La maggiorazione dell’anzianità contributiva per i
lavoratori esposti all’amianto
Sommario: 1. La nuova formulazione, ad opera della L. n.
271/93, dell’art. 13, 8° comma, della L. n. 257/92 – 2.La problematica
dell’individuazione della platea dei beneficiari e le statuizioni della
sentenza n5/2000 della Corte costituzionale – 3.L’indebita introduzione, a fini
di circoscrivere il novero dei beneficiari, di valori di esposizione (o limiti
di soglia) ad opera della Cassazione - 4. Conclusioni.
1.
La legge 27 marzo 1992,
n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto) ha previsto
all’art. 13, 8° comma, - “per
compensare dei rischi subiti” (1), com’è stato giustamente detto in dottrina –
il beneficio, ai fini pensionistici, di moltiplicare per il coefficiente 1,5
gli “interi” periodi lavorativi di esposizione ad inalazione di fibre di
amianto, per “i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un
periodo superiore a 10 anni” (comma 8° dell’art. 13, come sostituito
dall’art. 1, comma 1°, D.L. 5 giugno 1993, n. 169, convertito nella legge 4
agosto 1993, n. 271).
Il beneficio – come la stessa cessazione dell’attività
produttiva legata all’amianto – è causalmente ricollegabile alla riconosciuta,
estrema, pericolosità della materia prima “amianto”, tanto che la stessa
rimozione o demolizione è stata sottoposta ad una procedura rigorosissima,
coniugandola a sanzioni penali.
Nella versione legislativa antecedente al D.L. 5 giugno 1993, n. 169 (che ha
modificato il precedente art. 13, comma 8°, della L. n. 257/92) non era
previsto espressamente che il coefficiente di maggiorazione 1,5 dovesse essere
calcolato (per) ed applicarsi allo “intero
periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali gestita dall’Inail”, cosicché – in sede amministrativa – ne
era sortita una interpretazione restrittiva, secondo la quale la maggiorazione
1,5 sarebbe stata operativa solo sulla
quota parte del periodo eccedente i 10 anni (e, conseguentemente, non avrebbe
riguardato i primi 10 anni, considerati in franchigia). Tale interpretazione
restrittiva aveva avuto il conforto del parere del Consiglio di Stato, sez. 1, 24 marzo 1993, n. 319 (2) e, proprio,
per rimuoverla venne emanato il D. L. n. 169/93 che ha avuto altresì il pregio
di apportare alla legge n. 257/92 altre importanti modifiche.
Rilevava esattamente Miscione (op. cit. nt1) che “come
per la maggiorazione a favore di chi ha subito una malattia professionale,
anche per l’identica maggiorazione
prevista per la semplice “esposizione” ultradecennale all’amianto (utilizzato o
no come materia prima (3) non è più previsto dal D.L. 169/93 (nel
sostituire il comma 8° dell’art. 13 della L. n. 257/92) il rinvio ai
“dipendenti di cui al comma 1°” e così viene eliminato il requisito che sia il
Cipe a individuare le imprese, i cui dipendenti hanno diritto al beneficio.
Ancora: mentre nel testo originario la norma iniziava con l’espressione “ai
fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche”, nel testo nuovo,
sostituito dal D.L. 169/93, quest’espressione è stata soppressa e sostituita
con un genericissimo ( e per ciò omnicomprensivo) “per i lavoratori che siano
stati esposti all’amianto (…) l’intero periodo lavorativo (…) è maggiorato…”.
In via di prima approssimazione, dunque, si potrebbe dire che, nel sostituire
il comma 8 dell’art. 13 L. 257/92, il D.L. 169/93 ha solo chiarito, e
opportunamente, quanto era già deducibile dal vecchio testo, anche se in modo
meno chiaro e certo”.
Un’altra modifica, utile ai fini interpretativi, è stata
quella di far saltare l’originario aggancio della maggiorazione contributiva –
operato dal vecchio comma 8° dell’art. 13 L. 257/92 – al “conseguimento” della
pensione, attraverso la preesistente dizione “ai fini del conseguimento delle
prestazioni pensionistiche”. Tale dizione – che poteva ingenerare il dubbio che
la maggiorazione 1,5 fosse riservata solo alle pensioni ancora da conseguire –
è stata soppressa e sostituita con la chiara ed onnicomprensiva formulazione
”per i lavoratori…”, sganciata dalla finalizzazione al “conseguimento delle
prestazioni pensionistiche…”. Non comportando la legge, pertanto, la
“attualità” di una occupazione qualsiasi – anzi fornendo ermeneuticamente
indicazioni opposte – ne consegue che i beneficiari della maggiorazione
contributiva non sono solo coloro che, in attività di servizio, debbono ancora
maturare il diritto alla pensione, ma
anche i lavoratori già pensionati (che sono stati esposti all’amianto) per i quali la maggiorazione dell’anzianità contributiva comporterà
una rivalutazione (o riliquidazione) della pensione in corso di fruizione
(naturalmente non con effetti retroattivi ma a beneficio delle sole mensilità
future).
