Letteratura
Giovanni Verga nacque a Catania il due settembre 1840, da una famiglia
liberale, di nobili proprietari terrieri. Il padre, Giovanni Battista
Verga Catalano, discendente da un ramo cadetto dei baroni di Fontanabianca
, era originario di Vizzini, centro agricolo in provincia di Catania. A
Vizzini la famiglia Verga conservò sempre delle proprietà, e lì poi il
romanziere avrebbe ambientato gran parte del suo Mastro Don Gesualdo.
Da ragazzo studiò nella " scuola fantasiosa del fantasioso Don Antonio Abate".
A 16 anni il Verga compose il suo primo romanzo "Amore e patria".
S'iscrisse nel 1858 nella facoltà di legge all'università di Catania,
attratto però dalla sua vocazione di scrittore e giornalista si dedicò
ad un nuovo romanzo "I carbonari della montagna" e quindi ad un terzo
"Sulle lagune".
Con l'arrivo di Garibaldi a Catania, si arruolò nella Guardia Nazionale
prestandovi servizio per quattro anni. Ma nel giovane Verga andava
facendosi sempre più vivo il desiderio di lasciare la Sicilia, perciò
nel 1865 fece il primo viaggio a Firenze. Già nel 1866 pubblicava il
romanzo "Una peccatrice" a cui nel 1871 sarebbe seguita "Storia di una
capinera". Il libro ebbe un notevole successo e favorì il giovane
scrittore nel suo desiderio di affermarsi nella "splendida società
fiorentina", dove conobbe Francesco Dall'Ongaro che aiutò molto il
giovane siciliano e lo introdusse nel più famoso salotto fiorentino
della tedesca Ludmilla Assing. A Firenze incontrava la diciottenne
Giselda Fojanesi, con la quale ebbe stretti rapporti d'amicizia. Nel
1872 si trasferì a Milano dove si trattenne per oltre un ventennio fino
al 1893. Qui il Verga venne presto a contatto con quel mondo culturale
allora particolarmente attivo. Dopo aver frequentato i salotti della
famosa contessa Clara Maffei, partecipò intensamente alle discussioni
e alle polemiche culturali del tempo che furono determinanti nel maturare
in lui il nuovo atteggiamento verista. Infatti già nel 1874 compariva la
sua prima composizione il racconto "Nedda". Quindi, trovata la sua
giusta ispirazione produsse, nel volgere di pochi anni, dal 1880 al
1889, tutti i suoi capolavori: Vita dei campi (1880), i Malavoglia
(1881), Novelle rusticane 1884), Mastro Don Gesualdo (1889). L'amicizia
con Luigi Capuana che risultava importante per la "conversione al
verismo", entrò in contatto con il circolo degli Artisti "scapigliati"
che vivevano un'esistenza "maledetta" e coltivavano una letteratura
sperimentale. Allargò le proprie conoscenze letterarie e filosofiche
leggendo opere d'autori Francesi contemporanei.
Nel 1878 formulò il programma del verismo italiano. Nel 1881 Capuana
recensì i Malavoglia sul "Fanfulla della domenica", rivelandone i pregi.
Nel 1893 Verga tornò a Catania, ove dapprima si trattenne per lunghi
periodi finchè si stabilì definitivamente. Là scrisse ancora qualche
opera come "Dal tuo al mio", ma soprattutto passò nel silenzio e nella
solitudine un'esistenza di benestante e sfaccendato, anche se
segretamente rattristato dal vedere non abbastanza capita e amata
la sua produzione più grande. Politicamente, pur essendo un moderato,
sostenne dapprima l'azione di Crispi e poi aderì al nazionalismo,
aspirando ad un'Italia che sapesse affermarsi sul piano militare e
politico. Verso la fine della vita gli arreccarono, soltanto fastidio
le onoranze tributategli per il suo ottantesimo compleanno alla
presenza di Pirandello e di Croce. Scarsa soddisfazione gli procurò
poco dopo anche la nomina a Senatore. Morì a Catania il 27 gennaio
1922.
Le opere dei primi anni preannunciano solo in parte i futuri indirizzi
del pensiero e dell'arte del Verga. Esse costituiscono la momentanea
espressione della sua giovinezza siciliana e dei tempi eroici della
seconda guerra d'indipendenza e dell'impresa dei Mille. Sono tre romanzi
storici ispirati alle vicende reali del tempo e animati da un'intensa
passione patriottica. "Amore e patria" è il primo romanzo che il Verga
scrisse a 16 anni e poi rimasto inedito. "I carbonari della montagna",
in quattro volumi, narrano un episodio della rivolta calabrese contro i
francesi sulle lagune e la storia della vita politica veneziana sotto
gli austriaci, con l'intreccio di una storia d'amore tra una fanciulla
italiana e un giovane ufficiale ungherese.
