Le ragioni “psicologico-prosaiche” del mio rigetto da parte
della struttura dirigenziale dell’Ente creditizio IMI
1.
Premesso che la mia formazione mentale e professionale – quali derivanti
dall’educazione familiare, dagli studi universitari e dalle esperienze
professionali nell’ambito del “settore personale” di aziende nazionali e
multinazionali - mi aveva fatto
acquisire una impostazione mentale da
“magistrato” tuttora permanente, tesa a valorizzare ed affermare correttezza e
imparzialità, e, pertanto ostile alla copertura delle prevaricazioni dei
forti a danno dei deboli ovvero di
clientelismi, nepotismi ed analoghe soluzioni di indebito privilegio a favore
degli “amici degli amici” o dei “raccomandati” senza merito, chi scrive si
trovò nel 1976 nell’Ente pubblico IMI ad impattare in una realtà in cui la
gestione del personale come dei finanziamenti alle aziende era fortemente sospetta - secondo le denunce e le segnalazioni dei Sindacati interni Cgil-Cisl-Uil - di operare in un’ottica totalmente difforme e deviante dai principi
sopra delineati.
Poiché
oggetto della mia assunzione era, eminentemente, quello di tenere i rapporti
con le Rappresentanze sindacali interne e fornire risposte alle loro denunzie
di deviazione comportamentale dei singoli (di norma alti Dirigenti) come delle
strutture organizzative, ero costretto necessariamente ad effettuare indagini
di riscontro di veridicità (o falsità) su quanto mi veniva riferito,
informalmente o per affissione di comunicati in bacheca, dagli stessi Sindacati,
intenzionati per ruolo a conseguire una correttezza gestionale interna ed
esterna.
Quando
il management dell’Ente pubblico si accorse (invero molto presto)
che chi scrive non considerava che il disimpegno della dialettica sindacale
(per la quale era stato assunto) consistesse (come avrebbero partigianamente
desiderato) nel “fronteggiare” e “contrastare” sempre e comunque - in qualità di difensore acritico d’ufficio
dei Capi delle strutture - gli antagonisti
“sindacati politici” (così erano etichettate le RSA delle Confederazioni
Cgil-Cisl-Uil, in contrapposizione agli “autonomi” e ben pasturati sindacati
interni creati su impulso di taluni dirigenti di alto livello), ma nel ruolo
molto più democratico e civile, come sempre assolto nelle precedenti aziende
industriali da cui provenivo, di
accertare obiettivamente da che
parte stava realmente “la ragione o il
torto”e quindi imparzialmente riconoscere il merito o addebitare,
rispettivamente, la responsabilità e pretendere, su richiamo del vertice, una
correzione di rotta (a prescindere dal livello o grado rivestito in azienda da
chi si fosse macchiato di deviazioni dalle regole di correttezza
comportamentale), non potendomi estromettere o licenziare mi negò, in via
diretta ed indiretta, qualsiasi informazione gestionale, allo scopo palese ed
effettivo di vanificare lo svolgimento della funzione per cui ero stato assunto
ed a niente valsero le mie reiterate richieste di un intervento autorevole del
vertice (sempre, e non a caso, mancato).
2.
Nonostante facessi parte del Servizio del Personale che direttamente le
gestiva, mi risultarono aprioristicamente negate le “informazioni gestionali”
afferenti le assunzioni (e relativi metodi o criteri selettivi), i
trasferimenti e le assegnazioni ad uffici ed incarichi (tematica appetitosa, in
quanto creativa di “sentieri di carriera” per i preferiti o i segnalati), le valutazioni annuali
finalizzate alle promozioni, il tutto anche attraverso una oculatissima
selezione da parte delle due Segretarie del Servizio della posta in partenza ed in arrivo (che allo scopo
avevano una “guida” per lo smistamento interno ai Capi settore del Servizio del
Personale, creata fattualmente e loro
imposta dal Responsabile del Servizio medesimo). Ma l’impedimento alla
cognizione di queste notizie indispensabili -
a chi scrive come a qualsiasi responsabile delle relazioni sindacali,
per gestire i rapporti con i Sindacati (ed indirettamente per valutare la
correttezza operativa dei singoli Responsabili di struttura) - risultò per l’Ente operazione tanto agevole
quanto automatica, atteso che i suoi
gestori (e questo lumeggia l’intenzionalità e la responsabilità della loro
scelta di una mia assunzione strumentale per il ruolo “vuoto” delle relazioni
sindacali) avevano avuto sin da prima l’accortezza di separare il settore
“Relazioni sindacali”(affidato allo scrivente) dal settore “Gestione del
personale” (affidato ad un proprio fiduciario, di buon comando, prima il dr. P.
