... Brevissima storia (prima parte)...

"Del Piemonte e della sua lingua"

brevissime note di un dilettante ...
... per cui non si esclude la presenza di qualche errore (questo è un eufemismo)
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Introduzione
Tutta la storia del Piemonte, fin dalle sue origini,nella preistoria, lo rivela come terra di frontiera; luogo di incontro e transito, spesso di scontro, tra diverse civiltà, grazie ai suoi passi alpini, ma contemporaneamente, ed in particolare nell'antichità, inospitale ed isolato a causa del suo clima e della conformazione del suo territorio. La regione è spesso teatro di scontri e devastazioni, ma le montagne offrono un rifugio, seppure difficile, alle popolazioni ed alle loro tradizioni e culture
Buona parte della sua storia è intrecciata con quella dei suoi vicini d'Oltralpe. Nelle varie vicende che rapidamente vedremo, il confine reale tra i diversi, successivi contendenti e fra nazioni, è sempre piuttosto vago e, fino a qualche secolo fa, non è mai posto sul crinale dei monti, ma piuttosto verso lo sbocco delle valli, quasi a dimostrazione che le montagne non servono a dividere i popoli. Troppo simile è la vita sui due versanti, troppo simili i problemi e la dura vita della montagna richiede collaborazione. Su ambedue i versanti la gente è la stessa, con la stessa lingua (o molto simile), vive in case fatte delle stesse pietre, attorno a campanili uguali. Spesso i giovani di un versante vanno a cercare moglie sull'altro versante, sul quale dunque vivono anche dei parenti.
Tra le terre al di qua ed al di là delle montagne si stende una terra che per secoli è stata considerata terra di nessuno, che è invece la terra della gente di frontiera, il cui compito naturale è sempre stato quello di anello di congiunzione tra popoli e culture. Le montagne, negli ultimi secoli, hanno diviso eserciti e stati, questi ultimi sempre frutto di guerre, ma quei confini sulle montagne, celebrati da retorica e trionfalismi, sono e saranno sempre sbagliati.

Il Paleolitico

In Piemonte l'uomo compare piuttosto tardi. Siamo a meno di 200'000 anni fa, durante la penultima era glaciale, ormai alla fine del periodo chiamato "Paleolitico inferiore ", che in altre parti del mondo, come in Africa, era già cominciato da un paio di milioni di anni. Tracce di Homo, forse Homo erectus ma non ancora Homo sapiens, si sono trovate nei pressi di Trino Vercellese (Montarolo), dove si trovano pietre adatte alle lavorazioni del periodo. Gli individui che si spostano per il Piemonte sono certamente pochissimi, date anche le proibitive condizioni di vita del periodo, molto più freddo del periodo attuale. Si tratta di cacciatori e raccoglitori di frutti spontanei. In Piemonte, in quel perìodo, vivono elefanti, mammouth, ippopotami, rinoceronti, orsi, e qualche leone delle caverne, ma anche cervi, bisonti, cavalli selvatici e, anche in pianura, la marmotta.
Tracce di Homo sapiens del tipo di Neanderthal compaiono in Piemonte solo circa 100'000 anni fa, in corrispondenza dell'ultima glaciazione. Siamo ora nel "Paleolitico medio ", quando l'uomo continua ad essere nomade, senza dunque siti abitati in permanenza che avrebbero potuto lasciare più consistenti tracce della presenza umana. Qualche traccia in più, comunque, si ha di questo periodo, come all'imbocco della valle Sesia, nelle caverne dalla località Monfenera, dove si sono ritrovati anche resti umani attribuibili a un uomo di Neanderthal..
Le prime tracce di Homo sapiens sapiens appaiono fra circa 40'000 anni fa e 30'000 anni fà, quando il clima comincia ad essere un po' più temperato, quantunque si sia ancora nell'era glaciale. Si tratta dell'ultima fase del paleolitico o "Paleolitico superiore " dove gli uomini sono ancora sempre nomadi ma utilizzano tecniche più evolute per la lavorazione della pietra. In Piemonte continua la scarsezza di reperti, attribuibile a scarsezza di popolazione che lo frequenta.
Le condizioni cominciano a migliorare intorno a 20'000 anni fa, quando cacciatori e raccoglitori cominciano a frequentare le pianure del Piemonte (le valli alpine sono ancora le parti finali dei ghiacciai). La vegetazione è poca e le pianure sono cosparse di fiumi, laghi e acquitrini dati dal progressivo scioglimento dei ghiacci. Si tratta ancora di un ambiente solo appena vivibile e molto ostile. Anche la fauna sta cambiando, si trovano ancora dei mammouth, ma cominciano ad esserci cervi megaceri e buoi selvatici.
Verso 10'000 anni fa (8000 a.C.). si può dire che l'era glaciale si sia esaurita e la vegetazione ha colonizzato la pianura, dove crescono foreste di conifere, querce, aceri, faggi, mentre l'erba sta coprendo i fianchi delle montagne, e gli animali erbivori aumentano di numero. Fra gli altri si trovano ora asini selvatici, alci, bisonti, camosci e stambecchi. L'aimento degli animali cacciabili porta quindi ad un aumento dei cacciatori, sempre nomadi ma dotati di un nuovo strumento di caccia, l'arco, che aumenta di molto la "resa del loro lavoro. Questo periodo post-glaciale è detto "Mesolitico ". Gli abitanti (ancorché non stanziali) del Piemonte preferiscono le aree ai piedi delle montagne, in quanto la pianura è ancora molto aquitrinosa.
I cacciatori tendono ad accamparsi nelle aree ai piedi delle Alpi, ma tracce di accampamenti di questo periodo sono state ritrovate anche fino intorno ai 2000 m di altezza, nelle zone presso a valichi alpini, ad indicare che nella bella stagione i cacciatori si spingevano fino a quelle altezze nelle loro battute.
Sicuramente lo "sviluppo demografico" del Piemonte è alquanto in ritardo rispetto al resto dell'Italia.

Il Neolitico

Si può attribuire ad un epoca di poco precedente al 5000 a. C., in corrispondenza di un ulteriore miglioramento delle condizioni climatiche, l'inizio del Neolitico in Piemonte, in ritardo di qualche migliaio di anni rispetto a zone del Mediterraneo più favorite da questo punto di vista. Solo in questo periodo, infatti, in Piemonte le condizioni climatiche non costituiscono più un problema. La principale caratteristica del periodo sta nel fatto che gli uomini cominciano a coltivare il terreno, e non solo a raccoglierne i frutti, ad allevare gli animali e non solo a cacciarli. Gli attrezzi sono sempre di pietra, ma la loro lavorazione è più sofisticata, e si comincia a produrre manufatti di ceramica. In questi mutamenti non vi è solo un cambio di abitudini, ma anche di mentalità
Questa evoluzione (in particolare la coltivazione) porta l'uomo a fermarsi stabilmente in un luogo, ove comincia a costruirsi il riparo, dunque la casa, in modo che sia durarturo, anziché cercare ripari naturali o improvvisarne. Nascono così i primi insediamenti permanenti, che richiedono una diversa organizzazione della vita sociale, e che hanno lasciato ben più consistenti tracce rispetto agli accampamenti precedenti.
Il più antico villaggio in Piemonte è stato trovato vicino ad Alba, e risale al 5500 a. C. Altri villaggi fra i più antichi sono stati trovati verso la dorsale appenninica e la valle del Tanaro, quasi ad indicare che il nuovo modo di vivere arriva dalla costa ligure. Si comincia a dotarsi di suppellettili che si impara a fare in ceramica.
Proprio i manufatti di ceramica le tecniche di fabbricazione e le loro decorazioni sono indicatori di cultura e di scambi culturali o comunque di rapporti fra popolazioni. Le ceramiche trovate ad Alba sono sìmili a quelle trovate sulla costa ligure, marisentono anche di evidenti caratteri provenienti d'Oltralpe. Da questi si deduce che è stato non solo attraverso gli Appennini, ma anche attraverso le Alpi che queste nuove forme di civiltà sono entrate in Piemonte, più che non attraverso la pianura, ancora paludosa e coperta di intricate foreste.
In alcuni punti del territorio piemontese dovevano esistere specie di officine di fabbricazione di attrezzi in pietra, che poi venivano commerciati, come dimostra il ritrovamento di veri e proprii magazzini di prodotti finiti e di semilavorati, ad esempio ad Alba e a Chiomonte, ma anche in altre località, che sicuramente non erano soltanto destinati al consumo locale, date le grosse quantità ritrovate. Gli oggetti prodotti cominciano a coprire una vasta gamma di necessità, dai falcetti alle macine, dalle asce alle ciotole, e così via. La popolazione comunque occupa le basse vallate alpine e le colline, ma non la pianura, sulla quale si sono ora sviluppate intricate foreste.
Si cominciano a trovare strumenti per la tessitura della lana. L'allevamento è infatti essenzialmente di ovini, e poi bovini e suini. È raro il cavallo, all'epoca piuttosto piccolo, mentre viene allevato anche il cane, ma per usi alimentari. L'agricoltura produce farro, orzo, panico, grano tenero. Ë il periodo in cui compaiono i primi segni di vita spirituale nelle popolazioni del Piemonte. In particolare si tratta delle espressioni grafiche (incisioni e pitture) , e la cura nella sepoltura dei morti, a cui si comincia a fornire un minimo di "corredo". Inizia quella attività di incisioni rupestri che sono disseminate sulle Alpi occidentali e centrali, non ancora ben identificate nel loro scopo, mentre anche la loro datazione rimane incerta.
Intanto si scopre la metallurgia, siamo intorno al 3000 - 2000 a. C., ma in Piemonte, fino a circa il 2000 a. C è noto soltanto il rame, metallo poco utile di per sé in quel periodo, in quanto non adatto alla produzione di attrezzi a ragione delle sue scarse qualità meccaniche. Il rame si trova, infatti, in relativa abbondanza in Piemonte, mentre è assente lo stagno, altro metallo richiesto per realizzare il bronzo. Il metallo rimane dunque marginale nella fabbricazione degli attrezzi, che continuano ad essere in larga parte di pietra, mentre con il rame vengono fatti essenzialmente monili e decorazioni, nonchè qualche attrezzo casalingo. Il periodo viene chiamato "Calcolitico " e cioè della pietra e del rame. In questo periodo compaiono le prime necròpoli, ove gli individui sono sepolti con oggetti ed ornamenti. A partire da questo perìodo si trovano ripari in quota che fanno pensare alla pratica di una pastorizia di transumanza.
Sempre in questo periodo compare in Piemonte un particolare vaso di ceramica piuttosto diffuso in Europa. Questo dimostra come il Piemonte, benché isolato e poco abitato, partecipa agli scambi con gli altri popoli europei, scambi che sono ormai diventati normali.

Le età del Bronzo e del Ferro

A partire dagli anni 2000 a.C. anche in Piemonte arriva la tecnologìa del bronzo, lega di rame e stagno che, a differenza dei suoi componenti, ha buone caratteristiche meccaniche. Nel periodo, la popolazione del Piemonte sta lentamente crescendo, anche se a ritmo inferiore a quello di altre aree del nord Italia, e comincia ad essere necessaria una espansione dalle colline verso le pianure, che però sono ancora paludose e soggette a frequenti esondazioni dei fiumi.
Questo porta alla costruzione di villaggi su palafitte, vicino o sopra a laghi e stagni, e comunque al riparo dagli improvvisi innalzamenti di livello dei fiumi, dato dalle particolari condizioni climatiche del periodo. Siamo intorno agli anni 1500 a. C. e questo impone uno sviluppo delle tecniche di costruzione, di lavorazione del legno e della relativa attrezzatura, nonche delle tecniche di navigazione sui corsi d'acqua e sui laghi. Attrezzi ed armi sono ora di bronzo, per la fabbricazione del quale lo stagno arriva dalla Spagna o addirittura dalla Cornovaglia, dimostrando una certa vitalità negli scambi, ancora una volta attraverso la montagna, e l'uso dei passi alpini (sicuramente il Monginevro ed il Gran San Bernardo). Deve già esservi una discreta organizzazione commerciale, ed un servizio di trasporti quantomeno efficace.
Proprio le tecnologie impiegate nella metallurgia del bronzo attestano uno stretto collegamento con i popoli transalpini, più che non con l'Italia peninsulare, con il ritrovamento in Piemonte di attrezzature metallurgiche di tipo conosciuto in Francia sino al territorio della Senna e del Reno e sconosciuto invece nel resto d' Italia. La cosa è rilevabile anche dai manufatti in bronzo ritrovati. Attraverso questi ritrovamenti si deduce che i rapporti con le popolazioni europee sono molto più stretti che con le popolazioni peninsulari. Il bronzo non sostituisce subito e del tutto la pietra, le cui tecniche di lavorazione si sono affinate, mentre la materia prima è più facilmente trovabile (anche se non tante aree del Piemonte dispongono di rocce adatte). I passi alpini del Monginevro e del Gran San Bernardo cominciano a delineare quelle che saranno le caratteristiche del Piemonte nella storia.
I maggiori ritrovamenti relativi a quest'epoca si sono avuti presso il lago di Viverone. Questi ritrovamenti attestano una civiltà fatta da piccoli gruppi di persone, che occupa l'intero Piemonte e anche più, che vive in prevalenza su palafitte, che possiede armi ed attrezzature di bronzo, che fabbrica monili di pregio, che produce una ceramica con caratteristiche proprie, che pratica l'agricoltura e l'allevamento, che conosce il carro ed il cavallo, che si sposta di preferenza per via d'acqua. Si tratta di una cultura (civiltà) che ha preso il nome di cultura di Viverone.
Risalgono a questo periodo le prime testimonianze di un culto rivolto ad esseri divini. Si introduce l'usanza di seppellire i morti con oggetti usati in vita, e pare che anche questa, in Piemonte, sia di derivazione transalpina.
Fra l' 800 e il 700 a. C. la civiltà del bronzo tramonta. In Piemonte il clima si fa avverso e freddo e le rive dei laghi e le paludi diventano zone pericolose a causa del dissesto idro-geologico che consegue al peggioramento del clima, con frequenti esondazioni che creano problemi e pericoli. Gli abitanti progressivamente tornano a vivere in altura, ma l'aumento della popolazione richiede lavori di terrazzamento e opere per rendere coltivabile il terreno lungo le pendici dei monti. Intanto si scopre l'uso del ferro, metallo con buone caratteristiche meccaniche, migliori di quelle del bronzo. Anche questo metallo non manca in Piemonte, e questo apre ai contatti anche verso la pianura padana. L'età del ferro in Piemonte è caratterizzata dall'arrivo e la successiva mescolanza della popolazione locale con popoli di provenienza transalpina, come vedremo di seguito. Intanto si diffonde un nuovo cereale, la segale, che è molto utile in quanto resistente al freddo, e può essere coltivato anche a quote relativamente alte. ominciano le coltivazioni di piselli e lenticchie, poi anche di canapa e lino. Si diffondono il noce e il nocciolo, mentre si comincia a sfruttare la vite selvatica. Ora si allevano anche i cavalli , e la caccia perde molto della sua importanza: non serve più per sopravvivere ma per integrare e variare l'alimentazione.

