PIENA DI GRAZIA (Luca 1,28)











KEKARITOMENE


COLMATA DI GRAZIA O SOLO FAVORITA?


(κεχαριτωμένη)


 

 

 

 Vecchie divergenze tra cattolici e protestanti

Maria è sicuramente santa per aver creduto nell'adempimento delle parole del Signore (Luca 1,45) e giustamente tutte le generazioni da secoli la proclamano beata (Luca 1,48). Ad una donna che si alzò in mezzo alla folla per esaltare la Madre, Gesù però ricordò che “Beati sono piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Luca 11,28), mettendoci in guardia da facili sentimentalismi e da ambigue scorciatoie devozionali. Nessuna pietà mariana può infatti giovare a chi non ascolta il Figlio (Matteo 17,5 e Giovanni 2,5), pensando di servirsi di Maria solo per allontanare il tempo del giudizio e camminare al riparo dall’ira divina. Le parole di Gesù vanno pertanto correttamente intese come "Beata mia madre non tanto perché mi ha generato ed allattato ma piuttosto perché ha ascoltato la parola di Dio,la ha custodita e la ha osservata".

 

Oggi, tutti i cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti) sono pertanto d'accordo sul fatto che "Maria è il tempio di Dio e non il Dio del tempio" [Ambrogio, Lo Spirito Santo, III, 11, 80] e che "sebbene molti ostentino una grande devozione verso la Vergine, ben pochi realmente cercano d'imitarne la castità, la modestia, la mitezza, l'ascolto della parola di Dio e l'amore verso il Regno dei cieli" [Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, 47]. Ora, il tempio di Dio è puro e santo ed è sempre stato luogo di preghiera, oggetto di venerazione e rifugio dei peccatori (1 Re 5,18; 1 Re 8,12-53; 2 Re 12,3; 2 Re 19,1; 2 Re 23,2; Salmo 5,8; Salmo 27,2; Salmo 133,2). Non grantisce però una salvezza automatica e non può essere oggetto di una fiducia magica, soprattutto quando manca la giustizia, l'onestà e la rettitudine (2 Re 25,9; Geremia 7,1-11; Ezechiele 23,39; Matteo 24,1-2).

 

Qualche motivo di polemica tra cattolici e protestanti viene comunque ancora dalla traduzione di Luca 1,28 dove le Bibbie cattoliche continuano a rendere κεχαριτωμένη con "piena di grazia", mentre le Bibbie acattoliche preferiscono tradurre "favorita dalla grazia", "colmata di grazia", “favorita” o “molto favorita”. Di fatto, la Revised Standard Version cattolica (1966) ha reintrodotto, in chiara polemica con i protestanti, il tradizionale “full of grace”, mentre la New American Bible (1970), versione ufficiale dei cattolici americani, ha sostituito il full of grace della Douay Reims (1610) con favored one, addolorando così non pochi cristiani e seguendo, come in altri punti (vedansi ad esempio Romani 9,5 e Tito 2,13), il triste esempio della King James (1611). Non intendiamo evidentemente entrare in polemica con i fratelli protestanti né tanto meno con la conferenza episcopale statunitense. Prendiamo, invece, atto del fatto che oggi molti cattolici ed ortodossi sono perplessi non tanto verso traduzioni antiche, grammaticalmente accreditate e letteralmente accettabili, come:

 

·       gratiosa(Greek and Latin New Testament di Erasmo 1522, Diodati 1607)

·       o tu cui grazia è stata fatta” (Diodati revisione del 1894);

·       favorita dalla grazia” (Riveduta, Nuova Riveduta);

·       che godi del favore di Dio (you who enjoy God's favour)” (New Jerusalem Bible);

·       colmata di grazia” (Bibbia Luzzi di Fides et Amor e anche Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente)

 

ma verso versioni come:

 

·       favorita” (Diodati 1641 e 1821, Young Literal Translation, Darby inglese, Revised Standard Version, New Revised Standard Version, New American Standard Bible, New American Bible) o

·       molto favorita” (Nuova Diodati, King James, American Standard Version, New King James, New International Version, New World Translation, Jerusalem Bible 1966),

 

visto e considerato che l’espressione “favorita” fu (ed è tuttora) spesso usata per identificare donne di dubbia virtù o di perduta fama.

 

Di fatto, traducendo "kekaritomene" con "favorita", si rischia di presentare l'amore di Dio verso Maria come un evento fugace, effimero ed ambiguo: le favorite dei re e dei potenti erano (e sono) personaggi soggetti ad un continuo ricambio e ad eterni capricci. Tradurre "kekaritomene" con "favorita dalla grazia" (come fece la Riveduta del Luzzi) o "colmata di grazia" (come fece la Bibbia Luzzi stampata da Fides et Amor e come fa la Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente) rappresenta una posizione più equilibrata, che enfatizza l'immensità della grazia di Dio verso l'umanità. Il "gratia plena" di Gerolamo sembra però confermare a Maria (e all'umanità) la stabilità, la forza e la pienezza di un amore che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Giovanni 3,16).