cui succedette l’allievo dr. C., precettati a non trasferire alcun documento,
neppure in fotocopia, al sottoscritto né ad avere scambi informativi o
d’opinione eccedenti il saluto mattutino). Quando poi le impiegate (sig.re C. e
B.) alle loro dipendenze non potevano
obiettivamente esimersi dal concedermi in visione una pratica di lavoro, annotavano su un brogliaccio - solo per chi scrive,
unico nel Servizio del Personale – il mio nome e cognome, il giorno e l’ora
della consegna, giacché gestivano come “dotazione propria” documentazione che
invero era (o avrebbe dovuto essere) dell’intero Servizio.
Nonostante
gli impedimenti alla cognizione diretta ed incontestabile, risultò convinzione diffusa o di pubblico
dominio che, a titolo esemplificativo, certe assunzioni ovvero determinati
spostamenti per inserimento in “percorsi di carriera” erano avvenuti su base
clientelare, certe assegnazioni di commessi all’ambito piano della Presidenza e
della Direzione Generale (gli umili sanno che la vicinanza, specie quando
servizievole, a chi conta paga sempre!) erano avvenute, in violazione del
criterio dell’anzianità di servizio, dietro telefonata pervenuta a dirigenti di vertice dal
direttore generale di questo o quel ministero (tesoro in particolare) – giacché
i favoriti avevano il vizio e l’imprudenza di vantare prima o poi gli “sponsor”
presso i colleghi per indurre loro invidia -, che certe promozioni erano frutto dell’intervento telefonico “senza
traccia” di personaggi politici o bancari esterni (quando invece non si voleva
che ad esse venisse dato corso, lo pseudo sponsor inviava una letterina, solo
per poter dar copia testimoniale
dell’interessamento al postulante, essendo nei “patti non scritti ” che la
segnalazione non doveva essere evasa, anzi era utile per l’ente l’occasione per
la risposta negativa per “esigenze organizzative” onde far risaltare la
correttezza gestionale e l’indifferenza palese alla “raccomandazione”).
Per uscire dal generico e menzionare casi concreti, certi
“inspiegabili” avanzamenti di carriera si spiegarono come contropartita del
vertice (a spese dell’ente pubblico) nei confronti del funzionario incaricato
(privatamente) dell’amministrazione delle domestiche del vecchio e defunto
Direttore Generale come pure certe agevolazioni ed erogazioni come
“straordinario” a favore di autisti di
direzione avvenivano in contropartita
dell’impiego privato da parte dello stesso sopracitato Direttore generale del proprio autista in opere (in orario di
lavoro e/o nei fine settimana) di recintazione, muratura, elevazione edile
della propria villa, immediatamente fuori Roma.
Dopo la costituzione di società consociate (di leasing, gestione fondi, merchant bank, ecc.) quei parenti (coniuge, figli, nipoti, ecc.) dei dipendenti che non potevano essere allocati ed assunti nell’Ente capogruppo venivano tranquillamente canalizzati ed assunti nella società consociata, dando vita a quello che i sindacati mi presentavano negli incontri come “parentogramma”, con richiesta di impossibili spiegazioni su questo fenomeno di “nepotismo”. In un caso si arrivò a contare ed a verificare (nel 1989) ben 4 o 5 parenti (Vittucci - Barca) in organico tra capogruppo e consociate abilmente dissimulati dall’amministratore delegato della Consociata sotto la causale “pietistica” ed inattaccabile dell’essere i figli di un dipendente deceduto in servizio per tumore quando invece accertai (su richiesta del nuovo Direttore Generale) che erano invece i figli del fratello del povero deceduto, vivo, vegeto ed in buona salute (ma imparentato, per averne sposato la sorella, con la moglie Sig.ra Barca del suddetto amministratore delegato Evangesti). In queste consociate (proseguendo in una pratica appresa nella capogruppo) i gestori (di norma ex dirigenti IMI, prepensionati) si facevano ripagare le assunzioni clientelari dei figli con servigi da parte dei beneficiati (operazioni di ristrutturazione, pavimentazione, ecc.) presso le loro multiple abitazioni della capitale.
