-
Cari Colleghi,
-
ho letto il Vostro Comunicato di commiato dell’11 c.m. e, nel
ringraziarVi per la riconoscenza manifestatami, sento il dovere di
indirizzarVi talune considerazioni d’interesse
generale.
-
1. Dopo aver deciso di lasciare, con il 28 febbraio c.a., la compagine
dei “lavoratori attivi” per infoltire quella dei “pensionati”-
determinazione cui sono stato
sospinto non tanto dall’età quanto dal disagio, sempre meno sopportabile,
di non riconoscermi nell’azienda in cui sono a suo tempo entrato fiducioso
oltreché per effetto del fastidio di essere confinato da anni in una
frustrante condizione di dequalificazione e di demansionamento sconfinata in
forzata inattività - mi auguro vivamente
che
le future Delegazioni facciano tesoro del senso di compattezza e di comunione
intellettual/emotiva che ha caratterizzato le Delegazioni nelle quali sono
stato presente e le cui caratteristiche operative intendo con la presente
pubblicizzare nei suoi sintetici quanto positivi tratti caratterizzanti e
differenziali rispetto alle passate esperienze.
-
In tali Delegazioni ho
avuto la fortuna di concorrere a delineare la linea di politica sindacale
aziendale, sostenuto da quel senso etico che ha sempre ispirato la mia azione
(in coerente adesione con i miei convincimenti morali) e che - in perfetta
consonanza con i più stabili componenti
di tali strutture - ha improntato di autonomia e di dialettico
antagonismo il ruolo delle Delegazioni sindacali aziendali, almeno a
partire dal 1990 in poi.
-
2. Va infatti ricordato che la struttura aziendale del Sindacato dei
direttivi dell’IMI si è costituita - in aggiunta alle RSA delle storiche
Confederazioni impiegatizie preesistenti sin dal 1971 - verso la fine del
1980, spiccatamente con intenti di autotutela del corpo dirigenziale contro
temute, traumatiche, iniziative di rimozione o accantonamento ad opera di
Presidenti designati dall’esterno dopo le dimissioni dell’Ing. Cappon sull’onda
della pubblica sfiducia nei confronti dell’alto management interno a causa
del dissesto dell’Ente per i dissennati finanziamenti alla Sir di Rovelli.
-
La prima Delegazione sindacale aziendale, non a caso, vedeva presente
nel suo seno e con ruolo di Presidente un Dirigente di elevato livello, a
testimonianza di esigenze di “interventismo diretto” onde non delegare ad
altri la pressante tutela della categoria dei direttivi di vertice
pubblicamente sfiduciati e considerati, a ragione, colpevoli di acquiescenza o
sudditanza verso le decisioni incontrastate dei massimi gestori aziendali.
-
Sfumato il pericolo di ritorsioni dei Presidenti esterni (Schlesinger,
prima, Arcuti poi) sul “top management” aziendale, le successive
Delegazioni non assisteranno più alla presenza del rappresentante dei
dirigenti e risulteranno sempre strutturate da funzionari delegati, tuttavia,
a far da “testa di ponte” anche per la rimimetizzata classe dirigenziale.
-
Pur nelle mutazioni, le posizioni di fondo delle Delegazioni sindacali
aziendali del Personale direttivo, nel periodo 1981-’87 saranno quasi sempre
appiattite su quelle aziendali ed il loro ruolo, quando non gregario, sarà
ispirato ad una visione consociativa con l’azienda, alla cui Direzione
generale (rimasta in sella nonostante la corresponsabilità nei finanziamenti
Sir) verranno rivolte richieste (rectius,
istanze) per il tramite di lettere riservate, raramente pubblicizzate nelle
bacheche sindacali, come vuole invece una logica ed un’ispirazione
democratica (accolta solo successivamente).
-
Alla stessa concezione - oltreché all’esigenza di non attivare
posizioni difformi ed ostili delle RSA impiegatizie - rispondeva la totale
assenza di Comunicati sindacali delle DSA dei direttivi (destinati all’affissione
ed alla pubblica cognizione interna) critici o contestatari di un’autocratica
gestione aziendale delle risorse umane (e non solo di queste).