I primi gruppi etnici

È nel periodo delle palafitte che cominciano a formarsi dei gruppi etnici in Piemonte, accomunati da particolari caratteristiche. In pratica nella cultura di Viverone c'è chi vede la formazione del popolo dei Liguri, che in quel periodo occupa ben più che il solo Piemonte, o per lo meno la parte più settentrionale di questo popolo, che occupa quella che ora è l'attuale Francia meridionale e parte della penisola iberica, e si estende fino al Trentino.
A proposito dei Liguri è possibile trovare in letteratura valutazioni differenti sulla loro origine. C'è chi parla di popolazione pre-indoeuropea forse di provenienza iberica, e chi invece assegna con certezza origine indoeuropea ai Liguri. Nella nostra breve storia questa non è questione per noi, che ci limitiamo a notare come nel Piemontese, anche attuale, esistano parole e toponimi assegnabili ad origine pre-indoeuropea (ma questo non dimostra più di tanto). Sicuramente la loro lingua assomiglia a quella dei popoli d'oltralpe ma sicuramente non è uguale. Si tratta di piccole tribù, che sicuramente hanno differenze linguistiche anche fra di loro. Nella toponomastica piemontese sono di solito di derivazione ligure i nomi di luogo terminanti in "...inco", "...ello" e "...asch, ...asco, ...asca" come Revello, Grugliasco, Beinasco, Revigliasco, Airasca, Lombriasco, val Germanasca, etc....
Questa civiltà evolve verso caratteristiche proprie, nell'area piemontese, fin verso il 700 a. C. A partire da questo periodo diventa sempre più evidente una più massiccia influenza delle civiltà transalpine in Piemonte, in particolare a nord del Po, dove si formano due gruppi etnici. A nord est, nella zona dei laghi e del Ticino compare una cultura celtica, che interessa anche parte della Lombardia occidentale. Mentre a nord ovest, nelle aree che saranno occupate da Salassi e Taurini, si sentono sempre più importanti influssi di civiltà dalla Gallia transalpina, differente però da quella ad est. Fino al periodo romano queste differenze saranno avvertibili.
Nel Piemonte nord orientale si stabilisce dunque una etnìa che come base è celtica. La cultura che si sviluppa è alquanto indipendente, e molte sono le influenze che arrivano dall'Italia peninsulare, in particolare ad opera degli Etruschi, dai quali sembra venga anche acquisito l'uso dell'alfabeto. Gli scambi con popoli tanto a nord quanto a sud, seguendo la via d'acqua del Ticino, sembrano molto fiorenti. Queste tribù formano insieme quelli che vengono definiti gli Insubri. A queste tribù si aggiungono i Leponzi, anch'essi giunti d'oltralpe, che si stanziano nelle alte vallate dell'Ossola. Questa è la civiltrà che viene di solito indicara come civiltà di Golasecca.
Nel Piemonte nord occidentale si registra una progressiva immigrazione di Celti d'oltralpe, con carattere decisamente indipendente dalla civiltà di Golasecca a oriente, e più aderente alle usanze transalpine. Qui Celti e Liguri si fondono in quella etnia definita poi dagli stessi Romani come "Celto-Ligure" nella quale non son più distinguibili le due componenti. Questa fusione avviene in modo sostanzialmente pacifico.
Nell'area non vi è traccia dei commerci etruschi e non è nota la scrittura. Qualche differenza ancora è riscontrabile tra Taurini e Salassi, le due tribù o gruppi che quì si formano, facendo pensare che per i Salassi vi sia stata anche una certa mescolanza con tribù provenienti dall'Europa centrale. Sicuramente i Salassi hanno scambi con la regione dell'attuale Svizzera, attraverso il passo del Gran San Bernardo, mentre i Taurini sono in contatto con la Gallia attraverso il passo del Monginevro. Una delle caratteristiche che distingue questa civiltà da quella di Golasecca è il modo decisamente differente di seppellire i morti, che invece si avvicina molto alle usanze dei Celti transalpini.
Nel Piemonte meridionale permangono i Liguri, suddivisi in varie tribù, fra cui Statielli e Bagienni, Veneni, Euburiati. ecc. e che hanno elementi, nella loro civiltà, che sono anche rintracciabili nella Francia meridionale,nell'area compresa fra le Alpi ed il Rodano, zona peraltro anch'essa abitata da popolazioni di origine Ligure. Nei loro manufatti in ceramica si dimostrano alquanto diversi dai Celto-Liguri a nord del Po e dagli Insubri.
Lo sviluppo demografico di quest'area appare più lento, la zona più povera e scarsamente abitata, e non si formano centri abitati con dimensioni al di là del piccolo villaggio. Gli Etruschi, comunque, attraversano questo territorio per i loro commerci (in particolare la valle del Tanaro) e questo contribuisce ad un certo scambio di culture, sebbene sembra che le tribù liguri restino piuttosto ai margini di queste attività, dediti ad una povera agricoltura e alla pastorizia, essenzialmente di ovini.

L'invasione dei Galli

A partire dagli anni intorno al 500 a. C. il Piemonte viene percorso da gruppi di Galli che attraversano le Alpi e provocano ostacoli agli scambi. Non si tratta di vere invasioni, ma comunque cresce in Piemonte la presenza di individui di provenienza transalpina, che si comportano da predoni o sono comunque di disturbo.
Questo è probabilmente una delle cause dell'arretramento dello sviluppo della civiltà del Piemonte nord orientale, che continua invece ad essere prospera più ad est, mentre il suo asse piemontese si sposta dal Ticino al Sesia. Le vie del commercio etrusco tendono a spostarsi più ad est, e contemporaneamente la cultura del Piemonte occidentale si espande fino all'area dell'attuale città di Biella.
Negi anni del quarto secolo a. C. si hanno vere e proprie invasioni di Galli in Italia, che arriveranno fino a Roma (Brenno nell'anno 390 a. C. arriva a saccheggiare Roma), e che, in diversi modi, si instaurano nell'Italia settentrionale, ad eccezione del Veneto.
Non pare che in Piemonte questa invasione sia stata particolarmente traumatica nell'area di nord ovest, ove da poco tempo altri Galli si sono perfettamente integrati con la popolazione locale, e nell'area di nord est, abitata da gente piuttosto affine. Qualche problema in più si riscontra nell'area del Piemonte meridionale, la più povera, che però continua a mantenere una sua identità, in particolare verso l'Appennino, senza un considerevole apporto etnico gallico, mentre invece sembra che sia grande l'apporto culturale, dal momento che si introducono fra le popolazioni locali molte usanze d'oltralpe.
In tutto il Piemonte i Galli che vi rimangono si integrano bene con la popolazione, e certamente non sono una percentuale molto rilevante. Significativi sono invece gli influssi culturali che si verìficano, e molte usanze galliche vengono a far parte della cultura piemontese. Fra queste senz'altro vi sono i culti religiosi, che si sovrappongono a quelli pre-esistenti, nonché l'usanza di seppellire i morti nella terra, che sostituisce la precedente pratica della cremazione, praticata in particolare nel sud Piemonte.
In Piemonte sono molti i toponimi che hanno origine celtica, fra cui i nomi di fiumi Varaita, Maira, Orco, Stura, e le due Dore (dour in celtico significa appunto acqua) e varie località come Cuorgné, Aglié, Oulx, Exilles e la stessa Susa (da segu come luogo fortificato) etc. mentre molte parole celtiche compaiono ancora oggi nella lingua piemontese.

Organizzazione e lingua delle tribù

Mentre le tribù a nord, con maggiori tradizioni galliche, tendono a formare confederazioni, con strutture oligarchiche con pochi signori che hanno potere, nel sud del Piemonte le tribù appaiono molto più indipendenti e più numerose. Non si hanno notizie di particolari lotte fra tribu.
Non vi è dunque una struttura politica che tenda ad essere unitaria, come avviene invece per gli Etruschi e per la nascente civiltà romana, la quale mira ad inglobare e sottomettere i popoli conquistati. La densità di popolazione del Piemonte rimane piuttosto bassa, e l'incolto e le foreste sono molto diffusi, mentre permangono molti terreni paludosi e torbiere nella pianura.
Monete etrusche si rintracciano in Piemonte (le monete etrusche furono coniate dal V sec a. C. al III sec. a. C.) sulle vie seguite dal commercio etrusco, mentre si trovano anche dracme della colonia greca di Marsiglia, lungo le vie die passi alpini. Alcune delle tribù a nord del Pò iniziano a coniare loro monete nel terzo secolo avanti Cristo, imitando le dracme greche. Queste monete si sono ritrovate anche a grande distanza dal Piemonte, indicando una certa vitalità nel commercio.
È probabile che ogni tribù parli un dialetto con qualche differenza rispetto al dialetto dei vicini, ma sostanzialmente le componenti della lingua che si può supporre sia parlata in Piemonte sono: Elementi pre-indoeuropei (tuttora presenti). La lingua dei Liguri (probabilmente già diversificata per zone). La lingua dei Celti (con differenze fra est e ovest). Qualche influsso della lingua degli Etruschi (a sud e a est). Nel Piemontese attuale vi sono anche parole d'uso corrente con derivazione pre-indoeuropea (poche), ligure, celtica, oltre ai toponimi già citati. La lingua inizia ad uniformarsi in tutta la regione.