La sotterranea insofferenza del management IMI verso il mio spirito di imparzialità si accrebbe a seguito di taluni miei atti di "trasparenza" e richiamo dei gestori alla "imparzialità" ed alla valutazione dei fatti ed eventi aziendali con la lente della "mentalità giuridico-democratica", ravvisabili:
a) quando con promemoria del 1.4.1980 invitai - in un'ottica di prevenzione della salute individuale - il Servizio del Personale a far conoscere (ai lavoratori sottoposti a visita medica d'idoneità ex art. 5 l. n. 300/'70) la diagnosi e le risultanze della vista medica commissionata dall'Ente all'Istituto di Medicina Legale e non già la sola sintesi (asettica ed incompleta) della loro idoneità o meno alle mansioni;
b) quando con promemoria del 29.3.1983, espressi parere negativo sul "distacco" coattivo dall'Ente pubblico creditizio IMI di personale ausiliario dipendente regolato dal ccnl del credito per lo svolgimento di mansioni (non aventi alcuna correlazione con l'attività creditizia) presso un terzo organismo, la c.d. Cooperativa o spaccio alimentare per i dipendenti (osteggiato dai Sindacati confederali e coltivato all'opposto dai sindacati autonomi e dal management IMI);
c) quando con promemoria del 15.4.1983 ed a seguito di nutrite rimostranze sindacali, richiesi al Servizio del Personale di far desistere il proprio settore "assenze e presenze" dal pretendere dai lavoratori ammalati la consegna del certificato medico in originale recante la diagnosi di malattia (notoriamente coperta da riservatezza), certificato che non veniva inoltrato all'Inps perchè l'Ente pubblico pagava direttamente l'indennità di malattia la cui richiesta avveniva da parte del precitato settore in base alla (inconsistente) giustificazione che nella copia (a ricalco) di spettanza dell'IMI non "si leggevano i giorni di prognosi della malattia" (seppi poi che mentre il Responsabile del Servizio del Personale convenne ufficialmente con me sulla cessazione del "vezzo indiscreto", fornì peraltro "ufficiosamente" disposizioni al capo di quel settore di continuare nella pratica appropriativa delle causali delle assenze per malattia);
d) quando con promemoria del 22.7.1983 (e poi del 5.9.'83) alla Presidenza, Direzione Generale ed al V. D. G. Dr. G. Graziosi (un cattolico in questo caso incoerente, quello stesso cui il Sen. Andreotti, dopo la percezione da parte del G. di una liquidazione ultramiliardaria dalla Stet ove era andato nel frattempo a ricoprire la carica di Amm.tore Delegato, mandò a dire "via stampa" che in luogo di andare in cerca di posizioni al vertice di aziende pubbliche avrebbe fatto meglio ad occuparsi di gestire fruttuosamente i propri risparmi!) sostenni - a fronte della intenzione, in specie di quest'ultimo, di espellere dall'azienda un sindacalista funzionario (dr. Chinigò) con compiti ispettivi, per aver questi manifestato (quale pacifista e obiettore di coscienza) al Segretario generale della Uil il proprio "disagio interiore"(non già un rifiuto!) a proseguire nell'attività ispettiva a fini di finanziamento nei confronti di aziende di "produzione bellica" - che sarebbe stato un errore (anche giuridico) il provvedimento di licenziamento aziendalmente caldeggiato e suggerii invece la sola alternativa dell'assegnazione a "mansioni equivalenti" ex art. 2103 c.c. e sempre rispettose della professionalità specifica di "ispettore"(e non già la scelta subordinata e punitiva del "cambio di mansioni" relegandolo nel ghetto della contabilità) ;
e) quando - richiesto di parere circa la legittimità (o meno) che un dipendente-dirigente nazionale della Fisac-Cgil (rag. Paccagnini) affiggesse nell'albo sindacale un comunicato da esso sottoscritto oltrechè con la qualifica sindacale anche con quella aggiuntiva di "responsabile della cellula Pci-Imi"(che aveva suscitato ampio clamore tra i benpensanti che temevano che all'esterno si sapesse che nell'Ente vi erano anche iscritti al Pci) - espressi l'avviso di legittimità, dovendosi considerare, da un punto di vista strettamente giuridico ed a prescindere da valutazioni d'opportunità, il comunicato e la qualificazione che accompagnava "nome e firma" materia totalmente sottratta all'ingerenza ed al sindacato dell'Ente, in quanto non appariva fondata la tesi che la sola "qualificazione"(e non già il contenuto oggettivo del testo) trasformasse il comunicato sindacale in atto di "propaganda politica" (come si sarebbe voluto che io sostenessi per legittimare la defissione d'autorità).
