La lingua "matura" del secolo XVII Fino alla fine del secolo XVI si può parlare di lingua in formazione. A partire dalle opere del '600 si può parlare di lingua piemontese completa e unificata sul territorio della regione, con le sue varianti locali che sono sempre parte della stessa lingua. La produzione letteraria si fà più consistente, e più coscente di essere l'espressione di una nazione. Da questo secolo ci sono giunte due opere a carattere religioso, sulla nascita di Gesù, tema che era molto diffuso all'epoca. La prima è il Gelindo, dramma fatto per la rappresentazione. Nel tempo l'opera ha subito qualche modifica, e vi sono più versioni. Ci si riferisce quì alla versione data dal Renier nel 1897 che cerca di recuperare il più possibile la versione originale. L'opera è bilingue, e parlano in Piemontese (variante monferrina) I pastori Gelindo, Medoro e le rispettive famiglie, mentre usano un Italiano letterario e pomposo, piuttosto innaturale, gli altri personaggi (Maria, Giuseppe, l'angelo, i Re magi, l'Imperatore, il rè Erode, ecc.). Le parti in Piemontese sono vivaci e realistiche. in contrasto con quelle in Italiano, che non hanno alcun pregio. Con questo lavoro si assiste all'introduzione di una venatura di comicità nella rappresentazione religiosa. La trascrizione del Renier usa, come succede nel Monferrato, la \ i \ al posto della \ [ue] \ e spesso confonde la \ r \ con la \ l \. Riportiamo qualche piccolo stralcio: "Già qui a n'i-é pì temp da perdi. A l'é méj andé, e ancor pì ch'i stagh as-cé a l'é semper pés, perché la fiòca a cala e la fregg chërs. E peu veut ch'at la diga? J'ordo ancor pì prest ch'as aubdisso, a l'é sèmper méj." Di questo secolo è il componimento poetico "La pastorella (pastorale) semplice", oppure "La Natività" tutta scritta in Piemontese, avente ancora per tema la nascita di Besù Bambino. Invero il primo titolo è stato dato da Pinin Pacòt, che aveva trovato il testo nel Fondo Armando presso l'Accademia delle Scienze di Torino e l'aveva pubblicato del 1947. Ma poiché un titolo del genere si riferisce di solito ad altre situazioni, il Clivio ha pensato di chiamare questo componimento semplicemente "Natività". Si tratta di un componimento in sessantotto quartine. Il poemetto inizia con i versi: Mè béj pastor e me car bërgé / na bon-a neuva mi 'v ven-o dé. / Santìla tùit e con allegrëssa: / sta neuit j'é naje na gran blëssa / ... In una delle strofe viene citato il "tòni", componimento poetico che stà diventando popolare, e di cui si parla qui sotto. Fra chi ha scritto in Piemontese in questo secolo, vi è anche il Duca Carlo Emanuele I, che fra una guerra e l'altra, un intrigo e l'altro, trova il tempo di dedicarsi alle lettere. In Piemontese scrive due brevi componimenti in versi, rimasti senza titolo, di cui il primo inizia con "A l'é col bufon dël frà ", scritto per canzonare un emissario del Duca di Mantova, ed il secondo inizia con il verso "Al son de la baterìa ". Scrive poi l'opera teatrale "Cloridoro ". nella quale un personaggio parla in Piemontese. Di autore anonimo si ha un poemetto dal titolo originario "Historia della guerra del Monferrato", (fra Duca di Mantova, sovrano in Monferrato, ed i Savoja) modificato in "La guèra de Casal". Il lavoro è degli anni subito successivi al 1613, ed è scritto in variante monferrina da parte antisabauda. Di scarso valore letterario, è però interessante dal punto di vista linguistico. In questo secolo nasce il Tòni che è una composizione poetica satirica, caratteristica piemontese, spesso destinata al canto. Quattro di questi Tòni si trovano conservati nella Biblioteca Reale di Torino e sono: La canson ëd Madòna Luchin-a, La canson dij dësbaucià, La canson ëd la baleuria, La canson dël tramué 'd San Michel. Sono scritti in torinese puro, senza influssi toscani. La loro importanza sta anche nel fatto che descrivono bene, e dettagliatamente, la vita quotidiana del tempo, con le sue abitudini. Riportiamo un piccolo saggio di Tòni da La canson dij dësbaucià: I veuj fé savèj stavòta / a tuta la gioventù / ch'as é fait na bela nòta / 'd soe tre prime virtù / 'd putagn e l'ostarìa / e lo gieu ch'i-j ven apress / a-j pòrta la ròba via / e l'onor ch'é peuj 'l pess. / Cand a van a bon-e ròbe / a n'vardo pa ant'andé...... Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano è conservata una Canzone comica scritta nel 1678 da un certo Prospero Torello. Alla fine del secolo viene prodotto un importante lavoro teatrale, capostipite del teatro piemontese, scritto dal Marchese Carlo Giambattista Tana di Entraque dal titolo Ël Cont Piolèt che rimane inedito a stampa fino al 1784, ma che già da tempo viene rappresentato, e con molto con successo. Si tratta di una commedia bilingue composta in un anno tra il 1675 ed il 1679. A differenza delle commedie che al tempo sono rappresentate nei teatri di corte, sfarzose e celebranti epiche ed improbabili gesta, questo lavoro porta in scena personaggi realistici ed umani. I personaggi più riusciti sono coloro che si esprimono in Piemontese, mentre i parlanti Italiano risultano un po' artificiali. Il Piemontese di questi scritti è il Piemontese che conosciamo noi, ai giorni nostri, con quasi tutte le regole di grammatica e di sintassi che sono utilizzate adesso, sebbene queste, in quel momento, non siano ancora state codificate formalmente. La definizione di Lingua Piemontese, fa appunto riferimento alla Lingua parlata in Piemonte a partire dal '600. Il '700 piemontese Innanzitutto consideriamo che questo è il secolo in cui la lingua piemontese diventa oggetto di studio e nasce la prima Grammatica Piemontese nel 1783 ad opera del medico di Corte Maurizio Pipino. Abbiamo già accennato al tentativo di "ufficializzare" il Piemontese, connesso con la nascita di questa grammatica. Il Piemonte si è affermato come nazione ed il Piemontese ne diventa il mezzo di espressione. Lo scrivere ed il leggere in Piemontese si è molto diffuso, e dunque si tratta di codificare questa lingua e le sue regole. La grammatica di Pipino è dedicata a "a Sua Altezza Reale Maria Adelaide Clotilde Saveria di Francia, principessa di Piemonte" che aveva voluto imparare il Piemontese, visto che questa era la lingua usata a Corte. Si sà ancora che nel 1788, durante la preparazione delle nozze del Duca d'Aosta Vittorio Emanuele con Maria Teresa, venne insegnato il Piemontese alla sposa, come cosa necessaria da conoscere a Corte. Il Pipino afferma che il Piemontese può benissimo competere con il Francese e l'Italiano, in quanto a Corte è sempre stato usato, benchè le persone di Corte conoscano altrettanto bene il Francese e l'Italiano. Sempre dalle stesse fonti apprendiamo che molti Vescovi piemontesi incoraggiano i loro Parroci alla predicazione in Piemontese, ma non nelle espressioni dialettali locali, che appaiono rozze, in quanto la lingua piemontese classica ha tutte le caratteristiche per garantire il dovuto rispetto alla parola di Dio, può trattare di tutti gli argomenti connessi alla predicazione e contemporaneamente