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presentazioni:

L.Farinaci

I.G.Cerasani

presentazione del libro di Duiglje a Roma

presentazione di O.G Bernardi a Roma

indice


Il Manifesto
Anni 40 d.C. Il primo prosciugamento
La Naumachia per l'inaugurazione di l'Incile
L'abbandono per quasi duemila anni
Real decreto per autorizzare a fare il secondo prosciugamento
L'unitá d'Italia
Inaugurazione di l'Incile del prosciugamento di Torlonia
Le stagioni non erano piú uguali a prima
Il Principe Padrone
1886 Muore Alessandro Torlonia e subentra il figlio Giovanni
Inizio dell'affittanza delle prime terre prosciugate l'intrufolamento della politica
l fratelli Tittone sfruttatori della povera gente
L'Estaglio
Decurtazione delle terre affittate ai grossi affittuari
Le barbabietole del Fucino, 1901 a Trara nasce lo zuccherificio
La nascita di un sindacato
Il terremoto del 1915 e la prima guerra mondiale
Assegnazione di 26 coppe di terra agli ex combattenti
Il Fascismo, Mussolini e Torlonia
Le baracche del terremoto malridotte
La guerra dell'Africa Orientale e della Spagna
Torlonia unico padrone dello zuccherificio
La seconda Guerra Mondiale
La ricostruzione e la democrazia
Lotte sociali, scioperi a rovescio e la riforma agraria
Nonno é morto
Sta cominciando la riforma agraria
L'accorpamento delle particelle
Assegnazione delle terre e resistenza dei decurtati
Sistemazioni stradali, canalizzazione, fossi interpoderali
Risanamento dei paesi intorno a Fucino con cantieri scuola
Colonie marine per i bambini
Emigrazione in Australia , paesi Europei e immigrazione in Maremma
Nascita delle cooperative tra assegnatari e consorzio delle cooperati
Autonomia dell'Ente Maremma, istituzione della Cassa Mutua Assegnatari
Case per i piccoli assegnatari
Si stanno avverando le ultime parole di Tatone
Telespazio
Fucino si sta motorizzando. Tristi ricordi
Bei ricordi, ma troppo faticosi
L'irrigazione
L'anguillula
L'abbandono
Coraggiose iniziative, attrezzature moderne
La famiglia moderna
Fucino l'orto piú grande d'Europa

IL MANIFESTO

I

Ho visto un manifesto tutto nero
con una striscetta in mezzo colorata,
da sopra alla metà messi in fila
c'erano bei colori, non per dire!

lo per guardarlo meglio l'ho staccato.
Lo guardo sotto, sopra, lo rigiro,
pare una cosa che mi porta in giro,
senza capir qual'è il significato.

Subito appena che l'ho visto
a dir la verità io mi son detto:
quest'è un manifesto di un artista,

ma di un artista bravo per davvero,
di un pittore, insomma, futurista
che fa la propaganda per una ditta!

II

Mi son venute tante ditte in testa;
per i funerali, fare la propaganda
sembra una cosa alquanto stravagante,
si sa che noi moriamo, però scoccia

vedere un manifesto che ogni tanto,
magari mentre stai a far bisboccia
o stai ubriaco come una cocuzza
ti ricordi il prete e l'Olio santo.

Allora non può essere! Ho pensato.
E' inutile pensare non ce la faccio!
Questa striscetta tutta colorata

tiene un significato, non è a casaccio,
se ce l'ha messa quando l'ha pittata
vuol dire che a qualcosa si riallaccia.

III

Non sono in grado io di giudicare,
quale sia il suo vero significato
e l'unica cosa bella, sorprendente,
non è quello che ho pensato prima,

ma i colori che elegantemente
sono stati messi con una certa rima
e specialmente quelli messi in cima
fanno un certo effetto per la gente:

celeste, azzurro, verde, ciclamino,
caffè, cannella, arancio, violetto,
dove più verde, dove più azzurrino,

un blu più scuro vicino a un bluette
e alla fine di questa strisciolina
c'è appesa rossa una freccetta.

IV

La gente si domanda: che è questo?
Ed altra gente risponde appresso:
lo hai capito tu? Bhè fa lo stesso!
Si vede solo che è una cosa triste.

Ma io però, per non passar da fesso,
sono andato a chiedere all'artista
e gli ho detto: Non è che voglio insistere,
però mi dovresti spiegar, senza interesse,

così, soltanto per curiosità,
qual'è il significato di questo coso,
anche perchè, a dir la verità,

a questo coso non ci si vede chiaro,
anzi è più scuro dell'oscurità,
agli altri e pure a me così pare.

v

" Innanzitutto ci sta scritto sotto ".
Mi rispose bello, calmo, calmo.
" E' facile da capire non è un salmo,
si spiega e si capisce sull'istante.

E' chiaro com'è chiara una bell'alma,
come la luna piena a mezzanotte,
come un quadro che faceva Giotto,
come si legge un'emme in mezzo al palmo "

"Parli così, perché tu hai studiato,
ma noi non le sappiamo certe cose,"
gli ho risposto io mortificato,

noi la rosa la chiamiamo rosa,
siamo così, non siamo complicati.
Ecco perché ci sembra misterioso.

VI

" Va bene, ora te lo spiego chiaro e tondo:
tutto il significato di questo "affare",
come lo chiamate tu e i tuoi compari;
ancora il mondo non s'è emancipato!

Questo celestino sopra, questo chiaro,
non si deve spiegare lo sanno già gli alunni
(non ci serve un pozzo di scienza!)
Gli alunni della prima elementare!

Questo è il cielo, già lo hai capito,
questo più scuro è il lago vero e proprio,
questo viola è chi ha più patito,

il verde invece è tutta un'altra storia,
è il prosciugamento già finito
e l'uomo che ha avuto la vittoria.

VII

Questo arancione è il sole, l'alba nuova
che illumina tutta intera la campagna,
la guarda, l'accarezza, l'accompagna,
mentre la calda terra già si muove,

si muove s'inverdisce, si rinnova,
senza aver paura quando piove,
ormai ha superato già le prove,
anzi ci gode, non si lagna.

Il contadino, pure col sudore,
però lontano dalle vecchie usanze,
offre alla terra tutto il proprio cuore

vedendo innanzi a sé quell'abbondanza
di spighe belle, gonfie, color d'oro,
che portano la gioia e la speranza.

VIII

Poi, bhè! Poi neppure io
so dirti con la precisione...
Il blu, il violetto è la passione,
le sofferenze... che ti posso dire!?

Lo so non è proprio questa l'occasione,
per carità e per l'amor di Dio!
Però tu pure sai che oggídì
chi non si fa capire è quello bravo.

E dopo per finire l'ho completato
con la macchietta rossa, la freccetta
che indica i secoli passati.

Ma io la vedo sotto un altro aspetto:
il sangue che la gente ha qui versato
e a cui nessuno mai ha dato retta.

IX


Questa è la spiegazione, ti stupisce?
E questo campo nero sono i lutti
che son successi a causa di farabutti
ch'ancora nessuno ha mai punito.

Io ho finito, ti ho spiegato tutto.
Trovalo tu ora chi smentisce
queste cose che nessuno capisce
e possa dire che questo "affare" è brutto ".

" Ma questo è un mortorio, caro artista ",
gli ho risposto, "questo manifesto
è buono per annunciare una cosa triste,

non è stato fatto per annunciare una festa!
Il sole appena, appena s'è intravisto,
subito dopo è tutta una tempesta".

X

"Secondo me potevi fare almeno,
che posso dire, una cosa rimediata:
un campo con il grano seminato,
il cielo con un bell'arcobaleno,

grosso, splendente com'è, colorato,
che illuminava, in mezzo a tante pene,
qualche speranza alquanto più serena
per questa gente tanto affaticata.

Invece tu hai fatto tutto scuro,
senza orizzonte, senza un barlume
che facesse intravedere un futuro.

Tutto è coperto da un fitto fumo.
Quest'è una coppa e mezza di paura
e senza una fiammella che l'alluma".

XI

Tatone me l'ha sempre raccontato
di prima e dopo prosciugato il lago,
quando la gente stava crocifissa,
quando non teneva i soldi neanche per lo spago,

per rattoppare le reti sempre rotte,
quando con una barchetta sgangherata
andava a pesca sempre, giorno e notte,
senza potersi fare una saziata

di pesci solo perché doveva venderli
a quelli che non andavano a pescare
e a qualcuno che poteva spendere,

forse senza poterli mai provare,
senza potersi mai riposare
per tirare avanti e poter campare.

XII

Quelle erano sul serio sofferenze:
senza olio, senza pane, senza niente,
solo quando si trovava chi ti facesse credito
si doveva impegnare la carne in mezzo ai denti

e non si finiva mai di scontare
la coppa di granturco avuta in prestito
(che non bastava mai a satollare)
da chi non ti faceva mai il resto.

Una pizza gialla cotta sotto il coppo,
un poco di polenta e un parrozzo,
era finita già tutta la coppa.

Non ci rimaneva più neanche un tozzo
per fare il pancotto, quindi, stop!
E rimaneva sgombro il gargarozzo.

XIII

casa era come una capanna
Afta solo di terra pasticciata,
tetto rotto era una condanna,
colava sempre sopra il pagliericcio;

senza il camino, il fuoco di cannucce
faceva solamente una vampata
che illuminava solo quella cuccia,
ma non poteva dare una scaldata.

Tra una vampata e un'altra, all'intervallo,
il fumo riscaldava quella tana,
ma il corpo non veniva riscaldato,

specie quando tirava tramontana.
Era più freddo là che in una stalla.
Peggio dei cani, poveri cristiani!

XIV

Bhe! solo qualcuno stava bene,
ma era l'uno, il due, il tre per cento.
E proprio questa era la ragione
per cui stava male tutta l'altra gente.

E mica male solo per stare male,
male più male di chi stava malato,
però erano quasi tutti uguali
satolli di lavoro ed affamati.

Nelle famiglie erano parecchi:
chi sette, otto e pure nove figli,
la fame gli riusciva dalle orecchie

e con i pidocchi in mezzo ai capelli,
i bambini e i poveri vecchi
seduti, accovacciati, a far sbadigli.

XV

L'uomo, penso io, non sa descrivere
quello che quella gente sopportava
per tirare innanzi e sopravvivere,
con tutto ciò si pure rassegnava.

Era una cosa proprio da non credere
e non si poteva far diversamente.
Come si dice: l'olio dalle pietre
non esce, ha voglia a fare esperimenti!

E senza storie, sempre più costretta
a sopportare la fame e il lavoro,
non c'era uno che le desse retta.

Doveva abbozzare, morir di crepacuore.
Destino infame! Vita maledetta!
Se reclamava era peggio ancora.

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ANNI 40 D. C. IL PRIMO PROSCIUGAMENTO

XVI

Fu generale la rassegnazione
da quando, non si sa, fu tramandata
da mille e forse più generazioni,
da sempre, insomma, non si ricorda data.

Giunse una speranza nei tempi antichi
da Cesare Augusto imperatore,
forse per farsi questa gente amica,
voleva diventare prosciugatore,

anche perché questa gente reclamava,
a parte la miseria e le umiliazioni,
il fatto che ogni tanto il lago straripava

e allagava, senza remissione,
le terre che la gente seminava
come se fosse una maledizione.

XV

Ma poi l'imperatore disse:"no, non posso,
Roma non ha ancora tanti sesterzi
per prosciugare un lago tanto grosso,
questa è una cosa seria, non è uno scherzo".

E rimase il tutto lettera morta,
però non proprio morta e sotterrata.
Quando Claudio, assieme alla consorte,
da Roma s'affacciò a `sta contrada,

come si' dice, insomma, a fare `na gita,
si ripensò a tutte le proteste
che sino allora erano fallite.

E senza perdere tempo, svelto svelto,
pensò di risolvere i vecchi attriti
e accolse tutte quante le richieste.

XVIII

Fece un progetto eccezionale,
per quei tempi, la più grossa impresa
del mondo intero, senza avere eguali
e forse senza neanche tante spese.

Tutti gli ingegnerì, gli architetti,
gli scalpellini, i geni, gli impresari,
nessuno escluso, tutti prelevò,
pure chi a lui era contrario.

Ogni sistema di realizzazione
fece mettere bello per iscritto,
preciso e con la massima attenzione.

Scrìtto meglio ancora di un editto
e ogni cosa con la soluzione.
Opera degna dell'antico Egitto.

XIX

Dunque, iniziarono verso Capistrello,
come le talpe fecero gli schiavi,
scavando nelle rocce, a forza di scalpello,
una galleria con puntelli e travi.

Dopo aggiustarono anche il fiume Liri,
era la realtà, mica uno scherzo!
Gli schiavi non costavano una lira,
però, secondo me, qualche sesterzio

se ne dovette andare, in undici anni,
a trentamila schiavi e prigionieri,
dovettero mettere qualche cosa in gola,

e poi le spese per il trasporto della terra,
la gente, quella buona di mestiere
e quelli che facevano gli sgherri.

indice

LA NAUMACHIA PER L'INAUGURAZIONE DI L'INCILE

XX

Dopo, finita quella galleria,
prima che entrasse subito in azione,
organizzarono, ma con maestria,
una festa per l'inaugurazione:

navi colme di condannati a morte
contro le navi di altri morituri.
I Consoli, i Patrizi, le Coorti,
Claudio, la moglie, addirittura,

vestita tutta d'oro sopra il podio.
Contenti di fare uccidere quelle genti
che fra di loro non tenevano odio,

però costrette ad uccidersi lo stesso
per dar spettacolo e divertimento
all'imperatore e alle principesse.

XXI

Quell'acqua bella, chiara, cristallina
di sangue divenne tutta rossa,
le genti allegre sopra le banchine
battevano le mani a flotte, a scrosci;

strillavano alla vista del macello:
pollice verso! Per ore, ore e ore
e quei poveracci, come agnelli,
morivano scannandosi tra loro.

Il sangue gli scolava a rivoli
da braccia, gambe, teste flagellate.
Fu un macello la naumachia!

Insomma fu una guerra, una delizia!
Volendo poteva essere evitata,
ma la fecero solo per uno sfizio.

XXII

Fatta la festa, qualche gladiatore
ch'era rimasto salvo dal flagello,
fece l'inchino all'imperatore
e questo aprì subito lo sportello.

L'acqua, il sangue, i gladiatori pure
cominciarono tutti a sprofondare.
Oh! Una parata appena che si stura,
non ci son santi, chi la può fermare?

Però tra morti, barche, lance e frane
e qualche cosa calcolata male,
tra catapulte, travi ed il pantano

la galleria non è che fu distrutta,
però non funzionò più da canale,
tanto che cominciò a fare i rutti.

XXIII

E furono costretti nuovamente
davanti a l'Incile a riscavar più sotto,
facendo una parata più potente
e lavorando sodo giorno e notte.