-
Non mancarono, in questo primo quinquennio, le ricompense individuali
da parte aziendale, tramite il conferimento a taluno della DSA di incarichi e
qualifiche prestigiose (anche extra IMI) e, anche se qualche altro lasciò l’Azienda
per soluzioni esterne, si peritò indubbiamente di ricercare l’assenso della
potente Direzione generale dell’epoca.
-
Non difettarono, peraltro, le eccezioni, rappresentate da funzionari
sindacalmente scomodi, costretti - data la sanzione aziendale dell’immobilismo
in carriera - a dimettersi dall’IMI,
senza alcun rimpianto da parte del management interno.
-
Chi scrive, all’epoca era formalmente responsabile delle relazioni
sindacali per conto dell’Istituto, non coinvolto in alcun processo
decisionale di vertice e ridotto, pertanto - anche perché selezionato dall’esterno
da fiduciari del dignitosamente dimissionario Presidente Ing. Cappon - ad una
pura funzione segretariale di fissazione di appuntamenti per gli incontri dei
vari Capi del Personale con le aggressive e non condizionate OO.SS. delle
sigle sindacali impiegatizie.
-
Incontri cui partecipava con ruolo di mero uditore, mentre era
addirittura estraniato da quelli fra la Direzione Generale e le DSA del
Sindacato dei direttivi. Prassi questa che lo indusse a non considerarsi, a
buona ragione, interlocutore antagonista della sigla dei direttivi e,
pertanto, a non avvertire in alcun modo l’inopportunità dell’iscrizione,
nel 1982, al predetto Sindacato, peraltro in conformità alla pregressa
iscrizione, sin dal 1974, alla Fndai-Cida, quale ex dirigente industriale
responsabile per l’Area del personale.
-
3. Con l’uscita per limiti di età del vecchio Direttore Generale “padre-padrone”
dell’Ente e la sua sostituzione dall’esterno (Banca d’Italia) con il Dr.
Masera, il ruolo della Delegazione sindacale del Personale direttivo fu
improntato immediatamente ad un carattere
rivendicativo, probabilmente nell’intento di compensare la nullità delle
preesistenti acquisizioni ed ottenere dal neo-arrivato soluzioni equitative e
benefici inutilmente richiesti al predecessore, da quest’ultimo non concessi e mai fattivamente perseguiti
con intransigenza dalle DSA, in ragione di un intrinseco timore riverenziale
del sindacato dei direttivi (come degli altri, peraltro) che accrebbe ed
ingigantì le qualità autoritarie -
e di dispensatore di benefici ai soli suoi fiduciari - del preesistente
Direttore Generale.
-
In ragione del mio spirito democratico, ostile al clientelismo ed alla
mortificazione (subita sulla pelle) dei criteri della professionalità ed
imparzialità valutativa, nonchè portatore della convinzione che il ruolo del
Servizio del Personale è quello di assicurare la giustizia introaziendale e
non di gestire, da commessi, gli interessi di bottega del Direttore Generale,
esprimo l’avviso di essere stato investito
all’epoca dalle RSA impiegatizie e dalla
DSA dei direttivi (fra le quali erano nel frattempo intercorse intese
tattiche più che vere e proprie convergenze ideologiche) del compito di
rappresentare - fermo restando la mia posizione antagonista ma, al tempo
stesso, la mia impostazione imparziale e trasparente - le loro rivendicazioni
sindacali alla neo Direzione
Generale che, edotta delle mie pregresse vicissitudini, aveva mostrato di
apprezzare la mia collaborazione all’insegna anche di una competenza
professionale esternata in plurime pubblicazioni scientifiche.