Il Piemonte ed i Romani

I primi rapporti con i Romani si hanno con la prima guerra punica (che inizia nel 264 a. C.) e sono subito burrascosi. Le popolazioni del Piemonte si schierano con i Cartaginesi, ed i Romani rispondono con varie puntate offensive in Piemonte. Dopo aver battuto gli Insubri e conquistato parte dell'area lombarda del loro territorio (anni che vanno circa dal 225 a. C. al 220 a, C.), fondano le colonie di Cremona e di Piacenza, nel 218 a. C.
Nello stesso anno Annibale attraversa le Alpi e porta la guerra in Piemonte, dove i Taurini si oppongono al suo passaggio e vengono sconfitti, mentre le altre tribù piemontesi appoggiano l'azione cartaginese. Alla fine della seconda guerra punica, nell'anno 201 a. C, può riprendere l'azione di penetrazione dei Romani verso il Piemonte, che capita con modalità e tempi diversi nelle tre aree di cui abbiamo detto.
Le regioni del nord est piemontese, dopo un tentativo di resistenza militare, intorno al 195 a. C. senza frutto, trovano il modo di accordarsi con i Romani sottomettrendosi ma mantenendo una larga autonomia. I ceti alti gallici cominciano ad acquisire la cultura romana, mentre funzionari e commercianti romani si trasferiscono sul territorio. Inizia così una latinizzazione dell'area, che però non riguarda la maggioranza della popolazione. In particolare le zone più occidentali dell'area, quelle piemontesi, restano piuttosto marginali al fenomeno. La cultura latina poi, si mescola ma non sostituisce la cultura locale.
Le aree a sud del Po, abitate dai Liguri, sono quelle in cui l'occupazione inizia in modo più traumatico. Anche se in Piemonte non ci sono i massacri di Liguri come invece si verifica nella Liguria e nelle Alpi apuane, l'ostilità delle tribù è maggiore, e il fatto che ogni tribù agisca per sé complica le cose. La prima città piemontese fondata dai romani è Dertona (l'attuale Tortona) negli anni dopo il 176 a. C. anno in cui alcune terre vengono assegnate ai veterani romani. Si tratta ancora di aree ristrette del Piemonte orientale. Nell'anno 148 a. C. viene aperta la via Postumia che collega Genova all'Adriatico e passa nella valle Scrivia e si sviluppa il centro di Libarna (Serravalle Scrivia). Un notevole sviluppo di centri urbani si ha a partire da 125 a. C. Si tratta però di precedenti villaggi liguri, che continuano ad essere abitati da Liguri, e alcuni di questi mantengono anche il loro nome ligure. Tra i più noti Hasta (Asti) Carreum (Chieri). È il periodo in cui inizia e si sviluppa la coltivazione della vite sulle colline.
Il Piemonte nord occidentale rimane a lungo estraneo alla penetrazione romana, con qualche minacciosa puntata e molta cautela. Il primo scontro è con i Salassi nel 143 a. C. che riescono a sconfiggere i Romani. Le ostilità continuano fin quando i Romani riescono ad ottenere il controllo del bacino aurifero vicino a Biella. È solo nel 100 a. C. che i Romani riescono a fondare una colonia nel territorio conquistato ai Salassi. Si tratta di Eporedia (Ivrea) in concomitanza con l'assegnazione di terre ai veterani. Pare che in questo periodo i Taurini cerchino di fare accordi con i Romani.
A Roma il Piemonte viene descritto da reduci e mercanti come una terra assolutamente inospitale, fredda e selvaggia, disseminata da lande deserte e foreste impenetrabili, abitata da gente testarda ed ostile. In questo primo periodo, Roma sta puntando il suo interesse verso il mare Adriatico e non verso le Alpi ed i suoi passi. Qualche colonia romana viene successivamente fondata su parte delle terre occupate, a partire dal 150 a. C. circa, ma le due civiltà rimangono, in sostanza, mutuamente estranee. Al momento, per i Romani, la strada importante verso le Gallie è quella costiera.
Il Piemonte sotto il controllo di Roma non è, comunque parte dell'Italia romana, ma viene considerato una provincia con una organizzazione politica differente. Solo nell'anno 49 a. C. viene varata una legge per l'estensione della cittadinanza romana agli abitanti della Gallia cisalpina, e nel 43 a. C. le città diventano municipi nell'organizzazione politrica romana. Questo però si riferisce solo alle pianure e parte delle colline, in quanto gli abitanti delle vallate alpine restano estranei a questi processi, e del resto non sono stati ancora sottomessi a Roma. I Salassi sono ancora in grado di far pagare un tributo ai Romani per l'attraversamento del passo del Gran San Bernardo. Solo negli anni intorno al 25 a. C. i Salassi sono sconfitti e sottomessi
Anche Cesare, per utilizzare il colle del Monginevro nel 61 a. C., transitando verso la Spagna, deve fare accordi con gli abitanti dei due versanti. Il re Donno, in Valsusa, fa accordi con Cesare , mentre il figlio di Donno di nome Cozio, mantiene la sovranità sul territorio, lo governa in nome di Roma, ma è riconosciuto Rè dalle tribù. Susa diventa una città di stile romano e costruisce l'arco di Augusto in segno di romanizzazione pacifica, e non dunque come città conquistata, ma amministrativamente rimane una città gallica. L'area sarà integrata nell'impero solo nel periodo di Nerone, alla morte dell'ultimo dei Cozii.
Comunque gli abitanti delle vallate alpine non diventano cittadini romani, in quanto i confini vengono stabiliti allo sbocco delle valli (per esempio, verso la Valsusa, ad Avigliana).. Nel periodo si hanno testimonianze di famiglie di imprenditori veneti che si trasferiscono in Piemonte.
La romanizzazione interessa soprattutto le città, mentre nella campagna procede molto lentamente, portata di veterani a cui sono assegnate le terre, ed è quasi assente nelle vallate alpine, dove la precedente cultura celtica e celto-ligure rimane la prevalente, ed in qualche zona l'unica. La vita economica e sociale comunque progredisce fin verso la fine del secondo secolo dopo Cristo, e porta alla bonifica del territorio là dove è ancora paludoso, alla riduzione del terreno incolto, alla costruzione di acquedotti e strade, canali di irrigazione e di bonifica. In questo periodo il Piemonte gode di una certa indipendenza e di una cera prosperità. Viene solo marginalmente interessato dalle guerre civili che si hanno alla morte di Nerone. In questa occasione le legioni di Vitellio, provenienti dalla Gallia, provocano incidenti.
Tutto ciò che è romano penetra assai difficilmente e lentamente tra le popolazioni piemontesi. Il Piemonte, dopo l'istituzione delle municipalità, mantiene una certa indipendenza amministrativa nei confronti dell'Impero. L'ordinaria amministrazione è affidata alle famiglie agiate locali, e Roma interviene solo in casi eccezionali. Nell'epoca di Augusto si hanno le prime notizie di Augusta Taurinorum (Torino), sulla cui fondazione non vi sono notizie certe, né sulla probabile esistenza di un precedente centro Celto-Ligure. All'epoca Torino conta circa 5000 abitanti.
Una vera romanizzazione organica del territorio inizia solo dopo la morte dell'imperatore Nerone e la successiva guerra civile (intorno al 70 d.C.). Questo si verifica a causa di un gran numero di veterani dell'esercito romano che, lasciato il servizio, vengono sistemati in Piemonte, sulla notevole quantità di terra incolta ancora presente. La lingua Celto-ligure fà da base ad una evoluzione data dall'assorbimento degli elementi latini nel lessico e nella struttura. Buona parte della lingua Latina viene adattata al modo di parlare locale. Il Piemontese inizia a formarsi quindi come lingua neolatina, mentre il Latino rimane una lingua per pochi.
Va notato che il centro della cultura latina continua però ad essere lontano, non solo fisicamente. I veterani a cui vengono assegnate terre in Piemonte non sempre sono di cultura naturale latina, ma provengono più facilmente da diverse parti dell'impero. Elementi culturali celto-liguri permangono, senza influenze latine, in particolare verso le montagne, nelle valli che non portano a valichi importanti (valli di Cuneo, Lanzo, Canavese, etc.).
Sorgono nuovi centri che assumono un carattere romano, mentre altri rimangono con caratteristiche preromane. Toponimi in -ano indicano la derivazione da un nome gentilizio romano (Reano, Alpignano, Orbassano, Avigliana, etc.).
Data la crescita della popolazione rurale (assegnatari veterani di terreni) molte terre incolte sono messe a coltura. L'utilizzo di sistemi di irrigazione e di imbrigliamento delle acque permette una buona produzione di foraggio e dunque uno sviluppo dell'allevamento di bestiame. Buona la produzione di legname e l'artigianato del legno, mentre la regione produce anche una discreta quantità di minerali (non solo ferro e rame, ma anche oro ed argento). Le strade, essenziali per l'Impero, vengono sistemate o rifatte.
Permane comunque una notevole differenza fra le aree pianeggianti, città e valli di Susa e Aosta, con il resto delle aree montane e di campagna.
Fino alla fine del secondo secolo dopo Cristo il Piemonte gode di una certa tranquillità. L'agricoltura viene sviluppata e modernizzata. Non si formano grandi latifondi come in altre parti dell'Italia e si introducono o sviluppano nuove coltivazioni ed i castagni cominciano a sostituire, nelle zone collinari e prealpine, gli alberi d'alto fusto. Già molto coltivata la vite, si coltiva anche l'olivo. Crescono le attività artigianali ed in particolare la lavorazione del legno. Sviluppata è anche l'attività mineraria.
A partire dalla fine del secondo secolo inizia una grave crisi economica e demografica in tutta Italia. È anche il periodo di generali che che per qualche periodo tolgono il controllo sul Piemonte a Roma, ed il periodo di epidemie che spopolano le campagne sempre più povere. La riforma di Diocleziano stravolge l'ordinamento politico e toglie le autonomie municipali, aggrava la crisi delle campagne e favorisce il formarsi di latifondi, riducendo i contadini a livello di servi. Nasce una vasta provincia nell'Italia settentrionale che include quasi tutto il Piemonte, sempre escludendo le vallate alpine, ad eccezione di Susa.
Negli anni 311 e 312 d. C. il Piemonte è interessato dalla guerra civile fra Costantino e Massenzio. Costantino prevale e sposta in Piemonte gruppi di Sarmati che secondo alcuni hanno il compito di rafforzare le difese dei passi alpini, ma che sicuramente hanno anche lo scopo di ripopolare la regione, che ha perso parecchi abitanti. Una colonia di Dalmati è già presente nell'area che diventerà la città di Torino. Tutto questo provoca un nuovo apporto etnico e linguistico, nonché contrasti causati da differenze di costumi e tradizioni. Queste popolazioni sono molto poco romanizzate, ed inizia un graduale offuscamento di quella che era la tradizione civile romana.
Cominciano a notarsi segni di dissolvimento del sistema romano. Lo stato è diventato pesantemente burocratico, le strade sono in condizioni disastrose. Una certa ripresa economica si ha con lo spostamento della capitale dell'impero d'occidente a Milano, ma questo accentua anche la differenza fra territori strategicamente importanti e territori di minor interesse, fra città e campagne.

Il Cristianesimo in Piemonte

In Piemonte, come in tutto l'impero romano, vari culti si sovrappongono ai tradizionali culti romani ed ai culti locali, sempre accettati di buon grado dai Romani. Il Cristianesimo, per la sua carica di novità radicale ed i princìpi che afferma viene invece subito considerato pericoloso e sovversivo dalle autorità romane e quindi violentemente ostacolato.
Come in molte parti dell'Europa meridionale, anche in Piemonte vi sono tradizioni che tendono ad attibuire a varie comunità cristiane un inizio antichissimo, magari pochi decenni dopo la predicazione del Cristo, e magari fondate direttamente da qualche apostolo. Naturalmente risulta di solito impossibile trovare riscontri storici, e spesso i reperti a disposizione mettono in evidenza più o meno vistosi spostamenti temporali. Una di queste tradizioni narra di come una nipote di Nerone, segretamente cristiana, per sfuggire alle persecuzioni dell'imperatore si fosse rifugiata in Piemonte, vicino a Susa, con al seguito numerosi fedeli e due "uomini apostolici", e come da questo gruppo, visitato dallo stesso San Pietro, fosse partito il Cristianesimo da Novalesa per diffondersi nell'area, tanto al di qua come al di là delle Alpi. Chiaramente questa è leggenda.
In alcune aree del Piemonte inizia ad entrare il Cristianesimo, portato spesso da mercanti ed altri viaggiatori, oppure dagli stessi soldati romani, a volte da ministri della Chiesa. Nel III secolo si ha la predicazione di San Dalmazzo nel cuneese, martirizzato secondo la tradizione nell'anno 254. Le notizie su questo santo non sempre sono concordi. Dovrebbe essere l'evangelizzatore di Pedona (che diventa in suo onore Borgo San Dalmazzo), mentre altre notizie lo danno come Vescovo di Pavia, ove c'é una chiesa a lui dedicata.
Durante le varie persecuzioni, anche il Piemonte ha i suoi martiri. Di essi Avventore, Solutore, Ottavio, soldati della Legione Tebea, sempre secondo una tradizione, sono considerati i primi martiri "torinesi", in quanto martirizzati a Torino (Valdocco) nell'anno 286. I corpi di questi martiri, secondo questa tradizione, sono raccolti dalla matrona cristiana Giuliana e seppelliti nel luogo ove sorge prima una cappellina e poi il convento di San Solutore. Il convento verrà poi distrutto dai Francesi nel 1536, e le relquie dei martiri verranno trasferite prima alla Consolata e poi nella Chiesa dei Santi Martiri (1575) a loro dedicata (via Garibaldi angolo dia Botero) ove sono ancora oggi.
Altro santo la cui venerazione è diffusa in Piemonte è San Secondo. Pare che vi siano in Piemonte tre differenti santi di nome Secondo, di cui uno è venerato a Torino ove ha dedicata la chiesa in Via San Secondo, vicino a Porta Nuova, ed un altro dà il nome a San Secondo di Pinerolo. Entrambi questi santi sono ritenuti martiri della legione tebea (come Solutore, Avventore ed Ottavio). Il terzo San Secondo piemontese à quello di Asti, patrizio che diventa cristiano e subisce il martirio già nel 119, e dunque uno dei primissimi martiri piemontesi.
Dopo l'editto di Milano (anno 311) di Costantino, il Cruistianesimo non solo ottiene libertà di espressione, ma diventa religione ufficiale dello stato.
La prima epigrafe cristiana in Piemonte risale al 341 (Revello), ma altri autori collocano al 401 la prima làpide cristiana in Piemonte (Acqui). I documenti della Chiesa fanno invece risalire il Cristianesimo in Piemonte ad anni precedenti, in quanto già verso il 345 viene mandato in Piemonte il primo Vescovo ad organizzare i gruppi di fedeli già numerosi nella regione. Si tratta di Eusebio, che si stabilisce a Vercelli. Nel periodo è diffusa l'eresia ariana, che nega o sminuisce la divinità di Gesù Cristo, e contemporaneamente la nuova fede spesso si mescola a culti precedenti, e questo in particolare nelle campagne, ove resistono ancora a lungo antichi culti e superstizioni.
L'opera di grandi vescovi quali Gaudenzio a Novara, Eusebio a Vercelli, Massimo a Torino riporta nell'ortodossia la nuova religione, non sempre senza difficoltà. L'opera di San Massimo in particolare, a Torino, si svolge dopo l'anno 380, ma le notizie sono frammentarie, e tracce di un vescovo di nome Massimo, di Torino, si trovano fino al 460 circa, facendo supporre o errori di datazione o la presenza di due vescovi di nome Massimo. Nel 451 si sa, dagli atti di un sinodo, che esistono anche un Vescovo di Ivrea ed un Vescovo di Asti. Le diocesi ed i loro Vescovi, dopo l'editto di Milano, assumono lentamente un prestigio sempre più grande, e si porranno più tardi come punti di riferimento di cultura e di civiltà nel buio periodo che sta per iniziare. I notabili delle città tendono a trasferirsi in campagna e lasciano vuoti organizzativi che vengono occupati dai Vescovi, i quali riceveranno vere e proprie deleghe da parte delle autorità dello stato.
Ancora successivamente saranno coadiuvate in questo dalle fondazioni monastiche (il monachesimo inizia a diffondersi nel IV secolo). Fra queste vedremo in seguito, con la consueta rapidità, due delle più celebri abbazie del Piemonte: La Novalesa e la Sacra di San Michele. In effetti, come vedremo, i barbari non sapranno esprimere quelle professionalità amministrative, commerciali e tecniche, necessarie alla vita delle città. L'unico riferimento che rimarrà nelle città in rovina sarà il Vescovo, che lentamente assumerà tutti i poteri per necessità, non essendovi un potere laico in concorrenza. Vedremo poi che la nascita del Piemontese scritto avverrà (per quanto ne sappiamo) per opera di frati e con scopo di catechesi, questo almeno, stando al più antico documento in piemontese che si sia conservato, e di cui diremo. Inizia a costituirsi, attraverso donazioni fatte dai potenti, quel potere civile delle diocesi che sarà molto presente nella storia del Medioevo.