Naturalmente queste furono le ultime richieste di parere
rivoltemi, dopodichè fui confinato nella sostanziale inoperosità e surrogato
dall'Assicredito e ancor più massiciamente dai consulenti esterni.
Si
arrivava anche da parte di qualche funzionario - (il dr. Pucc.) ben spalleggiato,
ricco (o arricchito), coordinatore degli approvvigionamenti per la mensa
aziendale i cui avanzi destinava agli animali o cani da guardia della propria
scuderia di cavalli - ad ingaggiare
vere e proprie sfide nei confronti
della Direzione (o meglio dei Sindacati) tollerante per indifferenza, quieto
vivere o amicalità, al punto che – in
spregio alle denunce sindacali che lamentavano che l’azienda tollerasse che
egli entrasse tranquillamente quanto pericolosamente in ufficio con la pistola
alla cintola – continuava sprezzante a girare armato per gli uffici dell’Ente,
sufficiente ritenendo il possesso del porto d’armi, ed indisponibile a qualsiasi
richiesta di deposito della pistola
all’ingresso, per motivi di sicurezza nei luoghi di lavoro. Altre volte, sempre
su segnalazione dei Sindacati interessati ad una “moralizzazione” dell’ambiente
sede di lavoro, sono dovuto intervenire per diffidare commercianti esterni
dall’accedere nell’Ente dopo averli
sorpresi, dietro convocazione di alcune segretarie, a sciorinare in pieno
orario di lavoro intere valigie di bigiotteria, profumi ed articoli similari in
una stanza riservata alle riunioni.
Queste
mie iniziative e/o interventi, dettati dall’adempimento dei doveri d’ufficio,
tesi ad estromettere dall’istituto di credito “vizi ministeriali”, mi
alienarono certamente le simpatie dei dipendenti più gretti e corporativi così
come dei dirigenti dello stesso stampo
che mi consideravano un “controllore” ed un “soggetto scomodo” o – come ebbe a
dirmi un capo del personale che mi faceva l’amico – “poco uomo di mondo”, in
quanto indisponibile ad “ammiccare” e “coprire le magagne” riscontrate.
Ricordo ancora che un Capo del personale, tale dr. Questa (al
tempo stesso assieme al suo amico e coetaneo dr. P. della gestione del
personale, il peggiore dei miei
mobbers), ebbe un giorno a dirmi che io
avrei dovuto fare il magistrato non già venire in azienda, perché se il Presidente
“in un giorno di pieno sole dice che è notte fonda dobbiamo
convincerci che è notte fonda e comportarci di conseguenza”; tentò anche di vietarmi di pranzare nell’ora di
mensa al tavolo di amici di altri Servizi, pretendendo (per conferire, ebbe a
dire, “graniticità all’immagine del Servizio del Personale”) che
tutti i funzionari del Servizio
pranzassero assieme (senza aver libertà neppure nella c.d. “ora d’aria”), pretesa cui mi opposi decisamente per
indipendenza di pensiero; poi mi sollecitò, nel caso avessi vinto il concorso a
cattedra di diritto del lavoro, a dimettermi dall’Ente, facendomi presente che
lui si sarebbe interessato per farmi avere delle consulenze giuridiche. A
volte, per mesi continuativi, quando riteneva di potermi piegare alle sue
impostazioni, si offriva di accompagnarmi alla mia macchina verso le 20 di
sera, si sedeva all’interno e mi faceva
un vero e proprio lavaggio del cervello (talora il “sequestro” è durato qualche ora!) per demolire le mie
convinzioni democratiche ed imparziali e piegarmi ad un comportamento
flessibile e connivente.