Altra chiarificazione desumibile dalla formulazione del
nuovo comma 8° dell’art. 13 L. 257/92 è - (secondo noi, e secondo altra dottrina
(4) - quella che comporta la pacifica
spettanza del beneficio anche per quei lavoratori in attività di servizio che
all’amianto sono stati esposti in periodi totalmente o parzialmente precedenti
all’entrata in vigore della L. n. 257/92, sia perché manca nella legge qualsiasi correlazione alla “dipendenza”
attuale da imprese (che utilizzano o meno l’amianto come materia prima) già
contenuto nel testo iniziale del D. L. 169/93, poi eliminato nella L. 271/93 di
conversione, sia per l’uso del termine al passato “lavoratori che siano stati
esposti all’amianto”.
Controversa invece – anzi caratterizzata da un orientamento
giurisprudenziale di legittimità del tutto negativo – è la questione se spetti
o meno la maggiorazione per coloro che, essendo stati esposti all’amianto
antecedentemente all’entrata in vigore della L. 257/92 possedessero all’epoca
non più la qualità di lavoratori “attivi” ma quella di “pensionati” di
anzianità o vecchiaia, cioè a dire si trovassero già in stato di quiescenza.
Sul punto specifico la Cassazione ha assunto un orientamento
consolidatamente negativo, rinvenibile nelle decisioni n. 6605/1998 (5), n.
6620/1998 (6), n. 7407/1998 (7) e 10772/1998 (8), le cui massime pressoché
uniformemente recitano: “Il beneficio della rivalutazione dei periodi
assicurativi relativi a prestazioni lavorative comportanti provata esposizione
all’amianto, previsto dall’art. 13, legge 257 del 1992, essendo inteso a
sostenere i lavoratori perdenti il posto di lavoro a causa della soppressione
della lavorazione dell’amianto, attraverso
una supervalutazione dei periodi assicurativi idonea a consentire o
facilitare il conseguimento della pensione di anzianità o di vecchiaia, non è
applicabile a quei lavoratori che al momento dell’entrata in vigore della legge
n. 257 del 1992, erano già titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia”.
Secondo le motivazioni della Cassazione (successivamente,
come vedremo, disattese dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5/2000) – che
quantunque riferite alla fattispecie dei soli pensionati ante legem n.
257/92 taluni dottrinari (9) vorrebbero considerare interpretative dello spirito
dell’intera legge e quindi
idonee a fornire criteri indicativi di carattere generale per la delimitazione della platea dei
destinatari del beneficio – la ratio legis avrebbe individuato i beneficiari della
supervalutazione contributiva nei soli lavoratori (già impiegati nelle imprese
utilizzanti l’amianto quale materia prima e costrette alla dismissione
d’attività, con conseguente stato di disoccupazione dei dipendenti). A queste
conclusioni condurrebbe, secondo la Cassazione – il fatto che:
a)
nei commi 7° e 8°
si è fatto riferimento non più alle “imprese”, bensì solo ai “lavoratori”, e nel
comma 8° si è utilizzato il tempo passato (“siano stati esposti…”), solo ed
esclusivamente per “comprendere tra i beneficiari coloro che non operavano
nel settore al momento dell’entrata in vigore della legge soppressiva della
produzione di amianto, ma vi avevano lavorato dieci anni nel passato”;
b)
in altri termini, per
la Corte di cassazione la platea dei lavoratori interessati ai vantaggi
contributivi previsti dall’art. 13, 7° e 8° comma, L. n. 257/92 deve ritenersi
rigorosamente e puntualmente circoscritta: “il riferimento ai ‘lavoratori’
contenuto nei commi 7 e 8 dell’art. 13…, il titolo della legge (Norme relative
alla cessazione dell’impiego dell’amianto), il titolo del capitolo in cui
l’art. 13 è inserito (Misure di sostegno per i lavoratori) e lo stesso
titolo di quest’articolo (trattamento straordinario di integrazione salariale e
prepensionamento) rendono palese che il riferimento ai ‘lavoratori’ deve
intendersi come fatto a coloro che a seguito della soppressione delle
lavorazioni dell’amianto sarebbero stati coinvolti nella crisi e per i quali
urgeva fornire misure che consentissero l’aumento dell’anzianità assicurativa,
non più conseguibile attraverso il reimpiego nel settore” (Cass. n.
7407/98; Cass. n. 6620/98);
c)dunque,
nessuno spazio per una lettura che si riferisca genericamente a qualsivoglia
lavoratore, dipendente da qualsiasi azienda, che si sia trovato esposto
all’amianto durante un non meglio specificato periodo decennale. La L. n.
