Ergonomia: lineamenti storici e definizioni

 

 

E’ dell’inizio del secolo scorso l’idea che una scienza del lavoro avrebbe potuto fornire un contributo obiettivo alla soluzione di problemi sociali. Una cultura ancora fortemente imbevuta di influenze positivistiche e social-umanitarie spingeva ad affermare che lo studio scientifico del posto di lavoro doveva condurre al miglioramento dello stesso e, per quanto possibile, alla gratificazione del lavoratore. Di fatto, i cambiamenti tecnologici di fine secolo – aumento della meccanizzazione, avvento dell’industria di processo – vanificarono queste buone intenzioni. Il lavoratore perse gradualmente la facoltà di organizzare liberamente il suo lavoro e divenne un semplice ingranaggio in un circuito di produzione, la cui complessità lo sovrastava e la cui concezione si uniformava rigidamente ai soli imperativi del rendimento. 

Le esigenze poste dalla prima guerra mondiale – il reclutamento del personale militare da assegnare a compiti più o meno qualificati, la preoccupazione di assicurare livelli quantitativi e qualitativi del rendimento nelle fabbriche di armi – portarono in primo piano una nuova disciplina, la psicotecnica, definita come unione della psicologia e della tecnica in collaborazione con metodi fisiologici. Ma fin dagli inizi del suo sviluppo, la psicotecnica si trovò di fronte allo “Scientific Management” di Taylor.

 

Il costante appello alla superproduzione proprio dell’organizzazione scientifica del lavoro orientò verso obiettivi diversi da quelli originari i canoni della psicotecnica. Dal posto adatto all’uomo, si passò e si perseguì l’obiettivo della ricerca dell’uomo adatto al posto di lavoro.

Lo sviluppo degli studi ergonomici sulle relazioni tra uomo e ambiente di lavoro fu piuttosto lento durante il periodo della grande depressione economica che investì negli anni trenta il mondo intero, ma ricevette un grande impulso durante la seconda guerra mondiale, allorché dovettero essere risolti unitariamente problemi derivanti dall’invenzione e dall’uso di strumenti complessi e difficili da governare. Sotto la spinta poderosa di esigenze belliche impellenti, furono avviati, infatti, studi scientifici volti ad analizzare ed ottimizzare l’interazione tra gli aerei da guerra e i rispettivi piloti. Durante la seconda guerra mondiale, gli aerei erano già in grado di volare a centinaia di chilometri l’ora coprendo lunghe distanze in situazioni disagiate e d’estremo pericolo. I sedili dovevano perciò essere disegnati in modo da offrire la maggior comodità possibile per scongiurare il pericolo di crampi; gli strumenti collocati in modo da risultare leggibili con una sola occhiata; l’attrezzatura di vitale importanza, come l’inalatore a miscela ad alta quota, correttamente disposta e di comodo impiego.

 

La strategia che vedeva il lavoro come costante e l’uomo come variabile, nella nuova situazione tecnologica, non poteva fornire alcun contributo sulla conoscenza dei termini della relazione uomo-macchina.

 A questa strategia venne a contrapporsi, quindi, un tipo di approccio la cui enfasi era invece posta nel lavoro e sull’ambiente al fine di adattarli alle capacità e ai limiti dell’essere umano. Il paradigma “l’uomo diviene la costante e il lavoro la variabile” poneva come esigenza conseguente la necessità di formulare una strategia di interventi che, invece di individuare nell’insieme delle risorse umane quei “profili professionali” adattabili alle richieste dell’organizzazione, “manipolava” la variabile lavoro in modo che ogni persona poteva adattarvisi.

Da quel momento in poi (anni 40), la ricerca di livelli ottimali di integrazione fra l’uomo e la macchina diventò lo scopo e l’interesse di indagini e ricerche sempre più numerose, inquadrabili tutte all’interno dell’emergente scienza che, negli USA, prendeva il nome di “Enginnering Psychology” o di “Human Engineering”, precursore diretta dell’ergonomia.

 

 La parola ergonomia fu coniata, infatti, nel settembre1949 in Inghilterra da K. F. Murrel unendo insieme i vocaboli greci “érgon” (lavoro), e “nomos” (norma, legge naturale). Murrel spiegherà che il termine ergonomia fu adottato proprio per distinguersi dagli statunitensi che, a suo dire, rischiavano troppo di cadere nello psicologismo. L’ergonomia doveva ricoprire un’area più vasta, soprattutto in direzione della medicina del lavoro, servendosi delle conoscenze mediche per esplorare in maniera esaustiva e funzionale il rapporto uomo-macchina o uomo-ambiente di lavoro.

Il rapporto tra uomo e lavoro è sicuramente complesso e proteiforme, caratterizzato com’è da aspetti di carattere fisiologico, psicologico, sociale ed è quindi chiaro che la definizione data non è esauriente, né si prefigura cosa semplice tentare di formularne una chiara e completa. Del resto, numerosissime sono state negli anni le definizioni proposte per ergonomia, nessuna delle quali però universalmente accettata.

Nel 1961 l’Ufficio Internazionale del Lavoro di Ginevra propose di definirla come “l’applicazione congiunta di certe discipline biologiche e di certe discipline ingegneristiche per assicurare tra l’uomo e il suo lavoro il migliore mutuo adattamento al fin di accrescere il rendimento del lavoratore e contribuire al suo benessere”.