I Barbari

I problemi per l'impero romano iniziano nell'anno 376, nel quale i Goti, pressati da est da altri popoli, vengono autorizzati a passare il Danubio ed entrare nei confini dell'impero. I Goti sono oggetto di soprusi da parte di comandanti locali, e questo provoca la loro ribellione, e l'inizio di una insatabilità che vi diffonde.
Intanto, alla fine del quarto secolo, carestie e pestilenze provocano disastri anche in Piemonte dove iniziano scorrerie di eserciti ribelli all'imperatore. Prima dell'apparire dei barbari in Italia, già nel 378 iniziano carestie, pestilenze e moria di animali, nel 387 l'esercito dell'usurpatore Magno Massimo proveniente dalla Gallia, e formato in maggioranza da bande mercenarie barbare, si ferma nella valle del Po e consuma tutte le risorse, provocando una nuova carestia. Nell'anno 402 arriva in Piemonte da est l'esercito dei Visigoti di Alarico, che assedia Asti ed è poi battuto a Pollenzo. Il comandante delle truppe imperiali è un barbaro romanizzato: Stilicone. La battaglia si svolge in località Colle della Vittoria, poi chiamato dalla tradizione Santa Vittoria d'Alba. Un nuovo esercito barbaro, quello di Radagaiso, nel 405 passa il Monginevro ed attraversa il Piemonte saccheggiandolo. Ancora Stilicone batterà questo esercito, ma solo in Toscana. Negli anni successivi eserciti romani contrapposti, prima quello di un generale di Stilicone e poi quello dell'usurpatore Costantino III, attraversano il Piemonte. Sono composti da mercenari barbari che sempre saccheggiano i posti attraversati. Una nuova carestia si verifica nel 411. I Visigoti, saccheggiata Roma risalgono la penisola e riattraversano il Piemonte distruggendo e saccheggiando.
Ancora vi è qualche scorribanda di Burgundi, Svevi, Alamanni fermata dagli imperiali nel 435, ma sostanzialmente una certa tranquillità si ha fino al 450, quando scoppia una terribile carestia in tutta l'Italia, aggravando condizioni di vita già critiche. Non si sa se gli Unni di Attila si siano spinti fino al territorio piemontese, di certo in Piemonte transitano ancora un esercito di Burgundi ed uno di Ostrogoti, sempre dediti al saccheggio.
Nel 476 gli Eruli di Odoacre, che formano il grosso dell'esercito imperiale in Italia, si ribellano e depongono l'ultimo imperatore in occidente, Romolo Augustolo. La parte sud orientale del Piemonte è coinvolta nei saccheggi che ne conseguono. Odoacre è padrone dell'Italia, ma l'imperatore d'oriente si accorda con Teodorico, rè degli Ostrogoti, per eliminare Odoacre. Un esercito di Visigoti passa per il Piemonte verso il 490, in appoggio di Teodorico. L'anno successivo calano in Piemonte dalle Alpi occidentali orde di Burgundi che saccheggiano distruggono e portano via migliaia di persone, di cui qualche anno dopo verrà ottenuta la liberazione dietro pagamento di riscatto. Intanto, nel 496, si verifica ancora una terribile carestia, a conclusione di un secolo disastroso per il Piemonte.
Il regno di Teodorico porta un periodo di tranquillità al Piemonte disastrato, con città spopolate in cui rimangono il Vescovo e qualche notabile, le campagne con contadini scarsi e ridotti ad uno stato di servitù, con pochi latifondisti insediati nelle loro ville, le strade disastrate, mentre i terreni coltivati si sono ridotti di molto. Il governo tenta di ristabilire un tessuto di appoggio alle aree più in difficoltà ed attenuare gli effetti delle ricorrenti carestie.
In Piemonte è difficile rintracciare dei reperti del periodo, e da quelli che si hanno emerge una certa influenza della cultura germanica. Il latino permane la lingua ufficiale, con sicuri imbarbarimenti, ma è solo la lingua delle classi alte. Difficile dire quale sia la lingua del popolo, ora che la presenza d'oltralpe e germanica è notevole. Si può supporre che le vallate alpine, in particolare quelle secondarie, mantengano più che non le città e le pianure, antiche culture e tradizioni, nonché antichi linguaggi.
Alla morte di Teodorico nascono nuovamente contrasti, questa volta di carattere ereditario, e l'imperatore d'oriente Giustiniano tenta di riconquistare l'Italia. Il suo generale Belisario nel 535 sbarca in Sicilia, ha un iniziale successo e risale la penisola. In Piemonte Belisario arriva nel 537. I Goti del Piemonte accorrono a tentare di fermarlo, ma le Alpi restano senza un presidio sufficiente, e questo fa riprendere le scorribande dei Burgundi, che questa volta favoriscono i Goti a danno dei Bizantini. Belisario riprova nel 539, ma questa volta sono i Franchi a battere tanto i Goti quanto i Bizantini. Il re goto perde in pratica ogni potere sul Piemonte, che sempre di più gravita nell'orbita franca. La stessa diocesi di Torino arriva sino alla Moriana, Siamo negli anni attorno al 550. Il goto Sisige, che governa Susa, constatato che non è in grado di fermare le scorribande d'oltralpe, trova il modo di accordarsi con i Bizantini. Mantiene il suo potere, che di fatto estende fino a Torino, cambia nome e titolo e diventa Sisinno e per un buon periodo riesce a proteggere i Goti e guardare le spalle ai Bizantini. Per tutto il secolo sesto vi è in Italia un tentativo di riproporre l'antica organizzazione romana, ma in realtà proprio la guerra di Belisario ha cancellato l'ultima organizzazione romana che i Goti cercavano di mantenere. A questo punto, infatti, il degrado civile e territoriale è ormai troppo profondo.
In Piemonte si trovano ora anche guarnigioni greche. Nella povertà culturale della regione, in quel periodo è difficile dire se e quali elementi della cultura dei popoli che sono passati e si sono fermati in Piemonte siano rimasti nella cultura e nella lingua piemontesi, prchè vengono meno reperti significativi che ci sian giunti. Sicuramente il lessico si è arricchito di nuovi vocaboli, modi di dire ecc. e sicuramente si è verificato qualche scambio nella cultura in genere, ma certo non appariscente. Anche dal punto di vista etnico la popolazione del Piemonte ha assorbito molti elementi esterni. È presumibile che i Goti abbiano dato l'apporto più significativo.

Longobardi, Burgundi e Franchi

Franchi e Burgundi hanno potuto constatare, con le guerre gotiche in Italia, che questa è estremamente vulnerabile, e si preparano ad occuparne delle terre, ma sono preceduti in questo dai Longobardi. Nell'anno 568 o 569 infatti, i Longobardi iniziano la loro invasione della valle del Po. Si tratta di una intera popolazione, e non solo di un esercito, che giunge dalle Alpi Orientali.
Gia nell'anno 570 attraversano il Piemonte e passano le Alpi a saccheggiare, ma non occupano quelle terre. Infatti ritornano indietro e si stabiliscono nella pianura del Po, senza che nessuno li possa contrastare e anzi alcune città, per evitare saccheggi e distruzioni, si arrendono subito agli invasori.
Il re dei Burgundi ha fatto accordi con i Bizantini e mantiene il controllo della alta valle di Susa, che poi gli verrà ceduta, qualche guarnigione di Bizantini si mantiene, isolata, nel sud del Piemonte. Ad evitare nuove incursioni, i Burgundi occupano le valli di Susa, di Lanzo e di Aosta. La valle di Susa viene anche tolta alla diocesi di Torino e passa a fare parte, assiema alla valle dell'Arc, di quella di Saint Jean de Maurienne (approssimativamente siamo nel 575). Nel frattempo i Burgundi stessi. il cui regno si trova nella zona di Ginevra e si estende lungo il corso del Rodano fino a Lione, finiscono con l'essere dominati dai Franchi.
Il territorio viene suddiviso dai Longobardi in Ducati, con a capo dei comandanti militari che man mano cominciano ad acquisire anche funzioni amministrative e giudiziarie. In Piemonte, si sà di un duca a Torino, uno ad Asti ed uno ad Ivrea. Oltre ai Longobardi, sul territorio piemontese si trovano anche Bulgari, Sassoni, Gepidi, Turingi, nonché Goti, e questa mescolanza di popoli provoca certo problemi. I Longobardi, come pure gli altri popoli di provenienza esterna al Piemonte, non sono molto numerosi, si pensa che complessivamente in Italia siano fra i 100'000 ed i 200'000, e permangono comunque una piccola minoranza, nonostante che la popolazione del Piemonte si sia ridotta a livelli inferiori a quelli che precedono l'occupazione romana. Ovviamente però i Longobardi vanno ad occupare le posizioni strategiche nella società.
Fra di loro i Longobardi sono spesso in lotta, ed in particolare vi è contrasto fra le due fazioni cattolica ed ariana, specialmente all'inizio dell'occupazione. I Duchi sono di fatto molto indipendenti sul loro territorio.
Dai reperti disponibili si deduce che i Longobardi si stanziano sul territorio a piccoli gruppi di famiglie. All'inizio seguono le loro tradizioni, ma sono comunque attratti dalla civiltà latina, o comunque dalla civiltà del posto. Caratteristiche del primo periodo di occupazione sono le sepolture longobarde, ove il defunto è accompagnato dagli oggetti che ne definivano la posizione in vita. Con gli anni si ha un travaso reciproco di culture, in particolare con la conversione dei Longobardi al Cristianesimo. La lingua diventa ufficialmente quella latina, con l'abbandono progressivo della lingua germanica. In pratica la lingua della gente tende sempre di più a quello che sarà il volgare piemontese. La popolazione tende ad assumere suoi caratteri particolari, ed anche il nome delle persone (come sarà rilevato più tardi, quando vi sarà maggiore documentazione scritta), diventa spesso longobardo. Si forma una linea immaginaria che dall'attuale La Spezia arriva all'attuale Rimini, tale che a nord di questa linea lingue e dialetti diventeranno le lingue neolatine occidentali, mentre a sud avremo le lingue neolatine orientali. Ad ovest questo è più accentuato dall'influenza (e presenza) gallica.
Molti sono i toponimi in Piemonte che possono essere fatti risalire ai Longobardi, in particolare quelli con suffisso in "...engo ", come Marengo, Murisengo, Aramengo, Odalengo, etc. ma anche quelli in "...igi", come Racconigi, Levaldigi, etc. Anche il toponimo "Fara " è da attribuirsi ai Longobardi, che così chiamano nella loro lingua il gruppo compatto di persone che formava un "clan" e si stabiliva in un posto. In un primo tempo la terra viene sottratta ai proprietari ed alla chiesa, e si trasforma in proprietà ducale o regia, con qualche grande latifondo. Con la conversione al cattolicesimo poi, parte dei beni della chiesa sono restituiti, ed inizia la fondazione di monasteri, che vengono dotati, a titolo di donazione, di vaste terre. La servitù della gleba dei contadini ricorda da vicino la condizione degli schiavi latini. Le coltivazioni sono poche, la terra fertile si è ritirata con l'avanzare dell'incolto, delle foreste e della palude. I commerci sono quasi inesistenti, così come si è di molto ridotta l'attività artigianale. La cultura è completamente trascurata.
Dopo il primo impatto distruttivo dato dall'invasione, qualcosa ricomincia comunque a mettersi in moto, e pare che la popolazione ricominci a crescere. A cura dei Rè longobardi ritorna in circolazione una discreta quantità di moneta, che sostiene una piccola ripresa del commercio. Un po' alla volta la popolazione, indipendentemente dalla sua origine, finisce per riconoscersi nella legge longobarda e sentirsi parte di quella etnìa. Questo è possibile perchè anche i Longobardi hanno assimilato molto della civiltà latina. Dopo la conversione al Cattolicesimo dei Longobardi, anche la vita religiosa riprende vigore. In questo contesto nascono i primi monasteri.
Intanto i contrasti e le incursioni attraverso le Alpi, tanto da parte dei Franchi come dei Longobardi si susseguono e il territorio piemontese ancora una volta è terra di frontiera e di scontri, e diventa sempre più strategico. Il confine è, come si è visto, allo sbocco delle valli, dove vengono apprestate le difese, mentre tutta la zona alpina si trova nel territorio dei Franchi. Questi ultimi sono piuttosto aggressivi, e riescono ad imporre ai Longobardi un tributo annuale per astenersi da fare incursioni in territorio longobardo. tanto a Susa come ad Aosta i Franchi battono moneta, ad affermare l'appartenenza di queste terre al loro regno.
Un'altra frontiera piemontese, fino alla metà del settimo secolo, corre sul crinale dell'Appennino, che è ancora difeso da guarnigioni bizantine, I Bizantini, infatti, occupano ancora la Liguria attuale, che verrà poi conquistata dal Rè longobardo Rotari. Il Piemonte, per i Longobardi, è dunque il territorio più strategico. Il Duca di Torino assume una particolare importanza, nonché una posizione di prestigio.
Se facciamo un punto della situazione linguistica verso il 650 d. C. abbiamo un originario ceppo Celto-ligure al quale il Latino ha fornito la sua struttura generica ed un certo arricchimento del lessico. Questa lingua evolve in modo abbastanza isolato ed autonomo, con interferenze provenienti dai linguaggi d'Oltralpe (Goti, Burgundi, Franchi). A tutto ciò si sovrappone ora la lingua germanica dei Longobardi, che pure tendono ad assumere il Latino come lingua "ufficiale", lingua che però è sempre meno conosciuta dalla popolazione e che stà subendo profonde modificazioni. Nelle valli alpine l'influenza delle lingue galliche è dominante. Dal punto di vista etnico, come risulta da quanto abbiamo visto, la popolazione piemontese è ora di provenienza molto "incrociata", costituita da meticci che possono vantare origini in mezza Europa. Nell'albero genealogico di ogni piemontese, come media si trovano Liguri, Celti, Latini, Galli, Sarmati, Dalmati, Goti, Bulgari, Gepidi, Turingi, Longobardi, Burgundi, Franchi. Con gli eventi successivi la lista si estenderà ancora.
Franchi e Longobardi si equilibrano. ma sempre in modo instabile, e dopo qualche anno riprende la guerra. Il motivo è dato dal fatto che i Longobardi, nel loro tentativo di espandersi in Italia, minacciano il territorio del Papato ed il Papa Stefano si rivolge ai Franchi per avere appoggio. Questi intervengono tentando di occupare il Piemonte e di qui l'Italia. Scontri tra Franchi e Longobardi avvengono in più riprese, con alterne vicende, nell'arco di vari anni (con il Re franco Pipino), Morto Pipino i Longobardi ritentano l'espansione nelle terre del papato, ed anche il Papa Adriano si rivolge ai Franchi che stavolta invadono la pianura, nel 773 (Carlo Magno), e vi stabiliscono il loro controllo. Il regno longobardo si dissolve e buona parte dei Duchi si sottomette ai Franchi. I Franchi hanno esteso il loro dominio su larga parte dell'Europa centrale e dell'Italia, ed inizia l'epoca del loro impero, o Impero Carolingio, come vedremo.
Piemontesi e Franchi hanno in comune una parte di radice celtica, ed in tempi migliori tra le due popolazioni vi erano stati frequenti contatti commerciali. Abbastanza facilmente si ha quindi uno scambio di elementi culturali ed etnici. La lingua dell'ufficialità rimane sempre il Latino, adottato anche dai Franchi, perchè la cultura latina continua ad essere riconosciuta come superiore, ma sempre più gente non è più in grado di comprendere il Latino. Dal canto suo, anche il Latino subisce nuove trasformazioni a contatto con la lingua dei Franchi. Le lingue locali incominciano a crescere ed affermarsi.
Carlo Magno, che dapprima assume il titolo di "Re dei Franchi e dei Longobardi", a seguito della sua espansione in Europa (in particolare Germania, Francia ed Italia) nell'anno 800 fonda il Sacro Romano Impero e viene incoronato Imperatore dal Papa. Vedremo di seguito le implicazioni di questo e l'organizzazione dell'Impero. È da notare che i Franchi non sono per nulla più civili dei Longobardi anzi, il livello di analfabetismo dei Franchi è molto più alto, non hanno leggi scritte ed hanno assorbito molto meno la civiltà romana.