Ancora una testimonianza emblematica. Dopo che la sentenza
di un pretore del lavoro giudicò pesantemente immotivata l’esclusione - dalle promozioni a funzionario per merito comparativo in atto nell’Ente –
di un dipendente (dr. Bonaiuto) e stigmatizzò duramente il comportamento aziendale,
qualcuno dell’alta dirigenza, memore
delle mie reiterate previsioni di incorrere nell’infortunio (facile Cassandra!)
di invalidazione giudiziale delle promozioni
per effetto del vecchio strumento di valutazione a fini promotivi del
personale, mi incaricò di realizzarne uno nuovo, possibilmente inattaccabile
dai magistrati. Dopo che i miei Capi ebbero acquisito il parere di autorevoli
maestri del diritto del lavoro – a me ben noti per comunanza di interessi professionali, i quali si espressero in
senso conforme alle mie opinioni – realizzai un sistema valutativo basato sulla
manifestazione da parte dei responsabili di struttura di giudizi scalari su una
serie di fattori professionali inseriti nelle “nuove” schede di valutazione
annuale (cui corrispondeva un punteggio a loro sconosciuto e solo noto al
Servizio del Personale), punteggi che, inserito il programma nel calcolatore,
fornivano per sommatoria automaticamente la “graduatoria” dei candidati alle promozioni. Quando
il programma venne fatto “girare” in via sperimentale, realizzando i dirigenti
di vertice l’impossibilità di poter consentire “inclusioni” dell’ultima
ora – dietro le usuali
segnalazioni telefoniche – o l’esclusione
dei dipendenti “invisi” (per ragioni
ideologiche o extraprofessionali, come nel mio caso), il programma finì
prontamente (alla fine degli anni ’80) nel cestino. Ed il nuovo responsabile
del Personale, assunto dall’Alitalia, venne incaricato di sostituirlo con un
sistema più flessibile, destinato ad accogliere le esigenze di
“discrezionalità” del vertice aziendale (operazione che incontrò le massime
contestazioni sindacali e naufragò miseramente ma, comunque, da allora le
promozioni continuarono ad essere fatte
dall’azienda in piena libertà e senza motivazione alcuna in ordine alle causali
delle esclusioni di “questo” al posto di “quello”).
Intanto i Sindacati non solo si limitavano a censurare i
comportamenti di gestione del personale ma si ingerivano anche sul merito con
il quale venivano selezionate le imprese da finanziare. Argomento
scottantissimo nel quale la mia incompetenza era istituzionale (anche in
ragione di un’altrettanto assoluta carenza di informazioni al riguardo che,
invero, mai mi sono sognato di pretendere) così come incompetenti erano le RSA,
tenute per CCNL ad occuparsi dei soli aspetti delle violazioni attinenti alla
gestione del rapporto di lavoro. Ma i Sindacati confederali dell’IMI erano robusti, insistenti ed informati in materia
– per avere tra i loro iscritti diversi economisti ed ingegneri delle linee operative – e
la richiesta di “trasparenza” in tali operazioni di finanziamento non poteva
essere respinta sulla base di formalismi di incompetenza contrattuale (ma non
fattuale). Su questo versante mai il
vertice mi fornì (anche per mera benevolenza) qualche indicazione utile ad una
replica alle RSA, considerando tale attività operativa rientrante (anche a mio
avviso, correttamente) tra le facoltà discrezionalissime della struttura, né io
ho mai avuto elementi per considerare fondate talune
delle varie critiche di “favoritismo” selettivo avanzate - invero con molta circospezione e solo raramente - dai Sindacati. Va registrato
comunque, per essere venuto ai c.d. “onori” della stampa, l’infortunio (dietro
acquiescenza alle sollecitazioni politiche) del finanziamento dell’industria
chimica sarda SIR dell’Ing. Rovelli che fece correre all’Ente il rischio della
bancarotta negli anni ‘80 ed implicò le
dimissioni del Presidente Ing. Cappon,
autorevole personaggio candidato alla poltrona della Banca d’Italia nella
successione del Governatore. Il finanziamento che ha visto poi la beffa del
debitore Rovelli ed eredi incassare – grazie alle tecniche di manipolazione
giudiziaria evidenziate dai processi ancora
in corso – ben mille miliardi dall'IMI, anche se
non depone astrattamente a favore della tesi dell’assoluta trasparenza,
imparzialità e corretto azionamento del
criterio del “merito di credito”, va a
mio avviso considerato (in ragione dell’eccezionale adesione alle
sollecitazioni politico-governative di sostegno ad un complesso chimico che
sembrava realizzare l’obiettivo sociale di contrazione della “piaga” isolana
della disoccupazione) “l’eccezione confermativa della regola” della
“sostanziale” correttezza dei
finanziamenti alle industrie da parte dell’Ente (anche se non si possono
astrattamente escludere preferenze o deferenze verso questa o quella impresa
del Paese).