 

La bellezza della traduzione di Gerolamo è pertanto evidente e sembra andare oltre le riserve verso la devozione mariana espresse dagli evangelici, i dogmi di fede elaborati dai cattolici e dagli ortodossi e le dotte dispute di tutti coloro che vorrebbero far dire al testo biblico ciò che esso esplicitamente non dice.

 

 

Il participio perfetto passivo e la forma perifrastica

Κεχαριτωμένη è il participio perfetto passivo (vocativo, femminile e singolare) del verbo χαριτοω che vuol dire "concedere grazia, colmare di grazia, rendere aggraziato, affascinante, bello, piacevole, esaminare con grazia, circondare di favore, onorare con benedizioni, favorire, gratificare". Il prefisso Κε indica che il verbo è al tempo perfetto, mentre il suffisso μένη mostra che il verbo è usato in forma di participio passivo. La traduzione cattolica "piena di grazia" risale al "gratia plena" di Gerolamo, che nella Vulgata non intese certo rendere attivo un participio perfetto passivo  ma si limitò a cogliere qualche sfumatura sostantivata e forse pure aggettivale nel participio perfetto passivo (colmata di grazia, piena di grazia, dotata di grazia, leggiadra, graziosissima, bellissima, prediletta, graziatissima, oggetto della grazia divina, onorata dalla grazia, benedetta dal favore divino, guardata con grazia, resa splendida dalla grazia, favorita dalla grazia, circondata dalla divina grazia). [1] [2] [3]

 

Secondo molti studiosi, il perfetto, che nel greco classico avrebbe quasi sempre valore "stativo" e "puntuale", nel greco koiné e nel Nuovo Testamento tenderebbe ad assumere valenza "resultativa e durativa". La stessa cosa sembra essere valida pure per i participi perfetti passivi che, nella cosiddetta “forma perifrastica”, tendono a sostituire il perfetto, soprattutto nelle Scritture Greche Cristiane. Di fatto, nel greco koiné il perfetto e la forma perifrasticaestin + participio perfetto passivo” sono spesso sostanzialmente equivalenti. Nel Nuovo Testamento esistono poi casi in cui il tempo perfetto, il participio passivo perfetto preceduto da “estin” ed il participio perfetto passivo usato da solo hanno valenza simile ed uso praticamente accomunabile. Evidentemente il participio perfetto passivo, quando è usato da solo, rivela sia sfumature sostantivate o attributive che valenza verbale (essendo “estin” spesso sottointeso). [4] [5]

 

Coloro che traducono “kekeritomene” con “favorita” sostengono che “kekaritomene” sia un participio sostantivato totalmente privo di pienezza, durata e stabilità. Il ragionamento si basa sul fatto che il verbo della frase, detta a Maria dall’Angelo Gabriele, sarebbe l’imperativo “chaire” cioè “rallegrati”. Molti pensano invece che il participio perfetto passivo “kekaritomene” sia comunque una forma verbale e non un sostantivo vero e proprio. Nel Nuovo Testamento, nei Padri Apostolici e negli Apologeti Greci non mancano, infatti, esempi di participi perfetti passivi usati in forma perifrastica e numerose sono le forme perifrastiche in cui il verbo essere è chiaramente sottointeso. Il fatto poi che “chaire”, possa esser piuttosto un saluto che un vero e proprio imperativo (come intuì bene Girolamo quando tradusse “chaire” con “Ave”), permette di ipotizzare che “kekaritomene” conservi qui un elevata valenza verbale. Anche se non tutti condividono l'ipotesi secondo cui "kekaritomene" corrisponderebbe alla forma perifrastica "estin kekaritomene", è forse il caso di notare come, all'interno dello stesso versetto, il verbo "essere" sia sottointeso almeno un'altra volta. Luca 1,28 suona, infatti, come:

 

Χαιρε κεκαριτωμενη ο κυριος μετα σου

Kaire kekaritomene o Kurios meta sou

"Ti saluto [sei stata] colmata di grazia, il Signore [è] con te."

Su influenza di Luca 1,42, in alcuni manoscritti (Textus Receptus compreso), il saluto dell'Angelo Gabriele prosegue poi con:

ευλογημενη συ εν γυναιξιν”

"Eulogemene su en gunaiksin"

"Benedetta [sei o sei stata] tu tra le donne",

 

dove troviamo ευλογημενη (eulogemene), participio passivo perfetto nominativo singolare e femminile (come kekaritomene), con tanto di verbo "essere" sottointeso.