Spiritualità e cultura in Piemonte - La Novalesa

La data di fondazione della abbazia della Novalesa si colloca al 30 gennaio 726. Si può azzardare che in quel periodo già esistano esperienze monastiche in Valle Susa, e che anzi, stiano già sperimentando qualche forma di decadenza a ragione di un affievolirsi della spiritualità, soffocata da troppe preoccupazioni terrene. Si potrebbe pensare quindi che l'abbazia sia sorta con l'intenzione di rinnovare il monachesimo in valle. Un documento che costituisce una sorgente di nformazioni circa i primi secoli dell'abbazia è il "Chronicon Novalicense", scritto da un monaco dopo l'anno 1000. Il documento non è sempre storicamente attendibile, con "sviste" cronologiche più o meno volute allo scopo di esaltare l'importanza e l'opera dell'abbazia, ma fornisce comunque informazioni molto utili. Nel corso dell'ultimo restauro (che inizia nel 1973) sono emersi importanti reperti per inquadrare nella storia almeno parte di ciò che si è tramandato dell'abbazia.
L'abbazia è fondata da Abbone, patrizio di origine gallo-romana (provenzale?) ma molto legato ai Franchi, governatore di Susa e di Moriana (Maurienne), in particolare amico di Carlo Martello, fin dai tempi della dinastia merovingia. Costui vuole fare il monastero in luogo appartato, lontano dai centri di potere e di corruzione. Essendo rimasto senza eredi maschi per la prematura scomparsa del figlio, cede in eredità all'abbazia gran parte dei suoi enormi possedimenti e delle sue ricchezze, al di qua ed al di là delle Alpi, onde i monaci non abbiano altra cura che il servizio di Dio. L'abbazia viene costituita autonoma, e deve rispondere solo alla Chiesa di Roma per la dottrina, ed al vescovo Walcuno, di Maurienne, ma solo per le ordinazioni sacerdotali e le consacrazioni, senza altro tipo di controllo. Un patto di reciproca assistenza, a fini disciplinari, viene posto in atto con il convento di Santa Maria, nei pressi di Grenoble.
Protetta dalle dinastie dei Franchi, merovingi prima e carolingi poi (un figlio di Carlo Magno è monaco in Novalesa), l'abbazia aumenta le terre su cui ha giurisdizione, ed i privilegi di cui gode, e diventa presto un formidabile centro non solo di spiritualità, ma anche di cultura, conosciuto ed apprezzato in tutta Europa. In questo è anche molto favorita dalla sua posizione sulla via Franchigena, sotto il passo del Moncenisio, in una propaggine del regno franco verso i Longobardi. È senz'altro dotata di una grande biblioteca, e vanta tra i suoi monaci, studiosi di grande spessore. Uno dei suoi abati è Sant'Eldrado, la cui venerazione è ancora molto diffusa in Valle Susa, con molte chiese e cappelle a lui dedicate. Questo è il secolo IX.
All'inizio del secolo X questa fioritura si interrompe bruscamente. Infatti, a causa delle minacce che vengno dalle scorrerie saracene che arrivano dalla Provenza, i monaci abbandonano l'abbazia ( 906 ? ) e si rifugiano a Torino. Il convento di Novalesa viene distrutto dai saraceni, ma successivamente ( 920 ? ). Tra fuga e distruzione una gran parte del partimonio culturale (in particolare la biblioteca) và perduto.
I monaci rifondano l'abbazia a Breme nel 929, mentre la sede di Novalesa rimane abbandonata ed in rovina fin verso il finire del secolo X, quando viene deciso di ricostruirla. L'opera di rifacimento và a rilento, ed il monastero rimane una dipendenza della casamadre di Breme (Priorato), retto non più dunque da un abate, ma da un "Priore" che risponde a Breme della conduzione del monastero.
Anche i rapporti con i poteri civili sono cambiati. La marca di Torino, che ha riportato ordine e sicurezza in Valle Susa, sta rafforzandovi il suo controllo. Questo contrasta con le rivendicazioni del monastero sul territorio, rifacendosi agli antichi privilegi. In quel periodo, inoltre, vengono fondate l'abbazia di San Michele della Chiusa (Sacra di San Michele, anni 990 - 1000 di cui diremo qualcosa dopo), l'abbazia di San Giusto a Susa (1029) e la prevostura di Oulx, che in qualche modo sono "in concorrenza" con il monastero di Novalesa. Comunque, nel periodo della ricostruzione, intercorrono buoni rapporti di Novalesa con i poteri civili ed ecclesiastici della Maurienne e della Savoia e quindi il monastero può rafforzare la sua influenza oltre le Alpi. Con il matrimonio di Adelaide, della casata dei marchesi di Torino, con Oddone, della casata di Maurienne - Savoia, i rapporti con i poteri civili mutano ancora, e di nuovo il monastero conosce un periodo di rafforzamento, con la crescita di una indipendenza di fatto, anche se non ufficiale, dalla sede di Breme.
Anche quando la marca di Torino si sfalda, la Valle di Susa rimane ai Conti di Savoia (Umberto II). Successivamente il Conte Amedeo (1129) conferma tutti i diritti al monastero di Novalesa, al quale viene affidata anche l'assistenza sul colle del Moncenisio, con la gestione di quello ed altri ospizi sulla via Franchigena. (L'ospizio del Moncenisio era stato voluto da Ludivico il Pio negli anni tra l' 810 e l'820, ed era inizialmente non dipendente dall'abbazia di Novalesa). Dunque, sotto la protezione dei Savoia, il monastero, seppure formalmente non più abbazia, si rende di fatto indipendente da Breme.
Ma il mutamento delle condizioni sociali e politiche stanno producendo una crisi generalizzata delle istituzioni monastiche, ed i monasteri si trovano col tempo senza risorse proprie per sopravvivere. Novalesa si trova non più governata da un priore, ma da amministratori nominati dai Savoia e approvati dal Pontefice. I monaci si riducono a poche unità. Non sempre vi è accordo tra chi si occupa dell'amministrazione del convento ed i monaci.
A partire da questi tempi, con alterne vicende, ma ormai senza più avere alcuna particolare importanza, il monastero sopravvive fino alla soppressione decretata dai francesi che, dopo la rivoluzione, nel 1798 occupano il Piemonte. Ai frati rimane solo la gestione dell'ospizio del Moncenisio, considerato di pubblica utilità. Finita l'avventura rivoluzionaria, alla restaurazione il monastero viene riaperto, per poi essere ancora soppresso dai Savoia, quindi riaperto, poi destinato ad altro uso, ed infine abbandonato, fino al 1973. In questo anno la struttura viene acquistata dalla Provincia di Torino che la restaura, ed ora è nuovamente un convento, retto dai benedettini sublacensi.

Contesto alla nascita dell'impero carolingio

Come visto, nell'anno 773 Carlo Magno entra in Piemonte, sottomette i territori longobardi, e riorganizza il governo dei territori occupati. La sua occupazione si estende a tutta Europa, e nell'anno 800 viene fondato il Sacro Romano Impero, che dà un nuovo assetto all'Europa. Il vastissimo impero è tale da non poter essere governato in dettaglio dal centro, e dunque, in particolare nei territori periferici, viene suddiviso in Contee, che vengono affidate a persone di fiducia dell'Imperatore, capaci e fedeli.
L'investitura imperiale costituisce titolo di nobiltà. Accanto a Conti di origine franca, vi sono anche Conti di origine longobarda. Nelle aree di importanza strategica queste Contee saranno poi raggruppate in "Marche", ed uno dei Conti riceverà potere, di carattere essenzialmente militare, sugli altri ed è sarà costituito "Marchese" su un territorio piuttosto vasto. Si stabilisce così una struttura gerarchica di potere, al culmine della quale si trova l'Imperatore, che ha dei Vassalli che dovrebbero rispondere a lui. A loro volta i Vassalli hanno dei loro Vassalli, o Valvassori, ed infine si crea ancora un terzo livello, quello dei Valvassini. Il potere su di un territorio comporta il disporne dei beni, ma anche delle persone che producono questi beni. Tutti dovrebbero governare in nome dell'Imperatore, al quale sono legati da giuramento di fedeltà, ma vi sono alcuni signori che sono titolari anche di diritti dei quali non sono tenuti a rispondere a nessuno. Si parte dal principio che tutto il territorio è demaniale e sottoposto all'Imperatore. Vi sono due modi di investire qualcuno della conduzione di un territorio, di cui il primo è l'infeudazione, nella quale il territorio resta demaniale, è governato dal Conte (in sostanza si tratta di un usufrutto), e concorre con le sue rendite ai beni dell'Impero, il secondo è l'allodio, nel quale il territorio diventa di proprietà privata di chi ne è investito. Succederà che spesso i Conti tratteranno i beni demaniali come beni privati.
La massima autorità riconosciuta come autorità, non solo morale, è quella del Papa, il quale conferma il potere dell'Imperatore, incoronandolo, quasi a sancire che il suo potere è secondo il volere di Dio, e questo è ciò che lo fonda. Se l'Imperatore venisse scomunicato, i suoi sudditi sarebbero sciolti dal dovere morale di obbedirgli.
Tutte queste investiture, diritti, privilegi, sono in teoria revocabili, ma in pratica si dimostra che una revoca non è possibile. In teoria, dunque, i comitati non sono ereditari ed il Conte è un funzionario dell'Imperatore. Alla morte del Conte, o in caso di revoca, l'Imperatore può confermare il comitato al discendente o scegliere un altro Conte. In pratica i Comitati tendono presto a diventare ereditari e non revocabili, ed in effetti lo diventano, secondo la cosidetta "Legge Salica" (legge franca), oppure la legge longobarda della successione. Di rado si applica la legge della primogenitura (che rimane valida per i regnanti). Capiterà che, ognuno interpretando queste leggi a suo vantaggio, più signori vantino diritti sullo stesso territorio.
Anche la Chiesa ha una struttura gerarchica con il Papa a capo ed i Vescovi che guidano le varie diocesi. I Vescovi hanno già fatto funzioni di supplenza del potere civile quando questo non era in grado di sviluppare le necessarie competenze, e presto ottengono diritti su territori, come veri feudatari. Alcuni Vescovi, oltre alla giurisdizione su quanto la diocesi ha ricevuto in dono, otterranno veri e proprii titoli comitali. Inoltre anche le Abbazie, fondate da nobili, ricevono giurisdizione su terreni, ed altri diritti, donazioni, e così via. Si forma un intreccio di poteri che porta rapidamente a scontri tra Chiesa ed Impero, tra Papa ed Imperatore.
Non esistono norme generali scritte che regolino questi rapporti di potere, che finiscono per essere basati sulla forza, sull'inganno e l'astuzia. Nessuno ha potere sufficiente a far rispettare le gerarchie, e le lotte tra Vassalli sono continue, con alleanze che si formano, si disfano e vengono tradite con molta facilità, e matrimoni fatti per ottenere diritti o per sancire alleanze, in un intreccio sempre più complesso.
Tra la popolazione vi sono (poche) persone libere che però devono essere proprietari terrieri. Altri, che lavorano, hanno uno stato di libertà parziale, con molte restrizioni. Vi sono poi servi e contadini non proprietari che si trovano in stato simile a schiavitù, legati alla terra che lavorano. La sola possibilità di affrancarsi è quella di entrare in un ordine monastico.

La situazione piemontese nell'impero carolingio

Nella sua espansione in Italia, il Piemonte è la prima terra occupata da Carlo Magno, nel 773. Il Piemonte, secondo quanto visto sopra, viene suddiviso in varie contee (almeno una quindicina), alcune fondate direttamente da Carlo Magno, altre, probabilmente, dai suoi successori. Non si conoscono con precisione tutte queste contee e la loro estensione. Tra quelle note vi sono Aosta, Ivrea, Novara, Torino, Alba, Asti, Vercelli, Acqui, Tortona e varie altre. La contea di Torino si estende fino al Monginevro. Successivamente, quando il Piemonte verrà considerato una zona strategicamente importante, per via dei suoi passi alpini di confine, le Contee piemontesi saranno riunite in una sola Marca e costituiranno la Marca di Ivrea, come vedremo.
Si verifica ancora una situazione analoga a quella dell'occupazione longobarda, in cui i Conti sono quasi tutti franchi, e si trasferiscono nei loro comitati (contee) con la famiglia ed uno stuolo di Vassalli, di guardie, di funzionari che costituiscono l'apparato statale locale. Non si tratta, ancora una volta, di moltissime persone, ma sempre di una minoranza, che però occupa i posti chiave dell'amministrazione e rappresenta l'Imperatore e le sue leggi. Il regno longobardo, in realtà, non viene del tutto soppresso ma, con il nome che comincia ad essere usato di regno d'Italia, mantiene una certa autonomia amministrativa. Vengono anche mantenute molte leggi longobarde, integrate dai decreti imperiali, a volte specifici per l'Italia. La lontananza del potere centrale poi, dà di fatto ai Conti una larghissima indipendenza nell'amministrazione.
Dal punto di vista economico e sociale, si instaura quel sistema di vassallaggio che abbiamo visto prima e che porta alla formazione dei feudi, sistema che durerà per secoli. Vantaggi e privilegi nobiliari, dazi e tasse, lo stato misero delle vie di comunicazione ostacolano moltissimo lo sviluppo. Il degrado delle città permane e si aggrava, e questo capita dalla fine dell'Impero Romano d'Occidente. Sul territorio piemontese vengono costituite vaste aree demaniali, dette curtes, a volte composte da foresta, a volte da terreno coltivato da servi della gleba ed affittuari che formano un unica grande azienda agricola. Vi sono poi le aree destinate a riserva di caccia. Si formano aggregati abitativi associati a queste curtes che danno origine a molti di quelli che ora sono comuni piemontesi. Anche le donazioni ai monasteri producono un fenomeno analogo. Fra gli abitati che nascono in questo modo vi sono, ad esempio, Romagnano, Trecate, Mathi, Revello, Cortemilia, Gavi, etc.
Qualcosa però comincia a muoversi, e col tempo nascono notabili che si trasformano in imprenditori agricoli, affittando terreno da far lavorare dai dipendenti e far rendere, il commercio inizia a riprendersi quando Vescovi e Conti cominciano ad organizzare ed avere a servizio dei mercanti. Qualche iniziativa per l'istruzione viene presa. Non si tratta certo di istruzione popolare, ma di preparazione ecclesiastica e per i funzionari, sempre in ambito ecclesiastico, ove c'è l'esclusiva dell'istruzione.
I rapporti sociali mutano e le distinzioni dell'antichità fra liberi, liberti e schiavi, cominciano a svanire, sostituite da un rapporto di dipendenza e progressivo asservimento di chi lavora, nei confronti dei grandi proprietari, che interagiscono con il potere secondo l'equazione :diritti in cambio di appoggio. Si tratta del sistema di vassallaggio di cui abbiamo detto.
Anche la Chiesa articola la sua organizzazione, ed all'interno delle diocesi vengono istituite le pievi, chiese locali che ancora hanno giurisdizione su un largo territorio, ma che in qualche modo preludono al sistema delle parrocchie e ad un livello di clero più vicino alla gente. La pieve ha comunque una sua dotazione che produce reddito.
L'impero carolingio, durante il quale vi è finalmente pace, non dura a lungo e viene presto lacerato da lotte per la successione, ed i contendenti, nel tentativo di cercare appoggio dai signori locali, continuano ad elargire loro diritti a scapito della popolazione.
L'ultimo discendente di Carlo Magno, Carlo il Grosso, viene deposto nell'anno 887. Il Piemonte, entra in una fase di interminabili lotte che porteranno, secoli dopo, alla sua affermazione come nazione indipendente, sotto la dinastia dei Savoia. Dagli eventi di questo periodo, questa casa di origine oltre le Alpi unirà le sue sorti a quelle del Piemonte e quindi, più tardi, a quelle dell'Italia, tramontando poi con le tristi vicende del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Con la deposizione di Carlo il Grosso l'Impero viene suddiviso inizialmente in cinque regni: Francia, Germania, Italia, Provenza, Borgogna. Sono i Signori locali ad eleggere il Re (o meglio, a ratificare l'occupazione del posto da parte del più forte o astuto) . In particolare per quanto riguarda l'Italia, si tratta di Re senza una vera legittimazione, e questo è motivo di altre guerre, come vedremo. Prima di trattare delle vicende dei signori in Piemonte, vediamo ancora separatamente le incursioni, che avvengono nella regione, di predatori Saraceni ed Ungari, e che caratterizzano questo periodo.