 

La ricerca ergonomica ha per caratteristica essenziale l’interdisciplinarietà, rappresenta cioè il risultato di un lavoro di gruppo che si avvale degli apporti di specialisti di diversi settori senza privilegiarne alcuno: al centro dell’attenzione degli ergonomi, i cultori di questa scienza interdisciplinare, è sempre l’uomo, considerato come entità fisiologica e sociale e non, come si è già detto, come semplice fattore condizionante la produttività. Ad essa contribuiscono l’anatomia per lo studio della struttura del corpo umano, l’antropometria per le sue dimensioni, la fisiologia per le sue funzioni (in particolare le funzioni degli organi sensoriali), la psicologia per definire e misurare le risposte soggettive agli stimoli esterni, la neurologia per il comportamento del sistema nervoso, la medicina industriale per i rapporti tra l’uomo e l’ambiente di lavoro, la bionica per lo studio dei modelli degli organi del corpo umano interessati all’attività lavorativa, la fisica e l’ingegneria per lo studio degli agenti fisici e tecnologici esterni.

 

E’ usuale distinguere l’ergonomia secondo tipi operativi come quelli di seguito indicati secondo gli aspetti che li caratterizzano.

Ergonomia di concezione. E’ il tipo di ergonomia che consegue i risultati più rapidi. Viene attuata quando il fattore umano viene considerato già nella fase concettuale della progettazione restando sempre presente nel lavoro progettuale e nella fasi esecutive. I contributi specialistici, opportunamente amalgamati, permettono, attraverso successivi momenti di sintesi correttiva, di conseguire il risultato ottimale.

Ergonomia di correzione. E’ così definita l’ergonomia finalizzata a modificare esistenti condizioni di pericolo o di disagio per il lavoratore. Non sempre permette di conseguire un risultato ottimale e generalmente comporta costi più elevati rispetto ad interventi effettuati nella progettazione.

Ergonomia della produzione. Viene così definito l’approccio focalizzato prevalentemente alle linee di produzione, con particolare riferimento ai sistemi uomo-macchina, senza specifica considerazione del contesto globale.

Ergonomia del prodotto. Comprende gli interventi rivolti a rendere il prodotto industriale più sicuro e più efficiente per l’acquirente.

Ergonomia di laboratorio. Prevede lo studio delle condizioni di lavoro nella loro riproduzione in laboratorio.

Ergonomia sul campo. Viene così definito l’approccio di verifica sul campo di lavoro di modifiche progettate o di un nuovo sistema, verifica sempre opportuna e, talvolta, indispensabile per controllare la validità del progetto o delle modifiche organizzative prima di introdurle definitivamente nel sistema produttivo.

 

I costi dell’intervento ergonomico di concezione sono tendenzialmente contenuti perché la loro esecuzione durante la realizzazione dell’opera complessiva ha costi decisamente minori degli interventi realizzati a posteriori come correzione e quindi gravati dei sovraccosti tipici dell’intervento correttivo.

 

Il progetto ergonomico è invece un po’ più oneroso del progetto tecnico perché richiede il coinvolgimento di un maggior numero di competenze e una certa dilatazione dei tempi.

Il campo di applicabilità dell’ergonomia non è solo quello industriale. Sin dall’immediato dopoguerra il concetto di design ergonomico è stato esteso fino ad abbracciare ogni settore dell’esistenza fisica dell’uomo, compresi i generi consumo, arredamento domestico ed altro ancora.

L’ergonomia è pertinente al lavoro in tutte le organizzazioni di ogni tipo e dimensione; basti pensare alla ricerca antropometrica applicata al sedile nell’ufficio, alle autovetture, alla centina di lancio di un aereo.

La ricerca biomeccanica del rachide è applicabile per ridurre gli infortuni nei lavori che comportino sollevamento pesi; la ricerca sulla capacità sensoriale e sui processi mentali è applicabile alla conduzione e controllo dei processi chimici e nucleari, ai compiti di ispezione e di controllo del traffico aereo, alla riduzione dei rischi nella guida di carrelli, treni e veicoli in genere.

Una delle branche centrali dell’ergonomia, che può definirsi “ingegneria umana”, consiste nel superare e scegliere i compiti da attribuirsi all’uomo e quelli da attribuirsi alla macchina. Sulla base di una scelta appropriata si potrà progettare una “macchina ergonomica”, in altre parole conducibile o guidabile dall’uomo nel rispetto delle sue capacità, con limitazione dello sforzo fisico e con pieno utilizzo delle sue facoltà mentali.

Un aspetto non trascurabile dell’ergonomia è la sua relazione positiva con la produttività del lavoro. Le persone che lavorano in un sistema progettato ergonomicamente si affaticano di meno e sono meno distratte da situazioni confortevoli. 

Una postura di lavoro progettata ergonomicamente dà meno problemi nello svolgimento delle attività e soprattutto consente di operare con maggiore efficacia: questo significa più basse probabilità di errori e di incidenti, minor tempo speso per controlli incrociati e miglior disposizione psicologica.

Talché i benefici dell’applicazione dell’ergonomia sono rivolti non solo alle persone, ma alle stesse aziende e di conseguenza a tutto il sistema lavoro.

 Studi nel settore hanno dimostrato che gli investimenti ergonomici si ripagano molto rapidamente.

Il costo dell’ergonomia dipende dal ciclo di vita del sistema cui si decide di applicarla. Se essa è applicata già in fase di progettazione, il costo è molto ridotto; applicata quando il sistema è già operativo i costi aumentano.

Si può quindi affermare che gli obiettivi dell’ergonomia sono sì rivolti alla salvaguardia della “efficienza umana”, intesa come pienezza delle capacità necessarie per lo svolgimento di attività che individui o gruppi compiono consapevolmente, ma sono altresì mirati all’incremento complessivo della produttività dei sistemi.