 

Il fatto che tutto il brano lucano ometta la copula conferisce al saluto angelico carattere breve, conciso, solenne, esclamativo ed enfatico [6]. Il gratia plena di Gerolamo potrebbe pertanto rendere con accurata precisione l'idea che la grazia di cui Maria è stata colmata sia piena, stabile, completa e duratura [7]. Volendo pertanto tradurre letteralmente in italiano il "kekaritomene" greco si dovrebbe dire "tu che sei stata, che sei e che rimani stabilmente colmata dalla grazia divina". Papa Giovanni Paolo II ha giustamente osservato che "Per rendere con più esattezza la sfumatura del termine greco, non si dovrebbe quindi dire semplicemente "piena di grazia", bensì "resa piena di grazia" oppure "colmata di grazia", il che indicherebbe chiaramente che si tratta di un dono fatto da Dio alla Vergine. Il termine, nella forma di participio perfetto, accredita l'immagine di una grazia perfetta e duratura che implica pienezza. Lo stesso verbo, nel significato di "dotare di grazia", è adoperato nella Lettera agli Efesini per indicare l'abbondanza di grazia, concessa a noi dal Padre nel suo Figlio diletto (Efesini 1,6)". Un autorevole pastore della chiesa cattolica ha anche recentemente sottolineato come "Nel Libro dell’Esodo leggiamo che anche Dio è “pieno di grazia” (Esodo 34,6), ma mentre Dio lo è in senso attivo, come colui che riempie di grazia, Maria lo è in senso recettivo come Colei che è stata riempita di grazia e per questo è diventata icona sublime della divina grazia. [8]

 

 

Una traduzione largamente condivisa

Il “gratia plena” della Vulgata sembra peraltro condiviso dalle versioni Vetus Latina, Syriaca Peshitta, Arabica, Egiziana ed Etiopica, dai padri greci Giovanni Damasceno, Giovanni Crisostomo, Teodoto di Ancira ed Efrem Siro e da larga parte delle Chiese Greco Ortodosse tuttoggi esistenti. Inoltre:

 

·       la Vetus Latina Itala (II-IIIsecolo) ha “gratia plena” (piena di grazia)

·       la Vetus Latina Afra (II-III secolo) ha “gratificata” (colmata di grazia)

·       la Wyclif's Version [1380] ha "full of grace";

·       la Greek and Latin New Testament di Erasmo [1516] ha “gratia plena"

·       la Tyndale's Version [1534] ha "full of grace";

·       la Cranmer's Version [1539] ha "full of grace";

·       la Geneva Bible [1599] ha in nota a marginemight be rendered full of favour and grace”,

·       la Douay Reims [1610] ha "full of grace";

·       l’Authorized Version or KJV [1611] ha in nota a margine "much graced or graciously accepted";

·       la Revised Version [1881], l’American Standard Version [1901] e la Scofield Edition [1909, 1914] hanno in nota a margine “Or Endowed with Grace”.

·       la versione francese di David Martin [1707] ha "toi qui es) reçue en grâce";

·       la versione francese di Jean-Frédéric Ostervald  [1744] ha " toi qui as été reçue en grâce";

·       la versione francese di Louis Segond [1880] ha “toi à qui une grâce a été faite”;

·       la versione francese del Darby [1910] ha “toi que Dieu fait jouir de sa faveur”;

·       la New American Standard Bible [1971, 1977] in nota riporta "Or, O woman richly blessed".

·       la English Peshitta Translation di Etheridge [1849] ha "Peace to thee, full of grace"

·       la English Peshitta Translation di Murdock [1852] ha "Peace to thee, thou full of grace"

·       la English Boharitic Coptic Translation di Horner (1898) ha "Hail, thou who art full of grace"

·       la English Peshitta Translation di Lamsa [1933] ha "Peace to you, o full of grace"

·       la English Peshitta Translation di Younan [2000] ha "Peace to you, full of grace"

·       la Traduction Œcuménique de la Bible [2010] ha "Sois joyeuse, toi qui as la faveur de Dieu"

 

 

Kekaritomene nella Bibbia, nei Padri e nella Letteratura Apocrifa

A conferma di questo è forse il caso di osservare che κεχαριτωμένω, corrispondente maschile di κεχαριτωμένη, si trova solo un'altra volta nella Bibbia (Siracide 18,17) e nella Vulgata fu tradotto da Gerolamo con “iustificato”, senza introdurre alcuna sfumatura attiva Nella Bibbia cattolica Douay Reims (1610) κεχαριτωμένω di Siracide 18,17 è reso con “justified man”, mentre la Martini (1781) rese l’espressione con “giusto”.


Notevoli differenze riguardano poi le versioni più recenti di Siracide 18,17, confermando le incertezze linguistiche:

·       la Bibbia Luzzi di Fides et Amor (1924) ha “caritatevole”,

·       la Sales (1933) e la Tintori (anni ’40) traducono con “giusto”,

·       la Ricciotti Salani (1954) riporta “dabbene”,

·       la Nardoni (1960) ha “grazioso”,

·       la Garofalo (1964-74) rende con “pieno di grazia”,

·       le Paoline (1964) traduce con “compito”,

·       le Paoline (1970) rende “caritatevole”,

·       la Bibbia Utet di Penna Galbiati e Rossano (1973) traduce “affabile",

·       la Nuovissima Versione Paoline (1981) ha “generoso”,

·       la Cei (1973) e la Cei (2008) rende con “caritatevole”,

·       la Nova Vulgata traduce κεχαριτωμένω con “gratioso”,

·       la New American Bible (1970) ha “kindly man”,

·       la Revised Standard Version (1952) e la New Revised Standard Version (1990) hanno “gracious man”,

·       la Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (1985) traduce “gentile”.