Organizzarono un'altra festa ancora,
non proprio grande come quella fatta,
ci stavano soltanto i gladiatori.
Aprirono lo sportello e, soddisfatti,

videro scorrere l'acqua senza intoppo,
la galleria vorticosamente
se la inghiotti senza essere troppa.

Intorno intorno il lago si abbassò
e dovettero crederci anche i miscredenti,
la terra piano piano, si scopri.

XXIV

Fu questo l'inizio del prosciugamento.
Fucino c'è rimasto prosciugato?
Nessuno dice proprio esattamente
se quelle terre furono coltivate.

Lo abbiamo detto, son venute a galla.
L'opera fu grandiosa, colossale,
sappiamo anche che non è una balla,
insomma una cosa eccezionale.

La storia ce l'ha detto, ripetuto
e l'hanno visto, mica son fandonie!
L'ha visto chi ci stava, e risaputo,

chi era allora come i giornalisti.
L'ha detto Plinio il Vecchio e poi Svetonio,
Dione, Tacito e gli altri meno in vista.

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L'ABBANDONO PER QUASI DUEMILA ANNI

XXV

Dopo, il disgraziato fu Nerone,
come si dice, io non c'ero allora,
che in mezzo a tutte le altre cattive azioni,
sempre "detto per detto signor pretore",

fece rintasare la galleria.
Per invidia, per dispetto? Non si sa.
Sicuramente per le porcherie
che solo lui sapeva fare.

Un imperatore bravo fu Traiano
che lavorò in modo più ingegnoso
e un altro imperatore fu Adriano.

Di certo non si sa cosa successe,
forse la galleria difettosa,
Fucino man mano riallagò.

XXVI

E c'è rimasto quasi duemila anni!
La gente seguitò ad andare a pesca,
sempre con i sacrifici e con gli affanni
e sempre in difficoltà per tirare avanti.

Hai voglia a far proteste, petizioni !
Gli entrava da un orecchio e da un altro gli usciva,
si stava proprio in brutte condizioni,
chi governava questo lo sapeva.

Il problema era troppo grosso,
non era una peschiera, un ristagno,
non è che si poteva fare un fosso

per poi farlo scolare ad un altro ancora.
Si doveva bucare di nuovo la montagna
e tutta l'acqua doveva uscire fuori.

XXVII

Per essere preciso son milleottocento
gli anni da quando niente più s'é appurato.
Se il Fucino è rimasto prosciugato
o s'è riempito immediatamente,

s'è stato per un poco seminato
ed ha aiutato a far mangiar la gente,
magari con un poco di polenta.
Ah! Le "mazzocche" non erano arrivate!

Cristoforo Colombo non ci stava!
Però ci stava un'altra cosa meglio,
il grano anticamente già esisteva.

Insomma, qualche volta il poverello
un poco di farina la trovava
per farsi, almeno penso, "i' frascarèjje".

indice

REAL DECRETO PER AUTORIZZARE IL SECONDO PROSCIUGAMENTO

XXVIII

Secoli bui gli uni dopo gli altri,
però s'intravide un esile barlume,
qualcuno s'era messo in testa
di far sparire questo brutto quadro.

ma camminava incerto, un po' a tastoni,
come se stesse a fare a guardie e ladri...
Si consigliò con una bella squadra
e dopo andò a parlare coi Birboni...

Ah, no! Mi sono sbagliato, coi Borboni:
incontri, discussioni, s'accordarono;
i modi, i tempi e altre condizioni

per prosciugare il lago e definirono.
Real Decreto per la concessione,
sottoscrivendo subito il contratto.

XXIX

Dove ci stava chiaro e tondo scritto:
la terra da Torlonia prosciugata
diventa proprietà del principato.
"Così fu scritto e così fu fatto".

La ditta era grossa e ben piazzata,
sicuramente manteneva il patto,
aveva i soldi per pagare le tratte,
un impresario ben organizzato.

Torlonia non si fida degli italiani,
la squadra di lavoro è forestiera
per noi, per lui è quasi paesana.

I progettisti sono due ingegneri
francesi, con il piano dei romani
che furono gli antichi pionieri.

ANNI 1850: L'INIZIO DEL SECONDO PROSCIUGAMENTO

XXX

E aprirono subito il cantiere.
La galleria antica era intasata,
dopo tanti anni e secoli passati,
ma i lavori, gli scavi e le maniere

erano uguali a quelle sotterrate,
pure se questi erano ingegneri,
quest'è la realtà non è un mistero.
Non potendo ricostruire l'antica galleria

cominciarono a costruirne un'altra affianco,
gli uomini, il tempo, le difficoltà
stavano sempre per sbarrare la via,

però si seguitò a lavorare.
Oddio! Non era proprio un'allegria,
ma si adoperava tanta volontà.

XXXI

Erano tempi brutti veramente:
briganti, guerre, le rivoluzioni,
gli uni contro gli altri, divisioni,
era continuamente uno spavento

che rimetteva tutto in discussione.
Litigi tra regnanti ed esponenti
di austriacanti i tradimenti,
discordie per le varie successioni.

Cavour, tra Mazzini e Garibaldi,
tra altri stati e cospiratori
senza riposo come fosse Malco,

metteva i punti più di un sartore
per ricucire gli strappi degli spavaldi,
faceva, insomma, il grande tessitore.

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L'UNITÀ D'ITALIA

XXXII

Vittorio Emanuele e la Rosina
non erano nemmeno tanto riservati
anzi erano proprio due sfacciati
in barba alla morale e alla Regina.

Ma questa cosa, vita da privati,
il Regno non portava alla rovina,
era una moda cara ai latini,
era una bella gloria per il Casato,

tanto che fu chiamato galantuomo.
Energico soldato, risoluto,
sprezzante della vita come uomo,

politico, stratega, ben voluto.
Re del Piemonte che guardava a Roma.
Per l'Unità d'Italia c'è voluto!

XXXIII

"Sensibile al grido di dolore"
che dall'Italia tutta si elevava
verso chì all'Unità già ci pensava
per non subir soprusi e disonori.

A qualche stato forse non piaceva
veder l'Italia riacquistare l'onore,
ma Re Vittorio ci metteva il cuore,
perché sapeva quello che voleva.

Cavour, Garibaldi assieme a lui,
pure Mazzini, gran repubblicano
erano sempre col pensiero fisso:

l'Italia unita, era questo il piano,
risollevare la Patria dall'abisso,
ridare l'Italia tutta agli italiani.

XXXIV

Eppure, in mezzo a questo guazzabuglio,
Torlonia seguitò a lavorare.
La galleria stava per sfondare,
non era come strutto che si strugge,

era la roccia dura da scavare,
si lavorava quasi sempre spogli,
fra caldo e sforzi da calare l'ernia
a botte di piccone e di spalate.

Per anni e anni queste nuove talpe,
ricominciando sempre a Capistrello,
dovettero ricostruire l'emissario.

Come quell'altre, uguale con gli scalpelli.
Una festícciola, un bicchiere, gli spari
e riaprirono subito gli sportelli.

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INAUGURAZIONE DI L'INCILE DEL PROSCIUGAMENTO DI TORLONIA

XXXV

Una scena uguale a quella antica,
ma senza navi e senza gladiatori,
fu festa uguale per i lavoratori,
e per Torlonia la notorietà.

Fu come quella dell'imperatore
che lo prosciugò senza aver copiato.
Secondo me, quest'è la verità,
se non ci credete andate dal pretore.

Ma ugualmente fu una grande impresa,
un azzardo innanzi tutto per la spesa
che lo scorticò quasi fino all'osso,

da fargli dire spesso, a più riprese:
"Fucino mi s'inghiotte e poi m'affossa
o io m'inghiotto lui". E non si arrese.

XXXVI

E vinse lui, con tabacchi e sale
del monopolio che il principe teneva
e si sapeva come lo sfruttava.
Fucino nostro non gli fu fatale.

Il Regno del Piemonte funzionava
e camminava lungo lo stivale,
guardando sempre verso il Quirinale,
a riunir l'Italia seguitava.

E Franceschielle, nuovo Re Borbone,
rimase solo un anno nel suo Regno,
le cose non gli andarono tanto bene,

anzi se ne "fui", dovette scappare.
Torlonia si trovò in condizione
d'avvicinar Cavour a contrattare.

XXXVII

Contratto nuovo, pressappoco lo stesso:
clausole per i confini circostanti,
proroghe per i lavori già concessi
e altre cose non tanto importanti.

L'acqua scolava mano mano,
ma il lavoro era ancora grosso.
Fucino diventò un gran pantano,
si dovevano costruire canali, fossi,

banchine, vie, tutte le stradelle
da mettere in mezzo agli appezzamenti,
una cosa grossa, non una bagattella

che si potesse fare in un momento.
Scarso d'attrezzi, senza una... livella,
insomma, non era un divertimento.

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LE STAGIONI NON ERANO PIÙ UGUALI A PRIMA

XXXVIII

Mentre proseguivano i lavori,
(e ci vollero ancora quindici anni)
ricominciarono a nascere malumori,
la gente già vedeva i primi danni.

Il tempo non era più come una volta:
l'inverno freddo, rigido, gelato,
le terre intorno sempre coltivate,
però non davano i frutti sempre dati;

gli ulivi si bruciarono nelle coste,
con quelle braccia secche, spalancate
guardavano in aria senza sosta,

sembravano fantasmi sconsolati
che stavano ad aspettare qualche risposta
dal cielo che li aveva castigati.

XXXIX

L'inverno era freddo e allungato,
a primavera non era primavera,
la mietitura s'era allontanata
e la stagione non era quella vera.

Ricominciarono con le petizioni,
contrarie a quelle fatte anticamente,
dicendo: forse questo prosciugamento
è contro la salute della gente,

almeno riallagate il Bacinetto,
sennò il pescatore cosa fa?
Che fa se non riadopera la barchetta?

Piega le braccia? Come fa a campare?
E la campagna intorno è più protetta.
La solita canzone di Antoine.

XL

Ormai Torlonia era già padrone
e quasi tutto lui comandava.
La gloria lo aveva messo in posizione
di fare solo le cose che voleva.

Oddio! La gloria e pure i soldi spesi,
l'azzardo, l'impegno, le difficoltà.
Ha corso il rischio di trovarsi steso,
nel senso di trovarsi in povertà.

Quando vide che era andata bene,
che aveva vinto Fucino allagato
cercava di agire alla Borbone.

Con il brigare aveva già imparato
a mettere tutte le condizioni
forse di più di quelle contrattate.

XLI

Ha! Punto indietro, m'hanno detto pure,
mentre faceva quella galleria
guardava più lontano del futuro
e adoperò questa strategia:

presso lo sfogo naturale del lago,
che allora era solo la Petogna,
egli vi si recò con una draga
ostruendo del tutto quella fogna.

Così l'acqua del lago si alzò
e riallagò intorno le campagne,
quindi più grosso questo diventò.

Ma lui lo fece solo per guadagno.
Portò a compimento un tal progetto
per essere benemerito, più degno.

XLII

Per far vedere che era generoso,
nel regalar la terra procurata
con una furbizia più che maliziosa.
Lo sfogo della Petogna s'è otturato.

Quello che stava scritto nel contratto
lo rispettò sacrosantamente,
quello che si prese senza patto
lo regalò generosamente.

Ecco come si svolse la faccenda
dei regali fatti ai Comuni.
lo questo non lo dico per offenderlo,

a me l'han detto spesso più che uno,
vuol dire che è successo veramente.
Detto per detto, tramite i nonni.

XLIII

Ora riprendiamo il filo della storia,
lasciamo perdere il comportamento,
il modo di adoperar la vana gloria
e le altre sue cose personali.

Per anni e anni ancora seguitarono
tanti lavori per bonificare
e finalmente l'opera finirono.
Fu fatto tutto con genialità:

Canali, cinte, fossi, traversoni,
squadrarono cinquecento appezzamenti,
vie diritte come i maccheroni,

ai laterali pioppi frangivento,
chilometri di vie, mica uno,
saranno forse più di due trecento.


indice

IL PRINCIPE PADRONE

XLIV

L'Incile meglio di un monumento,
ponti, saracinesche, camparecce
che spaccano a metà gli appezzamenti,
stalle per i buoi, la cavallereccia,

case per i coloni forestieri
venuti tutti quanti da lontano,
(ogni famiglia ha pronto un bel podere)
da Teramo, altri posti e marchigiani.

Neppure un marsicano fu insediato,
perchè pensava che non fossero capaci
a coltivare le terre dissodate.

"Io faccio quello che mi pare e piace,
Fucino è mio e mio è il Principato,
dovete rassegnarvi in santa pace".

XLV

Questo disse il Principe Torlonia.
Mise le guardie in comodi "casoni"
erano certi grossi Santantonio,
ma senza fare grazie ai "cafoni".

D'allora cominciarono i veri guai!
Mentre la gente era speranzosa
pure se intorno non era più quell'aria
calma, pulita, era nuvolosa.

Si credeva che era nata un'era nuova,
un' era con un futuro più sicuro,
senza essere sottoposto a dure prove.

Si vedeva l'orizzonte in lontananza
non proprio chiaro, ma un chiaro-scuro
dove s'intravedeva la speranza.

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1886: MUORE ALESSANDRO TORLONIA E SUBENTRA IL FIGLIO GIOVANNI

XLVI

Sopra l'Incile, per pura devozione,
mise la Madonna Immacolata,
insomma, quella fu una buona azione!
Grossa scultura in pietra fu innalzata.

Il principe, devoto, religioso,
più piccole le mise nei paesì
dove arrivava l'acqua limacciosa,
per ringraziarla della grande impresa.

La gente meglio ancora gli credeva
vedendo la Madonna per garante.
Spesso pensava e se lo domandava:

ma questo non doveva essere un brigante!?
Tanto che addirittura si diceva:
adesso che è morto lo faranno Santo!

XLVII

Anche del figlio ora ci lamentiamo!
Ma questo ha un mucchio di pensieri,
pensieri grossi, noi non lo capiamo,
perché non è di qui, è forestiero.

Deve pensare all'organizzazione
per seminare la terra che ha scoperto,
per affittarla, per le condizioni,
e per far questo non è che si diverte.

Ha fatto già parecchi esperimenti
per la coltura delle barbabietole,
pare che vanno veramente bene!

E' un prodotto, almeno si prevede,
che può risolvere i guai della gente.
Intanto noi speriamo e Dio provvede!

XLVIII

Si stava dando da fare, ed era vero.
S'avvicinava il millenovecento,
secolo nuovo pure per chi spera,
di nuovo ancora non s'era visto niente.

A parte l'acqua che non c'era più
e le stagioni che erano cambiate,
il futuro era uguale su per giù,
la notte non s'era ancora rischiarata.