è l'unica intesa da tutti senza difficoltà. Da questo si desume che esiste, a quel tempo, una lingua piemontese comune al territorio e delle forme dialettali come varianti locali. Il Pipino pensa che sia utile, per chi non conosce altre lingue, saper scrivere e leggere in corretto Piemontese, e che anzi, la scuola possa essere tenuta in Piemontese per non costringere gli scolari ad imparare un'altra lingua, per loro straniera, per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Sempre dal Pipino viene la notizia di un vocabolario Piemontese - Latino, pubblicato a Mondovì addirittura nel 1574, da un tale Michele Vopisco, napoletano. La sua corrispondenza scritta è in Piemontese. A questo proposito abbiamo una lettera in Piemontese di Pipino ad un amico (un tale Bastian) per raccomandare un ragazzo (un tale Giacolin) per un posto gratis in collegio, scritta in Boves il 2 settembre 1782. A questo proposito il Pipino afferma che la lingua di corte è il Piemontese in una versione raffinata e garbata che egli definisce il Piemontese Cortigiano, mentre la gente comune, nelle città, usa un linguaggio meno forbito, e con qualche differenza non di lessico ma di pronuncia, detto Piemontese Volgare. Pipino distingue ancora un Piemontese Plebeo, più grossolano, un Piemontese Provinciale ed un Piemontese Contadino, tutti parte dello stesso linguaggio. Maurizio Pipino, oltre che della Grammatica Piemontese è anche autore di un Vocabolario (quadrilingue - piemontese, italiano, francese, latino. Ricordiamo che a quei tempi le tesi di laurea venivano ancora scritte in latino ) e di una Antologia piemontesi. Aggiungiamo che la pronuncia del piemontese cortigiano è quella che si ritrova nella lingua attuale. Per quanto riguarda le opere di letteratura del secolo, gli eventi militari forniscono subito spunto per la nascita di componimenti celebrativi. Uno di questi, L'arpa dëscordà attribuito al sacerdote Francesco Tarizzo, celebra le gesta dei torinesi nell'assedio del 1705-1706. Si tratta di un opera di circa duemila versi, che fanno trasparire la fierezza di chi a saputo resistere in difficoltà estreme, ma che in genere sono contro retorica e celebrazione di eroismi. Lo stesso titolo ammette le poche pretese poetico-letterarie dell'autore. Sempre per dare un esempio della lingua usata, riportiamo pochi versi: S'arculavo për sò méj / ën pòch vers ël Parch Vej / e la nòstra tropa lesta, / con coragi e furia onesta, / con ël sàber e la spà / an sbatend cola frità / l'han lassane a 'ngrassé j'òrt / una sinquanten-a 'd mòrt. / ... In seguito alla vittoria sui francesi un poeta anonimo scrive ancora una canzone in Piemontese che viene poi raccolta da Costantino Nigra nel 1888 e pubblicata con il titolo "L'assedio di Torino". Di questa riportiamo pochi versi rivolti al comandante francese Louis de la Fouillade: La Fojada, guardé bin, / i lassroma pà pié Turin. / con le vòstre canonà / fej pà por a le masnà. / Bati pur la sitadéla / che Turin as guarnerà. / ... Altri si riferiscono ad episodi bellici, sempre contro i Francesi, della metà del secolo. È rimasta celebre una canzone che celebra il Barone Guglielmo di Leutrum, che al servizio dei Savoja governò e difese Cuneo. Soprannominato "Baron Litron", alla piemontese, era molto amato, ammirato e rispettato dalla gente per le sue capacità, per il suo coraggio e la sua fedeltà alla causa comune. Alla sua morte nasce questa canzone popolare, che rispecchia una commozione profonda della gente. La canzone è stata ripresa e rielaborata non molti anni or sono da una celebre Camerata Corale di Torino. Il titolo è appunto "Baron Litron". Ecco qualche verso: Signor lo Re quand l'é stàit là / Baron Litron, com la va-la? / Sta maladìa, j'heu da murì, / j'heu pì speransa de varì / Signor lo Re s'a j'ha bin dit / Baron Litron fate corage! / Mi te dareu dl'òr e dl'arzan, / mi te fareu prim general, / Oh s'a j'é pà né òr né arzan / che mai la mòrt l'àbia për scusa, / j'é pà né Re né general / che mai la mòrt j'àbia riguard. / ... Altri due componimenti poetici in Piemontese, di autore ignoto, trattano invece di un altro assedio del periodo, quello di Alessandria nel 1745 - 1746. Il primo è una breve poesia di 36 versi dal titolo "Cansonëtta an sël fòrt liberà dal blòch dij Galispan ël 10 ëd mars 1746". Il secondo consiste di 923 versi con un lunghissimo titolo che inizia con "Relazione" (e ci limitiamo a chiamarla così), e parla dell'assedio della città, con una lingua molto simile a quella dell' Arpa dëscordà e con toni analoghi. Riportiamo giusto i versi finali: "Ma dì un pòch, voi, sgnora Fransa, / quand volì furnì sta dansa? / A-i venrà prest la stagion / che dij Gaj 's na fà 'd capon.". Per quanto riguarda la letteratura su altri temi, le opere principali sono in poesia, ed il principale autore è senz'altro Padre Ignazio Isler (1702 - 1788), Appartenente all'Ordine dei Trinitari vive nel convento della Crocetta e diventa Padre Provinciale dei conventi d'Italia del suo Ordine. A quei tempi la Crocetta (ora quartiere "alto" di Torino) è un borgo fuori città e Padre Isler, gran conoscitore della gente semplice, scrive una poesia molto vicina al mondo della gente comune, ma che alcuni studiosi dicono che sia stata sottovalutata e non ben interpretata. A tuttaprima sembra una bonaria canzonatura dei difetti della gente, ma in realtà non sempre è bonaria, e presenta vari aspetti, a volte pesantemente grotteschi, che sarebbero da studiare. In molte delle sue canzoni si trova anche una vena di sottile moralismo misto alla satira, ed in almeno una di queste se la prende con la falsa ed esagerata devozione delle beghine. Isler lascia un Canzoniere di ben 54 composizioni sullo stile dei Tòni del secolo prima (ciascuni intorno ai 200 versi). Riportiamo pochi versi di Isler, come esempio, presi da "Ël pais dla cocagna": ... S'i volì 'd ròba candìa / Andé antorn dle bussonà, / A l'é pà tabornarìa, / J'é da fene 'd linsolà; / A-i é pà nissun-e ronze, / Pijene pura dle carà / Con man nùa e j'euj sarà . / Ma s'av pias 'd ròba pì fin-a, / v'assicur ch'a-i manca nen, / 'd mandolasse a la plarin-a / a-i na j'é dij erbo pien; / ..... Ancora qualche verso preso invece dalla grottesca "Ascoté s'i veule rije": Chi 's lamenta dla dërnera / e chi dla palpitassion, / un a crija pr'ël mal dla pera / e un àutr pe'l contrassion. / ... / Chi é sogét a le caudan-e / chi a le sfite, chi ai vapor / chi a tiré 'd sarabadan-e / ch'a-j sfogon-o l'ass da fior /... Il Cavalier Vittorio Amedeo Borrelli, militare di carriera e poi governatore di Acqui, si dice di lui che abbia una notevole cultura, in grado di scrivere in Italiano non solo correttamente, ma anche in modo elegante. Si occupa di antiche iscrizioni, di cultura greca, di diritto canonico ed altre varie cose. La sua poesia è un "divertimento" che lascia da parte temi ed istanze politiche e sociali. Conosce perfettamente il lessico piemontese e lo usa con qualche tendenza ai francesismi. Scrive alcuni Sonetti, alcuni Tòni e fà alcuni Studi