257/92 deve essere ricondotta in un alveo assai meglio determinato, e cioè al solo settore dell’estrazione e
dell’utilizzo dell’amianto, di cui con tale provvedimento normativo veniva
dichiarata la soppressione;
d)
del resto, tale
interpretazione – conclude la Cassazione – è l’unica compatibile con la copertura finanziaria, prevista dalla
legge con riferimento a 1.200 lavoratori e a un importo globale di 160 miliardi
per il quadriennio 1992/1995 (10).
Sul punto specifico della negazione del diritto alla
maggiorazione contributiva per i pensionati ante legem n. 257/92, sono
state sollevate eccezioni di costituzionalità – in relazione all’art. 3 e
all’art. 38 Cost. – che tuttavia la Cassazione, nella decisione 13195 del 25
ottobre 2001 (inedita allo stato) ha respinto con riferimento a coloro che
erano già titolari di pensione di anzianità e di vecchiaia (con salvezza di
coloro – e loro superstiti – che erano fruitori di pensione o assegno di
invalidità). Nella precitata decisione n. 13195/2001, la Cassazione ha escluso
che la negazione del beneficio (per i pensionati ante legem n. 257/92)
concretizzasse violazione dei principi di cui agli artt. 3 (eguaglianza
dei cittadini davanti alla legge) e 38 (diritto alla tutela previdenziale)
della Costituzione, perché escludendo i pensionati, si regolerebbero diversamente situazioni uguali in modo
ingiustificato. Secondo la Corte, invece, il beneficio – in quanto pur sempre finalizzato al miglioramento
della posizione pensionistica – ben può essere limitato a coloro che più hanno
necessità di incrementare l’anzianità assicurativa e contributiva, escludendo
coloro che avevano già in passato maturato i requisiti richiesti; per costoro,
l’esclusione determina solo il mancato aumento della prestazione già
conseguita, con detrimento diverso a seconda dell’anzianità posseduta, fino a
scomparire del tutto per chi goda già della pensione commisurata alla massima
anzianità assicurativa e contributiva. La questione di costituzionalità è
stata poi affrontata da Corte cost. 31 ottobre 2002 n. 434, pervenuta alla
esclusione dei pensionati (esclusi quelli per invalidità) ante legem n.
257/92 sulla base delle seguenti argomentazioni: «
2.
Intanto sulla
problematica più generale della cerchia o platea dei beneficiari – ex art. 13,
comma 8°, L. n. 257/92, quale modificato dal D. L. n.169/93 – beneficiari
individuati secondo la prevalente, pressoché univoca, giurisprudenza di merito
(11), nei lavoratori oggetto di esposizione ultradecennale, senza alcun
addizionale requisito od onere, il Tribunale di Ravenna (con ordinanza
30aprile-4 maggio 1998) sollevava questione di costituzionalità in relazione
agli artt.3 e 81 Cost., poiché:
a)
quanto all’art. 3 Cost,
riteneva che la norma dell’art. 13, comma 8°, L. 257/92 “svincolata nei suoi
presupposti applicativi da qualunque parametro predeterminato, può essere
applicata o disapplicata sulla base di un solo dato – l’esposizione
ultradecennale all’amianto – che senza alcuna altra specificazione tecnica può
essere, in sede giudiziaria, affidata a
valutazioni, sensibilità, risultati probatori, conformazioni culturali del
tutto liberi e avulsi da standard di riferimento, tali da consentire uguali
decisioni per casi di diversa
pericolosità o decisioni diverse per casi sostanzialmente uguali. In sede
amministrativa, poi, affida la sua esecuzione alla mera discrezionalità della
p.a., con potenziale lesione del principio di imparzialità”;
b)
quanto
all’illegittimità costituzionale alla luce dell’art. 81 Cost, il Tribunale di
Ravenna riteneva che “l’assenza…di ogni riferimento a categorie di
lavorazioni e di ogni specificazione al tipo di contatto con le fibre (per
inalazione o ingestione) allarga a dismisura la possibile platea degli
interessati…A causa dell’indeterminabilità di tutti i possibili destinatari del
beneficio…viene meno la possibilità stessa di indicare la copertura finanziaria
della legge, imposta dall’art. 81, 4° c. Cost.”
In sostanza, il Tribunale di Ravenna, dichiarata
preliminarmente inevitabile una interpretazione estensiva della norma di legge,
ha convenuto sulla (non manifesta infondatezza della eccezione di)
illegittimità costituzionale di questa, sia sotto il profilo della scopertura
finanziaria, sia sotto quello della irrazionalità e della disparità di
trattamento, per la carenza nella norma di ogni criterio direttivo, che ne
possa assicurare un’applicazione
ragionevole ed equa.