Però s'intravedeva una schiarita,
un'alba diversa da quell'albe antiche
che erano sempre uguali, rattristite,

senza premesse e piene di fatiche,
con una rassegnazione senza uscita,
sempre a raccogliere solo le molliche.

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INIZIO DELL'AFFITTANZA DELLE PRIME TERRE PROSCIUGATE. L'INTRUFOLAMENTO DELLA POLITICA


XLIX

Intanto cominciarono ad affittare
le terre a chi non era pescatore,
ma a chi teneva già la proprietà,
perché sapeva fare l'agricoltore,

ma non era questo che zappava,
zappava il pescatore ed il bracciante,
lui da buon padrone raccoglieva,
perché barone oppure benestante.

E come sempre l'acqua va al mare,
pure quella di Fucino c'è andata,
però il mare qui sono i comparì,

i ricchi e chi li ha assecondati
nel fargli fare quello che gli pareva
e far patire chi sempre ha già patito.

L

Ma questa volta non si rassegnarono.
Non era giusto il comportamento!
Proteste a più non posso cominciarono
contro Torlonia e contro il Parlamento.

Il principe stava bene incalanato
col Parlamento e con i piemontesi,
com'era stato bene coi Borboni,
non ci pensava affatto a questi paesi.

Poi creò un partito suo:
lui al collegio di Avezzano
e il fratello, per divertirsi

a quello di Pescina e di Celano
sfacciatamente, solo per... così...
potevano aiutare i marsicani!

LI

Gli altri, amministratori di Torlonia,
erano consiglieri provinciali.
La Marsica diventò una colonia
del principe e dei suoi leccastivali.

Persino al Comune s'infiltrò
con i vigliacchi e con le bustarelle,
tanto che costrinse tutti quanti
a inginocchiarsi per montargli in sella.

Insomma comandava solo lui.
La dignità, l'orgoglio marsicano
che tenevamo e non s'erano mai smessi

dai tempi antichi e pure più lontani,
li ruzzolarono nel più profondo abisso
per colpa solamente dei ruffiani.

LII

Comizi di proteste, riunioni,
polemiche su tutti i giornali,
ma lui, fermo in quella posizione,
tirava innanzi senza aver rivali.

Trovò a Roma una famiglia amica
e senza tante storie disse a questa:
venite assieme a me, senza fatica,
v'affitto' tutto quanto il Bacinetto.

Vi faccio guadagnare i soldi a sfascio
voi lo riaffittate a quei poveracci
facendogli credere di trovare la grascia.

Per loro un contratto in carta straccia,
se non ci stanno li manderete a spasso.
Tanto ci sono io che vi riabbraccio.

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I FRATELLI TITTONE SFRUTTATORI DELLA POVERA GENTE

LIII

Zîttone si chiamava la famiglia:
due tre fratelli, "béjje calle calle"
da Roma si piazzarono qui a valle
e iniziarono a fare brusca e striglia

come se si trovassero in una stalla.
Le bestie erano mamme, padri e figli
che dovevano sopportare le loro briglie
con la pazienza sotto `sti sciacalli.

Il subaffitto più che triplicato,
la terra non è che produceva bene,
il Bacinetto appena prosciugato,

bastava una gallina, all'occasione,
che sopra gli facesse una pisciata
per far riadoperare presto il barcone.

LIV

Di queste a questi non importava niente.
La povera gente sotto tale basto
doveva pagar l'affitto, tanto e basta,
dopo aver rifosto la sementa.

Lavoro, sacrifici e tutti i guasti,
con questi mostri troppo prepotenti,
come i più peggiori delinquenti,
contro questa gente che saltava i pasti.

Logicamente sempre disperata
e debiti ammucchiati con la pala,
perché i Tittone, peggio dei pirati,

le andavano incontro a forza di cambiali
con l'interesse più che raddoppiato,
quindi, il male sopra l'altro male.

LV

Dovevano coltivare solo granturco,
fagioli, grano che non si raccoglieva,
perché, come ho detto, si allagava
rimaneva tutto senza sbocco.

La gente le cambiali le rifirmava
a testa china, senza aprire bocca
tenendo in petto sempre un grosso blocco,
senza mangiare di rabbia si gonfiava.

Mentre questa famiglia maledetta
s'era gonfiata solo di quattrini
dopo aver succhiato dentro il Bacinetto

il sangue degli esangui contadini.
Bella attrippata se ne riandò,
lasciando i poveracci alla rovina.

LVI

Dovettero riniziare a terra a otto,
sotto Torlonia non era tanto bello,
però, insomma, li trattava meglio
pure se dopo questi poveracci

finivano sempre per essere ignorati.
Non è che fecero qualche terno a lotto,
ma lavorando, sempre come bestie,
guadagnavano, si e no, per lo stoppino.

Non era meglio, niente di speciale!
Si, si pagava meno per l'affitto,
un poco forse anche più legale,

ma non legale come fu prescritto.
Secondo lui era un regalo,
invece era solo un suo profitto.

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L'ESTAGLIO

LVII

Questo regalo si chiamava estaglio
che si pagava sempre alla raccolta
del prodotto con tre, quattro volte,
senza uno sconto, senza fare un taglio

quando la terra rimaneva incolta,
perché riseminata, non per sbaglio,
ci usciva si e no un po' di paglia,
l'allagamento e tutta quella lota

faceva fradiciare il seminato.
Ancora sacrifici, quasi a digiuni,
e ogni anno le solite batoste.

Se la salvava solo qualcheduno
dove la terra s'era rasciugata.
Si guadagnava per comprare la fune.

LVIII

Ma ci mancava sempre il sapone,
quindi non ci si poteva mai impiccare,
però Torlonia lo dovevano pagare.
Dovevano sopportare queste condizioni

senza potersi neanche lamentare,
sennò arrivava qualche punizione,
poteva avere una brutta reazione
e ti poteva subito sfrattare,

togliendoti per sempre quella speranza
di un lontano futuro migliore,
perché la speranza pure se lontana

può far sognare ancora il poverello,
può fargli sognare persino l'abbondanza
quando non dorme, con la mente sveglia.

LIX

Tra lotte e reclami della gente,
i potenti grossi affittuari,
i ricchi e i ruffiani del proprietario
e quasi uguale a questo prepotente,

viaggiavano assieme al solito binario
ignorando quelli che non tenevano niente.
Quelli che Tittone trattava malamente
Torlonia teneva in mezzo ai guai,

e loro gli tenevano la mano
sempre e ovunque, in tutte l'occasioni.
Eppure erano tutti marsicani!

Ecco perché ci fu la ribellione:
braccianti, contadini in Avezzano
a litigare per l'assegnazione.

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DECURTAZIONE DELLE TERRE AFFITTATE AI GROSSI AFFITTUARI

LX

Torlonia dovette cedere all'istante,
dovette togliere le terre ai grossisti,
almeno in parte, non da fosso a fosso,
e darle ai contadini e ai braccianti.

Quelle del Bacinetto, più bagnate,
le diede a chi non era benestante.
E pure li, insomma, i più briganti
fecero come cani intorno all'osso.

Firmarono settemila e più contratti,
pure se questi contratti, veramente,
non erano legalmente proprio esatti.

Ma chi firmava era povera gente,
che assaporava l'ombra di un riscatto
e che sperava di adoperare i denti.

LXI

Era soltanto questa la speranza.
Il grano, il granturco, i fagioli
non dovevano essere le colture
che obbligatoriamente e senza far lagnanze

si dovevano seminare senza avere cura,
magari di qualche anno di alternanza
per fare una rotazione con creanza,
sfruttar la terra senza aver paura

di non raccogliere più per gli anni seguenti,
perché mettendo sempre cose uguali,
questo lo sanno tutti, anche i fessi,

la terra non resiste e poi s'ammala.
Per evitare che questo succedesse
un fatto nuovo fu provvidenziale.

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LE BARBABIETOLE DEL FUCINO. 1901, A TRARA NASCE LO ZUCCHERIFICIO

LXII

Gli esperimenti fatti gli anni addietro
diedero piuttosto buoni risultati,
dagli esperti già propagandati,
e seminarono tante barbabietole.

Prodotto nuovo, industrializzato,
pure se scorticava le dita
per diratarlo, questo lo sapete,
però ci usciva qualche ricavato.

Questa fu la campagna esperimento:
duemila e più vagoni ferroviari
partirono verso un certo stabilimento.

Secondo me Torlonia fu contrario
sapendo che questa cosa, questa gente
poteva dare a lui qualche guaio.

LXIII

Perché si stava per concretizzare
una cosa grossa, lo zuccherificio,
quindi si stava per realizzare
una fabbrica, un grosso beneficio.

La speranza, della gente contadina,
che l'aspettava da venticinque anni,
come fecero quei "beduini"
là nel deserto ad aspettare la manna.

Composta da tedeschi e italiani
una forte società di zuccherieri,
verso l'Incile, a Trara, ad Avezzano,

la fabbrica realmente costruì
e questa fu accolta con piacere
con la speranza di essere indipendenti.

LXIV

Fu per Torlonia questa la paura,
perché ci stavano altri a operare,
la nuova Società, e per il futuro
non c'era solo lui a comandare.

La tale Società cambiò il nome,
Romana Zuccheri, senza più tedeschi,
che sistemava i fatti suoi a Roma
e qui si comportava ladrescamente.

Allora si cominciò a litigare,
principalmente per la tara-terra,
fu il nostro paese ad iniziare.

Però i padroni furono più forti,
quindi persero quella giusta guerra
continuando a sopportarsi i torti.

LXV

Questo è durato più di cinquant'anni,
ma viene in tempo, ne parliamo dopo,
ormai tutti quanti già lo sanno
e poi non stiamo a fare a nascondino,

stiamo soltanto e solo a raccontare
come si è svolta questa nostra storia.
Qui non c'è proprio niente da inventare,
stiamo soltanto a far la cronistoria.

Dicevo che Torlonia era scontento
di queste cose nuove, industriali,
pure se lui, con gli esperimenti,

era riuscito ad ottener successo,
ma non si aspettava che gli andasse male,
perché pensava a farlo lui stesso.

LXVI

Voleva che la gente contadina
tenesse solamente un sol padrone,
non lo voleva un altro malandrino
che gli levasse la soddisfazione

di fare, disfare come gli pareva,
pure sapendo che poteva far lo stesso,
assieme a un altro degno suo compare,
far rimanere la gente sottomessa.

Si riteneva, oddio! Un poco offeso
di esser costretto almeno a ragionare
con chi doveva spartire qualche pretesa.

Il principe Torlonia onnipotente
non può abbassarsi a un'altra volontà.
Solo per questo lui era scontento.

LXVII

La speranza di essere un po' indipendenti
si frantumò sotto i due padroni.
L'uno peggio dell'altro, malamente.
Volevano calarci i pantaloni.

Senza rispetto, senza naso in faccia,
facendo il tempo buono ed il cattivo.
Buono per loro, mentre per i poveracci
i lampi, i tuoni in mezzo alla deriva.

Torlonia con l'estaglio per l'affitto
salato più salato ancor del sale;
la Società Romana col diritto

d'aver diritto di non dar dovere,
d'accordo tra padrone e industriale,
senza cercare mai a noi parere.

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LA NASCITA DI UN SINDACATO

LXVIII

Dopo parecchio tempo qualche cosa
si cominciò a muovere piano piano.
Piuttosto fiacco, poco rumoroso,
nacque chi ci voleva dare una mano.

Il sindacato dei lavoratori,
quelli che lavoravano all'industria,
non a favore dei bieticoltori.
Questi qui tenevano l'angustia,

però non erano ancora organizzati,
erano nati come gli orfanelli,
quindi potevano essere strapazzati.

Riecco la speranza sempre pronta,
allerta come fosse sentinella
fargli vedere più chiaro l'orizzonte.

LXIX

Prendendo spunto da questo sindacato
cercarono di organizzarsi pure loro,
però si presentava complicato.
Restringere tutti i bieticoltori

sparsi per i paesi marsicani!
Cercarono di organizzarli i socialisti,
ma non riuscirono ad arrivare lontano,
tanto che rinunciarono senza insistere.

Torlonia e Società, una sola squadra,
misero in atto quello già deciso,
vuol dire, seguitare a fare i ladri:

i gradi, tara-terra sempre a stima,
dicendo ch'era giusto, più preciso.
Riseguitando a far quello di prima.

LXX

Questa è la legge, questo è il contratto
"o `sta minestra, oppure `sta finestra".
Chi non è contento può scegliersi lo sfratto.
Musica antica con una nuova orchestra

dovettero sentir per anni e anni.
I sacrifici di questa povera gente
erano peggio ancor di una condanna
che deve scontare un povero innocente.

Era forzata la rassegnazione,
non sapevano a chi santo rivoltarsi.
La Madonnina della Concezione

vedeva tutti questi poveracci
stanchi, appiedi, senza mai fermarsi.
Un pezzo di parrozzo nella bisaccia.

LXXI

E quella bella, cara Madonnina
sapeva a chi doveva dar ragione
vedendo quei poveri contadini,
però ce l'aveva messa il padrone,

non voleva fare il torto neanche a questo,
anzi lo pregava sempre più fervente:
'son pure questi figli a Gesù Cristo,
cerca di aiutare questa gente!

E' povera, ha grosse le famiglie,
non vedi tu i bambini sempre spogli?
Le mamme con le mani nei capelli?

Lo vedi pure tu, non sono scuse!"
Ma lui senza battere le ciglia,
indifferente, senza fare una grinza.

LXXII

Disse alla Madonna, Addolorata
per tutti i patimenti che vedeva:
"Sei tu quella Madonna Immacolata
che io anticamente ti pregavo

e adesso preghi me per questa gente,
però chi ti ci ha messo a questa sponda?
E' stato chi a te era credente,
solo di questo ti devi render conto.

Alle altre cose poi ci penso io!
Questa qui è gente abituata,
quindi non ti devi impietosire.

Se questo lago è stato prosciugato
il merito é stato di papà, quindi il mio
e mi devono ringraziare questi affamati.

LXXIII

Ma la Madonna insisteva ancora
a ripregarlo sempre a mani giunte.
Per lui il bene era come fare il male,
solo perché voleva vincere il puntiglio.

Quest'uomo può far quello che gli pare.
I santi non possono vendicarsi!
Da questa terra dopo si scompare
e innanzi a Dio deve presentarsi.

Sappiamo che è un giudice severo,
e chi si è comportato in tal maniera
sarà come un macigno la condanna.

Io non vorrei starci tra quei panni.
Non voglio dire che mi fa piacere,
però nell'aldilà non c'è l'inganno.

LXXIV

Lasciamo in pace Dio e la Madonna,
e riprendiamo il filo del discorso
facendo finta che è un brutto sogno.
Hai voglia a far proteste, a far ricorsi,

non si riuscì, a quello che si dice,
a cavare un solo ragno da un buco,
rimase il tutto dentro la cornice
di questo quadro buio, senza luce.