-
Ma la vecchia burocrazia autocratica, dopo essere riuscita ad avocare
al Segretario Generale la responsabilità della gestione del Personale, aver
reperito, per umiliare gli interni, un giovine Capo del Personale dalla
Fininvest ed aver creato addirittura una Direzione centrale per il personale e
l’organizzazione - cioè a dire aver frapposto tra le OO.SS. interne ed il
Direttore Generale (Capo del Personale per Statuto) ben tre strutture
diaframmatiche distanziatrici e diluitrici dei contatti e dei rapporti -
ritenne opportuno rimuovere lo scrivente dalla neo attribuita posizione di “responsabile
della gestione risorse e relazioni sindacali”, mascherando il provvedimento
punitivo di un’ invisa impostazione ideologica con l’isolamento in
incarichi di studio, confezionati ad hoc, del tutto provvisori ed
estemporanei, conclusisi nell’arco
di alcuni mesi.
-
Fu allora, nel 1990, che lo scrivente maturò la decisione di sottrarsi
ad un programmato stritolamento, con l’entrare a far parte della DSA del
Sindacato direttivo, nelle cui elezioni - sotto l’influenza della pubblica
ingiustizia subita oltreché per stima nutrita in ordine a professionalità e
competenza - ottenne le più numerose preferenze dai Colleghi.
-
4. Le DSA che si succedettero dal 1990 in poi furono pertanto
caratterizzate da un intento “revanchista”, da una netta autonomia
rispetto all’azienda, se non addirittura da una pervicace contrapposizione
frontale e quotidiana nei confronti di qualsiasi determinazione unilaterale o
provvedimento aziendale non rispettoso della dignità e dell’imparzialità
comportamentale.
-
Al metodo “carbonaro” delle passate DSA si sostituì - con piena
condivisione della maggioranza dei componenti delle DSA -
la politica della massima trasparenza, attraverso l’affissione di
tutte le lettere e Comunicati indirizzati all’Azienda ed ai suoi massimi
organi decisionali, di cui furono fatti puntualmente partecipi i Colleghi, dai
quali le Delegazioni ricevettero reiterate manifestazioni di consenso in
ordine alla nuova linea di condotta.
-
Agli immotivati dinieghi aziendali - in precedenza ingoiati - si
rispose per la prima volta con azioni giudiziarie, devolvendo alla
magistratura l’accertamento della fondatezza dei nostri maturati
convincimenti e delle analisi compiute con specifica competenza e
professionalità.
-
Sulla nostra scia si
posero le RSA impiegatizie. Insomma, nel giro di pochi anni, la DSA del
Sindacato dei direttivi acquisì una sua identità, fu temuta per autonomia e
competenza specifica e costituì punto di riferimento anche per le
preesistenti RSA impiegatizie con le quali si realizzarono, su temi di comune
interesse, convergenze intellettuali ed operative, superando in azienda
ostracismi derivanti da contrapposizioni a livello dei
rispettivi Sindacati nazionali.
-
I timorosi della linea di contrapposizione e di pubblica
stigmatizzazione e denuncia di incondivisi comportamenti gestionali aziendali,
uscirono dalle rinnovate DSA per realistica preoccupazione
di pregiudizio alla carriera e queste DSA si strutturarono con un “nocciolo
duro” impersonato eminentemente dal Presidente Firinu e dallo scrivente in
veste di Vice Presidente, sempre confortati comunque dalla solidarietà del
resto dei componenti.
-
Il Sindacato dei direttivi, tramite le RSA o DSA, si ramificò nel
resto delle aziende del Gruppo IMI - grazie principalmente ad una meritoria
opera di proselitismo di cui si sobbarcò il Presidente Firinu - e si creò un
nucleo di coordinamento sindacale per le Società del Gruppo, nei confronti
della cui strategia la DSA della Capogruppo fece sempre
scuola di formazione e di indirizzo.
-
5. Questo il bilancio delle acquisizioni e dei progressi compiuti.
-
Incerte restano le prospettive future anche perché non si sono viste -
nel frattempo - energie giovanili disposte a raccogliere il testimone di un
impegno di abnegazione, di solidarietà, di rinuncia all’individualismo ed
al carrierismo sfrenato.