Intanto
il malcontento per la non condivisibile gestione del personale,
dell’affidamento degli incarichi e delle promozioni – sempre meno comprensibili
per la stragrande maggioranza degli esclusi e dei dipendenti – si diffondeva
all’interno dell’IMI. Si faceva strada anche una riaffermazione del mai sopito
clima antisindacale proprio dei dipendenti per la maggior parte di estrazione
dell’alta e media borghesia (che
consideravano il sindacato un fenomeno proletario, inadatto a realizzare le
loro istanze) e, nel riscontare che le richieste delle RSA - quantunque supportate da elementi probanti
– ricevevano la risposta dell’indifferenza da parte della Direzione, esplose lo
“spontaneismo eversivo”. Cioè a dire per oltre 5 anni, vennero diffusi
all’interno dell’Ente – tramite fotocopiatura – fogli anonimi designati e firmati “pravde” (“verità”, in russo), in
cui si squalificava l’attività di interlocuzione azienda-sindacato e si
mettevano in piazza i supposti “panni sporchi” della gestione aziendale, in un mix
indistinguibile di mezze verità e vere e proprie infamie o prospettazioni
fantasiose e diffamatorie. Ed a nulla valsero gli interventi ed i ricorsi agli
organi di polizia statale e di
sicurezza interna.
3. Tornando alla mia vicenda, posso riconoscermi nella veste
di soggetto scomodo per ruolo, poco gestibile per mentalità in quanto non sono mai stato uno “yes man” acritico, con
la risultante conseguenza di essere
lasciato fermo “punitivamente” nell’iniziale (o quasi) qualifica d’assunzione –
nonostante la beffa di giudizi di qualifica all’insegna dell’ottimo - mentre il resto dei funzionari della stessa
anzianità d’assunzione progrediva al ritmo di una promozione media ogni 2 anni
c.a. Con la qualifica d’assunzione di “funzionario” (ex dirigente d’industria),
rimasi emarginato, dequalificato, privato di collaboratori e della segretaria,
ridotto a svolgere funzioni meramente di impiegato d’ordine o di basso concetto (anche in ragione della
provenienza dall’esterno che non mi aveva reso partecipe di radicate “cordate”
interne) per circa 14 anni (1976 – 1989/90) fino al momento in cui non venni
“ripescato” dal nuovo Direttore Generale di provenienza dalla Banca d’Italia,
sensibile all’impegno pubblicistico/scientifico (avevo nel frattempo pubblicato
5 libri di diritto del lavoro e sindacale) ed intenzionato a trovare una via di
convivenza morbida con i Sindacati che del sottoscritto avevano sempre
apprezzato gli sforzi (quantunque aziendalmente resi vani) e l’imparzialità e
correttezza comportamentale. Anche in presenza del neo Direttore Generale, di
cui avevo meritato la stima, continuò a mio danno lo spiegamento di una intensa
attività di mobbing, ad es. da parte dell’allora responsabile del personale
(avv. Az.) che perpetuò la “disinformazione scientifica” gestionale, già
sperimentata con successo dai suoi predecessori. Ricordo che alla richiesta
rivoltami dal nuovo Direttore Generale di esprimere un giudizio su un programma di
"esodi
incentivati" (oggetto di predisposizione da parte del “settore previdenziale”
del Servizio in cui stavo) fui costretto ad ammettere che, come al solito, ne
ero stato tenuto all’oscuro nonostante dovessi poi rassegnarne il contenuto ai
Sindacati. Ciò lo mandò su tutte le furie, tanto che mi “sbattè” in mano la sua
copia (che ancora detengo annotata di pugno). Quando dissi, riferendo l’incidente, a
quel Responsabile del Personale che non intendevo sottostare ulteriormente a
simili figure ed umiliazioni, quest’ultimo girandosi comodamente sulla sedia ed indicandomi la sua cassaforte
nell’angolo della stanza (con combinazione
solo a lui nota!) mi disse beffardamente: “Mario, quando ti necessita qualcosa,
serviti, sta lì dentro…” (sic!). Per
acquisirla sarei dovuto forse diventare uno “scassinatore”?