Passaron gli anni, come litanie,
lunghi più lunghi detta dalla frase
di Pietro Micca per appicciar la miccia.

L'aria era brutta, si sentiva a naso
puzzo di guerra, puzza di bruciato.
Il mondo stava per andar "tabula rasa".

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IL TERREMOTO DEL 1915 E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

LXXV

Tabula rasa, invece una mattina,
era d'inverno il tredici gennaio.
Un dramma, una tragedia, una rovina!
Con un momento, senza bombe e spari,

la Marsica diventò una maceria,
coperta da un fumo grigio, folto,
una cosa d'oltretomba, un mistero.
Fu uno dei più grossi terremoti!

Da sotto le macerie, quanti pianti!
Tutta una tomba, tutto un lamento,
la morte svolazza e ogni tanto

scriveva i morti, più che strafottente,
sopra un foglio nero, sanguinante,
guardando storto gli storpi e i viventi.

LXXVI

Da qualche buco tra le pietre e travi
riusciva strascicante, ancora vivo,
un uomo, un fantasma con la bava
che gli scolava sopra le ferite.

Una bambina nuda, intirizzita
senza saperlo si trovò di fuori
e si guardava intorno spaurita,
con gli occhi pieni, colmi di terrore.

Qualcuno che era stato fortunato
si aggirava sopra le macerie
per ritrovare la casa frantumata,

guardando un segnale, una ringhiera,
una porta, una finestra, una facciata,
trovare il modo, insomma, la maniera

LXXVII

Di ritrovare almeno i familiari
e far qualcosa per portarli in salvo
da quell'inferno, da una morte amara,
ma niente non potette ritrovare.

Più brutto ancora dell'Apocalisse,
pure la morte infine perse il conto.
Furono troppi i morti, un subisso!
Dopo li contarono con un riassunto.

La poca gente che rimase viva,
compreso chi si stava a preparare
per andare in guerra, pronto col moschetto

lesti a sparare per farsi risparare,
fece di più di quello che potette.
Fu troppo grossa la calamità!

LXXVIII

Fucino rimase quasi incolto,
la forza non ci stava, stava in guerra.
Vecchi, storpi, fame, senza soldi
non si potette coltivar la terra.

Come si fa a descrivere i sacrifici
che quella gente dovette sopportare,
era un quadro fatto di vernice
di sangue che faceva spaventare.

Passarono tre quattro anni proprio brutti,
dopo tornarono tutti i combattenti
che ricoperti s'erano di gloria,

ma all'appello non era presente
chi era morto veramente da eroe,
senza una croce, in combattimento.

LXXIX

Cercarono di rifare quello distrutto,
chi da muratore e chi da manovale,
pure se il lutto era in generale
cercarono di consolare chi stava a lutto.

Cercarono di levare un po' di male,
cercarono proprio, insomma, di fare del tutto
per allontanare questi tempi brutti,
però le cose rimasero uguali.

Allora cominciarono a protestare:
richieste per ottenere un po' di terra
dei grossisti e della Società.

Dopo tant'anni chi a fare la guerra
e chi sfruttava tanta povertà
che andava "strascinune", terra-terra.

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ASSEGNAZIONE DI 26 COPPE DI TERRA AGLI EX COMBATTENTI

LXXX

La Società Romana fu costretta,
con grossi affittuari e il proprietario,
a fare la parte dei rinunciatari,
ad abbozzare e, quindi, a darci retta.

Torlonia l'eccellenza, grosso agrario,
cercò di fermarli, ma non ci riuscì.
Le terre ai compari diminuì
e le assegnò ai nuovi affittuari.

A tutti quanti una quota fissa,
ventisei coppe a ogni combattente,
a condizioni che dettò lui stesso,

senza nessuno riconoscimento,
soltanto e solo per evitar la rissa,
ma non per i sacrifici e patimenti

LXXXI

Sofferti nelle trincee e nelle casematte
sotto le cannonate e le bombarde.
Almeno dargli un occhio di riguardo
e fargli alquanto meglio quel contratto,

pure se è stato fatto con ritardo,
una certa preferenza, un riscatto
che li incoraggiasse a essere soddisfatti,
magari col sorriso, con lo sguardo.

Fu solamente frutto della lotta!
Ridissodarono le terre abbandonate
mettendosi di nuovo a "coccia sotttte":

con l"aratuccio" e a forza di zappate
riuscirono a sterminare i "vaccacotte",
gramigna e altre erbe radicate.

LXXXII

Tempi d'abbuio, venti di bufere,
cresceva sempre più la confusione,
idee nuove da rivoluzione,
era pesante quella atmosfera.

Specie nelle città, continuamente,
c'erano tafferugli di frontiera,
un guazzabuglio da mattina a sera
sempre e dovunque in tutte le occasioni.

Contro il Governo, contro i militari,
contro le istituzioni, contro i preti,
ognuno voleva fare come gli pareva.

Se ti guardavi avanti, botte dietro,
se reagivi ti costava caro.
Una violenza da non potersi credere.

indice

IL FASCISMO, MUSSOLINI E TORLONIA

LXXXIII

In mezzo a tutto questo guazzabuglio
l'Italia non sapeva come fare,
fece del tutto per potersi calmare,
ma ormai ruzzolava allo sprofondo.

E ciò non si poté più evitare,
facendo a mano a mano i capitomboli
fino a quando non si toccò il fondo,
e scomparirono le autorità.

Benito Mussolini, l'uomo nuovo,
marciò su l'Eterna Capitale
e disse a tutti: "Qui nessuno si muova,

voi lo sapete sono caporale,
quindi comando io in ogni dove!"
E da quel giorno tutto fu fatale.

LXXXIV

Di queste cose è piena la memoria:
squadracce, manganelli, prepotenze.
L'uomo mandato dalla Provvidenza
con quella Marcia si copri di gloria.

Per prima cosa, senza una sentenza,
con quella violenza e tanta boria
la cara libertà mandò in gloria
arbitralmente, senza una licenza.

Da socialista rivoluzionario
fu grande amico della nobiltà,
abbandonò il suo proletariato

e volle solamente comandare.
Andò d'accordo con i grossi agrari
tanto da farli tutti approfittare.

LXXXV

Torlonia, senza tante riflessioni,
fu il primo a diventare amico suo
e meglio ancora per non scomparire
sfruttò appieno la bell'occasione.

E gli affittò, insomma, si fa per dire,
"Villa Torlonia" con la condizione:
una lira l'anno senza cauzione
e "Credere, Combattere e Obbedire".

"Chi mi deve credere non sei tu, son
per combattere c'é chi sa condurre
egregiamente quelle mie squadre,

per obbedire, tu basta che mi strusci,
metti la testa mia dentro una cornice,
tu fai il proprietario ed io il Duce."

LXXXVI

Di fronte a questo accordo tra potenti,
i contadini si trovarono male
e seguitarono a fare tutto normale,
ma di normale non ci stava niente.

Niente cambiò, tutto tale e quale,
si dovettero accontentare, col.malcontento,
di competere con questi prepotenti.
Si dice che chi cala poi risale,

invece non è vero, scende a valle,
a valle, a valle sino andare al fosso.
Se alza la testa dalle spalle

ti fanno qualche battitura d'ossa,
devi fare ciò che l'asino fa alla stalla,
però senza ragliare o fare una mossa.

LXXXVII

Organizzarono anche i sindacati,
un sindacato corporativista
fatto e condotto solo da fascisti,
d'accordo col padrone altolocato

che insieme facevano la lista
di quelli più vicini e affezionati,
di quelli veri e propri camerati,
magari analfabeti, ma più tristi.

Erano questi i rappresentanti
dei contadini e dei lavoratori.
Questi qui non erano i garanti,

specie alle pese con i taratori,
erano quasi sempre i più ignoranti,
tazze e cucchiai erano tra loro.

LXXXVIII

Il pesatore rubava con il peso,
il taratore con la tara ed il colletto,
che spesso era più di quello netto,
lo scritturale era il più preciso

però faceva pure le bollette
senza le barbabietole, che lo possino!
Con un accordo, prima già deciso,
spartivano tra loro le mazzette.

Tra pesi e tara-terra disonesti
creavano quintali per l'incanto
pronti a disposizione degli "onesti".

Spesso facevano bollette false
intestate, con un prezzo più modesto,
a chi pagava subito in contante.

LXXXIX

Per i lavoratori peggio ancora!
Se per esempio ci si faceva male
si doveva stare soltanto col dolore,
senza assistenza si andava all'ospedale,

si doveva pagare qualunque prestazione
e non si poteva neanche reclamare
i diritti di una menomazione,
ci si candidava, altrimenti, a farsi licenziare.

Se si doveva scioperare per l'aumento
o per attrezzare la fabbrica un po' meglio
o per prendere precauzioni contro gli incidenti,

subito si adoperava il manganello
e il rappresentante di questa gente
stava a guardare l'orario della sveglia.

XC

Dopo, passati altri cinquant'anni,
da quando si fece l'Unità,
l'Italia stava raggiustando i danni
col Parlamento e con la Libertà.

Pure se a noi il principe Torlonia
non ce lo fece quasi mai accorgere,
Fucino diventò una colonia
senza seguire il corso della storia.

Ma si poteva almeno sbraitare,
anche se non ci aveva sentiti mai nessuno
così le terre a noi dovette dare.

Ci servirono le proteste dei "cafoni",
le strenue lotte in continuazione
e forse anche l'aiuto di qualcuno.

XCI

Torlonia non aveva più paura,
ormai teneva amici nel governo.
I tempi bui divennero più scuri,
non ce la faceva neppure il Padretemo.

Fu l'epoca di rifirmare i contratti,
la gente stava troppo impaurita,
perché viveva sempre nel ricatto:
o si iscriveva subito al partito

oppure non poteva rifirmare
e fu costretta a far sottomissione.
La terra ci serviva per mangiare

e quasi tutti, a queste condizioni,
firmarono senza potersi ribellare.
Di nuovo ancora la rassegnazione.

XCII

Passarono anni e anni sempre uguali,
la tara-terra seguitò a stima,
non sapere i gradi era normale,
non si seppero allora e neanche prima.

L'estaglio era sempre più pesante,
a chi non pagava subito, l'usciere
sequestrava pure le mutande,
le guardie sempre pronte a far da sgherri.

Le strade diventarono un disastro,
piene di fosse, senza un'imbrecciata,
solo all'azienda era tutto meglio,

di là era più che sistemato.
Torlonia ci teneva a fare il bello
di fronte all'altre aziende organizzate.

XCIII

Cavallereccia, stalle, magazzini,
silos a Via Nuova, a Strada Trenta,
attrezzi per fare la terra fina,
bestiame, più parecchi dipendenti.

La terra veramente la sfruttava:
concimazione senza risparmiare,
quindi l'azienda bene produceva
e lui seguitava a guadagnare.

Mentre le terre dentro il Bacinetto,
che stavano sott'acqua per sei mesi,
erano solamente una disdetta.

Lavoro, sacrifici e tante spese
senza produrre, l'acqua maledetta
sfasciava tutto, quindi niente resa.

indice

LE BARACCHE DEL TERREMOTO MALRIDOTTE

XCIV

Non se ne poteva più, quanti strapazzi!
Le condizioni erano pietose
La gente si sentiva uscire pazza,
tante grosse famiglie, numerose,

dormire in una stanza di baracca.
D'estate per il caldo ti friggevi,
d'inverno saltellavi la "tricch i tracch",
perché se stavi fermo ti gelavi.

Da quindici anni dopo il terremoto
queste baracche s'erano sfasciate,
accomodarle non si è mai potuto,

mai un governo non le ha aggiustate.
Doveva stare contento chi le aveva avute
e ringraziare chi gliel'aveva regalate.

XCV

Sono stati i romani, i bolognesi,
per solidarietà, per aiutarci,
s'offrirono con i soldi e con le imprese,
ecco perché li dobbiamo ringraziare.

Furono fatte provvisoriamente
per non farci dormire all'aria aperta,
per non farci stare sott'acqua e sotto il vento,
però a starci ora non ci si diverte.

A starci dentro dopo quindici anni!
L'intonaco non c'è se n'è cascato,
il tempo, l'acqua, il vento han fatto i danni,

i tavelloni già si sono sfondati,
le fessure se le otturi si rifanno,
il tetto d'eternit scoperchiato

XCVI

Stanno meglio, per centomila volte,
le bestie nella stalla dell'azienda
non i cristiani in mezzo a quella mota,
dentro quelle baracche puzzolenti.

Roba da terzo mondo, peggio ancora,
da terzo mondo dei tempi antichi
quando la povera gente di colore
era chiamata bestia da fatica.

Insomma, guai dentro e fuori i guai!
Ci fu una certa speranza, mi ricordo,
che si chiamava, sì, Lodo Bottai

che voleva fare una Legge, un accordo,
se la fece non si è mai capito,
perché rimase sempre il disaccordo.

XCVII

Eppure son passati cinquant'anni
da quando è stato prosciugato il lago,
ma tra i ricatti, imbrogli e tanti inganni
non s'è risarcita quella brutta piaga.

La piaga grossa della povertà
non si risana, è sempre scorticata,
proprio perché non c'è la volontà
di chi ci ha sempre male governato.

Spesso si sono accordati col padrone
spartendosi il potere tra di loro,
tradendo i poveracci e la nazione.

Quindi la speranza dei poveracci
è andata sempre in fumo, alla malora
e calpestata peggio d'uno straccio.

XCVIII

Quando iniziò il prosciugamento
la gente sorridente già vedeva
i sacrifici, i guai, i patimenti
allontanarsi e quindi intravedeva

un mutamento, un'altra realtà
diversa da quel lago tanto avaro
che sino allora dovette sopportare.
Campava a forza di bocconi amari

e li dovette anche digerire
assieme a tante e tante umiliazioni,
senza potersi neanche scoraggiare

dovendo dire: insomma, non c'è male!
Per far vedere che andava tutto bene,
mentre mangiava bobba senza sale.

XCIX

Un'opera così grande, colossale
faceva prevedere cose grandiose,
un cambiamento più che radicale,
per questo erano tutti speranzosi.

Non più allagamenti dei paesi,
delle terre intorno degli agricoltori,
senz'acqua il lago diventar campagna
à coltivare per i pescatori.

Fucino si è riuscito a prosciugarlo,
il merito fu soltanto di Torlonia,
nessuno ha mai cercato di cacciarlo,

perché è stato un uomo coraggioso
e ha lottato più di un demonio,
però la povera gente l'ha delusa.

C

C'è stato il cambiamento, ma per chi?
Per quelli ricchi, per quelli più protetti,
ma a chi da sempre seguita a patire
a quelli non ci ha dato mai retta.

Non c'è bisogno di ricominciare,
ridirvi quello che vi ho già detto,
quest'è la pura e santa verità,
è stata messa pure per iscritto.