-
Ci è stata, infatti, sempre rinnovata, ad ogni elezione, una delega
incondizionata a gestire il sindacato interno, ma non sappiamo quanto ciò sia
ascrivibile a fiduciarietà e quanto, invece, a studiato disimpegno ed alla
scelta opportunistica degli iscritti di non esporsi
e di lasciarci in prima linea nel confronto/scontro con l’Azienda,
conosciuta come detentrice di una “memoria elefantesca”, attivata in
special modo nelle tornate promotive e di conferimento delle gratificazioni di
merito, sempre negate ai rappresentanti sindacali onde ripagarne l’atteggiamento
critico e la contrapposizione.
-
La mia uscita e quella di altri componenti, scadenzate e scaglionate
nel giro di pochi anni, dal Sindacato interno per limiti di età, potrebbe (ma
non dovrà assolutamente) coincidere con un futuro di “notte fonda” per le
conquiste delle Delegazioni sindacali aziendali e dei lavoratori tutti.
-
Caduti nei rappresentanti
aziendali i timori di una contestazione puntuale, sagace, mirata e
professionalmente qualificata, la mentalità poliziesca dei traballanti “tigrotti”
pasturati dall’azienda si sbizzarrirà nella produzione di proclami
ancor più pregni di regole illiberali e restrittive. L’alta
Direzione intensificherà “la prassi
che Focault individua con i verbi sorvegliare e punire . Correlativamente il
consenso verrà perseguito facendo ricorso ad un fiorente uso degli strumenti
di coercizione: dai privilegi agli adepti, alle ricompense agli arresi, dalle
censure a chi resiste ai premi a chi si adegua” (Cessari, in
Riv. it. dir. lav. 1983, I, 417, nt.30).
-
Usciranno di scena le
contrapposizioni giudiziali intraprese da noi vecchi
dirigenti delle ultime DSA oramai esenti
dal timore di poter peggiorare la propria condizione oltre la misura
dell’esistente. All’inerzia ed all’incapacità di contrapposizione si
sostituirà il vile mugugno, la demotivazione e la silenziosa non
collaborazione: in buona sostanza si attualizzerà un generalizzato regresso
ed imbarbarimento della condizione lavorativa e della già scadente politica
del personale.
-
Verrà, al momento opportuno, anche l’epoca della ribellione e della
riscoperta della solidarietà che è stato il nostro patrimonio e la nostra
stella polare. Ma intanto saranno decorsi
inutilmente alcuni decenni e si sarà sostituito al metodo di implementare la
già ben avviata costruzione della “casa sindacale” quello del
ricominciare a scavarne le fondamenta, ad ogni avvicendamento generazionale,
soluzione che va, giustappunto, nella direzione degli obbiettivi di qualsiasi
azienda che voglia perpetuare, con la narcotizzazione della dialettica
sindacale, il proprio assolutistico, incondizionato ed insindacabile potere
gestionale.
-
Ci auguriamo che questa grigia previsione risulti smentita da una
dimostrazione di maturità e di coraggio dei Colleghi, che queste
considerazioni vogliono sollecitare a far uscire allo scoperto. La
professionalità sindacale e la padronanza della materia giuslavoristica che
eventualmente faccia loro difetto potrà e dovrà essere conquistata
con il tempo e con l’impegno di studio, comunque senza eccessivo sforzo in
quanto basterà la misura minima sufficiente a non sfigurare nel confronto sul
campo con l’attuale accentuato dilettantismo della maggior parte dei
rappresentanti aziendali, ascrivibile a deliberata scelta dei Responsabili del
Personale da parte dei vertici in chiave fido-esecutiva
piuttosto che su basi di professionalità specifica.
-
Un sincero saluto a tutti i Colleghi e, oltre a Voi, ai Rappresentanti
delle altre sigle sindacali.
-
-
Roma, 13 marzo 1997
-
Mario
Meucci
-
-
(affissa
nelle bacheche sindacali e pubblicata nella rivista “Incontri” n. 3/ del
maggio-giugno 1997 con il titolo “Appello alla solidarietà”)