linguistici e grammaticali. Riportiamo qui qualche verso di un sonetto (forse) di Borrelli (ci è giunto anonimo): Sent, amor bosaron, l'é temp 'd funila, / Rendme me cheur, tornme la mia rason / Romp sta caden-a, seurtme da 'n perzon / a l'é tròp strèita, i peuss pi nen sufrìla. / A tanti e tanti, i peuss contéje a mila, / it l'has mës-cià l'amèr con ij bombon / ....... E qualche verso di un sonetto "sicuramente" di Borrelli: "Castro, Mariana, com j'avì cambià / da quàich temp a sta part e 'd che manera ! / Che diferensa adéss da lò ch'a l'era / quand i patìo tanta càud st'istà ! / St'invern j'avì pià 'd frèid, sé costipà / ant ël cheur, ant ël spìrit e ant la cera / ....". Silvio Balbis, è un religioso di area cuneese, che scrive con stile arcadico, modesto e piacevole, utilizzando un raffinato Piemontese, così come è parlato nei salotti aristocratici del tempo. Laureato in teologia, era in rapporti con gli intellettuali del tempo. Scrive anche in Italiano. In Piemontese lascia lascia alcune composizioni in versi. L'ufficiale dell'esercito Giuseppe Antonio Ignazio Avventura, sotto lo pseudonimo Ventura Cantiermetre scrive Composizioni di satira sociale che portano i fermenti rivoluzionari che cominciano a diffondersi nel periodo.Sono composizioni nella forma di "Tòni". Le opere di questo autore sono poco conosciute, e solo tardi sono state pubblicate in stampa, mentre forme manoscritte senz'altro circolano all'epoca. Lo stile di denuncia e di satira, sebbene alquanto contenuto, in quel periodo sconsiglia una divulgazione a mezzo stampa. Un sonetto anonimo indirizzato a lui rivela la considerazione di cui Ventura gode nel periodo. Si attribuisce a lui il Tòni anticlericale dal titolo "Istrussion pastoraj dël vësco dël Balon", in realtà anònima, di cui riportiamo giusto quattro versi: ... sentì sì lò ch'i veui dive, / scoté ben, sté tuti chiet / e, s'i veule convertìve, / tnì da ment costi precét. ... Ed un altro breve stralcio da Tòni su le batiaje d'un paisan: Sentì ampò le gran batiaje / ch'a j'é staje vers Mongran, / un bel dì quand a l'é naje / una fia d'un paisan / Cost paisan a l'é 'n badòla / masoé dij frà Paolòt / la soa fomna a fà la dròla / ma për chial a l'é un somòt. .... Si ha poi una commedia in Piemontese, dal titolo "Monsù Sarus ò ij matrimòni a la mòda" che, stando al sottotitolo "comédia dedicà a j'aministrator dl'Ospidal 'd Scarnafis dl'an 1767, e scrita anlora dal nodar Reviglio dl'istéss paisòt.", dovrebbe essere del periodo. Però la commedia è stata pubblicata da Stefano Mina nel 1868, e si nutrono fondati sospetti che sia stata scritta dal Mina stesso, in quanto nel paese di Scarnafigi non c'è traccia di questa, e la commedia stessa non reca tracce del parlare del posto, quantunque un Notaio Reviglio effettivamente vi sia stato in quel perìodo. Alla Biblioteca Reale di Torino sono state ritrovate tre commedie, che furono pubblicate nel 1777, il cui autore è un non meglio identificato Pegemade. Le tre commedie sono Il notajo onorato, L'Adelasia, L'Adelaide regina d'Italia e poi imperatrice. Si tratta di commedie bilingue, dove alcuni personaggi parlano Piemontese ed altri Italiano. Ancora si ha un breve componimento teatrale (un intermezzo) che ci è arrivato manoscritto e sulla cui storia si conosce poco. Si tratta del Gianinat, che parla del figlio sfaticato di un contadino che và a Torino a studiare e che si fà portare via tutti i soldi dai soliti furbi. Riportiamo alcuni degli ultimi versi: ... / fin che la sacòcia a fà blin blin / av mostro tui 'd volèive bin. / Ma quand av sento veuid /as scasso tant ëd dì com ëd neuit. / ... Un autore singolare ed irruento è certamente, verso fine secolo, Edoardo Ignazio Calvo. Si laurea in medicina a Torino e segue la professione medica con dedizione. Accanito sostenitore delle idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia, è costretto per un periodo a espatriare, e scrive Molte violente poesie contro nobili e clero, inneggianti alla libertà del Piemonte (fra queste vi sono "Passapòrt dj'aristocrat" e "Aurora dla libertà piemontèisa"). A Torino lavora all'ospedale San Giovanni, salvo quando, per motivi politici non è costretto ad espatriare in Francia. All'ospedale inizia gli esperimenti di vaccinazione antivaiolosa. È un appassionato sostenitore dell'uso della lingua piemontese. In una sua "Canson" sbeffeggia gli autori piemontesi che scrivono in Italiano, con versi del tipo: A son tute filastòche / gòfe gnëcche e mal antèise / ch'a fan rije fin-a j'òche / e ij mincion a nòstre spèise ..... Nel periodo in cui è accanito giacobino scrive "Follie religiose", un poemetto in lingua piemontese che viene notato da Journal des Alpes che scrive: "...la langue Piémontaise vient d'etre enrichié d'un nouvelle production..... remplie d'esprit et de décence ..". Il poemetto tenta di sostenere una religione di natura contro tutte le religioni costituite. Molte sono le composizioni sue su questa falsariga, e riportiamo qualche verso preso da "Campan-a a martél pr'ij piemontèis".: ...Eve fòrse dësmentià / vòstri fréj ch'a son restà / massacrà: / ch'son perì për libereve / da le caden-e dij vòstri tiran; / l'é sò sangh, fieuj, arcordeve, / ch' ciama vendeta ai republican..... La disillusione provocata dal pessimo dominio francese in Piemonte lo porta successivamente a scrivere prima l'ode Su la vita 'd campagna, che pare una parentesi di disimpegno dai temi civili, e quindi le Fàule Moraj contro la svolta autoritaria dei "liberatori" ed il malgoverno francese, l'ottusità dei suoi funzionari e la loro voglia di potere. In ambedue i periodi si crea molti nemici. Riportiamo qualche verso da "La vita 'd campagna": Com l'é mai lépida, / l'é mai bagian-a, / l'idea ch'a stussica / la rassa uman-a / ch'ant le Metròpoli /dov le gent vivo, sussurro e bùlico / parèj dij givo, / cola sia l'ùnica, / la mej manera / 'd vive an sla tera! / Përchè ch'la 's pràtica / 'd gran personagi, / j'é 'd cà magnìfiche / 'd bej echipagi / ... Scrive L'arbatan bastonà, commedia politica in chiave satirica, non completamente rifinita, in quanto pochi mesi dopo muore per una infezione contratta dai malati in ospedale. Viene ancora riconosciuta come probabilmente sua un'opera teatrale in Piemontese: Le ridicole illusioni dell'anno IX, che appare come anonima. Del periodo "antifrancese" riportiamo pochi versi da Petission dij can a l'ecelensa Ministr dla poliss ......./ la passiensa a va bin fin a na mira / as seufr fin-a ch'as peul ma al fin dij fin / dis ël proverbi, a s-cianca chi tròp tira: / j'oma fàit nòstri cont e pensà bin / che për murì a pcit feu, rusià da l'ira / pés ch'ij s-ciav ant le man dij Tunisin, / a l'era méj vireje un pòch ij dent, / pòsto ch'un deuv murì, murì content. / ....... Infine si ha una canzone anonima scritta da un sedicente Cittadino C. C. dal titolo La bissa-coppera për pòsta, sempre di tendenza giacobina, ed altre canzoni anonime, di cui qualcuna in piemontese, ancora celebranti la liberazione dalla tirannia, che non hanno particolare