In mezzo a queste cose mi son fatto vecchio
e gli altri vecchi l'hanno raccontato,
le ho sentite io, con queste orecchie.

Questa è la storia nostra, di questo lago
e non c'è proprio niente d'inventato.
Quest'è il Rosario detto a grano a grano.

CI

Questo Rosario mica è finito
con questi Misteri sempre dolorosi!
E seguita, può darsi, all'infinito,
mai con un Mistero gaudioso.

Sono all'incirca più di cinquant'anni,
senza i millenni dei tempi antichi,
senza cambiare mai la condanna:
morti di fame e stanchi di fatiche.

Questo diceva, fra sé e sé mio nonno
e dopo ha seguitato a raccontare:
abbiamo iniziato a stare sotto padrone,

a lungo capitava quell'onesto
che qualche volta, a dir la verità,
ci dava pure un piatto di minestra.

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LA GUERRA D'AFRICA ORIENTALE E DELLA SPAGNA

CII

Un poco dopo l'Africa Orientale,
l'Italia fa la guerra all'Abissinia.
Secondo chi la fa pare normale,
secondo quelli siamo gli assassini.

Vi sto narrando tutto al presente,
perché mi sembra adesso di trovarmi,
come se fossi ora, in quell'ambiente,
non accorgendomi che questa è un'Era nuova.

Non è più l'Era del "Vinceremo",
non è più l'era di un "posto al sole",
adesso tutti quanti noi sappiamo

che questa è l'Era senza Re e "a noi",
dove si lotta a forza di parole,
si dà del tu, del lei, non più del voi.

CIII

Per non star fermi, tra una guerra e un'altra,
l'Italia, ormai forte ed imperiale,
manda a combattere tanti buoni padri,
per far parlare il mondo ed i giornali,

a un'altra guerra per aiutare la Spagna,
che non è guerra è la rivoluzione
tra chi è Camerata e chi è Compagno,
Spagna ridotta a brutte condizioni.

Guerra feroce, guerra tra di loro,
tra rossi e neri, guerra di potere,
guerra civile per cambiar colore.

Noi ce li mandiamo per la libertà.
Ma questa libertà è rossa o nera?
Questi volontari vanno per lottare?

CIV

Non vanno per lottare, non è vero!
Ci vanno perché stanno troppo male.
Non è che sono andati volontari
o per la propaganda dei giornali.

Mentre se da noi ci stesse la giustizia,
la libertà, un vero Parlamento
per fare le cose con democrazia
potrebbe stare meglio questa gente,

non sarebbe costretta ad andare lì,
nelle trincee a diventare eroi,
a starsi notte e giorno in mezzo al fuoco,

a uccidere, quasi certi di morire.
Secondo chi li manda è per la gloria,
ma loro lo fanno per non far patire i figli.

indice

TORLONIA UNICO PADRONE DELLO ZUCCHERIFICIO

CV

Intanto seguitiamo a raccontare:
a Fucino le cose son rimaste
uguale a sempre, sempre stessa pasta.
Ah! Solamente questa novità:

Torlonia caricò a sé il basto,
ormai non c'è più la Società.
Con i soldi e con la buona volontà,
(zuccherificio? Punto e tanto basta)

se l'è comprato lui solamente.
Come fece al tempo dei Borboni:
la Società per il prosciugamento

fu fatta da grossi soci, ma le azioni
le ricomprò a questi componenti
e diventò il principe padrone.

CVI

Padrone che l'estaglio ha rincarato
e le altre cose rimasero uguali,
pieni di stancia e melma nei canali,
le strade tutte fosse impantanate,

stradelle, peggio ancora, micidiali,
i fossi con gli scoli riatturati,
i ponti malridotti, abbandonati.
Era un ambiente più che ideale

per far crepare le bestie ed i cristiani,
specie per "ricacciare" le barbabietole,
non sapevi se eri tu o il pantano.

Era una cosa proprio da non credere!
Mai un carretto ne usciva sano,
non andava avanti e ne in dietro.

CVII

In mezzo ai terreni del Bacinetto
non si riusciva nemmeno con le barche,
morti di freddo, bagnati, sporchi, stracchí,
te ne calavi sotto sino al petto.

Un poco più lontano dallo spacco
dove con una barella o una carretta
un mezzo mucchio ci si poteva mettere,
la terra diventava ceralacca.

Con le reni rotte per strascinare i pesi,
dalla mattina a far questo mestiere,
la sera ti sentivi mezzo ucciso

come un forzato, era un gran piacere!
Solo che non portavi la divisa
fatta di strisce bianche e strisce nere.

CVIII

Non solo questo, ma il Bacinetto
d'inverno fino a tarda primavera
non si può dire che era una peschiera,
non era neppure un piccolo laghetto,

era un grosso lago per davvero
dove ci si specchiavano le vette
del Velino e altre dirimpetto,
insomma il Bacinetto tutto intero.

Per Avezzano o per andare in altri posti,
la circombacinetto oppure niente,
l'unica via, il resto era allagato.

Non si vedeva un solo appezzamento,
le teste, senza rami, scamozzate,
di salici vedevi solamente.

CIX

A primavera, anzi verso maggio
la terra si scopriva a mano a mano,
il contadino intanto piano piano
ricominciava a fare i primi assaggi

per preparare la terra alle patate,
le bietole da zucchero o da foraggio,
ma si perdeva troppo di coraggio.
L'acqua aveva cacciato già il grano,

quello che stava per riseminare
non era certo che lo raccogliesse,
perché sapeva, non era novità,

se poco poco fosse ripiovuto
doveva rifare quel che stava facendo,
ma lui seguitava a lavorare.

CX

E seguitava per gli appezzamenti
un poco più asciutti, rialzati,
o nella colmatura rasciugata,
mentre il confine era incoltivabile.

Faceva lo scolo a forza di zappate
e qualche volta a forza di bidente
per rompere l'argine ch'era resistente
e mandare l'acqua al fosso sprofondato.

E mentre usciva l'acqua dallo sgrondo
ci si metteva sotto un crivelluccio
che si riempiva con le "spinarole",

chi era viva e chi ancora viva
scodinzolando sotto quello scolo
belle argentate in mezzo a quel terriccio.

CXI

Fucino antico senza far le mosse,
il terzo lago dell'Italia intera,
voleva ricordare in questa maniera,
con quei pesciolini dentro il fosso,

che era stato un grosso lago per davvero,
pieno di pesca con i pesci grossi,
i pescatori fradici sino all'ossa,
sacrificati da mattina a sera,

peggio di chi si trova a lavorare
la terra zuppa, a tozzi e a bocconi
sperando di raccogliere e mangiare.

Voleva ricordare all'occasione
e forse anche per consolazione,
che si viveva in brutte condizioni.

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LA SECONDA GUERRA MONDIALE

CXII

Tra questa miseria e questi sacrifici
l'Italia un'altra guerra riattaccò,
con otto milioni e più di baionette
voleva far scannare tutti i nemici.

La radio la teneva per trasmettere
i bollettini e per stramaledire
gli inglesi e tutti quanti i loro amici.
E con la cartolina di precetto,

giovani e tanti padri di famiglie
partirono per la guerra in mezzo ai guai
in Francia, in Grecia, in Albania,

in Russia, in Iugoslavia,
in Africa: in Libia, in Tunisia
per obbedire al Duce, all'uomo savio.

CXIII

E Mussolini tutto soddisfatto,
già fondatore del Romano Impero
mandò questi figlioli forestieri
a obbedire, credere e combattere.

Morti, feriti e tanti prigionieri!
Fu una tragedia, altro che disfatta!
Fu grosso, troppo grosso questo misfatto.
L'Italia diventò una maceria!

Fucino era quasi abbandonato,
i vecchi i bambini a lavorare,
le strade peggio ancora sconquassate,

quattro, cinque anni a sopportare
le sofferenze, come i disperati
e obbligati a non potersi lagnare.

CXIV

Per la prima volta fummo uguali,
uguali a tutti gli altri sfortunati.
Tutti gli italiani erano affamati
dall'Alpi sino in fondo allo stivale.

Porti, città, paesi bombardati,
persino bombe sopra gli ospedali
e notti e giorni sempre tale e quale,
bombe alle chiese, treni mitragliati.

Anzi di fronte a questo gran macello
noi non ci potevamo lamentare,
di questa gente campavamo meglio,

insomma, si stracciava per mangiare:
patate con fagioli "puverejje",
le sagne e la farina per impastare.

CXV

Verso la fine, nel tempo dei tedeschi,
le cose si misero proprio male:
ladri, soldati, teppe più ladresche
vennero a galla assieme ai farabutti

cattivi e prepotenti, ma lo stesso
di gente onesta ce ne stava ancora,
a me queste cose sono rimaste impresse.
Non è che andò tutto alla malora!

Le donne, i giovanotti e qualche anziano
si diedero a commerciare di contrabbando:
farina, lardo, prosciutti paesani

pagati a pronta cassa, per contanti,
fagioli a cannellìnì e quelli a pane
vendendoli a prezzi di diamanti.

CXVI

E finì la guerra finalmente,
però le conseguenze, si, rimasero.
Si dovette riorganizzare pazientemente
e piano piano si riorganizzarono.

Così nacque un governo provvisorio,
presto rifecero la Costituzione,
io non so dire la vera storia,
comunque si fecero le elezioni.

Comizi, riunioni sindacali,
la gente non doveva stare zitta,
poteva scrivere sopra i giornali,

poteva chiedere ogni sui diritto,
poteva dire, riparlare normalmente.
Fu una fortuna, insomma, la sconfitta.

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LA RICOSTRUZIONE E LA DEMOCRAZIA

CXVII

Le cose cominciarono ad aggiustarsi,
insieme alle case, anche la famiglia,
dove quella unità era scomparsa,
le mamme, i padri davano consigli

a chi da loro s'era allontanato
per colpa d'una guerra disastrosa.
Tedeschi, americani e alleati
crearono situazioni dolorose.

A parte il disastro materiale,
peggio ancora fu la decadenza
dell'uomo, senza più quella morale

che rimettesse in marcia la decenza.
Fu un lavoro grosso, radicale
che all'uomo ridiede la coscienza.

CXVIII

Fu frutto solo della libertà
che ci ridiede la democrazia
coi sacrifici e buona volontà,
la vita, rincontrò lungo la via,

quella speranza che se n'era andata.
Dopo le sofferenze e tante istanze
vedere più innanzi almeno un'altra vita,
un poco meglio per riempir la pancia.

Logicamente sempre con le lotte.
Ricominciarono tante discussioni:
chi la voleva cruda e chi più scotta

e chi voleva la rivoluzione.
Però poi ci salvammo dalle botte
e cominciarono ad uscire le soluzioni.

CXIX

Però le soluzioni, quelle grosse:
rifare i ponti, i porti, i quartieri,
spianare le vie, ricolmare le fosse
con lo sterro caricato dalle macerie.

Le cose nostre, pure se importanti,
erano giustamente secondarie
di fronte a quelle sopra, sacrosante,
urgenti e soprattutto necessarie.

Fucino abituato ad aspettare
poteva fare ancora qualche sforzo.
Intanto cominciò a organizzarsi

per far vedere le cose senza scorza,
le cose che dovette sopportare
e poi si mosse pure con la forza.

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LOTTE SOCIALI, SCIOPERI A ROVESCIO E LA RIFORMA AGRARIA

CXX

Dopo qualche anno, sciopero a rovescio!
La gente con le pale ed i picconi
andava in giro a valle, senza prescia
a fare canali fossi più profondi,

scavare la breccia nel letto del Giovenco
per imbrecciare le strade dissestate.
Intanto usciva anche qualche tinca,
la sera la facevano lessata.

E tutta questa gente volontaria
faceva le sfilate, riunioni
cercando in coro la Riforma Agraria:

"fuori Torlonia con l'espropriazione,
vogliamo diventare assegnatari
indipendenti, senza più padrone.

CXXI

E fummo inclusi con la Legge Stralcio
assieme alla Maremma Tosco-Laziale.
Torlonia ormai non era più d'intralcio
e non poteva fare più del male,

che per cent'anni, in tutte le occasioni,
ha fatto a tutti senza pentimenti.
Questa volta ha ricevuto la lezione
con la soddisfazione della gente.

Però è rimasto con la tara a stima,
perché lo zuccherificio è ancora suo,
gli agricoltori stanno come prima.

Pure per questo, si, verrà la fine,
la gente ormai ha riacquistato stima
e non deve dire sempre: sì, "gnorsì!"

CXXII

- Nonno, ma sei sicuro che un domani
noi potremmo stare un poco meglio?
Potremmo, a questi ragazzi, dare una mano,
darci un mondo che non si somiglia

a quello tuo ch'è stato anche il nostro
da tante e tante più generazioni,
da prima che esistesse il Paternostro,
sempre e soltanto in brutte condizioni?

"Sentimi, figlio mio, te l'assicuro,
questo mondo veramente s'è cambiato,
questi non devono avere più paura.

Tutte le cose che ho raccontato,
purtroppo sempre piene di sciagure,
statti tranquillo, stanno sotterrate.

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NONNO È MORTO

CXXIII

Tra poco mi sotterro pure io,
è la vecchiaia carica d'acciacchi,
ma che vuoi fare, la vita è questa qui!
Te lo confesso, io mi sento stracco.

Peccato! Non mi posso ricordare
il mondo nuovo che vi si presenta,
ma son contento di poter pensare...
che s'è... avviato bene... promettente..."

Furono queste le ultime parole,
io gli vidi in faccia un bel sorriso,,
quella bell'alma ha preso il grande volo

in giro, in cielo come una farfalla.
Sicuramente è andata in paradiso
e da li sopra guarda la sua valle.

CXXIV

Povero nonno, quante ne ha passate!
Come il padre, la famiglia grossa,
dopo una scorpacciata di zappate
sta riposando dentro quella fossa.

Il medico può curare la malattia,
ma quando è arrivata la sentenza,
pure se qualche volta la rinvia
appresso trova solo l'impotenza.

Si muore e basta, dopo che sei nato!
La vita è strana, anzi misteriosa,
tu non lo sai dove sei destinato,

tu non sapevi se dovevi nascere,
non sai se sposi e chi sarà la sposa,
non puoi conoscere mai la propria cassa.

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STA PER COMINCIARE LA RIFORMA AGRARIA

CXXV

Tiriamo avanti, troppe riflessioni!
Speriamo si avverasse quel che ci è stato detto
che stanno per cambiar le condizioni.
Fu nonno, possa essere benedetto!

Però adesso sembra uno squallore!
Fucino è una pianura senza fine,
quando ci passi ti si stringe il cuore,
solo le montagne sono i confini.

Dovunque passi sembra un gran deserto.
Vie, traverse, fossi senza piante,
sembra una chiesa abbandonata, aperta,

senza l'altare, senza il Sacramento,
senza navate e statue di santi,
tutto spianato, un solo appezzamento.