La Corte costituzionale, con sentenza 12 gennaio 2000, n. 5 (12) ha ritenuto non
fondata la questione sollevata, sia sotto l’aspetto della scopertura
finanziaria osservando che la “copertura stessa è stata a suo tempo ritenuta
adeguata dalla stessa Corte dei conti, nell’esercizio della sua funzione di
referto quadrimestrale al Parlamento sulle leggi di spesa”, sia sotto
l’aspetto dell’asserita carenza di criteri di individuazione e delimitazione
della platea dei beneficiari.
Quest’ultimo criterio selettivo – ha statuito la Corte
costituzionale – è egregiamente rinvenibile nel requisito della “esposizione ultradecennale all’amianto”…
“concetto…che coniugando l’elemento temporale con quello di attività
lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3
del dpr n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente quello di
rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie,
quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza
nell’ambiente di lavoro; evenienza tanto pregiudizievole da indurre il
legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di
concentrazione di amianto nell’ambiente di lavoro, che segna la soglia limite
del rischio di esposizione (d. lgs. 15 agosto 1991, n. 277 e successive
modifiche)”.
Ma la Corte
costituzionale non si è fermata a queste precisazioni (per noi chiare ma
equivocamente, poi, interpretate dalla
Cassazione); ha anche sottolineato quale fosse la finalità della norma in
questione, finalità indennitario/risarcitoria del “bene salute” sottoposto a
rischio effettivo o potenziale (rifiutando la pregressa tesi della Cassazione
che lo individuava in un beneficio a tutela del pregiudicato “bene dell’occupazione”
a seguito della cessazione dell’uso e produzione dell’amianto e pertanto
ristretto ai soli lavoratori impiegati nelle specifiche industrie e lavorazioni
dismesse). Per dissipare qualsiasi equivoco al riguardo la Corte costituzionale
ha espressamente detto che “lo scopo della disposizione censurata (art.
13, comma 8°, L. 257/92, n.d.r.), secondo quanto si evince dalla
accennata ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella
finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile
periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile
incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano
potenzialità morbigene”. Ha ancora tenuto a puntualizzare che l’equivocità
dell’originaria dizione dell’art. 13, comma 8°, L. 257/92 – occasionata da
divergenti interpretazioni (definite dalla Consulta “incertezze
interpretative in ordine all’entità delle agevolazioni accordate dal
legislatore” – è stata definitivamente “risolta da una disposizione,
contenuta nell’articolo 1, comma 1, del decreto legge 5 giugno 1993, n 169, la
quale, in sostituzione del comma 8 dell’articolo 13 della legge 27 marzo 1992,
n. 257, stabiliva che ‘per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono
amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di
dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse, che
siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero
periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle
prestazioni pensionistiche, per il coefficiente 1,5. In sede di conversione del
predetto provvedimento d’urgenza, la legge 4 agosto 1993, n. 271, ha soppresso
la locuzione ‘dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano
amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposto a
procedure fallimentari o fallite o dismesse’, cosi intendendo soddisfare – come
si evince dai lavori preparatori – l’esigenza di attribuire centralità, ai fini
dell’applicazione del beneficio
previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto,
escludendo, al tempo stesso, ogni relazione che potesse derivare dal
riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro”.
3. L’intento “pragmatico”
di circoscrivere la platea dei beneficiari e, quindi, di non far scaturire il
beneficio risarcitorio del “bene salute” dalla sola “esposizione ultradecennale”
– unico requisito inequivocabilmente desumibile dalla lettera della legge –
veniva tuttavia assecondato poco dopo dalla Corte di Cassazione, prima con la
decisione 3.4.2001, n. 4913 (13) – confermata dalla successiva del 28.6.2001,
n. 8859 (14) - le quali hanno entrambe
dato per “presupposto” dal legislatore
(a loro avviso confermato dalla stessa
Corte costituzionale) che
all’esposizione ultradecennale doveva coniugarsi necessariamente (rectius,
addizionalmente) il superamento di soglie
ambientali di concentrazione di
fibre d’amianto eccedenti i valori fissati (invero ad altri fini, quelli
prevenzionali) dall’anteriore D. Lgs. 277/91, ponendo a carico del lavoratore
che invochi il beneficio l’onere di provare (“probatio diabolica”) e documentare (in un contesto ed in epoche
in cui le rilevazioni a fini prevenzionali da parte delle autorità sanitarie o
similari erano inesistenti o quasi) che l’esposizione ultradecennale era
avvenuta in ambiente con concentrazione
di fibre d’amianto in misura eccedente
le 100 fibre/litro nelle 8 ore medie (0,1 fibre/cm3).La Cassazione si è
così espressa nella decisione n. 4913/2001: “Il disposto del comma 8
dell’art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257 ("Norme relative alla
cessazione dell’impiego dell’amianto”) va interpretato, in ragione dei criteri
ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio
stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano
valori di rischio per esposizione a polveri d'amianto superiori a quelli
consentiti dagli artt. 24 e 31 d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277. Nell'esame della fondatezza della domanda di
detto beneficio il giudice di merito deve accertare - nel rispetto dei criteri
di ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c. - se colui che ha
avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la specifica
lavorazione praticata e l'ambiente dove ha svolto per più di dieci anni
(periodo in cui vanno valutate anche le pause "fisiologiche" proprie
di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione,
abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione
al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli
indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991”. Nella successiva n.