valore. Continua ad essere viva la Sacra Rappresentazione, che riprende temi e personaggi delle sue origini. Ancora di questo periodo si ha un Gelindo alla capanna di Betlemme, dove solo la parte di due dei protagonisti è in piemontese. Della fine del secolo sono invece Ij sermon piemontèis dla "Camminata" sotto forma di dialogo con un parlante in italiano ed uno in piemontese. Scritti dal Padre Giuseppe Màggia, sono una spece di testo catechetico. Un certo numero di opere scritte da autori minori appaiono alla fine del secolo. Queste opere sono di solito arrivate come fogli manoscritti e non sono state molto analizzate (sono quasi irreperibili). Tra gli autori che hanno scritto in piemontese in questo XVIII secolo, occorre non dimenticare Vittorio Alfieri, del quale si hanno, in Piemontese, almeno due sonetti. Riportiamo qualche verso del primo di essi: Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gent /ch'ha l'ànima tant mòla e dëslavà / ch'a l'é pà da stupì se 'd costa nià / i-j piaso apen-a apen-a a l'un për sent.... Interferenze piemontesi con l'italiano dal '500 al '700 Come era già avvenuto per il latino del '400, anche l'italiano successivo che viene usato in Piemonte, subisce una notevole "ingerenza" di termini della lingua naturale della gente. Fin dai tempi di Emanuele Filiberto l'Italiano sostituisce il Francese nei documenti ufficiali, ma anche in documenti di una certa ufficialità, sempre goffi ed impacciati, si trovano moltissime parole piemontesi, appena appena italianizzate (e nemmeno sempre). Ad esempio troviamo, in un qualche bilancio di Casa Savoia la parola "taboretti" per indicare gli "sgabelli" (in Piemontese "taboret") inventariati nella villa della Regina. Abbiamo "albera" ("arbra" in Piem.) per pioppo, "caderega" (come in Piem.) per sedia, "plafon" (come in Piem.) per soffitto, "ridò" (come in Piem.) per tendina, e così via. Altro esempio, nel contratto con il mugnaio del Mulino di Bobbio Pellice (anno 1702), il "mugnaio" è chiamato "molinero" (in Piemontese si dice "muliné"). Nello stesso contratto il verbo "macinare" è diventato "moller" (in Piemontese si dice "meule"). Il teatro piemontese di fine '700 e dell'800 Il teatro piemontese in questo periodo merita una considerazione a parte. Iniziamo proprio dal teatro la nostra brevissima rassegna di letteratura del XIX secolo. Abbiamo accennato alle opere precedenti, a partire da "Ël Cont Piolèt ", e le seguenti "Ël nodar onorà", "Adelasia", "Adelaide", "Le ridìcole ilusion dl'ann IX", e "L'Artaban bastonà". Tra fine '700 ed inizio '800 si ha ancora qualche lavoro non eccezionale, ma comunque di interesse, e fra questi: "Fera 'd Moncalé" (1784)," Sur Pomponi, osia 'l segretari 'd Comunità" (1800), "La festa dla pignata" (1804) di Carlo Casalis, di cui diremo per altri lavori, "Il conte Schizza" (1806). Il teatro popolare è piuttosto vivo, ed attinge abbondantemente al repertorio in Piemontese, mentre il teatro "serio" (più riservato ai nobili ed all'alta borghesia) rappresenta spesso opere francesi ed italiane in egual misura. Il vero grande teatro piemontese si forma solo nella seconda metà dell '800. In questo periodo, sicuramente le idee risorgimentali interessano una piccola minoranza del resto degli italiani, ma per i piemontesi è diverso. I piemontesi di ogni ceto vivono sulla propria pelle la guerra con l'Austria, la sconfitta di Novara e le sue conseguenze, il problema degli esuli in Piemonte. La cosa è sentita e discussa. In questo clima il teatro diventa un fatto sociale e comincia ad essere molto seguito dalla gente. Un pilastro di questo nuovo teatro, e punto di partenza, è sicuramente Giovanni Toselli. Dopo un duro inizio, ove recita Giandoja su testi per lo più derivati dal Francese, attore e capocomico, decide di dar vita ad una compagnia teatrale piemontese. Avverte che la lingua italiana, a quei tempi, in Piemonte, letteraria e declamatoria, è un impaccio per una espressione naturale e schietta, e non permette di portare sulle scene la vita reale. Con l'aiuto di Tommaso Villa e Federico Garelli riprende la tragedia del Pellico Francesca da Rimini, la rende "democratica", piemontese, campagnola e moderna. Ne risulta una Cichin-a 'd Moncalé ed è un trionfo, anche grazie all'interprete di Cichin-a, Adelaide Tessero, grande attrice. Il piemontese dimostra di saper interpretare nel profondo ogni sentimento grande dell'uomo, non solo, ma di giungere là dove la lingua italiana stenta ad arrivare. È proprio l'adozione del Piemontese che avvicina al teatro le classi popolari, senza peraltro allontanare le classi borghesi colte e quelle aristocratiche; anche per queste il Piemontese è lingua corrente. Il lavoro di Federico Garelli nella scrittura di testi teatrali diventa notevole. Seguono Margritin dle violëtte, che è ancora un adattamento in piemontese della Dame aux camelias di Dumas, sempre di Garelli, e quindi Guera o pas, commedia allegorica riferita alla situazione politica del momento, che poi viene tradotta anche in Italiano e Francese e Ij pcit fastidi. Una trentina sono i lavori di Garelli, fra cui La caban-a dël Re Galantòm, Chi romp a paga, Ël cioché dël vilagi. Il più noto fra gli autori del teatro piemontese è senz'altro Vittorio Bersezio. Laureato in legge a diciannove anni, non segue la professione ma si dedica alle lettere. All'inizio critica chi scrive in Piemontese, sostenendo la necessità di adottare l'Italiano, ma poi si accorge che la potenza espressiva del Piemontese, ovviamente in Piemonte, è assolutamente superiore all'Italiano. Tra i suoi lavori La sedussion, La beneficensa, e quello che diventa più celebre Le misérie 'd mossù Travet. L'argomento colpisce nel vivo la socetà torinese, le contraddizioni e le frustrazioni del piccolo impiegatuccio, il cui lavoro però è la base del funzionamento dell'amministrazione, ed all'inizio il lavoro ottiene qualche protesta dall'ambiente "bene". Ma poi è un successo. Scrive poi ancora una ventina di opere teatrali fra cui Un barba milionari, Cassa e la dòte, Bastian contrari, che è l'ultima ed è del 1882. Un autore molto importante, di cui però le opere sopravvivono grazie ai copioni, ma che non sono state raccolte a stampa è Giovanni Zoppis, autore di almeno diciassette lavori. Il suo è un linguaggio schetto che descrive una classe borghese modesta, le sue aspirazioni, i vizi e le virtù. Fra le sue opere La paja vsin al feu (che è la prima), Marioma Clarin, L'indolent, S'i fusso sgnori, Ij malcontent, La neuja. Altro autore prolifico è Luigi Pietracqua, di famiglia umilissima, è ancora ragazzo quando va a lavorare nella tipografia della Gazzetta del Popolo. Scrive commedie di impegno sociale che colgono l'ambiente operaio da lui ben conosciuto, non da tutti apprezzate, generano il risentimento di qualche benestante. Comincia con i lavori: Le sponde dël Po, e La famija dël soldà, per poi iniziare una produzione molto abbondante di lavori, nei quali non cura molto la forma ed il linguaggio. Per citarne alcuni: Ël cotél, La fija pòvra, Ël