Ungari e Saraceni

Già alcuni anni prima della fine del Sacro Romano Impero, e per buona parte del secolo X, il problema per l'Europa è rappresentato dalle scorrerie e dalle invasioni degli Ungari, provenienti da est, e dei Saraceni, che dall'Africa del Nord hanno occupato il sud della penisola iberica. In Piemonte primi ad apparire sono gli Ungari.
Gli Ungari sono pastori seminomadi che vivono nelle pianure del Danubio. Gruppi di razziatori ungari iniziano le loro scorrerie in Italia nell'anno 899, quando giungono dapprima fino ai confini orientali del Piemonte. Sconfitti e respinti una prima volta, ritornano all'attacco senza più trovare veri ostacoli, e questo anche grazie alla loro estrema mobilità. Nell'anno successivo saccheggiano Vercelli e ne uccidono il Vescovo, quindi si spingono fino alla Valle d'Aosta.
Non sono attrezzati per sostenere una guerra o conquistare del territorio, ma fanno razzia di tutto ciò che trovano, comprese le donne, attaccano villaggi, chiese e monasteri isolati, e giungono a saccheggiare Susa e Torino (stando ad alcuni cronisti). Nella lotta fra principi per impossessarsi del regno d'Italia, nessuno è in grado di contrastarli efficacemente e non manca chi si accorda con loro per contrastare il rivale.
In questo contesto gli Ungari possono continuare le loro scorrerie fino all'ultima del 954. dopo questa data vengono definitivamente sconfitti da Ottone I (che vedremo dopo).
Già nell'anno 842 i Saraceni riescono ad installarsi in Provenza, nell'area detta Fraxinetum, sulla costa che ora è detta azzurra. In questo sono favoriti dalle discordie interne in Europa. Da questo punto di appoggio, nel corso del X secolo, iniziano le loro scorrerie nella regione piemontese, con occupazioni che a volte perdurano per anni. Ancora oggi le Alpi occidentali e l'Appennino verso la Liguria sono cosparsi di "torri saracene" e toponimi riferibili ai saraceni. In alcune aree alpine fino a poco tempo fà si trovavano elementi etnici decisamente associabili ai saraceni. Alcune parole piemontesi, anche oggi, derivano direttamente dalla lingua dei saraceni di quel tempo.
I predoni Saraceni sono in realtà non solo arabi, ma anche spagnoli arabizzati, cristiani, delinquenti e sbandati di vario tipo ai quali si uniscono anche briganti locali e contadini ribelli.
Secondo alcune fonti le incursioni in Piemonte iniziano nel 903, secondo altre più tardi, nel 921. I passi alpini diventano impraticabili, mentre commerci ed attività economiche regrediscono fortemente. I Saraceni, come già gli Ungari, non sono attrezzati per conquistare terre, le loro sono razzie, nel corso delle quali, oltre a beni materiali, asportano a volte anche persone in particolare giovani da rivendere come schiavi. Villaggi e città sono saccheggiate, con morti e distruzioni. Ma, là dove la loro presenza dura per qualche tempo, i Saraceni introducono anche nuove tecniche di lavoro, metodi di imbrigliamento delle acque per irrigazione e nuove colture che risulteranno poi preziose. È da supporre, comunque, che spesso i cronisti dell'epoca tendano ad ingrandire le ribalderie dei Saraceni, dunque non è semplice ricostruire una storia autentica. A volte i cronisti confondono Ungari con Saraceni, e nel periodo nascono molte favole popolari su questi predoni.
Verso il 980, finalmente l'Europa trova modo di coalizzarsi contro i Saraceni e la base di Fraxinetus viene distrutta. Nel liberare la valle di Susa si distingue Arduino Glabrione, marchese di Torino, come vedremo. Certamente, quando la regione viene liberata dalle incursioni, la sua situazione economica e sociale, già precaria in precedenza, è ora molto problematica a ovest, ma comunque denota i segni di una ripresa già in corso.

Sviluppo portato dai monasteri

Alla cacciata dei Saraceni, dunque, la situazione generale del Piemonte è molto precaria. In particolare la situazione delle campagne è di grande desolazione: l'incolto e la selva hanno conquistato molo terreno, la popolazione rurale si è fortemente ridotta.La vita media dei contadini è molto bassa, altissima la mortalità infantile, il cibo è scarso e di pessimo livello nutrizionale. L'alimento di base è una specie di pane fatto di farina di ghiande, segale oppure orzo. Castagne, poche le verdure, rarissima la carne, sempre di maiale.
Gli attrezzi agricoli sono essenzialmente di legno, perchè il ferro è raro e costoso, l'aratro è ancora quello romano. La concimazione è scarsissima, non si fanno rotazioni di colture, poche o assenti le tecniche di irrigazione. Data anche la difficoltà dei trasporti e l'esiguità degli scambi, in ogni posto si cerca di produrre tutto ciò che serve, a scapito della resa. In questo contesto, intorno all'anno 1000 o subito dopo, favorite o volute dai signori locali, sorgono nelle campagne del Piemonte un buon numero di fondazioni monastiche. Attorno a queste sorgono nuovi borghi o si rinnovano e ripopolano borghi già esistenti.
Il lavoro dei monaci è paziente e sistematico, le terre ricevute in dotazione sono dissodate e messe a coltura, le selve fermate. Si incanala l'acqua per irrigazione, (in questo periodo i canali si chiamano già "bialere") sfruttando anche le tecniche introdotte dai Saraceni, si prosciugano laghi e si bonificano paludi. Il territorio comincia a mutare aspetto. La vita contadina riprende attorno ai monasteri, che assumono presto l'aspetto di vere aziende agricole, che sfruttano anche le nuove colture introdotte dai Saraceni.
Come si è detto, a questo sviluppo concorrono i signori del tempo, con donazioni che spesso sono accompagnate dall'imposizioni di abati appartenenti alla propria casata, in modo da mantenere il controllo del territorio. Tutto questo lavoro è possibile grazie alle ferree regole monastiche che impongono ai monaci di non arrendersi mai di fronte alla fatica.
Accanto allo sviluppo agricolo si assiste all'affermarsi e crescere di uno stuolo di artigiani, costruttori, artisti sconosciuti ed architetti che operano alla costruzione e decorazione dei monasteri, delle chiese e cappelle che sorgono numerose. A volte gli architetti sono i monaci stessi, che danno origine ad un particolare stile architettonico caratteristico del periodo. Di questo periodo è la Sacra di San Michele di cui diremo dopo.
Alcuni monasteri finiscono per svolgere funzioni simili a quelle delle banche attuali, ma ben presto diventa importante l'attività dei vari ordini nel campo dell'assistenza ai poveri ed agli ammalati con la nascita degli ordini ospedalieri.
Nel secolo XII si diffonde in Europa, ma in particolare in Provenza ed in Piemonte, un morbo che irrita e distrugge i tessuti cutanei (sappiamo ora che si trattava di inquinamento dei cibi da segale cornuta). In questa occasione sorge l'ordine degli ospedalieri di Sant'Antonio, con l'abazia e l'ospedale di Ranverso, sotto la protezione del conte di Savoia Umberto III. La malattia viene detta "Fuoco sacro" o "Fuoco di Sant'Antonio" (denominazione che in seguito verrà popolarmente usata ad indicare l'Herpes Zoster - tutt'altra cosa-).
In questo periodo si hanno significative innovazioni nel campo degli attrezzi agricoli. Si introduce la vanga e l'aratro di tipo moderno, con vomere per rivoltare le zolle (che già viene chiamato "slòira"), la ferratura degli animali da lavoro e la rotazione delle colture per aumentare la resa dei campi e ridurre i terreni che richiedono il riposo di una stagione. Viene incrementata la coltivazione di cereali per far fronte all'aumento demografico, e nelle campagne sorgono molti mulini ad acqua

I primi Signori del Piemonte

La storia medioevale del Piemonte è estremamente complessa. Un suo riassunto non può essere che approssimativo e senz'altro impreciso. Abbiamo visto come nel 887 abbia termine il Sacro Romano Impero, e si formino i cinque regni di Francia, Provenza, Borgogna, Germania ed Italia. I rispettivi Rè vengono eletti dai Nobili, ma ovviamente, la cosa non è pacifica almeno per quanto riguarda Italia e Borgogna, dove i Rè non hanno comunque un effettivo potere, tale da far prevalere la loro supremazia sugli altri Signori. Nelle città, in mancanza di altre autorità, i Vescovi assumono un notevole potere anche civico, e custodiscono la cultura. I nobili stanno di solito fuori dalle città e consolidano il loro potere sulle campagne.
I nobili signori italiani eleggono a Rè d'Italia il nobile Berengario (primo), ma vi sono altri pretendenti che tentano con la forza di far valere i loro presunti diritti. Questi sono Guido di Spoleto, Ludovico di Provenza e Rodolfo di Borgogna.
Guido di Spoleto occupa prima Ivrea e poi Torino, si dichiara Re d'Italia e costituisce la Marca di Ivrea, che comprende praticamente tutto il Piemonte e parte della Liguria e la affida al suo vassallo Anscario, un franco. Nel 891 Guido di Spoleto viene effettivamente riconosciuto ed incoronato Rè ed Anscario dovrebbe garantirgli la fedeltà dell'area piemontese.
Il Marchese dovrebbe essere un funzionario del Re, ma data l'estensione della Marca, acquista un notevole potere e tende a fondare una dinastia ereditaria, appropriandosi dei diritti concessi. Infatti Anscario ha il figlio Adalberto che eredita la Marca di Ivrea e che a sua volta ha un primo figlio, Berengario (secondo) e, dalla seconda moglie un ha secondo figlio Anscario (secondo). Il marchese si firma "Marchese in Italia", titolo che verrà rivendicato successivamente anche dai Savoia.
Berengario diventerà Rè d'Italia, ma più tardi, perché nel frattempo viene eletto Rè Ugo di Provenza, che elimina Anscario (secondo) e costringe Berengario (secondo) a riparare in Germania. Il Re tenta di ridurre il potere del Marchese smembrando la Marca in quattro parti.
Una parte va a costituire la Marca di Torino, di cui viene investito il franco Arduino Glabrione, un'altra la Marca del Monferrato, affidata al franco Aleramo, una terza la Marca di Liguria, che in Piemonte comprende il territorio di Tortona , affidata al longobardo Oberto. Rimane la marca di Ivrea che resta agli Anscarici, ma con sempre minor importanza. Nonostante questa operazione, tutti i titolari di queste marche, dopo aver esteso i loro domini e raggiunto un sufficente potere, fonderanno dinastie ereditarie.
Dopo Ugo diventa Rè suo figlio Lotario e Berengario (secondo) ne diventa il consigliere. Alla morte di Lotario (nel 950) diventa Rè Berengario secondo.
La Marca di Ivrea passa al figlio Adalberto, poi a Guido Corrado e quindi, nel 989, passerà al cugino di questi, Arduino.
Tra vecchi nobili, famiglie diventate potenti che ottengono investiture in cambio di appoggi e Vescovi, la mappa del potere si fà frammentaria. Gli intrecci matrimoniali che si sono verificati rendono facili le contese su diritti ereditari, le lotte sono continue. In Italia interviene il Rè di Germania Ottone I, chiamatovi dalla vedova di Lotario, che si sente defraudata, e dal Papa. Il potere di Berengario secondo scompare, battuto da Ottone I nel 956. Lo stesso Ottone diventa Re d'Italia e unisce la corona d'Italia a quella germanica.
In questo contesto assumono moltissima importanza e potere i Vescovi delle curie piemontesi, che hanno giurisdizione su vastissimi possedimenti, frutto di donazioni nel tempo, e che hanno il controllo di molte attività cittadine, sempre più prospere, derivanti da incarichi e consuetudini precedenti. Fra queste le "immunità" corrispondono al diritto di amministrare controversie e mantenere l'ordine senza intervento del potere civile. Larghe parti del territorio delle Marche viene così sottratto al controllo del Marchese. L'appoggio del sovrano, che tenta comunque di mantenere i Vescovi sotto controllo, favorisce l'espansione del loro potere.
Arduino, marchese di Ivrea dal 989, si trova alla testa di una Marca nella quale gran parte del territorio sta passando sotto controllo vescovile. Arduino tenta di riprendersi il controllo di vari territori ed i relativi diritti. Si trova in lotta contro il Vescovo di Vercelli, il Vescovo viene ucciso, Arduino viene scomunicato e si trova contro anche l'imperatore Ottone III, ma continua a governare appoggiato da una serie di Vassalli che sono stati da lui gratificati di beni sottratti alle curie.
Alla morte di Ottone III, Arduino, grazie a questi sostenitori, riesce a farsi eleggere Re d'Italia nel 1002. Ma il nuovo sovrano tedesco Enrico II interviene e lo sconfigge. Arduino si rifugia in montagna, ma continua a fare il Re, emanando leggi, battendo moneta ed intervenendo militarmente in varie situazioni. Suo acerrimo nemico è il Vescovo di Vercelli Leone, ma nemici suoi sono anche i Vescovi di Ivrea e di Novara.
Nel 1014 tenta anche di fermare Enrico II che va a Roma a farsi incoronare Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, che comprende Italia e Germania. Arduino non riesce a battere i Tedeschi e dunque regna effettivamente solo dal 1004 al 1013 e muore nel 1015.
La marca di Ivrea viene presa da Olderico Manfredi (1034) discendente di Arduino Glabrione, che espande così la marca di Torino. La figlia di Olderico Manfredi, Adelaide si trova ad ereditare la Marca dal padre, rimane quindi ripetutemente vedova, ma l'ultimo dei mariti è Oddone, figlio di Umberto Biancamano, (di cui diremo) che è Conte della Savoia, della Maurienne e della Tarantaise. Vedremo di seguito cosa questo implicherà per il Piemonte.
Intanto, nel Piemonte meridionale, sta nascendo quello che sarà il Marchesato di Monferrato, che avrà grande importanza nella storia del Piemonte. La prima casata titolare del Marchesato è quella degli Aleramici, dal marchese Aleramo capo stipite, le cui origini sono piuttosto oscure, al di là delle leggende. Ciò che è attestato da documenti è che si tratta di un figlio di un non meglio identificato Guglielmo, venuto in Italia al segiuto di Guido di Spoleto. Aleramo si distingue nella difesa di Acqui dai Saraceni nel 939 e viene investito Conte di alcuni territori. Divenuto Marchese come visto, muore nel 991 lasciando due figli Anselmo e Oddone. La marca viene gestita insieme dalla famiglia anche dai figli di Anselmo e Oddone, fino ai primi anni del secolo XI, quando viene suddivisa. Dai figli di Oddone verranno i Marchesi di Monferrato, mentre da quelli di Anselmo discendono i Marchesi di Savona. Uno dei figli di Anselmo, Bonifacio, si costruisce una buona poisizione nell'area più devastata dai Saraceni e quindi chiamata "il Vasto". Ritroveremo più tardi questo Bonifacio del Vasto. Uno dei figli di Bonifacio, Manfredi, darà origine al Marchesato di Saluzzo, mentre altri figli continueranno a portare il titolo di "Marchese", ma saranno titolari di diritti su territori non rilevanti.
In effetti il titolo di Marchese un po' alla volta cessa di rappresentare un funzionario imperiale che espleta una carica pubblica in nome dell'Imperatore, ma diventa sempre più un titolo ereditario sostenuto solo dai possedimenti personali, magari sottratti alla proprietà demaniale, con una accettazione più o meno formale dell'autorità imperiale.