Nessuno di questi tre romanzi si può però definire un'opera d'arte.
La produzione del Verga in questo periodo non è ancora giunta alla piena
maturità artistica.
Il romanzo "Sulle lagune" tende all'ispirazione passionale col predominio
dell'intreccio amoroso e della vita galante, e come la rievocazione
storica del passato lasci il posto all'interesse per la cronaca
contemporanea. In questo secondo periodo predominano i romanzi dominati
tutti dalla passione forte e spesso drammatici. Questi, da una parte sono
vicini alla letteratura romantica francese, dall'altra per la loro
sensualità che preannunciano tanta parte della futura produzione
dannunziana.
Una peccatrice (1866). Narra l'amore di uno studente di modeste
condizioni per una donna di lusso: dapprima il giovane ama e delira
per la conquista tanto desiderata, poi si stanca e si allontana. Allora
la donna da superba e indifferente, senza più una ragione di vita, si
avvelena fra la musica e i baci e muore alle note di un valzer.
Storia di una capinera (1871). Una fanciulla, Maria, scrive ad una amica
narrandole dapprima l'ardore del suo animo e poi il dolore di
un'esistenza che lentamente sfiorisce per poi spegnersi in un convento.
Eva (1873). La storia di un'affascinante maliarda che s' innamora di un
pittore siciliano.
Tigre reale (1875). Giorgio Laferlita, un uomo debole di carattere,
dimentica la moglie e i figli preso dalla passione di una giovane
signora russa, Nata, una donna strana, volubile, una vera tigre in amore.
Eros (1875). L'ultimo dei romanzi romantici e passionali del Verga,
dove si narrano le vicende amorose di un giovane signore, il marchese
Alberto, che passa una vita superficiale e viziosa nei salotti di Firenze
o in una villa sul Lago di Como; vita inutile che trova la sua
conclusione in un colpo di pistola.
Quest'ultimo romanzo chiude il ciclo dell'ispirazione romantico-passionale
, durato circa 15 anni, in cui descrive il motivo che porta gli uomini
per una passione, una colpa, un errore a un destino che li travolge
sopraffacendoli e lasciandoli impotenti e soli. Già in questi romanzi
affiora la forma di un grande narratore che appare affascinante e
profondamente rinnovato.
Possiamo datare la conversione di Verga al verismo al 1874, punto di arrivo di un lento ma approfondito travaglio spirituale. La questione meridionale primo esempi di problematica sociologica in Italia, oggetto di varie inchieste politiche (Villari, Fianchetti, Sonnino, Fortunato) indussero lo scrittore a verificare proprio sulla terra l'ineluttabilità delle leggi economiche e di classe contro le quali riteneva inutile ribellarsi. In "Fantasticheria" Verga tesse l'elogio "della morale dell'ostrica": guai a staccarsene "per brama di meglio". Il naturalismo francese stimolando la coscienza critica di un processo stilistico già in atto (carteggio con Capuana e il giornalista Cameroni), portò lo scrittore alla formulazione del principio dell'impersonalità l'unico che gli sembrava adeguarsi alla realtà storica e sociale che andava scoprendo così da far apparire l'opera d'arte "essersi fatta da se".
Il Verga accettò lo spirito europeo rivolto al concreto, al preciso dove
tutti i poeti narratori volgevano nella seconda metà dell'ottocento.
L'adesione al realismo lo portò ad introdurre profondi cambiamenti
stilistici. La novità più rilevante fu quella di porre di fronte al
lettore solo la realtà quotidiana nella
sua essenza più nuda e dolorosa. A partire dal '78 egli utilizzò nuovi
strumenti conoscitivi che si espressero in contenuti nuovi e diversi da quelli
romantico-sentimentali dei primi romanzi. Infatti, assimilò i canoni del
darwinismo-positivistico (il senso della vita come lotta per l'esistenza, la
selezione naturale, l'ambiente detrministico) e del realismo-naturalismo (abbandono di
ogni autobiografismo e sentimentalismo, rappresentazione scientifica del reale,
metodo dell'impersonalità). Ciò gli consentì di cogliere
più in profondità strati popolari, di meglio capire le contraddizioni
della società borghese, i costi alienanti del forzato progresso.