CXXVI

A prima vista questa è l'impressione,
invece è stato tutto progettato,
deve venirci una piantagione
di pioppi gli uni agli altri allineati.

Ci stava qualche pioppo, qualche acacia,
ma erano troppo vecchi, rattrappiti.
La decisione è stata quella saggia,
quindi tra poco è tutto rinverdito.

Vanno girando certe camionette
cariche di geometri e d'ingegneri,
portando stadie, mappe e le "rulette",

lo stanno a misurare da capo a piedi.
Tra poco qui diventa un gran cantiere,
si vede che qualcosa sta succedendo.

CXXVII

Sta succedendo proprio per davvero
una cosa veramente eccezionale,
una cosa che a guardarla fa piacere,
a constatarla vedi che è reale.

Sono squadre di operai, escavatori,
autotreni carichi di pietre,
di sabbia, di cemento a tutte le ore
vanno e vengono senza darsi tregua.

Braccianti che puliscono i canali,
fossi, da tanto tempo abbandonati
da chi ha fatto solo il coloniale.

Le vie diventate carrarecce,
i ponti rotti, banchine sconquassate,
appezzamenti senza camperecce.

CXXVIII

Fanno le fosse agli argini dei fossi,
lungo i canali, agli argini delle vie,
piantando pioppi, proprio a più non posso,
belli e in fila che è una sciccheria.

Pare una festa per i lavoratori,
lavorano, però son soddisfatti.
Vengono pagati per contratto, a ore,
le varie indennità pagate esatte.

Ci stanno gli operai specialisti
che sono qualificati da spondini,
rifanno i fossi meglio degli artisti

e hanno il posto fisso, giustamente,
e gli altri fanno i turni a quindicina,
insomma tutti quanti son contenti.

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L'ACCORPAMENTO DELLE PARTICELLE

CXXIX

Intanto già l'ufficio di Avezzano
manda in giro i vari funzionari
portando le notizie a mano, a mano
a tutti questi paesi ripuari,

tra cui ci sta chi fa il censimento
per vedere a chi intestano le quote
e quante coppe, per ogni appezzamento,
coltivano i figli o i nipoti.

E' un lavoro grosso, complicato,
l'una è diversa dall'altre posizioni:
parecchi figli che si sono sposati

coltivano le terre del padre,
tre coppe, cinque coppe, la porzione
che ha dato uguale a tutti quanti gli altri.

CXXX

Uscì una mappa fatta a fettuccette
di quote larghe sette o otto metri,
sparse quasi ovunque queste striscette,
sembravano le corde di una cetra.

Soltanto poche quote più decenti,
le terre degli affittuari grossi,
addirittura qualche appezzamento
era una quota che da fosso a fosso

la coltivava solo Tarantelli
e qualcun altro assieme a dei garzoni.
A parte poi l'azienda da modello,

a Via Nuova, quella di Torlonia,
riserva tutta intera del padrone.
Era il suo regno dentro la colonia.

CXXXI

Non sapevano dove mettersi le mani
con lo spezzettamento esagerato
forse trentamila, sparpagliate,
di queste strisce dentro questa piana.

Tanti confini stretti, appiccicati.
Qui dovevano fare le proprie quote,
le quote, insomma, fatte da cristiani.
Chi ci riusciva? Neanche uno scienziato!

Non solo questo! E le "macchiunelle"?
Chi di una coppa, chi di due-tre coppe
stavano sparse ovunque pure quelle.

E per sorbire tanto di sciroppo!?
Erano guai mica caramelle!
Troppi pezzetti, eran proprio troppi.

CXXXII

Eppure si misero a "capo fitto":
geometri, ingegneri, esperti agrari,
gente che si fece volontaria
a dar consigli ed aiutare un po'.

Questi pensarono: per questa Riforma Agraria
se oggi ci stiamo noi a dare una spinta,
forse domani non serviranno lotte
per farci lavorare e cose varie.

E riuscirono a fare l'accorpamento.
Lavoro grosso, grosso per davvero,
riducendo, così pazientemente,

tutte quelle striscette in una maniera
che messe insieme per gli appezzamenti
uscirono tante quote belle intere.

CXXXIII

Ma i problemi non erano finiti
sopra le carte stava tutto a posto,
ci rimaneva il problema tosto,
quello di dare le terre senza liti,

che si dovevano dare ad ogni costo.
Ma i resistenti erano accaniti,
gli affittuari grossi, scoraggiati
per la decurtazione a loro imposta.

La Legge di Riforma era questa:
ottanta coppe per l'assegnazione,
dopo di quelle tutto quanto il resto

stava dell'Ente.a disposizione
per darlo a quelli più modesti,
farli arrivare, con questa integrazione,

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ASSEGNAZIONE DELLE TERRE E RESISTENZA DEI DECURTATI

CXXXIV

A fargli coltivare una particella
di venti coppe in un appezzamento.
Per questi fu una manna veramente,
però per quelli grossi le budella

in corpo diventavano serpenti.
Per questo gli operai-sentinelle
nelle capezzagne e verso le stradelle
restavano a guardia dei picchettamenti.

Perché la notte squadre di avversari
cavavano i picchetti a tutti i lati
per evitare che la Riforma Agraria

li avesse veramente decurtati.
Tirava seriamente una brutt'aria!
Stavano tutti quanti indiavolati.

CXXXV

Durò a lungo questa tiritera.
Nacquero contro l'Ente associazioni,
cercando di fermare l'assegnazione,
ricorsi, commissioni al Ministero

per sottoporgli i casi, le ragioni,
com'era grande il loro dispiacere,
portando, degli esperti, più pareri
per far trovare qualche altra soluzione.

Non si potette fare diversamente!
La Legge di Riforma era quella.
Nel Fucino ci stava troppa gente

ed era tutta gente poverella
che doveva campare con quegli appezzamenti.
Stavano troppo sotto di livello.

CXXXVI

Però malgrado queste litigate
si seguitò lo stesso a coltivare
senza un'interruzione, a seminare
ed il raccolto mai ritardato.

I grossi iniziarono a ragionare
un poco più con calma, rassegnati
d'essere ormai chiamati "decurtati".
La Legge li costrinse ad accettare

le ottanta coppe, e con grande sdegno,
firmarono un accordo, un compromesso:
sottoscrissero lettere d'impegno

per la mancata presa di possesso
di quella terra ch'era il loro regno,
avendo lottato senza cogliere il successo.

CXXXVII

Entro qualche anno, più o meno,
furono sistemati pure loro,
buoni, d'accordo, senza più pretori
e se ne uscirono fuori dalle pene.

Dopo tante storie, dopo questi rumori,
l'Ente che voleva solo far del bene,
ruppe finalmente la catena
e seguitò a fare il suo lavoro.

Migliaia di chilometri di fossi
e altrettanti o più per i canali,
opere gigantesche, cose grosse,

per noi era una cosa eccezionale.
La terra si scolava, non più bagnata
e il raccolto era più speciale.

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SISTEMAZIONI STRADALI CANALIZZAZIONE FOSSI INTERPODERALI

CXXXVIII

Chilometri di vie fatte nuove
ch'erano tracce tutte impantanate,
più cento ponti in cemento armato
che sembravano allora fatti con le doghe

chiodate sopra a travi fradici.
Passarci sopra era un problema,
con il carretto dovevi fare le prove
per evitare di rimanere incastrato.

Le camperecce interpoderali,
trecento e più chilometri di vie,
centocinquanta per le vicinali,

e queste non son mica fesserie!
Sembravano che non erano reali.
Lavori che mettevano gran voglia!


CXXXIX

Intanto un milione e più di piante
messe a dimora lungo vari fossi
sembrava che facessero le mosse
messe allineate erano un incanto!

Un esercito che andava alla riscossa
con un cimiero ricco, spumeggiante
fatto di foglie al vento verdeggianti
tutte entusiaste di diventar più grosse.

Se l'uomo aiutasse la Natura
il mondo diverrebbe un bel giardino
e ci vivrebbe meglio e più sicuro.

Ecco perché ha messo queste piante
per ritrovarsi meglio nel futuro,
però ci sta chi pure le rovina.

indice

RISANAMENTO DEI PAESI INTORNO A FUCINO CON CANTIERI SCUOLA

CXL

Bhe! Seguitiamo questa cronostoria:
per questi comuni troppo malridotti,
senza le fogne, con le vie rotte
ci fu una vera e propria sanatoria.

Fecero vie, fogne, le condotte,
senza processi, senza un'istruttoria,
perché la colpa era della storia
che fu più scura della mezzanotte.

Ci aveva lasciato quasi al Medioevo
d'allora niente più abbiamo avuto,
il lago prosciugato non bastava.

Dopo avvenne anche il terremoto!
Torlonia, sì, va bbè! Ma ci sfruttava,
fare qualcosa mai non si è potuto.

CXLI

Fecero asili, cantieri di lavoro
dando una sistemata ai paesi,
corsi serali per gli agricoltori
per farli coltivare con minor spesa,

con le concimazioni razionali,
con arature fatte da cristiano,
con le sementi buone, originali
di grano, barbabietole e patate.

Colture da rinnovo, rotazioni,
insetticidi adatti ai parassiti,
i primi impianti per l'irrigazione,

campi sperimentali, quasi arditi,
insomma, tutte valide lezioni
di professori tra i più istruiti.

CXLII

Corsi da muratori, carpentieri,
per le ragazze di taglio e di cucito
per insegnare loro un buon mestiere
diverso dalla terra, più pulito,

anche perché ci stava troppa gente
che lavorava sopra la campagna,
pure con tutti questi appezzamenti
ci stava chi viveva di micragna.

Diedero biciclette a poco prezzo
di marca maremmana "Cínghialino",
vederli sopra era una bellezza.

Prima sempre a piedi i contadini,
che non avevano avanti una cavezza,
dovevano adoperare la "pedina".

CXLIII

Diedero vacche, i porci, i pulcini
di razze buone, sempre a poca spesa.
Sembrava poco, invece cucinando
un pollastro fatto all'abruzzese,

dentro un testo pieno di patate,
con uova e salsicce, una frittata
e un bicchiere di vino paesano
veniva fuori un pranzo prelibato.

Tra le cose grosse queste piccole
erano aiuti forse più importanti
per queste famiglie che nei tempi antichi

hanno patito, senza avere un santo
che le aiutasse, oppure qualche amico.
Solo sottomissione ai benestanti.

indice

COLONIE MARINE PER I BAMBINI

CXLIV

Molti bambini dell'elementari
a flotte, a stormi come i passerotti
volano tutti insieme per il mare
che fu per la salute un buon profitto.

Per loro fu una cosa eccezionale
d'estate andare al mare, alla colonia.
Fu un servizio utile e sociale
che l'Ente fece senza parsimonia.

Perché è giusto che questi bambini
devono stare bene e ricordarsi
le cose belle fatte con criterio

in modo che non possono lagnarsi,
ma conservarle nella memoria scritte
per raccontarle un domani agli altri.

CXLV

Il buono esempio non è mai troppo,
la pianta quando è piccola si coltiva,
sennò viene storta, misera, contorta
e forse cresce pure, ma non vive.

Solo a vedere il mare a quell'età,
farlo vedere anche ai genitori
che ogni tanto andavano a trovarli,
per loro era una cosa di valore,

di stima, di carezze, di piacere.
Far fare la conoscenza degli amici,
fra mamme e padri uguali forestieri,

non gli urtava al culo la camicia,
così piccini esprimere... maniere,
trovarsi primi attori e prime attrici.

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EMIGRAZIONE IN AUSTRALIA, PAESI EUROPEI, IMMIGRAZIONE IN MAREMMA

CXLVI

Mentre faceva tutti questi lavori
l'Ente pensava a cose più importanti
per la comunità e i lavoratori
e particolarmente per i braccianti.

Organizzò, assieme all'Ambasciate
di Francia, di Germania, d'Australia
di fare espatriare i disoccupati.
Erano tempi duri per l'Italia!

Partirono tanti e tanti bravi figli,
chi stagionali e chi per rimanere,
un grosso aiuto fu per le famiglie.

Lo so! A tutti quanti dispiaceva
veder partire giovani e giovanotti,
però fare diversamente non si poteva.

CXLVII

Pure se altri furono sistemati
in Maremma come Assegnatari,
dove famiglie intere rimasero,
adesso diventate proprietarie,

a Fucino ci stava troppa gente
che era ancora in brutte condizioni,
andava a giornate, non teneva niente,
così dovettero trovare una soluzione.

Furono queste buone iniziative
che risolsero tanti problemi.
L'Ente fu bravo a essere decisivo,

fu bravo ad attuare questo sistema.
La barca andava ancora alla deriva,
la raddrizzò, riprese in mano i remi.

CXLVIII

Gli assegnatari ormai sistemati
lavoravano ognuno la propria quota,
la terra era meglio coltivata
e il profitto era, grazie a Dio,

più consistente, non proprio sufficiente,
ma almeno si poteva più sperare
di fare una vita più soddisfacente
di quando si viveva in povertà.

A dir la verità s'intravedeva
un cielo più svariato, quasi chiaro,
però il dubbio sempre rimaneva.

Ci si fermava alla capezzagna
a rimirare la "roba" che cresceva,
o la vendevi o ti costava cara.

indice


NASCITA DELLE COOPERATIVE TRA ASSEGNATARI E CONSORZIO DELLE COOPERATIVE

CXLIX

L'Ente pensò alla cooperazione
per far trovare gli assegnatari insieme,
ognuno dentro l'organizzazione
per risolvere meglio i problemi.

E si fecero le cooperative,
sedi attrezzate comode e capienti
per farle diventare operative:
comprare prodotti migliori e all'ingrosso,

darli ai soci a prezzi moderati,
far coltivare la terra con gli attrezzi
per fare la concorrenza ai privati;

trattori, rodoator, trebbiatrici,
lavorazioni tutte a meno prezzo
e funzionarono da calmieratrici.

CL

E manco a farlo apposta l'anno stesso
per le patate fu una crisi grossa,
a Fucino era sempre una scommessa
chi la perdeva si rompeva le ossa.

Però quell'anno le cooperative
fecero un consorzio fra "di loro",
presero insieme questa iniziativa:
fare un ammasso per questi malumori

che regnavano in mezzo a questi agricoltori
che avevano riposto tutta la speranza
in questo prodotto che ora non costava niente.

Per un anno intero si erano sacrificati:
soldi, fatiche, senza un'alternanza
che ripagasse quello che avevano cacciato.

CLI

Dopo avere ammassate tante patate,
più volte in commissione al Ministero,
l'Ente ci dette una buona mano,
fra discussioni e mille più maniere

riuscirono a pagare tutto il prodotto
non proprio a prezzo remunerativo,
logicamente a prezzo più ridotto,
però, insomma si potette vivere.