8859/2001 la Cassazione ha confermativamente ripetuto (adducendo a supporto la
stessa sentenza n. 5/2000 della Corte costituzionale, a nostro avviso mal
compresa): “Risponde a criteri di coerenza logica, da presumersi essere
sottesi ad ogni intervento legislativo, ritenere che la legge n. 257 del 1992
abbia tenuto presente – nel momento in cui interveniva su un assetto
industriale caratterizzato da un vasto panorama di imprese esposte in maniera
differenziata al rischio amianto – il decreto legislativo n. 277 del 1991 (che
difatti ha essa stessa provveduto a modificare tramite l’art. 3, comma 4);
decreto che, in attuazione delle direttive europee (in materia di protezione dei
lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici), fissava, agli artt. 24
e 31, i limiti di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di
lavoro, stabilendo anche, in caso di necessità di svolgimento dell’attività
lavorativa e di impossibilità di rimuovere le cause di inquinamento con misure
adeguate, “tutte le misure di protezione dei lavoratori addetti e
dell’ambiente, tenuto conto del parere del medico competente” (cfr. commi 4 e 5
dell’art. 31).
Tanto porta ad escludere che il provvedimento
normativo del 1992 abbia voluto attribuire il beneficio della rivalutazione
(nella specie rivendicato) a tutti i lavoratori comunque esposti ad inalazione
di polveri di amianto anche di minima entità, abbia voluto cioè attribuire
detto beneficio anche ai soggetti destinati a spiegare la loro attività in
ambienti in cui fosse presente una concentrazione di fibre di amianto destinata
a rimanere al di sotto dei valori limite legislativamente ritenuti a rischio e individuabili in quelli
indicati negli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277/1991.
E questa conclusione riceve un decisivo avallo della
considerazione che una diversa interpretazione finirebbe per legittimare un
notevole “sforamento” di ogni pur attendibile previsione di spesa, portando
perciò a ipotizzare quella violazione dell’art. 81 Cost., che la Corte
Costituzionale, nella ricordata sentenza n. 5/2000, ha escluso sulla base della
(più restrittiva) tesi che individua la necessità di un duplice requisito per
l’acquisizione del diritto al beneficio di cui all’art. 13, comma 8, della
legge n. 297/1992: vale a dire il dato temporale (almeno dieci anni di
esposizione) e la presenza nell’ambiente di lavoro di una concentrazione di
fibre di amianto superiore ai valori limite fissati dal d.lgs n. 277/1991”.
Invero
l’arbitrarietà e l’erroneità del recente orientamento inaugurato dalla
Cassazione si può comprendere in tutta
la sua pienezza solo rileggendo, con spirito scevro da impostazioni
precostituite tese al reperimento di accorgimenti finalizzati esclusivamente a
circoscrivere quantitativamente il novero dei possibili beneficiari, la
decisione della Corte costituzionale n. 5 del 2000.
Nonostante la Cassazione ritenga il richiamo al requisito
dei “limiti di soglia”, ex artt. 24 e 31 d. lgs. n. 277/1991, presupposto e
sommessamente indicato dalla stessa Corte costituzionale, una corretta lettura
della decisione n. 5/2000 porta ad opposte conclusioni.
Innanzi tutto la Corte costituzionale – come innanzi
evidenziato (e lo si ripete deliberatamente anche in questa sede) - designa correttamente ed esaustivamente la
finalità dell’art. 13, comma 8°, della
L. n. 257/1992, tanto da non poter essere più messa in discussione e quindi
caducando implicitamente il vecchio orientamento della Cassazione espresso nelle
decisioni n. 6605/1998, n. 6620/1998, n. 7407/1998 e n. 10722/1998 facente perno sul diverso scopo di tutela
del bene/occupazione, finalità individuata nella volontà legislativa di
risarcire un danno potenziale (o effettivo) arrecabile al bene della salute. A
tal fine la Consulta espressamente afferma: “Lo scopo della disposizione
censurata (art. 13, 8 comma, L. n. 257/92, n.d.r.) secondo quanto
si evince dalla accennata
ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di
offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo
(almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante
di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene. Il
criterio dell’esposizione decennale costituisce un dato di riferimento
tutt’altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento,
contemplato nello stesso articolo 13, comma 8, al sistema generale di
assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall’amianto, gestito dall’Inail. Nell’ambito di tale correlazione, il concetto
di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di
attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale
(articoli 1 e 3 del d.p.r. n. 1124 del 1965), viene ad implicare,
necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente, di rischio morbigeno
rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare
per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza questa, tanto
pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a
fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente
lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto
legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche). La disposizione
denunciata poggia, quindi, su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal dato
di riferimento temporale sia dalla nozione di rischio che, com’è noto,
caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali”.
