariato - dopo la grande stagione degli anni '70 e delle conquiste
del lavoro e dei diritti - è un secco e gigantesco arretramento delle
civiltà. Duecento anni fa i francesi liberarono i servi della gleba e
stabilirono che non erano più cose, erano uomini, erano liberi. Ecco,
ora avviene esattamente l'inverso: il sistema del precariato riduce i
lavoratori a cose, calpesta la loro dignità, toglie la libertà, e in
alcuni casi, come nel caso di Paolo, spinge fino alla morte.
Come è possibile che una parte consistente del mondo politico, di
destra, ma anche di centrosinistra, non si renda conto di questo? E
continui ad affrontare la discussione sul precariato come fosse una
discussione di economia? Anteponendo ad ogni cosa - a ogni idea, ad
ogni principio di rispetto per gli esseri viventi - il principio
della "competitività, promosso a valore assoluto, a imperativo
categorico? Le cose -i profitti - diventano padrone degli uomini.
E'
così difficile capire che il problema del precariato è una grande
questione umana, di civiltà, e che non se ne può neanche discutere se
si parte dai soldi anziché partire dalle anime e dai corpi delle
persone reali?
Liberazione 23/11/2007 [notizia ricevuta e pubblicata] |