fieul ëd gnun, Spatuss e débit, La miséria, Un pòver parco, Nòna Lussìa, Le grame lenghe. Abbiamo poi Eraldo Baretti laureato in legge, prima funzionario della Banca di Credito Siciliano, poi direttore dell'Agenzia di Roma della Società Reale di Assicurazioni ed infine funzionario del Ministero della Giustizia. Tra le sue opere vi è Ij fastidi d'un grand òm, la farsa J'Assabèis a Turin, e l'atto unico Na lession 'd Piemontèis. Altre sue commedie sono inedite e si è ritrovato qualche copione. Di Quintino Carrera si conoscono nove commedie, di cui otto pubblicate a stampa, che incontrano un buon successo, fra queste Ji pensionari 'd monsù Neiròt che al teatro Alfieri ottiene un successo strepitoso, ed ancora J'impegnos, 'L Lunes, J'aventure. Verso la fine del secolo vi è una certa disillusione circa l'unità d'Italia, che infatti provoca un impoverimento del Piemonte e porta molti problemi. La vena artistica si affievolisce, benchè non manchino autori che ottengono grossi successi. Fra questi Mario Leoni, venuto dalla povertà onesta fatta di lavoro, colpisce molto il pubblico con Ij mal nutrì, dramma sociale che viene anche tradotto il varie lingue. Ancora di Mario Leoni, fra le altre opere, Ij baraba, Le fomne brute, etc.. .. Anche lui rimane tra i pilastri del teatro piemontese. Il suo linguaggio è vivace e realista, il suo Piemontese non è per nulla contaminato dall'Italiano, che per le classi che lui descrive rimane ancora, all'epoca, una lingua straniera. diremo poi delle sue opere non teatrali. Vi sono molti autori di commedie piemontesi i cui lavori non sono stati raccolti e pubblicati, ma che sopravvivono nei copioni ancora esistenti. Nel periodo la richiesta di lavori in Piemontese da parte del pubblico è molto pressante. Sono i lavori dei cosidetti "autori minori". Citiamo giusto qualche nome e qualche titolo. Luigi Rocca scrive le commedie La riparassion, N'astussia 'd Margritin ed almeno altre sei, di cui si hanno i copioni. Giovan Battista Penna e la commedia Barba Giaco e ij misteri dë Balon, ed almeno un'altra. Giulio Serbiani (Teodoro Cuniberti) con Ij pìfer ëd montagna, che è parte di un gruppo di diciotto commedie. Giuseppe Salussoglia con cinque commedie di cui una è La bela Rosin. Luigi Vado, con le due commedie Ël carlevé 'd Turin, Andoma sté a Turin. Fulberto Alarini (Alberto Arnulfi), che vedremo anche per la sua poesia, compone la commedia Drolarìe. Ed ancora altri. Negli ultimi anni dell'800 si comincia ad avvertire una crisi del teatro piemontese, sebbene non manchino ancora brillanti ed importanti autori, che vedremo meglio con il teatro del '900. Alla fine dell'800 in Torino sono presenti numerose compagnie teatrali piemontesi, con buon numero di ottimi attori. Gli scrittori dell'800 Innanzitutto, tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 continua l'attivita di studi sulla lingua piemontese e la necessità di produrre vocabolari. La rivoluzione francese e la successiva occupazione del Piemonte provocano il tentativo di introdurre il Francese come lingua corrente. Nasce allora il vocabolario Piemontese-Francese di Louis Capello. Fra gli studi sul Piemontese notevoli sono quelli di Carlo Denina, che afferma che il Piemontese, se gli eventi storici fossero stati più favorevoli, o se avesse avuto più attenzioni almeno a partire dal secolo XV, sarebbe diventato una lingua illustre con un rapporto con l'Italiano (o con il Francese) simile a quello tra Spagnolo e Portoghese o a quello tra Olandese e Tedesco. Dello stesso avviso si dichiara Louis Capello. L'occupazione francese provoca l'abbandono dell'idea, sostenuta da alcuni (fra cui il Pipino ed il Calvo), di rendere l'uso del Piemontese più "ufficiale" (oltre agli apprezzamenti del Pipino, di cui si è detto, il Calvo asserisce che ciascuno, a casa sua, deve parlare la propria lingua, e lui stesso usa solo il Piemontese). Nel corso del secolo seguono altri dizionari quali: Casimiro Zalli (Piemontese - Italiano - Latino - Francese) nel 1830, quello del Conte Vittorio di Sant'Albino (Piemontese - Italiano, un'opera grandiosa) nel 1859, quello di Giuseppe Gavuzzi (Piemontese - Italiano e Italiano - Piemontese) e qualche altro (ad es. il Ponza), nonché qualche grammatica. Sono moltissimi gli autori e le opere piemontesi di questo secolo. Si distinguono quattro periodi, di cui il primo si colloca nel periodo napoleonico e fino al 1815 circa (fino al 1814 il Piemonte è territorio francese). In questo periodo una serie di scrittori (minori per quanto riguarda la letteratura piemontese), scrive opere piemontesi in poesia ed in prosa. Anche per questi diamo qualche nome e qualche titolo, e sedel caso, qualche ulteriore informazione (la critica non è nostro mestiere). Agostino Bosco, avvocato e con studi di teologia non finiti, fu anche sindaco di Poirino, suo paese natale. Produce alcuni componimenti in versi, e fra questi riportiamo la prima strofa di una "cansonëtta": Oh, 'l mè prussé, darmage!, / ch' fasìa così bon pruss! / Un vent na fer ravage, / sbaterlo an sul taruss! / Guarté, fluss e rifluss!. / ... Notiamo l'uso dei passati remoti (passà lontan) fer e sbater(lo). Scrive poi una serie di epigrammi, arrivataci su un quaderno manoscritto. Ciò che scrive è lontano dalla situazione politica e sociale del momento, che non influisce sulle sue opere. Carlo Casalis, di cui si sà che era dottore in teologia e professore di filosofia, oltre all'opera teatrale La festa dla pignata, già considerata, scrive un Quaresimal sacociàbil an vers Piemontèis-Italian con la gionta 'd doi Poemet, dove i due poemetti sono La limòsna, e Un avis ai malavi. In appendice a quest'opra vi sono ancora Ricòrd d'un vej moribind a soa famija (64 versi), e poi sette Faule esopiane e il sonetto Ritrat fìsich e moral dl'Autor. Quindi scrive una Paraphrase de la Parabole de l'Enfant Prodigue an vers piémontais, e poi venticinque Faule esopiane volgarisà an dialet piemontèis. Chiaffredo Casale di cui non si hanno ulteriori notizie, cura un volumetto di cui una copia si trova alla Biblioteca Reale di Torino, dell'anno 1807. Del casale è il poemetto piemontese iniziale (360 versi) di questo volume, intitolato Amor marcand da mòda. Seguono alcune poesie in Italiano e quindi un altro breve poemetto di ventisei sestine, in Piemontese, scritto da Fauride Nicomedan (Raimondo Feraudi) dal titolo Ritratassion. Fauride Nicomedan, domenicano, oltre al lavoro già citato produce, in Piemontese, tre volumetti, un opuscolo e qualche poesia sparsa. Giuseppe Fontanone, di cui si sà pochissimo, e che scrive, in Piemontese, la raccolta di sonetti Il missionario di campagna. Il secondo periodo è quello della restaurazione, e corrisponde grosso modo ai regni di Vittorio Emanuele I e Carlo Felice. Nel periodo si producono molte opere in Piemontese, sebbene non di grande valore, e questo fà pensare ad una notevole domanda, da parte del pubblico, di scritti in Piemontese. Michel Angelo Prunetti, di Savigliano ed ufficiale dell'esercito. Di lui si ha, oltre che qualche