La Sacra di San Michele

Diamo un breve cenno delle vicende di questa abbazia, che ancora oggi domina dalla vetta del Pirchirano, l'ingresso in valle di Susa. Abbiamo visto come Arduino Glabrione sia marchese di Torino a partire da un anno fra il 942 ed il 945. Costui collabora fattivamente all'eliminazione dei Saraceni dalla Valle di Susa. In questa operazione, il marchese va ad impossessarsi di molte terre che sono anche rivendicate dalla abbazia della Novalesa, secondo vecchi decreti, sebbene l'abbazia non sia comunque in grado di gestire queste risorse, che in effetti sono abbandonate. Ma, benché con alterne vicende, l'abbazia sta perdendo definitivamente la sua potenza.
Liberata la valle dai Saraceni, rimangono pochi eremiti che cercano di animare il risveglio religioso della Valle. Tra questi due restano famosi, Leone e Giovanni Vincenzo. Non si hanno molte notizie certe di loro, ma si attribuisce al secondo, se non la fondazione della Sacra, almeno la volontà e l'impegno di portare sul monte Pirchirano, i monaci che vivevano sul monte Caprasio da eremiti, in grotte naturali.
Una notizia che giunge da una antica cronaca dell'abbazia, ne pone la fondazione nell'anno 966. Ma come già a proposito della Cronaca di Novalesa, queste fonti spesso riportano vistosi errori temporali. La data è dunque poco probabile, anche perchè in quel periodo i Saraceni costituiscono ancora una seria minaccia. La fondazione può essere collocata durante il papato di Silvestro III, il vescovato di Aminzone, e l'impero di Ottone III, e dunque tra il 999 ed il 1002. I terreni su cui sorge sono probabilmente donati da uno degli Arduinici. La fondazione effettiva e la costruzione iniziale sono probabilmente dovute a Ugo di Montbossier, d'oltralpe, che affida la guida del primo nucleo di monaci ad Averto, già abate di un monastero della diocesi di Tolosa, e legato alla comunità monastica di Cluny. Gli elementi d'oltralpe sono quindi preponderanti agli inizi di questa abbazia.
Nel volgere di pochi decenni la Sacra diventa celebre. Il suo compito è principalmente quello di Ospizio e Ricovero. L'abate viene eletto dai monaci, e non vive nel monastero, ma in una residenza in Sant'Ambrogio, borgo ai piedi del Pirchirano nella valle di Susa.
L'abate è in pratica, un feudatario, e l'organizzazione del monastero ricorda una specie di "Monarchia monastica". Vi è una rigida gerarchia, che dall'abate arriva fino ai servi. La regola è sempre quella benedettina di preghiera e lavoro.
Nel tempo le mansioni si definiscono meglio, nasce la biblioteca del convento, mentre le terre circostanti sono dissodate e messe a coltura. Non viene trascurata la difesa, ed il monastero, dotato di torri e bastioni, si trasforma in una poderosa fortezza. Il monastero viene arricchito di opere d'arte. Il potere sul territorio circostante continua a consolidarsi, e l'influenza del monastero si estende all'Italia ed alla Francia meridionale. Molte infatti sono le donazioni a suo favore effettuate da signori e da pellegrini di ogni estrazione sociale. Il monastero è feudatario in valle dei borghi di Sant'Ambrogio, Chiusa, Vaie, Sant'Antonino, Celle, Caprie, Novaretto, Valgioie, Giaveno, Coazze. Fino a quando i diritti sulle terre sono effettivi, finché vi è disponibilità di manodopera servile contadina, la floridezza del monastero è assicurata. Quando poi, a causa di guerre e a causa di mutate condizioni sociali questi vengono meno, allora inizia la decadenza del monastero.

Piemonte e Savoia

Si parla di un territorio detto "Sapaudia" già nel IV sec. d.c., compreso fra le Alpi ed il Rodano, dal lago di Ginevra al Delfinato. Questo territorio viene successivamente invaso dai Burgundi e poi dai Franchi. Durante l'Impero Carolingio anche questo territorio è suddiviso in varie contee, di cui una ha nome "Saboia".
Quando l'Impero Carolingio si dissolve, anche in quest'area, che dovrebbe diventare parte del Regno di Borgogna, vi sono problemi simili a quelli italiani. Viene eletto Rè un nobile di nome Rodolfo (di cui lo scrivente non ha altre notizie), ma si verificano rivolte ed usurpazioni, e Rodolfo non può regnare.
Il conte Umberto I (di Savoia), discendente di Rodolfo, al servizio dell'Imperatore, guidando una lega di Vassalli riconquista il territorio nel nome dell'imperatore Corrado II, e ne riceve l'investitura. Umberto I, che successivamente verrà soprannominato "Biancamano", è il primo membro della casata dei Savoia di cui si hanno notizie sicure. È Conte della Savoia, Maurienne, Tarantaise nell'anno 1034.
Figlio di Umberto I Biancamano, ed erede (nel senso visto prima) dei titoli comitali è Oddone, che sposa Adelaide, la figlia del Marchese di Torino Olderico Manfredi, il quale non ha discendenti maschi. Oddone ottiene i diritti su Savoia, Maurienne, Tarantaise, Marchesati di Torino e di Ivrea, la Contea di Aosta era stata acquisita precedentemente. In effetti il primogenito di Umberto I, di nome Amedeo, muore senza eredi maschi, mentre altri due fratelli diventano Vescovi. In questo modo nasce il primo stato dei Savoia che si estende sui due versanti delle Alpi, sebbene la parte maggiore dei possedimenti stia al di là delle Alpi.
Il primo figlio di Oddone ed Adelaide, di nome Pietro I, muore senza figli, il secondogenito Amedeo II ha un figlio che si chiama Umberto II. Adelaide rimane ancora vedova, e poi muore anche Amedeo II. Adelaide dunque, essendo Umberto II ancora minorenne, si trova ad amministrare, come reggente, uno stato piuttosto grande, e questo fino al 1091 quando muore.
Adelaide è una figura molto importante nella storia del periodo. Abilissima in politica, riesce a mantenere lo stato in anni difficili e ad avere una rilevanza europea. Quando l'Imperatore Enrico IV viene scomunicato dal Papa Gregorio VII, Adelaide ha una parte attiva, assieme alla cugina Matilde di Canossa, nel ricomporre la questione: Adelaide come garante per l'Imperatore e Matilde come consigliera del Papa. Questo evidenzia l'importanza politica di Adelaide e la facilità con cui riesce a mantenere unito il suo stato, contrastando anche decisamente ogni tentativo di ridurre la sua autorità ed il suo potere.

Il Piemonte dopo Adelaide

Alla morte di Adelaide sono molti ad accampare diritti sui territori del suo stato. Fra questi Bonifacio del Vasto, figlio di Berta, sorella minore di Adalaide, di padre discendente dai Marchesi di Savona, ramo cadetto dei Marchesi di Monferrato, occupa molti territori della marca di Torino vantandone il diritto come nipote di Adelaide. Bonifacio riesce ad impossessarsi di mezzo Piemonte.
L'Imperatore, intanto, sta perseguendo una politica di disgregazione delle marche piemontesi ed assegna quella di Torino al figlio Corrado. I tentativi di Umberto II di Savoia di far valere i suoi diritti ereditari sono infruttuosi, ed egli deve ritirarsi in Savoia, riuscendo a mantenere soltanto Susa ed Aosta al di qua delle Alpi.
Da un figlio di Bonifacio, Manfredi ha origine il Marchesato di Saluzzo, come abbiamo già detto, che verrà poi ufficializzato con il figlio Manfredi II nel 1173. Altri figli di Bonifacio, spartendo l'eredità paterna, danno origine a varie piccole Signorie, come già visto.
Negli anni dopo il 1000, intanto, sulle Alpi nasce la piccola signoria dei Signori di Bardonecchia che occupa, nell'alta valle di Susa, la vallata laterale che da Oulx sale appunto a Bardonecchia. Non si sà molto dell'origine di questa famiglia, che pare abbia come capostipite un certo Witbald, morto nel 1050.
Al di là delle Alpi, invece, si afferma la famiglia dei Conti di Albon, che acquista una certa importanza e che interferirà con la politica dei Savoia, oltre a dominare per parecchio tempo su una parte di territorio alpino piemontese. I signori di Albon terranno sotto la loro influenza anche i Signori di Bardonecchia, che pure rimarranno indipendenti. I Conti di Albon hanno probabilmente origine da un Guigo che lascia traccia di sé nel 932, anno in cui fà una donazione al monastero di Cluny. Nel secolo XI si sà di un Conte Giugo il Vecchio, che prende come titolo il nome "Delfino" che era il nome di uno zio della moglie. La contea prende dunque il nome di Delfinato. Il Delfino approfitta della situazione dei Savoia per occupare le alte valli di Susa e Chisone, che per lungo tempo apparterranno al Delfinato.
La morte di Adelaide permette anche ai Vescovi di Torino e di Asti di aspirare ad ottenere l'investitura dei rispettivi comitati, come era successo già ai Vescovi di Vercelli, Ivrea e Novara. In effetti il Vescovo di Asti ottiene da Enrico IV la concessione del comitato di Asti. Ma si stà inasprendo un conflitto fra la Chiesa che tenta di riformarsi liberandosi dal potere civile e l'Impero che tenta di imporre i suoi uomini a capo delle Curie vescovili. Lo scontro, iniziato ben prima della morte di Adelaide, è fra l'Imperatore Enrico IV ed il Papa Gregorio VII. Molti Vescovi piemontersi si schierano dalla parte dell'Imperatore, ma continua una rivolta popolare più o meno velata contro la corruzione del clero. La maggioranza del popolo stà dalla parte dei riformatori e di Gregorio VII.
Per tentativi di espansione o per necessità di sopravvivenza, questi marchesati, comitati e piccole Signorie saranno coinvolti in guerre quasi continue, alle quali parteciperanno anche i Visconti di Milano, che cercheranno di espandere il ducato di Milano verso il Piemonte. I confini, sempre incerti, saranno in continuo movimento. Questo lo vedremo successivamente. Intanto si giunge all'epoca dei comuni. Sarà proprio l'opposizione alla nascita ed allo sviluppo di questi un motivo di nuove lotte, che si andranno ad aggiungere alle lotte fra comuni stessi.

I cambiamenti della società intorno all'anno 1000

A partire dai primi anni dopo il 1000, ed in qualche caso anche prima, l'agricoltura si sviluppa molto e si assiste ad una rapida crescita demografica. Cambia il rapporto fra i contadini ed il signore delle terre, e a poco a poco scompare la categoria dei servi della gleba in condizioni di schiavitù pratica, sostituita da contadini che prendono in affitto le terre su cui lavorano e le fanno prosperare. I Signori, da parte loro, non si occupano più in modo diretto di agricoltura, ma affittano terre a volte di loro proprietà, a volte demaniali sulle quali hanno giurisdizione (e che essi tendono sempre più a considerare come proprietà privata). Prosperano su affitti, concessioni di beni quali il pascolo, le acque, il bosco, i mulini, i forni, nonché sul loro diritto di imporre dazi e gabelle, e comminare multe.
I Signori costruiscono castelli, simbolo e mezzo del loro potere, ed i contadini tendono ad aggregare le loro abitazioni nei pressi del castello. Con il Signore trattano l'uso delle risorse comuni, scoprono così il valore della cooperazione e nasce fra di loro un senso civico di appartenenza. Abbiamo visto che anche i monasteri provocano una aggregazione di questo tipo, ed in questo modo si formano praticamente tutti i borghi ed i paesi, a volte anche grandi, che vi sono tuttoggi in Piemonte. Così si hanno i vari Castelnuovo, Villanova ecc., mentre scompaiono molti piccoli aggregati rurali.
Dal canto loro i Signori, fra i quali non tutti hanno titoli comitali ma spesso sono persone che hanno accumulato sufficiente ricchezza da potersi costruire un castello, esercitano il loro potere in modo sempre più indipendente ed ottengono concessioni e titoli dai livelli superiori della gerarchia, (sempre in cambio di appoggio) su possedimenti demaniali, spesso usurpati, che un pò alla volta vengono tolti al controllo delle marche e del sovrano. Per contro i Signori sono molto litigiosi fra di loro (in particolare quelli laici) e non esitano ad usare le armi per rivendicare diritti su terre contese.
Anche nelle città vi è un buon incremento demografico e c'è chi si arricchisce con la sua attività. Costoro cominciano a fare affari per conto o con il Vescovo il quale, avendo un gran bisogno di persone su cui appoggiarsi, e che dispongano anche di uomini armati per ogni necessità, è costretto a fare concessioni, anche di feudi fuori città, che pur rimanendo di proprietà episcopale, assicurano ottime rendite a chi li riceve. In ogni caso nelle città cominciano a sorgere famiglie potenti.
Al di sopra di questa mappa frammentata di potere, in Piemonte rimangono, come vere dinastie egemoni, I Marchesi di Monferrato, i Marchesi di Saluzzo, i Conti di Savoia ed i Conti di Biandrate. Dotati di vasti possedimenti e di forza militare, questi signori sono i grado di condizionare la politica dell'Imperatore in Italia. Legami di parentela uniscono queste famiglie ai sovrani europei e le famiglie stesse godono di grande prestigio internazionale. In questo periodo il Marchese di Monferrato è nella posizione migliore per estendere il suo potere su tutta la regione, cosa che invece capiterà, ben più tardi, a casa Savoia. I Conti di Biandrate invece non supereranno l'epoca dei comuni ed i loro possedimenti, nel Piemonte nord orientale, si disgregheranno.