Nel sopra riferito
passo viene poi indicata esplicitamente la natura e la finalità - tramite la locuzione “sia pure a fini di prevenzione” –
del richiamo del decreto legislativo n. 277/1991, fissativo di “soglie
d’allarme”, non già di valori scriminanti “l’innocuo dal nocivo” (al disotto
dei quali si versa nel campo dell’innocuo e del sopportabile senza rischi),
giacché tali valori una volta superati fanno scattare un complesso di doveri
datoriali volti alla sospensione dell’attività lavorativa ed all’azzeramento,
tramite bonifica, della situazione di rischio morbigeno e solo nel caso in cui i locali bonificati rivelino
una concentrazione d’amianto non superiore a 2 fibre/litro (sancita dal D.M. 6
settembre 1994 e dagli omologhi successivi)
può essere disposta la restituibilità per l’originaria finalità senza
apprezzabile rischio morbigeno. Ne consegue che se un valore limite si vuole
proprio individuare, quello fissato (in
misura almeno 100 volte inferiore rispetto ai valori di “soglia d’allarme” ex artt.
24 e 31 d.lgs.n.277/91) dal d.m. 6 settembre 1994 (15) è l’unico esclusivamente
compatibile, secondo la volontà del legislatore, con la salvaguardia del
bene-salute, non già le “soglie d’allarme” (di cui agli artt. 24 e 31 d.lgs. n.
277/91) fissate legislativamente a soli fini prevenzionali e dalla stessa Corte
costituzionale individuate per tale esclusiva e specifica finalità.
In effetti non si rinviene nel pensiero della Corte
costituzionale – e tanto meno, ed è questo quello che più conta, nella lettera
dell’art. 13, comma 8, della L. n. 257/1992 -
nessun esplicito intento di elevare i limiti di “soglia d’allarme” (di
cui agli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91) a requisito addizionale e congiunto con quello dell’esposizione
ultradecennale che è l’unico legislativamente contemplato dalla precitata
normativa sull’amianto ed espressamente tipizzato quale condizione per la
fruizione del beneficio della supervalutazione contributiva. Ed è del tutto
logico e naturale che la Corte costituzionale non sia incorsa in tale errore, né involontariamente né
intenzionalmente, giacché non poteva ignorare – come invece fa la Corte di
cassazione (ed in questo risiedono i vizi del recente orientamento su cui si
appuntano le nostre critiche) - che se
per determinate patologie (quali l’asbestosi) il limite di soglia può essere,
allo stato delle maturate cognizioni medico/scientifiche, necessario e
predeterminabile, tutta la dottrina medica ha concordemente evidenziato
l’assoluta refrattarietà della patologia cancerogena indotta dall’esposizione
ad amianto (in particolare il mesotelioma pleurico) a qualsiasi, sia pur
minimo, limite di inalazione, sufficiente risultando al limite una sola fibra
inalata a scatenare, a distanza e dopo latenza più o meno lunga, la degenerazione
tumorale ad esito normalmente mortale.
Una volta affermato, come correttamente fa la Corte
costituzionale nella decisione n. 5/2000, che la finalità del legislatore
estensore dell’art. 13, 8° comma, della L. n. 257/1992, risiedeva nell’approntare misure di ristoro e di
indennizzo nei confronti degli irrimediabili pregiudizi alla salute
suscettibili di risolversi in un accorciamento della vita dei lavoratori,
l’operazione di introduzione del requisito del superamento di certi “valori di
soglia” (contrabbandando come tali quelli delle “soglie d’allarme”
prevenzionali) – effettuato dalla Cassazione pressata
dall’esigenza”metagiuridica” di circoscrivere la platea suppostamente
indeterminata dei beneficiari e tamponare la falla del rischio di sforamento della copertura finanziaria – è del
tutto inconciliabile con la dichiarata
e condivisa finalità legislativa, per le ragioni che delineeremo di seguito.