Il termine Κεχαριτωμένον è comunque piuttosto raro e, oltre che dal libro del Siracide, fu anche impiegato dalla Versione di Simmaco per tradurre il termine ebraico ברר (barar) cioè "puro" (Salmo 18,26).[9].

Nei Padri della Chiesa troviamo poi κεχαριτωμένον, corrispondente neutro di κεχαριτωμένη, usato per lo Spirito Santo che “ci fu donato per grazia” o che è "pieno di grazia" (Clemente Alessandrino, Stromata, I, 1, 14). Il termine fu anche impiegato da Clemente Alessandrino, quando, citando Siracide IX, ammonì il fedele a distogliere lo sguardo da una donna graziosa (kekaritomenes) [Clemente Alessandrino, Il Pedagogo, III, 11].

 

Nella letteratura apocrifa “kekaritomene è spesso presente. Nella Lettera ad Aristea il termine in questione è usato per dire come un uomo, resosi amabile presso tutti (kekaritostai), abbia ricevuto da Dio il dono più grande [Lettera d'Aristea, 225]. Nel Testamento dei XII Patriarchi, Giuseppe racconta poi come il Signore lo avesse graziato (ekaritoseu) mentre era in carcere [Testamento di Giuseppe, I, 6], mentre il Pastore d'Erma, parlando dei credenti del settimo monte e vedendoli semplici e candidi, ricorda come il Signore li avesse resi gradevoli (ekaritosen) in ogni loro azione [Pastore d'Erma, Similitudine IX, 24]. Per un’ampia bibliografia è possibile vedere il lavoro di: Ignace de la Potterie, Kekaritomene en Lc 1,28: Étude exégétique et théologique, Biblica, Vol. 68, No. 4, 1987, pp. 480-508.

 

Chiarito che grazia e favore vengono sempre e solo da Dio (1 Pietro 5:10) e ci rendono a lui graditi (Efesini 1,6), la traduzione "piena di grazia" nel senso di "graziosissima, prediletta e da sempre piena della grazia divina" ci sembra senza dubbio corretta, accurata ed applicabile a Maria da tutti i cristiani, visto e considerato che non solo Gesù (Giovanni 1,14) ma anche il diacono Stefano (Atti 6,8) fu chiaramente detto πλήρης χάριτος cioè “pieno di grazia”. La pienezza di grazia di Maria è evidentemente diversa da quella di Gesù e da quella di Stefano; il titolo di “piena di grazia” è comunque più che legittimo, come più che legittimo era il titolo di “Figlio di Dio” applicato a Cristo, visto che perfino i giudici ebrei erano chiamati “dei” dalla Scrittura (Salmo 82,6 e Giovanni 10,34).

 

 

Pregiudizi teologici ed ideologici

L’opposizione mostrata da alcuni acattolici verso la traduzione “piena di grazia” sembra pertanto legata più a pregiudizi teologici (timore che Luca 1,28 possa essere citato per sostenere la devozione mariana, l’invocazione della Madonna ed il dogma dell’Immacolata Concezione) che a ragioni logiche, linguistiche, grammaticali ed estetiche (Cantico dei Cantici 4,7). Sicuramente molti cattolici hanno, in passato, fatto ampio ricorso alla traduzione di Gerolamo per provare il dogma dell'Immacolata Concezione, non riuscendo a dimostrare nulla e rendendosi così odiosi a tutto il protestantesimo. Di fatto, il gratia plena di Gerolamo spinse molti cattolici del passato sulla strada di deduzioni filosofiche e teologiche piuttosto che verso analisi propriamente esegetiche (vedasi ad esempio, Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, III, 27). La pienezza di grazia di Maria diventò così più una grazia santificante da dispensare che l'originale benevolenza divina di cui fu oggetto.


Oggi nessun cattolico ragionevole si oppone a traduzioni del tipo "Esulta, o privilegiata dalla grazia" o "Rallegrati, o tu che sei stata colmata di grazia". Insistere su termini come "favorita" o "molto favorita" sembra però una scelta volutamente volgare, lessicalmente ambigua e stilisticamente criticabile. Invero, il "gratia plena " non ha alcun valore teologico ed i dogmi della Chiesa Cattolica sono basati su ben altri fondamenti logici, filosofici e teologici. Si consideri poi che le "favorite" dei potenti erano tali per bellezza, intelligenza o cultura, mentre Maria è "colmata di grazia" perché ha "trovato grazia presso Dio" (Luca 1,30). Paradossalmente, è sulla traduzione "favorita" che si potrebbero ipotizzare precedenti meriti di Maria, mentre il "piena di grazia" di Gerolamo, il "o tu cui grazia è stata fatta" di Diodati ed il "favorita dalla grazia"di Luzzi permettono solo di dimostrare "l'umiltà della serva del Signore" (Luca 1,48).