Quindi, vuol dire che non fu sbagliato
fare il Consorzio in quelle condizioni
pure se fu allora criticato.

Una cosa è certa che restare uniti
conviene sempre, in tutte le occasioni.
Son meglio cinque dita che un dito.

CLII

Adesso, per esempio, per le bietole
comanda ancora il solito padrone,
la zona nostra è quella che sta dietro,
è uguale ferma al tempo di tatone.

La Legge di Riforma non ha permesso
anche l'espropriazione dell'industria,
quindi di nuovo niente non è successo,
ecco perché la gente ha l'angustia.

Ah! Sì, ci sta qualcosa di moderno,
L'A.N.B., però non fa granché.
Secondo me soltanto il Padreterno

ce la potrebbe dare una buona mano!
In qualche modo si deve provvedere,
perché per noi lo zucchero è il pane.

CLIII

Questo dicevano i bieticoltori
di quei tempi nuovi ancora antichi,
nuovi perché facevano rumore,
antichi, perché quel caro amico

non voleva dare il giusto ai conferenti,
perché abituato, come era,
a comportarsi prepotentemente
come se si trovasse nel Medioevo.

Ormai la gente si era messa in testa
che i tempi nuovi erano maturi
per spicconare del tutto quella roccia.

Lui sapeva che era fuori moda,
che il drago non faceva più paura,
però si ribellava con la coda.

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AUTONOMIA DALL'ENTE MAREMMA ISTITUZIONE DELLA CASSA MUTUA ASSEGNATARI

CLIV

Per conto suo l'Ente seguitava
a lavorare per la comunità,
allora il tempo, no, non lo sprecava,
faceva bene e in pìena attività.

La Legge Tirabassi fu approvata,
quindi si ottenne l'autonomia,
dalla Maremma fummo distaccati,
ognuno seguitò la propria via.

Fu importante quella soluzione,
l'indipendenza è sempre un guadagno,
più snelle, più dirette decisioni.

L'Ente poté assistere il circondario:
i Piani Palentini, la montagna,
valorizzare le zone più precarie.

CLV

E fece cose grosse d'assistenza,
iniziative a scopo culturale,
asili, scuole fatte con decenza,
ambienti più puliti, più sociali.

La Cassa Mutua agli assegnatari
prima di quella della Coldiretti,
di quei tempi fu straordinario!
Prima d'allora erano costretti

a vendersi la carne in mezzo ai denti
se le pigliava qualche malattia
non sapeva come fare, povera gente!

Impacchi, decotti, purghe e pezze calde,
quest'era la sola vera terapia,
dopo veniva caricato a spalle.

CLVI

Organizzarono tavole rotonde,
studi, convegni, non di cose vane,
culturalmente utili e feconde:
folclore, settimane Marsicane;

fu pubblicato "IL FUCINO", giornale,
fatto appositamente per la gente
che voleva dire bene, oppure male,
giornale veramente indipendente.

Dava consigli agli agricoltori
per le sementi, le concimazioni
e riceveva anche quelli loro;

notizie d'andamento di mercato,
aggiornamento di situazioni,
articoli di gente preparata.

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CASE PER I PICCOLI ASSEGNATARI

CLVII

Inoltre a queste cose culturali
e l'assistenza per le malattie,
canali, fossi chilometri di vie,
fece le cose ancora più sociali,

cose concrete, non di fantasia:
comode case a chi viveva male,
giardini intorno, fatte tutte uguali
dove poteva vivere in allegria.

Queste per i piccoli assegnatari,
ma con famiglie grosse, numerose
che stavano ad abitare nelle topaie.

D'inverno fredde e nell'estate afose,
sentire reclami dei proprietari,
perché pieni di debiti, morosi.

CLVIII

La gente stava meglio, non per dire,
più libera, senza tanta soggezione,
l'Ente le dava la fideiussione,
credito agrario e altri benefici,

cambiando quelle tristi condizioni
per troppo tempo misere e infelici,
sempre e soltanto mortificazioní.
Dopo tanti anni l'autorizzazione

a raddrizzarsi, riguardarsi in faccia
verso chiunque col sorriso in bocca
e togliersi di dosso quegli stracci,

esser più arzilli e non come gli allocchi
sempre curvati sotto una bisaccia
col fiasco d'acqua e pane di granturco.

CLIX

Fu l'era di una vita dignitosa,
si reagì in senso positivo,
si cominciò a ragionare, a pigliare iniziative,
e risolvere problemi più annosi,

a fare qualcosa di più moderno, di più incisivo
per fare l'azienda quasi sostanziosa;
si facevano i conti molto rigorosamente
per evitare di mettersi in passivo.

E iniziarono ad attrezzare l'azienda
con il trattore, con la "pertecara",
col rotovador ch'era sorprendente

nel fare la terra liscia, tutta piana,
senza zolle, che tra mille stenti,
facevano sudare il sangue amaro.

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SI STANNO AVVERANDO LE ULTIME PAROLE DI TATONE


CLX

Fucino è diventato un bel giardino!
Tatòne non ha potuto passeggiarci,
se lui potesse vivere di nuovo,
guardare queste campagne di mattina

sicuramente starebbe a rimirare
queste vie, i canali, queste piantine
come chi guarda dentro una vetrina
le cose belle che non sa scegliere.

Di certo rimarrebbe a rimirarle
fisso, commosso in contemplazione
per ore e ore, solo per gustarle,

anche se dentro ha la tentazione
di prender tutto e in cielo trasportarle,
con gli occhi luccicanti di emozione.

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TELESPAZIO

CLXI

Per presentarle agli astri ai pianeti,
farle conoscere, tramite la Telespazio,
lui lo sa che non pagherebbe il dazio,
perché è nostro, questo lo sapete!

Da Fucino, girando per lo spazio,
appura pure quello che non vede
e lo riporta a noi, sulla terra.
Di cose che ha trovato ce ne fa grazia,

però le ritrasporta sempre in aria
guidandole ovunque e nelle case,
con la televisione, le divulga

comodamente senza intasamenti.
Notizie sorprendenti e sempre varie,
tutte importanti, con una certa base.

CLXII

Questa è una cosa veramente grossa!
Che per l'Italia è orgoglio nazionale.
Fucino ormai è internazionale
che a noi, insomma ci fa vantare.

Vedere Trentuno, tanto di piazzale,
ripieno di giganti, di colossi
che piano piano, pure senza gambe,
fanno questo lavoro eccezionale.

Guardando sempre in cielo a tutte le ore,
si girano sotto, sopra in ogni lato,
non scricchiano, non fanno alcun rumore,

ti fanno restare incantato,
sembrano giostre a rallentatore
sopra i pilastri di cemento armato.

CLXIII

Avrebbe visto anche la cartiera
che il principe, a questa terra affezionato,
aveva per conto suo realizzata.
E questo fu per noi un gran piacere.

Da grosso agrario antico e affermato
s'è messo in testa di cambiare mestiere,
per questo sta drizzando ciminiere...
Ah! Già! Industriale già c'è stato!

Lo zucchero per noi, purtroppo, amaro,
per lui, senza neanche che si dica,
è e rimane una dolcezza rara.

Lui è il padrone dello zuccherificio
che insiste ancora a fare come gli pare,
senza vedere i nostri sacrifici.

CLXIV

Ancora adesso insiste, ma di meno,
perché è nato un altro concorrente
e forse, chi lo sa, a Dio piacente,
può darsi che, usciamo fuori dalle pene.

L'impianto è diventato ormai scadente
e quindi a lui più non conviene,
sarà costretto a sciogliere la catena
che ci ha legati sempre, anticamente.

Il tempo quasi sempre ha ragione
e fa giustizia quando mai si crede.
Lui l'ha posta questa condizione

senza aiutare un po' chi ha patito
e sempre sottomesso da garzone,
mangiando pane e sputo e ammansito.

CLXV

L'altro zuccherificio di Celano,
il concorrente che ho nominato,
è nato nuovo, non è un rappezzato,
sicuramente a noi può dare una mano.

Può togliere la boria al satollato,
è forse una buona speranza per il domani,
di qualche solderello nella "catana",
di una vita non tanto tormentata.

Può aiutare a fare conferimenti
più snelli, sbrigativi, più veloci,
può evitare parecchi malcontenti,

fare la campagna, insomma, più precoce,
(perché l'inverno da noi è un po' cattivo)
può far diventare lo zucchero più dolce.

CLXVI

C'è tempo ancora per arrivare al traguardo,
però il tempo pare che cammina,
non è tanto buio, qualche lampadina
lo aiuta a non fargli fare tanto ritardo

secondo me è prossima la fine,
se non s'adopera non più tanto riguardo
Torlonia non può fare più il testardo,
deve mollare, parlare con i contadini,

costringerlo a non fare più ricatti,
a fare le cose che non ha fatto prima,
a sottostare a rispettare i patti:

la tara con i campioni e non a stima,
a fare le cose, insomma, tutte esatte,
a riacquistare la dignità, la stima.

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FUCINO SI STA MOTORIZZANDO. TRISTI RICORDI

CLXVII

Intanto il tempo seguita a camminare
andando incontro agli agricoltori
che hanno cominciato a farsi il motore
e a cui si è aperta avanti la speranza

di vedere più bassa quella mangiatoia
troppo alta per poter mangiare,
mentre oggi s'intravede la pietanza
e la possibilità di non buttare tanto sudore.

La motorizzazione sta per arrivare,
le bietole le cava e le scolletta,
quindi il rampino già si può levare

e pure il falcetto maledetto
che ti tagliava e per disinfettarti
un po' d'orina, senza una pecetta.

CLXVIII

Dopo si seguitava a scollettare,
a ricoprire i mucchi all'imbrunire
con foglie, dalle bietole tagliate,
per protezione contro la gelata.

E la mattina dopo, intirizziti,
scoprirli per poterli caricare,
con la pazienza e buona volontà,
ma con le mani quasi rattrappite.

L'uomo stava caldo col rampino,
anzi sudava a forza di cavare,
anche se gli doleva assai la schiena.

Ma lo faceva per non raffreddarsi,
sennò il sudore tra la nebbia e strina
di certo lo faceva ammalare.

CLXIX

Per le patate è uscita un'invenzione
una macchina che fa da cavinsacca
escono tutte sane non le intacca,
solo a vederla dà soddisfazione,

pure se a lungo una o due le ammacca.
Mentre la zappa, senza remissione,
anche con la massima attenzione,
faceva un macello, un patatrac.

Un poco meglio l'aratro di legno,
però spaccava solamente il solco,
appresso in ginocchioni con le mani

il ciglio della terra si spargeva
per ritrovare nascoste le patate
e piano piano il cesto si riempiva.

CLXX

Era un lavoraccio per davvero
riempire sacchi e sacchi a cesto a cesto
dalla mattina all'alba sino a sera,
erano grossi sforzi da Maciste.

Specie la sera caricare il carretto
e scaricarlo sopra il mucchio, a spalle...
Il sacco grosso era una rovina
sopra un tavolone sotto e sopra.

Stanco del giorno, pieno di sudore,
col sacco vuoto in testa per cappuccio
era uno sforzo da crepare il cuore,

ma l'uomo incocciava come un ciuccio
sino alla fine, non vedeva l'ora
di terminare e andarsene alla cuccia.

CLXXI

Bhe! L'invernata era di riposo,
riposo no, insomma, un intervallo,
nel mentre si faceva qualche cosa:
allevare il porco nella stalla,

nel magazzino raggiustare gli attrezzi,
rinsaccare, per vendere, le patate,
affacciarsi in piazza per il prezzo,
scegliere nel mucchio le mezzane,

metterle pronte per la primavera,
portare lo stabbio nella capezzagna,
fare lavorucci più leggeri.

Soltanto in casi più particolari,
se stavi male o propriamente freddo
ti accovacciavi innanzi al focolare.

CLXXII

Invece sono cambiate le stagioni,
ora queste cose non si fanno più
e si capisce pure la ragione,
sembrano cose del tempo che fu.

La bestia non c'è più, c'è il trattore,
quindi i carretti quasi sono scomparsi,
per caricarli c'è il caricatore
ch'empie il rimorchio, la fatica è scarsa.

Per scaricarli, non servono le spalle,
o stare sul mucchio sopra il tavolone
che si scarrozza, oppure che traballa,

ora fa quasi tutto lo scalone,
la polvere, la terra cala giù,
senza appiccicarsi sul groppone.


CLXXIII

Non è che le stagioni son cambiate
al posto dell'inverno è primavera
o l'autunno al posto dell'estate,
non si può dire questo, non è vero!

Però in agricoltura i raccolti
si fanno meglio, in maniera nuova,
a rinnovarli è stata la carota
che ha cominciato a dare buona prova,

assieme a questa meccanizzazione
che. ha fatto sviluppare l'agricoltura.
Piove o non piove si raccoglie bene.

Si pensa sempre meglio, più sicuri,
e soprattutto l'irrigazione
darà migliore risultati nel futuro.

CLXXIV

Adesso, ad esempio, per la mietitura
tutto è diverso s'è modernizzato,
quando il grano è bello che maturo
vai con la mietitrebbia, due passate,

per dire, ha una barra falciatrice
di quattro cinque metri di larghezza,
quand'è in funzione è una mitragliatrice,
vederla lavorare è una bellezza!

Lo miete, trebbia, non esce dalla bocchetta,
ma lo trasporta in un contenitore
e non si vede come ce lo mette.

Unico pezzo, senza un trattore,
soltanto l'autista è l'addetto,
manovra leve e fa girare motori.

CLXXV

Da questo contenitore incorporato
un tubo se lo inghiotte e lo trasloca
a un altro che d'accapo sta impostato
come se stesse a fare un gran bel gioco.

Grano pulito, senza una pagliuzza
uno sprocco, un "catéjje", senza pula o spine
oppure quelle bianche lumachine,
grano soltanto pronto per il mulino.

Appresso un trattore con la pressa,
senza "spillino" per legare le balle
a una a una escono lo stesso

tutte legate in fila a monte e a valle.
Nel guardare queste cose, questo progresso,
la mente, come palla di cristallo,

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BEI RICORDI MA TROPPO FATICOSI

CLXXVI

Rivede, come fosse una magia,
il mietitore, ("i vàveze", i covoni
mischiati insieme a tanta poesia)
quando guardava in mezzo a quella stoppia,

che si lasciava dietro soddisfatto,
si rimirava dritte quelle biche,
pieno d'orgoglio, in fila belle, esatte,
composte da figlioli e da figliole.

Sembrava sempre festa, ogni giorno,
però era una festa senza banda,
era una festa della gente onesta

che dentro si sentiva più importante,
pur sapendo ch'era la più modesta.
Gente lavoratrice, senza vanto.

CLXXVII

La mietitura era lunga allora,
anche se mietendo con la mietitrice
ti risparmiavi di buttar sudore,
erano meno tanti sacrifici.