componimento in versi, un'ode Su la vita 'd sità, che si contappone a quella del Calvo Su la vita 'd campagna che abbiamo visto a suo tempo, con una notevole estrosità, ricalcandone la metrica. Di questa interessante contrapposizione riportiamo giusto la prima strofa, con l'ode di Prunetti in blu e quella del Calvo in marron. Com l'é bisbética / com l'é mai dròla / l'idea ch'a dòmina / certi badòla / ch'ant le vilòtole / dov as fà na vita Com l'é mai lépida / l'é mai bagian-a / l'idea ch'a stùssica / la rassa uman-a / ch'ant le Metròpoli / dov le gent vivo gòfa e patética / parèj dj'armita / là sol as végeta / là mach as gòda / ant la méj mòda. sussurro e bùlico / parèj dij givo / cola sia l'ùnica / la mèj manera / 'd vive an sla tèra ! Giuseppe Frioli, frate domenicano in Torino, scrive alcuni Tòni sulla vita popolare in città. Fra questi ve ne sono tre che conrinuano la tradizione, iniziata nel seicento di cantare in tono satirico i litigi e i contrasti tra serva e padrona. Giovanni Ignazio Pansoya, letterato di enorme cultura, è un personaggio importante nel regno di Carlo Felice, diventa sindaco di Torino e poi, con Carlo Alberto, deputato in parlamento. Scrive un volumetto dal titolo Ricreassion dl'autor, che contiene il Tòni Dòjra gròssa ant l'ambrunì, che è una satira sui costumi dei torinesi. Giacinto Buniva, funzionario regio, risponde al Pansoya con un volumetto dal titolo Dòjra Gròssa vers mesdì. Anche quì si tratta di una satira garbata della vita del tempo. Enrico Bussolino, brillante militare di carriera che diventa poi Ministro della Guerra con la reggenza di Carlo Alberto, critica ambedue gli autori precedenti con un suo opuscolo L'amis dle Muse piemontèise. A questo risponde nuovamente il Buniva con un nuovo opuscolo. Forse compromesso con i moti liberali del 1821, si ritira a Cavoretto ed usa lo pseudonimo di "Armita 'd Cavoret". Vincenzo Andrea Peyron, della cui vita si hanno ben poche notizie,scrive in Piemontese con una certa abbondanza e pubblica tre volumi di Favole piemontèise, che a detta dei critici non sono particolarmente artistiche, sebbene vi siano delle buone parti. Scrive poi altre opere in un piemontese a volte italianizzato o francesizzato, in quanto pensa che in questo modo si possa dare lustro al Piemontese stesso. Luigi Joannini di Ceva, si diletta a tradurre in Piemontese Dante, Petrarca, e vari altri autori. Armita Canavsan (Giovanni Maria Regis) pubblica un libricino di epigrammi. Ne riportiamo uno: Mia fomna s'é përdùsse për sità / o quaidun am l'ha robà; / a chi am la peul trové fareu dël ben, / e i dagh dés mila lire a chi 's la ten. Giuseppe Arnaud scrive qualche lavoro in versi, ma è soprattutto importante per le sue Favole in prosa. Il Parnas Piemontèis è una rivista che viene pubblicata dal 1831 al 1849. Su questa rivista pubblicano lavori in Piemontese una certa quantità di autori non particolarmente interessanti, oltre ad altri che hanno avuto più successo. Siamo già all'inizio di quello che si può chiamare il periodo risorgimentale, terzo dei quattro detti prima Il terzo periodo è quello della letteratura risorgimentale, che spinge verso le idee di libertà per tutti i popoli italiani. Cesare Balbo scrive poco in Piemontese, o almeno poco ci resta. Uomo politico già sotto Napoleone, diventa esponente della corrente moderata che vede l'Italia unita sotto la guida del Piemonte. In Piemontese scrive l'ode La vos d'Italia, ed un componimento in versi Ricors al Cont Ludovich Sauli - prensi dij poeta piemontèis, e questo in risposta ad una critica ricevuta, sempre in versi piemotesi, a commento delle posizioni politiche sostenute. Cesare di Saluzzo, di famiglia nobile nella quale il padre è tra i fondatori dell'Accademia delle Scienze. Lui è laureato in legge diventa membro dell'Accademia delle Scienze per la classe di lettere e poi Ispettore degli studi dell'Università di Torino. Scrive versi in Italiano. I suoi versi in Piemontese rimangono inediti e sono custoditi in un manoscritto alla Biblioteca Reale. Vengono pubblicati solo nel 1959. Le sue opere piemontesi sono di stampo militaresco e fra le altre una Canson piemontèisa (che rievoca la battaglia dell'Assietta), La cros 'd Savòja, Inno nassional piemontèis, Ël véj soldà, Canson dël giovo soldà piemontèis. Massimo d'Azeglio scrive in Piemontese solo una parte di un capitolo del suo libro I miei ricordi. Importante per la figura che ne viene come scena di vita dell'alta società torinese del periodo e le sue abitudini linguistiche. Fra gli autori di questo periodo, per quanto riguarda la letteratura piemontese, i due più significativi esponenti sono Angelo Brofferio e Norberto Rosa. Brofferio è di spirito rivoluzionario, democratico e repubblicano. È avvocato e giornalista e viene fatto deputato. Finisce in prigione alcune volte per la sua irruenza rivoluzionaria. In piemontese scrive un cospicuo Canzoniere Piemontese nel quale si passa dalla lirica al sarcasmo sui casi della vita, alla satira politica pungente. Spesso i suoi versi in Piemontese sono un'arma politica. Inizia a finire in prigione nel 1831 come implicato in una congiura, e qui scrive : Destin bëcco fotù / 't l'has pròpi famla grisa / a s-ciòdme patanù / sot n'erbo al mèis dla bisa. / Dagià ch'a t'é vnù 'l tich / 'd sëmneme dzor un brich / përchè, crudél destin, / nen féme ravanin?....... e varie altre composizioni. Quando è deputato della sinistra democratica scrive quattro canzoni contro il Cavour che sono : Al cusiné dël Cont Cavour, Ij doi Cont, L'Umanità e ij merluss, Ij bonbon 'd sor Cont. Ma sono sue anche moltissime altre canzoni, di argomento non politico. A titolo del solito esempio riportiamo pochi versi suoi dalla canzone La barchëtta: Varda che bianca lun-a, / varda che cel seren: / dun-a mia cara, dun-a / ven, Carolin-a, ven. / Una tranquila ariëtta / sent, a consola 'l cheur / Ven, ven su la barchëtta / dl'amor e dël boneur....... Sempre di Brofferio, un breve "saluto" alle patrie galere: Bondì, care muraje, / tèile d'aragn, bondì, / vëd-ve ch'i son tornaje ? / Vardeme torna sì. / .... Il Rosa è giornalista, sullo stile di Brofferio, ma più pacato. Di famiglia non agiata, compie gli studi con difficoltà e poi diventa procuratore legale a Susa, e poi provveditore agli studi. Le sue poesie vengono pubblicate, per 18 anni, in Parnas piemontèis, almanacco di letteratura e poesia piemontese di cui abbiamo detto. Scrive i tre poemetti "Ij cativ médich", "Le strade ferrate, sestine piemontesi" e "Don Chissiòt. Cant Prim". Delle favole che pubblica sul Parnas Piemontèis, alcune sono di satira sociale e politica, più tranquilla di quella di Brofferio, ma altrettanto mordace. Un'opera che i critici valutano come la sua migliore è il componimento Ij piasì. Anche lui scrive versi con temi d'altro genere, come ne Ël ver filòsofo. Di questo componimento qui riportiamo i versi citati nella pagina iniziale della parte di questo sito dedicata al Piemontese: Mi 'm fà nen d'esse 'l ghignon / dla fortun-a che a l'é mata / Stà për tèra