 Dalle Sacre Scritture risulta poi che pieni di Spirito Santo furono Giovanni il battista (Luca 1,15), Maria (Luca 1,35), Zaccaria (Luca 1,67), Gesù Cristo (Luca 4,1), Pietro (Atti 4,8), Stefano (Atti 7,55), Barnaba (Atti 11,24), Paolo (Atti 13,9). La pienezza di grazia di Maria è pertanto più che legittima, in quanto legata alla particolare pienezza di Spirito Santo di cui fu colmata. Alla madre di Gesù l’angelo Gabriele disse infatti: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo” (Luca 1,35).


 Tutti coloro che provano un’istintiva avversione nei confronti della devozione cattolica verso Maria citano spesso la Bibbia laddove è scritto: “Lo stolto pensa: Dio non esiste. Sono corrotti, fanno cose abominevoli, nessuno fa il bene. Dio dal cielo si china sui figli dell'uomo per vedere se c'è un uomo saggio che cerca Dio. Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno” (Salmo 53,2-4) oppure “Non c’è nessun giusto, nemmeno uno” (Romani 3,10). Se si vuole sostenere che la giustizia degli uomini non deriva da particolari opere meritorie o dall’osservanza di particolari precetti (Romani 3,19; Galati 3,11), ma dalla fede in Dio Padre ed in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore (Romani 1,17; Romani 3,28; Galati 2,16) non c'è nulla da eccepire. Se, invece, si vuole affermare che Maria non condusse un'esistenza giusta e pura dal peccato, occorre ricordare che per fede e per opere (Giacomo 2,26), cioè attraverso una fede operante attraverso l'amore (Galati 5,6), oltre a Maria, vennero considerati giusti molti uomini del tempo antico, come Noé, uomo giusto ed integro (Genesi 6,9 e 7,1), Abramo che ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia (Romani 4,3), il giusto Lot (2 Pietro 2,7), Tobia, uomo giusto e largo di elemosine (Tobia 7,6-9,6), Abele (Matteo 23,35), Giovanni Battista, giusto e santo (Marco 6,20), Simeone, uomo giusto e timorato di Dio (Luca 2,25), Zaccaria ed Elisabetta, giusti davanti a Dio (Luca 1,6), Giuseppe, uomo giusto e sposo di Maria (Matteo 1,19), Giuseppe d'Arimatea, persona buona e giusta (Luca 23,50) ed il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio (Atti 10,22)[10].

 



[1] "Highly favoured" (kecharitomene): Perfect passive participle of charitoo and means endowed with grace ("charis"), enriched with grace as in Ephesians. 1:6, non ut mater gratiae, sed ut filia gratiae. The Vulgate gratiae plena is right, if it means 'full of grace which thou hast received'; wrong, if it means 'full of grace which thou hast to bestow'. A. T. Robertson, Word Pictures in the New Testament, Nashville, 1930, vol. II, pag. 13. Evidentemente le considerazioni del Robertson sono corrette se riferite al giorno dell’Annunciazione. Di fronte all’Arcangelo Gabriele, Maria fu “figlia della grazia”, cioè figlia dell’immenso amore divino che a lei si rivolse. Dopo aver dato alla luce il Salvatore, Maria divenne però anche “madre della grazia”, cioè madre del nostro Signore Gesù Cristo.

[2] Molti participi passati, anche nella lingua italiana, hanno perso larga parte della funzione verbale primitiva per assumere ruolo di aggettivo o di sostantivo, conservando ben poco dell’originale sfumatura attiva o passiva (si pensi, ad esempio, a termini come uscita, entrata, vista, visto, udito, gelato, bandito, invitato, messo, eletto, fatto, accaduto, successo, prefisso, evaso, esatto, giusto, amata, favorita, ….). A seconda del verbo reggente, del contesto grammaticale e delle circostanze, alcuni di essi hanno solo valore sostantivato, mentre per altri non si può escludere un certo carattere verbale con qualche sfumatura “resultativa” e "durativa”. Di fatto, nella lingua italiana, alcuni participi hanno totalmente perso ogni sfumatura verbale (si pensi a termini come vestito, bandito, contenuto, docente, cantante, recipiente, …), mentre altri participi sembrano ancora sottointendere il verbo essere o qualche altro verbo. Il “vestito” è tale perché veste le persone e non perché è stato vestito e cucito addosso ad esse. Il “bandito” è tale perché viola la legge e non perché è stato bandito (come in passato) dalla società. Un caso intermedio è quello del “convertito” che può aver fatto un autonomo cammino di fede o può essere stato convertito da altri. Participi passati come “amata”, "favorita", “inviato” o “impiccato”, quando non vengano usati in senso riflessivo ed autoreferenziale, sembrano invece sottointendere ancora il verbo essere (chi è stata amata, favorita, chi è stato inviato o impiccato). La permanenza di qualche sfumatura verbale durativa e resultativa sembra pertanto essere qui possibile, logica e legittima. Il termine "gelato" ha un'evidente valenza puntuale: dopo pochi minuti ciò che è stato gelato si scioglie, mentre il termine "ammazzato" ha una evidente valenza resultativa e durativa: il morto non riprende vita. Il termine "amata" ha invece una valenza non sempre chiara: "colei che è stata amata" può essere stata amata per un istante, per un certo tempo oppure in eterno.