Tuttavia questo non gli impedì di
caratterizzare la personalità dei protagonisti dei romanzi in
maniera chiara e precisa, infatti essi dimostrano una passionalità istintiva
che nasce dalla realtà in cui si trovano ad agire. L'arte del Verga
arrivò alla piena maturazione solo quando aderì al realismo che aveva
esercitato su di lui un incredibile fascino.
I grandi romanzieri come Dumas, Guerrazzi, Flaubert e Balzac, Maupassant
e di Zola lo precedettero offrendogli grandiosi esemplari di
letteratura universale riconosciuti per la loro validità artistica.
Pur aderendo al realismo, si allontanò dall'aspetto "scientifico" del
naturalismo francese e in particolar modo da Zola che, essendo un medico
e uno scienziato, trasferiva nei suoi romanzi principi enunciati dal
famoso scienziato Claude Bernard.
In generale il verismo italiano e il Verga si allontanarono dalle ricette
scientifiche dello Zola e s'interessarono in particolar modo alle realtà
quotidiane dei piccoli modi provinciali, trasfigurandone
nostalgicamente i tempi e i luoghi.
Gli scrittori veristi cercarono in tal modo di voler scoprire e
inquadrare i difetti e le virtù delle loro piccole provincie. Anche
Verga riscoprì la sua terra, la Sicilia, cercando di riprenderne
possesso, dopo il lungo esilio che l'aveva tenuto lontano, descrivendo
la natura dei costumi, delle paure, dei formalismi , della civiltà tutta
fatta di convenzioni. Inquadrò anche le memorie pure della sua infanzia
e riprese l'amore per la sua terra. Qui vi ritornava con un animo
pentito per essere stato eccessivamente critico nei confronti della
sua terra, che comunque rimaneva per lui come un remoto miraggio
oggetto di una disperata nostalgia.
Si può affermare che la poesia italiana è nata dal pianto che alimenta
tanta parte della narrativa dell'ottocento: dai "Promessi sposi" a
"Piccolo mondo antico", dal "Marchese di Roccaverdina" a "Canne al
vento".
Verga verista era ben lontano dalla diagnosi lucida e fredda dei
naturalisti francesi; egli accentuò nei suoi racconti il dolore, la
fatica, le diverse categorie sociali come se fosse lui stesso a patirle.
Trovandosi dinnanzi all'inesorabilità del destino, cercò di attribuire
ai suoi personaggi più significativi un sentimento di fatale
remissione a quanto il destino ha fissato per ciascuno, che discerne
dalla fede in Dio e dalla Provvidenza. Il denaro e il fattore economico
sono il tema portante di molti suoi libri. Questo, però, non significa
di solito, svilire coloro che soffrono per ragioni economiche, ma semmai
accrescere l'intensità del dolore e mostrare come il destino si abbatta
con costanza sugli umili, sui poveri e sui deboli.
Nello stile, nella sintassi, nel linguaggio, Verga verista è ben diverso dal Verga romantico. La sua conversione è stata improvvisa come diceva egli stesso. Affermava che era una storia semplice che mentre stava preparando dei romanzi gli capita in mano una specie di giornale di bordo, un manoscritto discretamente sgrammaticato e asintattico in cui un capitano narra di peripezie superate dal suo veliero. Lo colpì, lo rilesse e si accorse che era ciò che cercava senza accorgersene. A volte, diceva, basta un segno, un piccolo punto e per lui fu un fascio di luce. Da qui Verga raccoglierà passioni e le ridarà agli uomini senza alterarle o ingigantirle mettendosi egli stesso in disparte, guardando e non esaltando. La vita e l'eloquenza dei fatti parleranno da soli e le parole sincere e vere ma precise e appropriate talvolta saranno dialettali, così da risultare più spontanee e reali. La sintassi prenderà la vivacità del parlato schietta, asintattica e sarà come se fosse in bocca agli umili. Queste parole assieme alla sintassi allo stile, che parleranno di poveri e di umili, serviranno a portare nella tradizione italiana, troppo appesantita e astratta di vocaboli aristocratici, un soffio umano di vita, di ricchezza, di cose fresche e concrete. La conversione formale dal romanticismo al verismo non è stata però così improvvisa. In lui c'era da tempo la ricerca di una forma più sincera. In Verga è innata una predilezione al realismo, forse ereditata dal Manzoni, dove però l'uomo, nonostante tutto, si trova in mano a forze cieche e ignare che lo vedono chiuso e imprigionato in una realtà terrena di ansie e di pena, di ambizioni e di sconfitte.