La soluzione individuata dal recente orientamento della
Cassazione non ha soddisfatto neppure un attento annotatore (16) della rivista
giuslavoristica della Confindustria (il “Massimario di giurisprudenza del
lavoro”), il quale condividendo quanto innanzi da noi sottolineato, riscontra
ed evidenzia la (supposta)
contraddittorietà dell’orientamento della Cassazione con la tutela del
bene/salute e si duole che la Suprema corte si sia discostata da quelli che l’autore ritiene i più affidabili (quanto a nostro avviso più
restrittivi) precedenti giurisprudenziali (menzionati nelle note da 5 a 8) che
identificavano il beneficio della supervalutazione contributiva in una misura
legislativa di tutela compensativa per i lavoratori (dipendenti da aziende
costrette ex lege a dismettere l’utilizzo dell’amianto come materia
prima) che si fossero trovati privi dell’occupazione e non avessero potuto
ricorrere agli altri strumenti approntati dall’art. 13 (cioè cigs,
prepensionamenti, ecc.). Questo autore – di cui si condividono le sole
considerazioni portanti ed obiettive, non già l’uso strumentale teso a
sostenere la fondatezza della tesi (non
supportata dal testo di legge ed ora sconfessata dalla stessa Corte
costituzionale) secondo cui i benefici di supervalutazione contributiva erano
finalizzati a compensare la perdita del bene/occupazione e non già a risarcire
i pregiudizi potenziali al bene/salute -
così illustra quanto già ampiamente noto alla dottrina medica e cioè
che: “ Il mesotelioma – tra le più terribili patologie connesse con
l’aerodispersione di fibre di amianto – presenta…le caratteristiche di
dose-indipendenza (cioè si attiva anche per esposizione ad infinitesime
quantità di amianto, al limite anche ad una sola fibra) e di autosufficienza
del meccanismo patogenetico (cioè di irrilevanza delle esposizioni successive a quella che ha ingenerato l’avvio
del processo degenerativo), con l’ulteriore peculiarità che il più alto livello
di mortalità si riferisce ai primi due o tre anni di esposizione, con crescita
modesta, al più, fino a 10 anni, e quindi con l’eliminazione del rischio dopo
tale periodo” (17).
Nell’ottica di resuscitare la diversa tesi – caducata dalla
Corte costituzionale - di
finalizzazione della L. n. 257/1992 alla tutela del bene/occupazione, sempre il
sopracitato autore si impegna nell’evidenziazione delle contraddizioni del
nuovo (insoddisfacente) orientamento della Cassazione (inaugurato con la
decisione n. 4913/2001 e confermato nella successiva n. 8859/2001) con la
tutela indennitaria o risarcitoria del bene/salute, affermando: “Tale
irrazionalità (del nuovo orientamento della Suprema corte, n.d.r.) emerge
sia quanto al rischio correlato alla possibile comparsa dell’asbestosi (e dei
tumori polmonari che ne costituiscono una degenerazione), poiché per
l’insorgenza di tale patologia nell’arco di 10 anni la scienza medica richiede
un’esposizione non inferiore a 2,5 fibre/cm3 sulla media ponderata delle 8 ore
giornaliere, dunque una concentrazione 25 volte superiore alla soglia
individuata nell’art. 24 del d. lgs. n. 277/1991 (come dire, cioè, che la
durata decennale, a tali livelli di concentrazione è assolutamente irrilevante,
dal momento che non vi è nessuna possibilità che possa insorgere asbestosi),
sia quanto alla possibile insorgenza del mesotelioma, dove al contrario non
esiste una soglia di sicurezza ed il rischio è massimo nel primo triennio di
esposizione, per poi diminuire al decimo anno e cessare dopo tale termine”…”E’
di tutta evidenza, dunque, che movendo dai presupposti accolti dai giudici di
legittimità…e percorrendo un iter interpretativo coerente si approda a
conclusioni inique e irrazionali, proprio con riferimento allo stesso
bene/salute che si assume destinatario di tutela nelle intenzioni del
legislatore del 1992”…cosicchè… “in una logica di tutela della salute,
il limite decennale sarebbe talmente irrazionale da dubitare della compatibilità
della norma con il precetto di cui all’art. 3 Cost”, giacchè per
contrarre il mesotelioma sarebbe anche
sufficiente sia un lasso di tempo
infradecennale sia un limite di soglia ampiamente inferiore a quello
individuato (a fini prevenzionali, quale “soglia d’allarme” e
d’intervento) dall’art. 24 d.lgs. n.
277/1991. Invero quello che si acquisisce come dato scientifico inconfutabile
(e che per noi rileva) è che di tumore
(mesiotelioma e simili) si muore nell’ambiente di lavoro ove è presente l’amianto,
indipendentemente dalla inalazione di fibre oltre un determinato limite di
soglia (ed il dato scientifico inconfutabile non può essere impunemente
sottovalutato!).
Tornando alla doglianza o addebito di conflitto con l’art. 3
Cost. a causa della scelta legislativa
dell’unico criterio tipizzato selettivamente – rappresentato dalla sola
“esposizione ultradecennale” alla sostanza amianto – va rilevato, peraltro, come essa sia stata già respinta dalla
Corte costituzionale nella suindicata decisione n. 5 del 2000, attraverso
la convincente premessa argomentativa,
prima di entrare nel merito, secondo cui “non essendo consentito al controllo di costituzionalità di
travalicare in apprezzamenti che sconfinino nel merito delle opzioni
legislative, non può ovviamente venire in considerazione, agli effetti di un
ipotetico contrasto con il canone di eguaglianza, qualsiasi incoerenza,
disarmonia o contraddittorietà che una determinata previsione normativa possa,
sotto alcuni profili e per talune
conseguenze, lasciar trasparire”.