coma i son / l'é difìcil ch'i rubata. / Quand che i vëddo al d'sor dla rova / coj che un dì l'ero a cova, / Im në rijo 'd sòi eror / e i rinonsio ai sò favor. / .... Critica anche in modo pungente i poeti da strapazzo che scrivono piccolezze e si vantano in grande: Am fan rije a chërpa pansa / coj poeta da bon pat /ch'as dan 'd ton e d'importansa / e ant ël fond a son 'd savat / .... Fra il tanto di suo ricordiamo ancora le composizioni di stile patriottico Inno dij piemontèis e Panegirich 'd San Martin. Il quarto periodo è quello della seconda metà del secolo, nel quale comincia una decadenza economica e di ruolo della città di Torino e del Piemonte, conseguenza dell'unità d'Italia. Dal punto di vista letterario è invece il periodo del grande sviluppo del teatro piemontese, che abbiamo già visto, lo sviluppo della narrativa e la nascita e crescita di molte riviste letterarie in piemontese. Di queste alcune sono di vita breve, altre si impongono e restano vitali a lungo. Questo contribuisce a completare quel processo di affermazione di una lingua comune, al di sopra delle varianti locali, meglio di quanto possa fare la sola poesia, che ha una diffusione più limitata. Nel 1866 compare il primo periodico in Piemontese, dal titolo La gasëtta 'd Giandoja, fondato da Luigi Pietracqua, e di indirizzo socialista umanitario moderato, monarchico e paternalista. Tratta eventi politici, civili e militari, e pubblica lavori letterari quali racconti, romanzi, versi. Un altro giornale che viene pubblicato a partire dal 1877 è il Falabrach. Uno dopo l'altro, i giornali periodici in Piemontese nascono e prosperano, qualcuno per poco tempo mentre altri durano ancora a lungo nel '900. Alla fine del secolo (1895), in Torino si pubblicano sei riviste in piemontese: 'L birichin, Compare bonòm, La birichin-a, 'L Falabrach, La sartòira, La sartoirëtta. 'L birichin è forse tra i più significativi, ed è la continuazione din un precedente L'aso. Il sottotitolo lo dichiara giornal piemontèis satìrich, leterari, sportiv, umorìstich, social. A fianco di questo giornale nasce una Biblioteca Popolar Piemontèisa che raccoglie molti degli scrittori del momento. Tra i giornali che hanno lasciato tracce labili si ha 'L Mul, di cui è sopravvissuta una sola copia con data Ann II n. 2 12 gené 1878, 'L giornal dij farfo, di cui si conosce l'esistenza ma che è introvabile, L'indiscret, di cui si hanno i primi due numeri. Ancora 'L Bougianen, gasëta turinèisa ed infine Cerea!. Vengono poi pubblicati vari Armanach con cadenza annuale. Proprio la nascita dei periodici in Piemontese è occasione per lo sviluppo della narrativa. È su queste riviste, infatti, che cominciano ad essere pubblicati romanzi (a puntate) e novelle, lavori che poi vengono anche stampati in volume. Luigi Pietracqua, che abbiamo già visto per il teatro, pubblica in questo modo Cos val-lo n'òm mòrt? pubblicato su La gasëtta 'd Giandoja, seguito, sullo stesso giornale da Fisionomìa 'd Piassa Castél trant e singh ani fà, che è importante per le notizie che fornisce sulla Torino della prima metà dell'800. Ancora in appendice sullo stesso giornale, e poi stampato in due volumi, il suo miglior romanzo, Don Pipeta l'Asilé dell'anno 1868, romanzo anche tradotto in Italiano con qualche rifacimento. Altra opera di buon successo del Pietracqua è Lucio dla Venarìa. Come esempio linguistico riportiamo le prime parole di questo romanzo: Ai temp 'd na vòlta a-i na sucedìa pro dle còse dròle tant e quant a peul sucedijne adéss: la diferensa a stà an sòn, che anlora a-j esistìa gnun giornaj ch'a registrèisso dì për dì tuti ij fat pì rimarchevol, mentre adéss a-i na esist fin-a tròpi, con licensa parland. Oltra 'd lòn, a coj "beati" temp, se quèich fat mostruos, quèich aventura foravìa dël comun a vnisìo a turbé ....... Altro romanzo di Pietracqua è "La còca dël gàmber" che parla del fenomeno delle "còche" parola gergale che indica una associazione per delinquere, fenomeno presente al tempo a Torino, oppure anche l'associazione di poveri giovani apprendisti. Nel romanzo una coca di delinquenti si contrappone ad una di questi giovani. Fra le altre opere La bela panatera 'd Pòrta Palass, che è un racconto di seduzioni e delitti, e poi "Un cheur mòrt", quindi "Ij misteri 'd Vanchija" ed ancora "La masnà ch'a piora". Carlo Bernardino Ferrero descrive nei suoi romanzi l'ambiente di quel proletariato che con un lavoro pesante, in condizioni disumane ed orari massacranti arriva a mala pena a dar da mangiare alla sua famiglia. Lui è un anarchico idealista che descrive così la classe dei vinti con un grande realismo. I tre principali suoi romanzi sono "La cracia, romans dal vér", scitto nel linguaggio dei bassifondi della citta (Torino). Ij mòrt ëd fam, romans social scritto nella crisi profonda che in quei tempi vive Torino, e che parla dell'ambiente "dël pòvr diav che, travajand quindes ore al d' a guadagna nen basta da sfamé soa famija", e La bassa russia, sene 'd Pòrta Palass", che parla di una vittima della disperazione prodotta dalla miseria. Riportiamo poche righe, sempre come esempio: Dòp ël prim ann ëd matrimòni a l'avìo avù na masnà. Che festa a l'era stàita cola lì për Giaco ! Ansi, për celebréméj le batiaje a l'avìa fin-a portà soa mostra al Mont ëd Pietà. Travajand as la passava modestament ben. Ma un bél dì la sventura a l'era intrà anche ant soa cà. al'era giusta passaje quatr ane e mes dal dì 'd sò matrimone. 'L saba 'd sèira. 'l cap fàbrica, butandje ij sòld dla paga an man, a l'avìa daje j'eut dì .... Fra le altre opere di Ferrero vi sono i romanzi 'L delit ëd via dla Palma, quindi Un drama 'd via San Maurissi, poi Le Neuve ed infine L'òm dël martél. Ancora suo è il racconto 'L sacagn. Carolina Invernizio va a vivere a Firenze e scrive varie cose in Italiano. In Piemontese scrive Ij delit ëd na bela fija. Il romanzo si stacca da quelli sociali visti prima, ed è completamente di fantasia. Per quanto riguarda la poesia, in questo periodo si spengono le passioni politiche che avevano animato il Brofferio, ed emerge solo qua e là una critica al malgoverno portato dall'Unità nazionale ed all'esautorazione del Piemonte dal suo ruolo trainante. Vi sono molti rimatori, ma di questi pochi (sempre a giudizio dei critici) hanno qualche valore. Questo per un periodo abbastanza lungo. Luigi Rocca, di cui si è già detto a proposito di teatro, scrive in versi il lavoro Quindes fàule, che sono un raccolta di favole in una trentina di versi, con la loro morale. Riportiamo qui una di queste, dalla favola La cossa e 'l prussé: Profita donque 'n pò 'd costa lession / e tente sempe bin tacà l'orija / che 'l ver mérit l'ha gnun-e pretension! / O vojàitri ch'j'avé tant babija, / pensé pà 'd fela bèive a tut ël mond! / Soens chièl cred, l'é vèj, a lò ch'a smija, / ma. a la fin, la vrità stà mai a fond. Lo stesso poeta pubblica un libricino nel quale una poesia (Contagg) lamenta i problemi procurati al Piemonte dal suo ingiusto accantonamento. Riportiamo l'inizio: O pòver mè Piemont / l'han pròpi