L 'alimentazione
Nel 1861 la popolazione italiana contava 26 milioni e centomila abitanti, compresi i 4 milioni e centomila del Lazio e del Veneto, non ancora annessi al nuovo stato. La speranza di vita si attestava sui 35-40 anni e 200 bambini su mille morivano entro il primo anno di vita. Ricorrenti erano le epidemie di vaiolo, tifo e colera. Nelle regioni meridionali infestava la malaria. A Nord era diffusa la pellagra, dovuta a carenze alimentari. Diffuse anche la tubercolosi, la difterite, il morbillo, la scarlattina. L'elevata incidenza delle malattie era dovuta principalmente ad una generalizzata carenza di un'adeguata alimentazione. Prevalentemente si consumavano cereali, mentre insufficienti erano gli apporti alimentari di proteine, grassi, vitamine e sali minerali. Questa dieta così squilibrata limitava la sopravvivenza nei primi anni di vita e forniva all'adulto una quantità di calorie appena sufficiente per il duro lavoro giornaliero. Critiche erano anche le condizioni economiche: il 70% della popolazione era formato da contadini che vivevano miseramente; il 18% erano operai che ricevevano salari appena sufficienti per la sopravvivenza.
Le colonne del grafico corrispondono alla percentuale di famiglie (distinte tra povere e ricche, e nord, centro e sud) che consumavano normalmente i vari tipi di cibo. Risultano evidenti le carenze dell'alimentazione delle famiglie povere, che mangiavano soprattutto polenta e legumi, raramente carne; quest'ultima era invece quasi sempre presente sulle tavole delle famiglie ricche , insieme al pane di frumento ed al vino. Da notare anche le differenze dovute alla disponibilità ed alle abitudini regionali: massimo consumo di polenta al centro-nord, e di legumi e frutta nel sud.
In questa stampa popolare dell'epoca è rappresentata una caricatura relativa all'imposta sul macinato. In tale vignetta satirica alcuni ufficiali dello stato esigono da un mugnaio il pagamento dell'imposta: "i padroni in casa altrui", come commenta una scritta a piè dell'immagine (che qui non compare).
L'imposta era impossibile da pagare, poichè corrispondeva a dieci giorni di salario operaio, per un consumo familiare medio di cereali in un anno. Numerosi moti di protesta scoppiarono soprattutto nelle campagne, furono repressi provocando centinaia di morti e oltre mille feriti. Dal 1879 l'imposta venne ridotta, e nel 1884 fu abolita. Si trattava infatti di un onere rilevante per la popolazione: basti pensare che nel periodo tra il 1872 e il 1881 gli introiti provenienti da tale imposta furono mediamente apri al 6.5% delle entrate annuali dello Stato.