[3] Nel saluto angelico, "kekaritomene" è probabilmente un participio attributivo che tuttavia conserva elevata valenza verbale, essendo la copula verosimilmente omessa (sulla possibilità che Luca 1,28 sia una "incomplete structure" con probabile mancanza del verbo essere vedasi, ad esempio, Winer, A Treatise on the Grammar of New Testament Greek, 1870, pag. 732). Di fatto, nel greco antico come in molte altre lingue, il participio è un modo verbale molto vicino all'aggettivo e al sostantivo. Deve il suo nome proprio al fatto che partecipa a queste categorie, cioè condivide le caratteristiche di un verbo e di un aggettivo. Qualcuno ha pertanto osservato che il participio è una specie di "aggettivo verbale", in parte verbo ed in parte aggettivo (vedasi H. W. Smith, A Greek Grammar for Colleges, n. 2039, 1920; E. C. Colwell & E. W. Tune, A Beginner's Reader Grammar for New Testament Greek, 1965, pag. 44; A.T.Robertson, A Grammar of the Greek New Testament in the Light of Historical Research, 1919, pp. 1101). È sicuramente vero che il greco antico non è l’italiano e che la valenza greca di un participio perfetto passivo non sempre coincide con quella posseduta dalla corrispondente traduzione italiana. Rimane, comunque, sempre discutibile il ricorso acritico a classificazioni accademiche, che spesso rischiano di catalogare in modo prescrittivo i participi perfetti passivi in categorie eccessivamente rigide (predicativi, attributivi, aggettivali, sostantivati, perifrastici....), imponendo talora schemi poco realistici ed un po' dogmatici. La tendenza di alcune forme perifrastiche ad evolvere verso participi sostantivati è comunque evidente. Se nel Medioevo un messaggero di un ricco principe avesse salutato un capitano di ventura con la frase: “Rallegrati, o soldato, il Principe è con te. ….non temere, Giovanni, perché sei stato assoldato presso le milizie del Principe", la forma “soldato” sarebbe stata un participio passivo perfetto del verbo “soldare” o “assoldare nelle milizie”, visto che “soldato” era chi veniva reclutato, dietro compenso, per combattere al servizio di un sovrano o di uno stato che fossero privi di un esercito nazionale. Oggi, invece, “soldato” è un sostantivo derivante da un participio sostantivato ed indica chi combatte in un esercito o chi è parte delle truppe militari, senza distinzione di grado o arma, sia volontariamente che per obbligo di leva. Con il senno di molti secoli fa, non sembrerebbe pertanto errato rendere la frase con "Ti saluto, o uomo pieno di ricchezza" oppure "Rallegrati, o tu che sei stato assoldato nelle milizie".

[4] Il passaggio dal perfetto alle forme perifrastiche e da queste ai participi attributivi è stata lenta e graduale e non ha determinato un'immediata perdita della valenza verbale di detti participi. Oltre che nelle scritture greche e cristiane, troviamo forme perifrastiche che tendono a sostituire il perfetto anche in alcuni autori greci del I e II secolo avanti Cristo (come, ad esempio, Polibio, Strabone e Diodoro Siculo). Un caso emblematico è dato dal verbo “grapho” cioè scrivere. Per citare i Profeti, il Nuovo Testamento utilizza indifferentemente “gegraptai” (perfetto di grapho), “estin + gegrammenon” forma perifrastica o gegrammenon da solo” con valenza ibrida. In questi casi sembra indifferente tradurre “come sta scritto”, “come è stato scritto” , “come è scritto” o “secondo lo scritto” o “in conformità a quanto scritto”. Esistono evidentemente casi con sfumature verbali più accentuate, mentre in altri contesti la valenza sostantivata sembra essere più forte: il significato logico non sembra comunque molto diverso. Per l’uso di “gegraptaivedansi, ad esempio, i casi di Matteo 2,5; Romani 3,4; Apocalisse 13,8. Per l’uso di “estin + gegrammenon” si vedano Luca 20,17; Giovanni 2,17; Giovanni 6,31; Giovanni 6,45; Giovanni 10,34; Giovanni 12,14; Giovanni 19,19. Per l’uso di “gegrammenon” da solo con funzione perifrastica-sostantivata (e talora anche preceduto da articolo) vedansi infine Luca 22,37 e 2 Corinzi 4,13. Non mancano poi casi in cui "estin" nella forma verbale è probabilmente sottointeso (come in Apocalisse 2,17; Apocalisse 5,1; Apocalisse 14,1 e Apocalisse 17,5). Vedasi, a tal proposito, Joseph A. Fitzmyer, Essays on the Semitic Background of the New Testament, 1997, pp. 8-9. Per la possibilità che la forma perifrastica “estin + participio perfetto” esprima - come il perfetto - uno stato o una situazione, risultante da un precedente evento ma persistente nel presente, vedasi J. Gonda, Selected Studies, 1975, Vol I, pag. 472.