fatla bela, / a veulo a tuti ij cost / mandete an ciampanela; / ch'it seufre o it seufre nen / për lor l'é tut istéss, / adéss ch'a son an tren / at veulo ruiné fin-a l'ecess. / ... Il Rocca collabora a molte iniziative culturali del tempo, ed è anche vicedirettore della Società Promotrice di Belle Arti. Michele Fornelli è un medico e pubblica un volume di ottanta poesie Rime piemontèise për ël popol, e si tratta di tematiche sociali, anticlericali e patriottiche. Vi sono in queste i temi della delusione prodotte dall'Unità nazionale, che riprenderemo in seguito. Stefano Mina, oltre a quanto visto a proposito di teatro, scrive un volume di Canzoni piemontesi e cenni storici sulla letteratura subalpina, ma non raggiunge un gran livello artistico. Claudio Calandra è avvocato e deputato. Vengono attribuite a lui alcune poesia pubblicate del libro del Mina: La ribòta, che è anticlericale ed antipapale, la Stòria d'un stival, che rappresenta un Italia "carià 'd tacon e 'd ciape e tut mufì ", e Lament 'd Giandoja. Sono invece da lui firmate le poesie Ij set piasì, Un disané polìtich, A San Vegess, Al tir ëd Racunis, Al gran Bògo. Cesare Scotta, avvocato, pubblica varie poesie di cui alcune intermezzate da recitativi in prosa, sulla Gasëta 'd Giandoja. Luigi Pietracqua, già visto per il teatro e la narrativa, scrive lavori che vengono raccolti in un volume di trentasei poesie. Anche per lui ricorre il tema dello sfogo contro il malgoverno a seguito dell'Unità nazionale. Una di queste è Al bon sens, di cui riportiamo l'inizio: Oh! bon sens! it savèisse che tóiro, / che pastiss l'han comess coj brigàire! / Bon mach sempe a gonfiesse com d'óiro / su le spale dij pòpoj già màire, / l'han fait nasse d'ambreuj sovr'ambreuj, / tut a fòrsa d'asnade e d'orgheuj. / ... Un'altra di queste poesie La sèira dij mòrt, allude in modo evidente, senza essere esplicita, all'eccidio di Torino del 1864 durante le proteste per il trasferimento della capitale. Scipione Giordano, uomo di grande cultura, in grado di verseggiare anche in Latino e Francese, è medico ostetrico e scrive anche vari lavori scientifici. In Piemontese pubblica un volume di poesie che rispecchiano il suo percorso dalla restaurazione al risveglio democratico, il risorgimento e la successiva delusione. Qualche titolo delle sue poesie : Le speranse d'Italia, Riconciliassion con j'Alman, La festa dlë Statuto ant 'l 1852, etc.... Quirino Trivero, di cui si conosce poco, pubblica due libri di poesie a cavallo fra '800 e '900 , di cui il primo è una raccolta di 39 poesie, molte delle quali su tema sociali e politici. Anche nella sua poesia traspare chiaramente la disillusione che segue all'Unità nazionale. Fulberto Alarini (Alberto Arnulfi) oltre alla sua opera teatrale citata, è un poeta di valore, è amico di Edmondo DeAmicis, e pubblica due volumi di sue poesie, di cui il primo ha titolo Sang-Bleu, ed il secondo Bourghesìa. Senza particolari titoli di studio ed orfano dalla nascita, gira l'Italia con il padre, che è prima ufficiale dell'esercito e poi deputato: Sbatù 'dsa e dlà d'Italia con mè véj / cambiand scòla e maestro, i son vnù sù / studiand pòch, lesend tant e osservand méj / ... Nella Prefassion del suo primo libro, in versi, giustifica il suo scrivere in Piemontese con i versi: ... e fra i frou- frou dla seda e ij vòrtici dij baj / antorna ai tapis verd, fra caròsse e cavaj / ant ij boudoirs ble-ciel e ovunque l'elegansa / a regna, e aristocràtica a spand la soa fragransa / i l'hai sentì parlé mach sempe 'l Piemontèis / Cioé, nò, përchè quàich vòlta as parla 'dcò Fransèis / Ma l'Italian, la lingua pì bela e armoniosa, / da la fine crème 'd Turin a l'é ciamà noiosa: / as dis : L'é pà bon géner, avend coron-a e guant, / parlé la stessa lingua ch'a parlo ij comediant ! / .... La sua poesia è sempre ironica e a volte satirica, diretta a dipingere e bersagliare le classi nobili e quelle borghesi. Nel periodo a cavallo fra i due secoli si forma una vera generazione di valenti scrittori che ai appoggiano al periodico " 'L Birichin" per pubblicare i loro lavori. Di questi qualcuno è già stato visto. Alberto Virgilio è senz'altro una figura di spicco, il cui primo lavoro importante, in poesia, compare nel 1888 con il titolo Vita sgairà. Pubblica vari sonetti e canzoni, e studia l'uso della lingua piemontese, nel descrivere essenzialmente la vita e gli ambienti di Torino. Il suo linguaggio non è affetto dagli Italianismi che spesso appaiono in altri scrittori. Qualche anno dopo viene pubblicata una sua raccolta di Rime piemontèise. Suo è un lungo articolo in Piemontese apparso prima su " 'L Birichin" e poi in opuscolo, dal titolo "Ij fransèis a Turin". Il Virgilio è particolarmente importante per i suoi lavori sulla storia della città, come "Torino e i Torinesi, minuzie e memorie", poi con "Vecchia Torino" ed infine con "Torino napoleonica". Di grande importanza linguistica è il suo lavoro "Come si parla a Torino". Ancora due sue opere in questo senso sono: "Voci e cose del vecchio Piemonte" e " Cronache dell'assedio di Torino 1706 ". Leone Fino (alias Rico) pubblica su 'L Birichin dapprima trentadue "Sonèt alégher ", che poi sono stampati in volume, poi "Griòte", poi "Fròle... Frolon..."ed infine "More". Oreste Fasolo pubblica due racconti in prosa, e poi "Carësse e sgrafignon" come primo lavoro in versi. Seguono "Un'elession a San Patrissi" , componimento di venticinque sonetti, e poi nove commedie per teatro. Arrigo Frusta (Augusto Ferraris) scrive su 'L Birichin tanto in prosa quanto in versi. È un letterato che partecipa prima alla letteratura piemontese di fine secolo e poi, con caratteristiche diverse, alla letteratura piemontese del '900 (cosa che vedremo dopo). Pubblica dapprima un libretto di sonetti e poi due raccolte "Faravòsche" e "Ij sonet dl'esposission". Vedremo il resto in seguito. Bernardo Garneri (alias Brut e Bon) pubblica tre volumi di versi, di cui il primo è "Bagatele", il secondo è "Balossade" ed il terzo "Balossade neuve e fruste". Solo quest'ultimo conteneva 250 poesie. Giovanni Gastaldi (alias Tito Livido) nato in Sicilia da famiglia di antichi discendenti piemontesi, vive in Torino da dopo i tredici anni. Si inserisce subito nel mondo degli scrittori piemontesi, ed ha importanti ruoli nei giornali piemontesi locali. Scrive alcune poesie per concorsi letterari e si sono trovate diciotto Canzoni sue, (come "Ij borgh ëd Turin", oppure "La funicolar 'd Superga") che saranno di caratterizzazione alle canzoni popolari torinesi. Pubblica una sola raccolta di sue poesie dal titolo "Citarade", mentre altri suoi lavori non sono ancora stati raccolti in un volume. Paggio Fernando (Ferdinando Viale) che chiude l'epoca di cui parliamo, pubblica tre volumi di poesie piemontesi, che sono "Rime d'amor," poi "Ariëtte turinèise" ed infine "Manin-e bianche". Siamo già largamente nel '900. Un'ultima cosa che si può ricordare è che nel 1836 i Valdesi traducono in Piemontese il Nuovo Testamento ed i Salmi, per renderli accessibili a tutti. . |