Però il grano quasi tutti gli anni
andava per terra e s'intrecciava pure,
soltanto l'uomo risolveva il danno
a forza di falcette e di bravura.

Dopo mietuto ancora un altro mese
per trasportare il grano, notte e giorno,
con carri e con carretti e le sorprese,

portarle nell'aia e aspettare il turno
per il "metóne" era già un'impresa,
trovare il posto era una fortuna.

CLXXVIII

E le sorprese erano parecchie:
con il carretto rotto sgangherato,
gamberto e cassettoni troppo vecchi,
le ruote senza essere riferrate;

quattro paletti lunghi, neanche dritti,
messi ai lati per infilare i covoni
in modo che chi carica approfitta
per far venire il tomo alto più del doppio

dei cassettoni e delle "manovelle"
però la via non lo permetteva
e specialmente tutte le stradelle

piene di fosse ai lati, avanti e dietro,
ecco perché il carico si spallava,
si doveva ricaricare da capo a piedi.

CLXXIX

Sotto un sole ardente che bruciava,
tra la polvere, gli arístí, il sudore,
il sonno, la fatica si sentiva,
insomma, ti veniva il crepacuore.

Le bestie pure loro affaticate,
specie quando prendevano la mosca,
si usciva pazzi come disperati.
Allora, statti bene! Addio Tasca!

(Figurati ai tempi di Tatone!
Quando la trebbia ancora non ci stava
si doveva trescare nell'aia del padrone

con gli asini, i buoi o con i muli.
Quello trescato poi si ventilava
con la "credenza" per cacciare la pula.

CLXXX

Dovettero trovarsi anche contenti,
malgrado questi grossi sacrificì,
dopo tanti anni di affaticamenti!
Questo progresso dobbiamo benedirlo).

Trovato il posto, fatto il "metóne"
arriva il turno per poter trebbiare,
pronto con i sacchi, teli e con "pannóni"
il grano a casa potevi riportare.

Restava ancora da caricare le balle,
la "cama", che era tanto fastidiosa,
tutte provviste buone per la stalla.

Tra mietere, trasportare e trebbiatura,
con qualche giorno forse di riposo,
quasi due mesi di lavoro duro.

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L'IRRIGAZIONE

CLXXXI

Come ho detto, i tempi sono cambiati,
ormai ogni cosa è sbrigativa.
Fucino è più che mai motorizzato,
nascono spesso nuove iniziative.

Adesso più di prima si lavora
e specialmente con l'irrigazione,
la notte e il giorno sempre col trattore,
specie la notte in brutte condizioni:

spostare la linea, tramutare i getti,
l'umidità si ficca fino all'ossa,
per riscaldarsi dopo son costretti,

con i calzoni fradici grondanti,
rinfreddoliti col bagnato addosso
sdraiarsi sotto il piano del rimorchio.

CLXXXII

E' un lavoro, sì, sacrificato
sopra la terra propria, non da garzoni,
il freddo, l'umidità vengono riscaldati
dal vedere il prodotto, con soddisfazione,

che cresce bene e crea la speranza
per un futuro un po' migliore,
e chi lo sa? Fors'anche l'abbondanza!
Magari non essere tanto poverelli.

Tatòne è stato proprio un gran profeta,
perché mi disse: non ti scoraggiare,
il tempo si è cambiato, credi a me,

i tempi brutti ormai sono passati,
il cielo su di voi si sta schiarendo,
chi vi governa non è come Pilato.


CLXXXIII

Guarda per me è stato un sant'uomo,
malgrado tutto quello che ha passato
ha resistito a non gettare la soma,
solo la morte gliel'ha scaricata.

Quello che mi dispiace veramente
è che non s'è potuto ricordare queste cose,
quest'Era nuova, vedere la gente
quasi contenta come chi si sposa.

Torlonia se n'è andato via del tutto,
si è venduta anche la cartiera,
rupri, zuccherificio sono distrutti,

le bietole le versano lo stesso,
però le danno all'altra ciminiera,
senza sapere che può venire appresso.

CLXXXIV

Perché sono nati certi inconvenienti,
forse perché la terra s'è stufata,
parecchia gente sta preoccupata.
Tutto è più svelto, più organizzato:

per il trasporto senza problemi,
camion, rimorchi mezzi grossi ormai,
per scaricar si adopera un sistema
comodo, sbrigativo e senza guai.

Le bietole sopra un ponte ribaltate,
un nastro che cammina se le incolla,
non è che le appiccica col la colla,

ma le trasporta unite nel piazzale
continuamente senza intasamento.
E' un grosso bel lavoro, eccezionale!

CLXXXV

Mentre cammina il nastro, col forcone,
il proprietario ed anche il taratore
ne prendono due forcate per il campione,
senza creare liti o malumori,

dentro un sacco bello sigillato
le barbabietole vanno al gabinetto
d'analisi, bene organizzato
con gli attrezzi e il personale addetto.

E' logico, ognuno fa la propria parte
chi del padrone e chi del sindacato,
ognuno guarda quello che si scarta.

Nascono ogni tanto discussioni
quando una cosa è più che sostanziale
e specie per la polarizzazione.

CLXXXVI

In parte s'è risolto finalmente
quello che si doveva fare prima:
il problema della tara a stima,
dei gradi e del peso incontrollato.

Torlonia non doveva essere una cima!
Doveva essere un poco più cosciente,
la gente non avrebbe sofferto tanti stenti
e lui avrebbe riacquistata stima.

E forse forse, forse chi lo sa!?
Non si sarebbe fatta la riforma.
Un poco più di buona volontà,

trovare, che posso dire, un'altra forma,
sfruttare di meno, più umanità,
guardare la povertà che stava intorno.

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L'ANGUILLULA


CLXXXVII

Dicevo che sono nati inconvenienti,
sono cose serie, serie per davvero!
Le bietole, ad essere sincero,
a coltivarle non è conveniente.

Ora che il lavoro era più leggero,
la gente si trovava più contenta,
ecco l'anguillula pronta si presenta,
anzi non si presenta, è un mistero.

Dopo si appura che esiste sottoterra:
sono certi vermicelli filiformi,
parassiti che l'attacco sferrano

peggio del più acerrimo nemico,
la scienza cerca pure di fargli guerra,
ma non ci riesce, spreca la fatica.

CLXXXVIII

Hai voglia a fare iniezioni, fumiganti,
le barbabietole non le fa radicare,
nascono bene, dopo fatto stà,
non c'è rimedio, non ci stanno santi!

L'anguillula incomincia ad assaggiarle
e gli si attacca più di un amante
calandogli persino le mutande,
poi le ammazza a forza di giocare.

E il padrone assiste a questa festa
senza poter far niente per salvarle.
E' una disgrazia peggio della peste,

altro non si può fare che abbandonarle,
anzi deve levarle sennò s'infesta
tutta la terra di quel brutto tarlo.

CLXXXIX

Si è quasi abbandonata questa coltura.
Però sappiamo che il contadino
ha scarpe grosse e il cervello fino
e cerca d'aggiornare l'agricoltura.

Adesso non ha il mulo ed il carretto,
ha il trattore e l'attrezzatura,
azzarda senza avere tanta paura.
Fucino è diventato una vetrina

dove si può vedere l'esposizione
di cose vere, non è che è un miraggio.
Insalata, finocchio, carote eccezionali,

le qualità più belle degli ortaggi,
il sellero, radicchi a profusione
e per di più un sacco di coraggio.

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L'ABBANDONO

CXC

A dir la verità ultimamente
l'Ente non è stato più... una buona... mamma,
non ci doveva cantar la ninna nanna,
però è stato alquanto indifferente.

Ci aiuta e ci ha aiutato in qualche danno
quando madre natura ci scontenta,
più di una volta é stato troppo lento,
non solo lento anche con l'affanno.

Tutti i canali intasati a morte,
più di trent'anni senza ripulirli.
D'inverno il Bacinetto si riallaga,

d'estate facilmente non s'irriga.
Dicono che i contadini sono storti,
invece i contadini sono svegli.

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CORAGGIOSE INIZIATIVE ATTREZZATURE MODERNE

CXCI

Hanno preso tante iniziative,
hanno scavato pozzi a più non posso,
vicino a questi altrettante fosse
il tutto fatto in modo sbrigativo...

Senza riflettere, senza tante mosse,
erano cose grosse, necessarie,
solo così si poteva sopravvivere
col sole ardente e con la terra bagnata,

Si sono buttati ancora a capo fitto,
si sono organizzati tra di loro,
sarchiare il giorno e irrigare la notte,

ventiquattr'ore su ventiquattr'ore
sempre impegnati a fare buon prodotto
e orgogliosi di gettare sudore.

CXCII

Hanno comprato terre, attrezzature,
trattori grossi come le montagne
per coltivare meglio la campagna
facendo più profonde le arature,

trovare la terra nuova di ricambio
che è importante per l'agricoltura.
Hanno creato, insomma, una struttura
potente, senza ombra di risparmio.

Hanno formato vere e proprie aziende,
con squadre di operai quasi fissi
organizzate in modo sorprendente.

Chi mai ti credi! Tu non ci pensavi!
Giovanni, uno così, ma se ne intende.
lo sono contento. Chi lo poteva credere!

CXCIII

Chilometri di tubi per irrigare,
e certe volte fino a tre trattori
venivano adoperati, in piena siccità,
per spegnere alle piante quell'arsura.

Lavori duri, grossi sacrifici,
però è gente forte, abituata,
è inutile che io ve lo ridica,
sappiamo tutti come è allenata.

Lavori duri e tante umiliazioni
dai tempi antichi, senza una speranza,
sempre lo ha raccontato a me tatone,

scalzi e nudi in mezzo all'ignoranza.
Invece adesso lavora da padrone
e mangia buoni cibi di sostanza.

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LA FAMIGLIA MODERNA

CXCIV

I figli sono istruiti, intelligenti,
studenti, diplomati, laureati
e possono figurare tra la gente,
senza badare a chi è "blasonato".

Braccianti, operai, benestanti
parlano insieme, senza soggezione,
chi è più serio, chi è più "sbrafante",
tra loro non c'è alcuna distinzione.

La sera vanno per le pizzerie,
le macchine le hanno già pagate,
per farsi un buon bicchiere in allegria,

in discoteche a farsi una ballata.
Tempi diversi, senza carestia!
Partono in tromba, neanche "rescagnate".

CXCV

Son bravi figli, è la gioventù!
Fanno queste cose con spontaneità,
sempre hanno fatto questo su per giù,
e specie oggi con queste comodità!

Anzi non sono spocchiosi, come ieri,
quando erano studenti solamente,
si adattano a qualsiasi mestiere
con umiltà e volontariamente.

Vanno in campagna assieme agli operai,
con muratori a fare da manovali
anche se non è tanto necessario.

A parte l'esperienza personale,
sanno che non si vive solo d'aria
e sanno che il lavoro è essenziale.

CXCVI

Son questi ormai i tipi di famiglie
che Fucino ha creato col lavoro.
Le mamme, i padri, i figli sono più svegli,
famiglie sane, con un certo onore.

In generale questo è il ritratto,
però ci stanno pure le occasioni
piuttosto sciagurate, non esatte,
dipende da svariate condizioni:

motivi d'incoscienza, di morale,
d'istigazione a fare le cose storte,
troppa comodità, più del normale,

li fa star bene, ma dopo "i rentòrte"
e certe volte, peggio, viene il male,
restano soli con la malasorte.

CXCVII

Questo è il mondo di quest'Era nuova,
però non c'è confronto con il mondo antico,
si deve badare come ci si muove,
le cose storte raddrizzarle, in riga.

Proprio perché s'é data un'aggiustata
il mondo d'oggi sembra che va meglio,
sennò stavamo ancora abbandonati,
sennò eravamo ancora poverelli.

Invece ora si vive da cristiani,
Fucino è generoso, non è cattivo:
le bietole e anche le patate

danno un reddito ormai primitivo,
ma lui ha messo in moto gli ortolani
e si è ritrasformato in positivo.

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FUCINO: L'ORTO PIÙ GRANDE D'EUROPA

CXCVIII

E' diventato un orto sconfinato
dove ci cresce tutta roba buona
ortaggi veramente rinomati
meglio di tutte quante le altre zone.

Dall'alto in basso guarda gli altri ortaggi,
perché si trova a metri settecento,
non c'è bisogno neppure dell'assaggio,
la gente li può comprare tranquillamente.

Tanto che vengono da molto lontano
ad acquistar la merce fucentina:
da Brescia, da Verona, da Milano,

dal Belgio, dall'Olanda, dai tedeschi,
sanno che è tutta roba genuina,
pregiata, sostanziosa e sempre fresca.

CXCIX

S'é attrezzato bene intorno ad esso,
a parte i vari centri industriali,
son nati tanti stand a posti fissi,
non sono bancarelle, sono speciali,

son capannoni grossi veramente
con tanto di catene di montaggio
dove si fanno i confezionamenti
con cento qualità di questi ortaggi.

Scritto stampato, marchio e provenienza
sopra i vassoi già confezionati
dove la merce è sempre in trasparenza

e si presenta bella com'è,
col cellofan sembra vellutata.
Si sa che l'occhio vuole la sua parte!

CC

La buona parte degli agricoltori
è diventata quasi commerciante,
non proprio commerciante, imprenditore,
sono diventati esperti tutti quanti.

Però ultimamente con questa crisi
l'agricoltura è la più bistrattata.
Oddio! Non è stata mai un paradiso,
ma adesso s'era quasi assaporato.

Se seguita così non si va avanti,
son problemi grossi veramente,
speriamo che non ci lasci la speranza,

speriamo ancora che con i sacrifici
e con un poco meno di tangenti
si possano ritrovare dei benefici.

CCI

Non credo che vorrebbe riallagarsi,
ricominciare daccapo a terra a otto,
questa è gente che vuol seguitare
a coltivare e vendere i prodotti.

Non è attrezzata per cambiar mestiere,
s'è attrezzata per l'agricoltura
ed è un'attrezzatura per davvero,
abbandonarla sarebbe una sciagura.

Riadoperare di nuovo le barchette
con tutte quante quelle sofferenze
che il padre di tatone sopportò

e ancora prima di tutti gli altri padri,
vivendo la più squallida indigenza
tra incoscienti, sfruttatori e ladri.

CCII

Questa è la nostra storia, grosso modo,
con tutti i tristi fatti del passato,
adesso che si stava quasi a godere
tra e capo e collo arriva questa mazzata .

Ma noi non ci dobbiamo scoraggiare,
sono gli alti e bassi di questi tempi,
son nuvole che andranno a scomparire.
Si deve stare attento alle provviste.

lo ho sporcato questi fogli con lo scritto,
mentre il pittore con un manifesto
ha scritto tutto quello che ho detto.

Dai romani al principe padrone,
e li dobbiamo ringraziare per questo,
malgrado i patimenti di Tatone.

 

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