[5] Per un'analisi dell'uso del perfetto per caratterizzare un effetto "prolungato" e "durativo" vedasi Blass & De Brunner, Greek Grammar of the New Testament, Chicago: University of Chicago Press, 1961, pp. 176-177. Per un accenno all'uso delle forme perifrastiche nel "perfetto", vedasi, ad esempio, Blass & De Brunner, Greek Grammar of the New Testament, Chicago: University of Chicago Press, 1961, pag.179. Per la possibilità che la forma perifrastica “estin + participio perfetto” esprima uno stato o una situazione, risultante da un precedente evento ma persistente nel presente, vedasi J. Gonda, Selected Studies, 1975, Vol I, pag. 472. Per un'analisi della regola generale secondo cui il participio perifrastico verbale sarebbe sintatticamente riconoscibile dal fatto che il verbo essere (nel nostro caso sottointeso) ed il participio non sono separati da alcun elemento, vedasi S.E. Porter, Idioms of the Greek New Testament, 1992, pp. 45-49. Per un esame dettagliato della tendenza, nel greco del Nuovo Testamento, ad omettere il verbo "essere" vedasi ancora Blass & De Brunner, Greek Grammar of the New Testament, Chicago: University of Chicago Press, 1961, pp. 70-71. Per la possibilità di forme perifrastiche senza copula vedasi A.T. Robertson, A Grammar of the Greek New Testament in the Light of Historical Research, 1919, pp. 1119-1120. Sulle cosiddette "incomplete structures"con omissione del soggetto o del verbo essere (come copula e come predicato verbale) vedasi, ad esempio, Winer, A Treatise on the Grammar of New Testament Greek, 1870, pp. 731-751.

[6] Nel Nuovo Testamento, l’omissione del verbo essere (come copula o come predicato verbale nel senso di "esistere") è molto comune nei proverbi, nelle costruzioni impersonali (specialmente in quelle che esprimono necessità o possibilità), nelle domande, nelle esclamazioni, in particolari forme poetiche, in numerose forme idiomatiche, nelle benedizioni, nelle dossologie, in alcune formule augurali ed in molte strutture volutamente brevi e concise. A tal proposito vedasi, ad esempio, Matteo 5,3 (5,5-5,10); Matteo 7,9; Matteo 10,10; Matteo 13,11; Matteo 21,9; Marco 13,33; Luca 2,25; Luca 4,36; Luca 6,34; Luca 22,37; Giovanni 1,6; Giovanni 3,1; Atti 10,21; Atti 13,11; Atti 19,28; Atti 19,34; Romani 3,1; Romani 4,8; Romani 4,14; Romani 8,27; Romani 11, 16; Romani 12,9; Romani 13,11; Romani 14,21; Romani 15,33; 1 Corinzi 1,26; 2 Corinzi 2,16; 2 Corinzi 4,13; 2 Corinzi 8,16; 2 Corinzi 11,16; Filippesi 2,11; Filippesi 4,3; Efesini 4,5; Efesini 5,17; Colossesi 4,6; Tito 3,15; 1 Tessalonicesi 4,6; 2 Tessalonicesi 3,2; 1 Timoteo 1,15; 1 Timoteo 5,18; 1 Timoteo 6,7; 2 Timoteo 2:11; 2 Timoteo 3,16; 1 Pietro 1,6; 1 Pietro 3,8; Ebrei 2,11; Ebrei 6,8; Ebrei 13,4; Apocalisse 2,17; Apocalisse 5,1; Apocalisse 13,4; Apocalisse 17,5…..

[7] Alcuni cattolici riportano la frase: "It is permissible, on greek grammatical and linguistic grounds, to paraphrasekecharitomeneas completely, perfectly, enduringly endowed with grace", citando Blass & De Brunner, Greek Grammar of the New Testament, Chicago: University of Chicago Press, 1961, pag.166 e 175-176. Blass e De Brunner non hanno però mai espresso una valutazione sul significato del termine greco “kekaritomene”. La citazione, presente soprattutto in alcuni siti web statunitensi, vorrebbe accreditare la possibilità di applicare al termine in questione l’uso del perfetto quando, come insegnano Blass e De Brunner, questo venga utilizzato per caratterizzare un effetto prolungato su un soggetto o su un oggetto (§342). Per chi è profondamente convinto del fatto che "kekaritomene" sia solo un participio sostantivato privo di ogni sfumatura verbale, la citazione appare come una forzatura disonesta e truffaldina. Se, invece, si considera che nel greco koiné il perfetto è spesso sostituito dai participi perfetti passivi e si ammette l'ipotesi che, in alcuni contesti, il verbo essere potrebbe anche non essere esplicitato, la citazione rimane onesta, accettabile e legittima (tanto che perfino la " Emphatic Diaglott" di B. Wilson del 1864 e la "Kingdom Interlinear Translation of The Greek Scriptures" della Watch Tower Bible & Tract Society of Pennsylvania del 1969 tradussero "kekaritomene" rispettivamente con "having been favored" e con "having been highly favored").