Reinvestito nel 1990, ex novo, dal neo nominato Direttore Generale, di
responsabilità unificate dell’unitario settore “relazioni sindacali e gestione delle
risorse” (al fine di vanificare il vecchio ed efficacissimo "gioco" della strumentale carenza di
informazioni gestionali), quest’ultimo fu messo nelle condizioni – dopo soli 2 mesi e mezzo – di dover rioffrire la
mia testa (accedendo alla richiesta della mia rimozione dall’incarico) a
due vecchi burocrati (Direttori Centrali) che, con l’appoggio del Presidente, ebbero a
pretenderla come rivincita, in un particolare momento di debolezza e di
mutamento dell’equilibrio dei poteri al vertice, che dette la netta sensazione
di una forte impotenza della nuova
Direzione Generale e/o dell’esigenza della stessa di non potersi politicamente
alienare (per sostenermi) la indispensabile collaborazione dei vecchi Direttori
Centrali, scaltri conoscitori dell’apparato interno.
Da allora (1990) e fino all’epoca delle dimissioni (del febbraio
del 1997, aziendalmente sempre perseguite ed infine conseguite tramite un
programma di incentivazione all’esodo) sono rimasto in stato di “completa e
frustrante inattività”, per ritorsione anche verso l’impegno sindacale assunto di
Responsabile della RSA del personale direttivo di sede Centrale, nell’impegno
compensando in parte le frustrazioni da “mancato affidamento di lavoro
d’ufficio” finalizzato a “mandarmi tra i matti”.
Le
conseguenze, sul piano biologico e dello stato di salute di questo prolungato
mobbing, le ho già descritte altrove e sono riassumibili in depressione, attacchi di
panico con agorafobia, ipertensione arteriosa, ulcera duodenale, patologie
tutte oramai cronicizzatesi irreversibilmente, con effetti intuitivamente e
pesantemente invalidanti.
4. Ho ritenuto di completare, con queste riflessioni di
natura “psicologica” spicciola, i motivi del mobbing cui sono stato sottoposto
dal management dell’Ente, cioè a dire da un coacervo umano di estrazione
alto-borghese, prevalentemente romano, che considera il clientelismo e la
raccomandazione una pratica di normalità, la telefonata per sconvolgere una già
predisposta graduatoria promotiva come una “furbata” a danno di colleghi meno
scaltri e quindi sprovveduti (non già onesti!), che ha scoperto il Sindacato
quando ha realizzato i rischi di licenziamento per effetto di fusioni bancarie
e comunque solo come strumento “secondario” di ricorso in caso di insuccesso
della “primaria” pratica clientelare, sub specie di intervento di
amici bancari di alto livello,
politici, ministeriali e consulenti esterni ben accreditati.
Oramai questo “spicchio di mondo” non esiste più (o è in via
di estinzione) sia per il tempo trascorso sia per effetto della fusione bancaria con il San Paolo di Torino che ha travolto (e stravolto) l’Ente
pubblico di cui parlo, fusione in questo benefica per l’azzeramento, in capo
ai soggetti gestori, di
consolidate rendite di posizione e di potere oppressivo ed antidemocratico (oltreché
di "spessa e carente cultura" giuridica) che avrebbero dovuto
scegliersi al mio posto un "fazioso" e non un
"giuslavorista", ma ho ritenuto
necessario che il tutto sia reso noto al fine di evitarne la reiterazione nel
futuro, anche se la storia umana è fatta purtroppo di “corsi e ricorsi” e di
indifferenza alle lezioni ed insegnamenti del passato (come a quelli dei genitori). Al tempo stesso
sottolineo che non ho inteso con tale oggettiva rappresentazione “sputare sul
piatto in cui ho mangiato” quantunque a caro prezzo, ma solo su quegli indegni “camerieri di mensa” che
mi hanno servito “bocconi amari” e “pietanze avvelenate”. Ed è per la
responsabilità oggettiva dell’Ente di averli allevati, fatti crescere ed
insediare in posizioni di potere, benevolmente coltivati e direttamente o
indirettamente incitati nelle azioni di oppressione e di persecuzione
psicologica (e mai, all’opposto, sanzionati o redarguiti), che attendo mi sia
resa giustizia (peccando forse di un eccesso di ottimismo e di fiducia nelle
nostre istituzioni giudiziarie).
Roma, 18 novembre 2001
Mario Meucci
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