Le origini della Lingua Piemontese

La lingua piemontese, o almeno un predecessore arcaico del piemontese, è parlato dai Piemontesi probabilmente già intorno all'anno 1000. Sono dei primi anni del secondo millenio alcune iscrizioni su mosaico che recano parole sicuramente piemontesi. Verso la metà del secolo XII (negli anni intorno al 1150 o successivi), appare la prima opera scritta in lingua piemontese, conosciuta ora con il nome di "Sermoni Subalpini". Si tratta di commenti alle sacre scritture, scritte per un pubblico che non conosce il latino (o piuttosto come guida pastorale per i sacerdoti). Questo documento è piuttosto corposo: si tratta di 22 lunghe omelie a commento dei Vangeli del ciclo liturgico. Forse è stato scritto da un frate del convento di San Solutore, oppure un frate della Curia vescovile, o ancora, tenendo conto del lessico usato, da un qualche autore della prevostura di Oulx, ma in ogni caso si tratta di piemontese arcaico e non di provenzale. Il suo scopo è certo quello di fornire uno strumento pastorale scritto nella lingua che parla la gente. Il latino è ormai sconosciuto alla gente e, a quanto pare, anche l'italiano, che in regione non è ancora arrivato perchè sta appena nascendo altrove in Italia. Lo stile in cui è scritto questo documento, la facilità con cui viene usato questo linguaggio, fa pensare che l'autore o avesse già scritto in Piemontese altri documenti poi andati persi, o che avesse comunque a disposizione altri scritti, andati anche loro persi. In quel periodo, la cultura in Piemonte, veniva associata piuttosto al Provenzale, e non si riteneva importante la conservazione di scritti in Piemontese. I documenti rimastici servono comunque ad osservare l'evoluzione della lingua piemontese, come nell'opera "Detto del Re e della Regina", scritta da un frate predicatore tempo dopo. All'inizio del '300 si colloca la prima opera scritta in un piemontese pienamente caratterizzato, anche se ancora arcaico. Si tratta degli "Statuti della società di S. Giorgio" di Chieri. Dante Alighieri, nel "De Vulgari Eloquentia", accenna brevemente al piemontese, dicendo che il volgare parlato da Alessandria verso ovest è un turpissimo volgare, che quando anche fosse puro, non potrebbe essere considerato italiano per le troppe influenze d'Oltralpe. In effetti, fino a quell'epoca e oltre, la cultura piemontese ha sempre avuto rapporti con quella provenzale. Le corti piemontesi hanno dato ampia ospitalità ai trovatori provenzali (senza considerare le origini d'Oltralpe dei Savoia, con un territorio che si estendeva sui due versanti delle Alpi). A seguito della crociata contro gli albigesi, in Provenza, e poi la persecuzione dei Valdesi, molti di questi perseguitati hanno trovato rifugio in Piemonte, ove la persecuzione era più blanda, aumentando questo apporto culturale d'Oltralpe. Ma ora torniamo alla nostra storia.

L'epoca dei comuni

Già al tempo dei Romani alcune città italiane avevano sperimentato forme di partecipazione popolare al governo, su alcune questioni di interesse comune. A partire dal XII secolo nell'Italia settentrionale e centrale nasce l'esperienza dei Comuni. Nelle città si stà formando un ceto medio di mercanti, artigiani, imprenditori vari che si stà arricchendo con il proprio lavoro, e fra questi c'è chi fà affari con il Vescovo ed assume una posizione di rilievo, come abbiamo visto. Contemporaneamente si è in una situazione di mancanza di un vero potere politico, in quanto i vari Signori sono sempre in lotta fra di loro, e nessuno ha la possibilità di prevalere sugli altri. Sempre in cerca di soldi, i Signori, con dazi e gabelle ostacolano lo sviluppo, e devono cercare appoggi delle famiglie che stanno diventando potenti. Le città poi si ingrandiscono anche grazie all'immigrazione dalle campagne di contadini che vogliono sottrarsi agli obblighi verso il Signore locale.
La parte più attiva, ricca ed istruita del ceto medio comincia a chiedere la libertà di auto-determinarsi, conscia della sua forza, e dà origine a quella esperienza più o meno democratica (con il significato che può avere la democrazia in quel tempo) che va sotto il nome di "Liberi Comuni". Naturalmente i Nobili ed i Vescovi non sono favorevoli a questo, ma non hanno la forza per impedirlo.
Ai tempi di Adelaide, la città di Asti si era già ribellata al Vescovo che la governava, ma Adelaide aveva ristabilito "l'ordine" con la forza. Ancora si ribella, quando i Signori sono in lotta per spartirsi l'eredità di Adelaide, elegge i suoi consoli, che assumono il potere. Questo capita in molte città piemontesi, ma con aspetti diversi ed in modo più o meno democratico caso per caso. Non bisogna ovviamente pensare che la maggioranza della gente possa decidere su questioni politiche. In questi tempi sono le famiglie che contano, una ristretta oligarchia, che prende il potere sottraendolo al Vescovo o a qualche Signore laico, potere che però in qualche modo viene sempre legittimato dalla collettività.
La città di Asti già nel 1095 ha dieci "consoli" che interloquiscono con il Vescovo, poi, nell'ordine, Tortona, Novara, Vercelli, Torino, che ha una organizzazione comunale nel 1147. Non è ben chiaro, in questo periodo, quali siano gli effettivi poteri del comune, e senz'altro il potere del Vescovo permane, ma la città diventa almeno un interlocutore del potere. Anche l'Imperatore, in questa fase, è disposto a riconoscere come interlocutore l'organizzazione comunale, sempre intesa come organo sottoposto al potere imperiale. Nascono comuni anche a Pinerolo, Chieri, Mondovì, Ivrea, Aosta, Susa.
Lo sviluppo dell'organizzazione comunale non è comunque né semplice né pacifico, e si verificano lotte anche cruente, specie nei primo periodo, contro il Vescovo, contro l'Imperatore e contro i principi. Morto l'Imperatore Enrico V, e di fronte all'espandersi di questa esperienza, l'Imperatore Federico Barbarossa, salito al trono nel 1152, scende in Italia con il suo esercito, deciso a ristabilire nelle città il potere dei Vescovi, che devono risultare nei suoi piani gli unici interlocutori dell'Imperatore.
Il Barbarossa deve comunque rendersi conto che i comuni sono più forti del previsto, e dove il Vescovo ha ancora autorità politica deve giungere ad accordarsi con il comune. Questo non è possibile in città come Asti, che si è evoluta molto di più nelle libertà comunali. Asti viene distrutta dall'imperatore Barbarossa nel 1155, ma lo stesso Imperatore è costretto a riconoscerne l'autonomia nel 1159. Lo stesso Comune di Asti ottiene territori e privilegi dai Signori vicini, che in questo modo intendono contrastare il potente Marchesato di Monferrato, primo nemico della città.
In Piemonte il più deciso oppositore dei Comuni è il Marchese di Monferrato Guglielmo V, che cerca a più riprese di sopraffare Asti, che si stà rafforzando a sue spese. Cionondimeno, nessuno dei soggetti coinvolti, nemmeno l'Imperatore ha tanto potere da risolvere la situazione da solo. Si formano alleanze molto mutevoli. In genere i Comuni tentano di opporsi all'Imperatore, ma qualche Comune preferisce approfittare delle offerte imperiali. I cambiamenti di fronte sono frequenti, i cambiamenti di confine dei territori controllati dai vari Signori ancora di più. D'altro canto i Comuni hanno buon gioco nel cercare l'appoggio di quei Signori che mirano ad "alleggerire" il potere imperiale nei loro confronti. Vi sono così Comuni che vengono riconosciuti dal Feudatario, che si impegna a rispettarne lo statuto, mentre il Comune stesso si impegna a riconoscere i diritti del Feudatario.
Anche i Comuni lombardi sono coinvolti in questo gioco, e si coalizzano in Lega contro l'Imperatore. Questi stà cercando di imporre la sua autorità ai comuni del Piemonte, imponendo reggenti di sua fiducia e limitando le autonomie, nonché imponendo un tributo. Nel 1165 la Lega lombarda viene riconosciuta e benedetta dal nuovo papa Alessandro III, sempre in lotta contro l'Imperatore. Il Barbarossa lascia l'Italia nel 1168 mentre si stà incrinando il fronte imperiale che ha costituito in Piemonte. In pratica a favore dell'Imperatore rimane solo il Marchese di Monferrato.
Nasce la città di Alessandria, e vi sono due versioni differenti per questa fondazione. Una dice che viene fondata dagli abitanti di villaggi che si uniscono per sottrarsi al controllo del Signore e si costituiscono in comune, sotto la protezione della Lega lombarda, mentre un'altra dice che già in precedenza il Marchese di Monferrato ha portato nella zona uomini e ha costruito difese sulle quali poi la città nasce. In ogni caso il comune di Alessandria va ad alienare molti diritti feudali antichi sulla zona. La posizione è molto strategica, ed Alessandria resterà nel tempo una roccaforte militare.
Nel 1174 ritorna il Barbarossa e trova un clima molto più ostile di quando ha lasciato il Piemonte. Cerca allora di ristabilire l'autorità imperiale, riprende il controllo di Asti ed assedia Alessandria. La città resiste e, nel 1176, il Barbarossa si muove incontrro a truppe germaniche che dovrebbero servirgli di rinforzo. In questa situazione la Lega lombarda lo attacca e lo batte a Legnano. La vittoria, ancorché molto celebrata, non risolve molto, ma rallenta solo l'azione del Barbarossa. Infatti presto dalla parte della Lega in Piemonte vi sono solo Vercelli, Novara ed Alessandria, ma quest'ultima nel 1183 accetta la protezione imperiale.
Subito dopo il Conte Umberto III di Savoia rischia di perdere ogni futuro per il suo stato. Forte del fatto che l'Imperatore ha necessità di avere libero passaggio dalla valle di Susa, il Conte si è mantenuto non schierato, mentre il Vescovo di Torino teme le sue mire sulla città. Ora il clima è favorevole all'Imperatore, che ha anche ottenuto libero passaggio sulle Alpi centrali ed orientali, ed il Vescovo accusa il Conte di varie usurpazioni. Nel 1185 l'Imperatore, a Torino, convoca il Conte il quale, non volendo scendere a patti, non si presenta. Viene condannato, messo al bando e privato dei suoi feudi. Sarà il figlio del Conte, Tommaso I, che si riavvicina all'Imperatore. Tommaso I è parente di Bonifacio I, Marchese di Monferrato, e si appoggia a lui per recuperare la sua importanza. Concede statuti comunali , ad esempio ad Aosta, ne rimane signore ma si impegna a far rispettare le regole stabilite e cerca di rafforzarsi in Piemonte, concedendo statuti e libertà comunali, ma con poco successo. Il Delfinato ha esteso la sua occupazione della valle di Susa fino ad includere Gravere.
Comunque i Signori, per lungo tempo sono costretti a elargire statuti (o meglio, accettarli e ratificarli) o riconoscere statuti dati da altri in precedenza. Le tre signorie di Monferrato, Saluzzo e Savoia falliscono contro i comuni, mentre la signoria Biandrate finisce per si dissolversi.
Intanto il comune comincia ad avere anche un organo giudiziario, nel 1161 ad Asti, poi a Tortona e Vercelli. L'autorità civile del Vescovo (che a Vercelli è anche Conte) viene così molto ridimensionata. Nei primi anni del 1200 i comuni sono infine accettati dai Vescovi come fatto compiuto non eliminabile, giungendo in qualche caso a ricevere in feudo dal Vescovo alcuni diritti, formula che permette ai Comuni di governare e al Vescovo di rimanere formalmente nei suoi incarichi civili. Successivamente ancora, a metà del secolo XIII, le città rivendicano la giurisdizione di per sé, senza bisogno di ulteriori legittimazioni.
Nel 1228 si forma una lega contro Alba ed Alessandria alla quale partecipano anche il Conte di Savoia, Asti ed il Marchese di Monferrato. I due acerrimi nemici alleati mostrano come i cambiamenti di fronte siano facili. A questa guerra si sovrappone un attacco della Lega lombarda contro Asti ed i monferrini. Il Marchese di Monferrato è costretto ad aderire alla Lega, mentre Asti si salva con l'intervento dei Genovesi. Vicende di questo tipo sono continue così come le guerre. Anche un semplice elenco sarebbe troppo lungo per lo scopo di queste note.
Alla morte di Tommaso I di Savoia, nel 1233, il suo stato si è rafforzato ed esteso verso la pianura, in buoni rapporti con il Marchese di Monferrato e quello di Saluzzo, in accordo con l'Imperatore.
L'Imperatore Federico secondo sconfigge la Lega lombarda nel 1237, ed il Piemonte è tutto ghibellino. Anche la ribelle Alessandria diventa ghibellina nel 1240. Amedeo IV di Savoia e suo fratello Tommaso acquistano alcuni feudi e combattono per prendere Pinerolo, che è appoggiato dai torinesi. Vi riescono nel 1243.
Ma umori ed alleanze mutano rapidamente, e già nello stesso anno i guelfi si riappropriano di Vercelli e Novara, e tutto riprende daccapo. La situazione è complicata dal fatto che Federico II viene scomunicato da Innocenzo IV, che ordina l'elezione di un nuovo Imperatore. Nel 1250 i Savoia entrano in Torino, ma già nel 1253 nasce una lega anti sabauda. Con alterne vicende Tommaso, che nel frattempo regge la Contea di Savoia dopo la morte di Amedeo IV, viene fatto prigioniero, liberato a dure condizioni, e perde Torino. Quindi muore nel 1259.
Il comune di Asti, nel 1258 occupa anche Alba, ma comincia a destare preoccupazioni per l'eccessivo potere che sta acquistando. Vederemo come questo fatto favorisca l'espansione in Piemonte del potere di Carlo d'Angiò, di cui diremo di seguito.
Fra i comuni piemontesi Asti assume rapidamente una grande importanza, essenzialmente a ragione della sua irrequietezza e le sue mire di espansione prima, e poi per le lotte interne fra i due gruppi di famiglie Solaro e De Castello, che alternativamente si appoggiano ai Signori vicini nel tentativo di ottenere il controllo della città e dei territori su cui la città estende il suo potere, territori che vanno via via crescendo. Dal canto loro i signori vicini (Monferrato, Saluzzo, Savoia) non attendono che di prendere parte alla contesa, per ottenere vantaggi.
Sono molti i Comuni del Piemonte ad essere logorati da lotte interne tra famiglie potenti, spesso contrapposte come Guelfi e Ghibellini, ma con una certa tendenza a cambiare partito se la convenienza lo richiede.
Intanto le città esprimono famiglie potenti, di origine tutt'altro che nobile, che acquistano signorie e titoli, si imparentano con la nobiltà rurale e che più tardi andranno a costituire la nobiltà piemontese.
Oltre ad Alessandria, in questo periodo sono fondate anche Cuneo e Mondovì, città costruite dal nulla dagli abitanti di villaggi che si uniscono per sottrarsi al controllo del Signore e si costituiscono in comune. Poiché sempre queste fondazioni vanno a ledere molti diritti nobiliari e non sono certo ben visti dalle grandi dinastie, il fatto che siano possibili è indicativo della debolezza e della frammentazione delle forze in campo
Le libertà comunali, in questo periodo, favoriscono l'uso del volgare piemontese anche negli atti amministrativi. Sono di questo periodo alcuni scritti piemontesi che sono giunti fino ad oggi, e che riportano regolamenti e statuti di Compagnie e Confraternite (essenzialmente di mutuo soccorso) che nascono nei liberi Comuni. In questi il piemontese è più evoluto verso quella che sarà la lingua attuale, e ne ha già tutti i caratteri..
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indice casa

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