[8] Giovanni Paolo II, Udienza del Mercoledì, 8 maggio 1996 e Tarcisio Bertone, Omelia nella festa dell'Immacolata Concezione, 8 dicembre 2007. Per amor del vero va detto che in Efesini 1,6 (dove Girolamo tradusse letteralmente: in laudem gloriae gratiae suae in qua gratificavit nos in dilecto, cioè a lode della gloria della sua grazia con cui ci graziò nel Diletto) è usato l'aoristo attivo indicativo (ekaritosen) del verbo "karitoo". Si tratta qui di un'azione puntuale, circostanziata e definitiva, visto che l'aoristo greco è molto simile al nostro passato remoto.

[9] A tal proposito vedasi: F. Field, Origenis Hexaplorum: quae supersunt sive veterum interpretum graecorum in totus Vetus Testamentum fragmenta, Oxford University Press, 1875, vol II, pag 111.

[10] Maria resterebbe "giusta e piena di grazia" anche se, unita dal sacro vincolo del matrimonio, avesse generato figli e figlie con Giuseppe, suo legittimo sposo. La "pienezza di grazia" sembra infatti prescindere da tutte le critiche portate avanti dalla Riforma Protestante e da tutti i dogmi elaborati dalla Chiesa Cattolica. Coloro che affermano che Maria avrebbe avuto altri figli, oltre a Gesù, citano alcuni passi del Vangelo (ad esempio Matteo 13,55 e Marco 6,3) dove si fa riferimento a quattro fratelli del Signore, chiamati Giacomo, Giuseppe (o Ioses), Giuda e Simeone (o Simone). I cattolici hanno sempre rigettato la possibilità che Cristo possa aver avuto dei fratelli carnali, sostenendo come il termine “fratelli”, in aramaico, assuma significato molto ampio, comprendendo anche il significato di “cugini”. La critica protestante e razionalista ha però sempre obiettato che nella lingua greca il termine “fratello” è “adelphos”, mentre il termine “cugino” è “anepsios”, come bene sapevano alcuni autori del Nuovo Testamento (in Colossesi 4,10 Marco è detto chiaramente cugino di Barnaba). Dal punto di vista linguistico la discussone è però giunta ad un punto morto, visto che gli apostoli pensavano in aramaico e scrivevano in greco, risentendo fortemente sia dell’influsso della lingua madre che dell’influenza della cultura greco-romana. Gli esempi del Nuovo Testamento in cui persone estranee sono chiamate "adelfoi" cioè fratelli sottolineano soprattutto la fratellanza in Cristo (Atti 2,29; Atti 2,37; Romani 1,13; Romani 8,29; Ebrei 2,11) ma l'uso del termine "adelfoi" per i parenti di sangue è accreditato dalla Settanta (Genesi 13,8; Genesi 14,14) che utilizza "adelfoi" anche per i membri dello stesso popolo (Esodo 2,11; Esodo 4,18; Giudici 14,3; Isaia 66,20).

 

Pertanto prima di accettare in modo acritico le tesi acattoliche, pensiamo che potrebbe essere di qualche utilità considerare alcune testimonianze risalenti ai primi secoli dell’era volgare. È infatti verosimile pensare che Giuseppe (o Ioses) fosse figlio di Maria, sorella della Madre di Cristo, come sembra emergere da alcune fonti attendibili (Matteo 27,56; Marco 15,40; Giovanni 19,25 e da Girolamo, Gli Uomini Illustri, II). Simeone (o Simone) potrebbe essere invece figlio di Cleofa, fratello di Giuseppe, il padre putativo di Gesù, come sembra affermato dalle autorevoli testimonianze degli storici Egesippo ed Eusebio (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 11 e IV, 22). Fratelli carnali di Gesù potrebbero, invece, essere soltanto Giuda e Giacomo, possibili figli di Giuseppe, il padre putativo di Gesù, come sembra emergere dalla testimonianza di Eusebio (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 1 e III, 19-20).. Il fatto che Giuseppe fosse vecchio ed avesse avuto dei figli è testimoniato pure dal Protovangelo di Giacomo in cui si narra che Giuseppe così avesse risposto a chi lo aveva eletto quale custode di Maria: "Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza. Non vorrei diventare oggetto di scherno per i figli di Israele [Protovangelo di Giacomo IX, 2]. Diffusa, soprattutto nel mondo cattolico, è infine l'opinione che Simone, Giacomo e Giuda siano stati figli di Alfeo (variante del nome Cleofa), probabile fratello di Giuseppe (Matteo 10,3; Marco 3,18; Luca 6,15; Atti 1,13), secondo la testimonianza dello storico Egesippo, citata da Eusebio.