Da quanto sopra discende l’irrilevanza - ai fini di caducare la scelta legislativa
del requisito della “esposizione ultradecennale” in se e per se, senza alcuna
addizionale integrazione di “limiti di soglia” effettuata, invece, arbitrariamente
dalla Cassazione – delle eventuali contraddittorietà o disarmonie conseguenti
alla scelta discrezionale, nella misura in cui questa non travalichi o trasmodi
nella totale irragionevolezza. Orbene, la scelta od opzione legislativa di
condizionare al solo requisito della “esposizione temporale ultradecennale” ad
una sostanza ad innegabile rischio morbigeno, la spettanza del beneficio della
supervalutazione contributiva del periodo di esposizione medesima, rappresenta
di per se un valido e ragionevole criterio selettivo a fini
indennitario/risarcitori della platea dei beneficiari e le disarmonie di
trattamento che tale scelta può
occasionare costituiscono l’immanente, ineliminabile, conseguenza del carattere
di generalità o compromissorietà del requisito selettivo (la durata
ultradecennale), assunto dal legislatore quale parametro rivelatore del rischio
morbigeno all’interno dell’ampio ed
indefinito panorama delle patologie che l’amianto può ingenerare, a prescindere
dal fatto della sufficienza per talune forme tumorali di un lasso di tempo di
latenza anche inferiore al decennio (ciò evidenziando semmai e soltanto come
l’opzione legislativa si sottragga ad addebiti di “favor” verso i
prestatori di lavoro). E giustappunto la Corte costituzionale si premura di
affermare – a scanso di equivoci e precludendo di entrare nel merito della
tipicità di singole patologie – che “ il concetto di esposizione
ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività
lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3
dpr n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio,
e, più precisamente di rischio morbigeno rispetto alle patologie, “quali esse
siano”, che l’amianto è capace di
generare per la presenza nell’ambiente di lavoro”, senza richiamo alcuno al superamento di “valori di
soglia”, oggetto di introduzione o di presupposizione tanto creativa quanto
indebita della Corte di cassazione.
4. Ne
consegue che le conclusioni più convincenti, fondate e da noi pienamente
condivise per affrontare la specifica
tematica più che con modernità di
vedute con il giusto senso di rispetto della salvaguardia del bene primario
della salute – in armonia con la rilevanza costituzionale dello stesso che non
sopporta condizionamenti di tipo economicistico - risultano essere quelle che
si leggono nell’approfondita ed esaustiva sentenza del Tribunale di Ravenna del
13 aprile 2001 (cit. in nota 11) ove la questione è esaminata “funditus” con dovizia di argomentazioni (sorprendentemente trascurate dalla
Cassazione), il cui rigoroso estensore
si è espresso nel senso che: “In base
alla L. n. 257/1992, secondo l'interpretazione della Corte costituzionale resa
con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, i benefici per l'esposizione all'amianto
non sono limitati a chi era soggetto al premio per l'asbestosi, né solamente a
chi ha perso il posto nel settore amianto, ma sono dovuti a tutti i lavoratori
esposti per oltre dieci anni all'amianto - in funzione
compensativa/risarcitoria - senza che sia necessario raggiungere una soglia di
esposizione, nella logica che è giusto accorciare i requisiti contribuitivi
necessari per la pensione a favore di chi ha avuto accorciata presumibilmente
la vita per l'esposizione all'amianto e che è soggetto dopo un periodo
lunghissimo al sopraggiungere improvviso e imprevedibile di malattie gravissime
o della morte.
Le soglie di
esposizione all'amianto indicate dal D.Lgs. n. 277/1991 sono irrilevanti ai fini
dei benefici previsti dalla L. n.
257/1992 che sono previsti per la semplice esposizione, in via diretta o
indiretta, all'amianto, mentre le
soglie di esposizione ex D.Lgs. n. 277/1991
non costituiscono «valori limite», perché
non hanno la funzione di demarcare in modo
rigido l'innocuo dal nocivo, ma hanno solo la funzione di indicare soglie d'allarme, al di sopra del quale deve attivarsi un complesso
e adeguato sistema di informazione e controllo; le soglie di esposizione previste dal D. Lgs. n. 277/1991 costituiscono un limite massimo, al di sotto del quale rimane comunque la nocività
dell'amianto.
I benefici per
l'amianto disposti dalla L. n. 257/1992 sono riconosciuti solo in rapporto
al rischio morbigeno ultradecennale,
individuato nella legge nella
semplice esposizione, senza indicare limiti o standards; la L. n. 257/1992 non
indica la necessità di tali limiti e la
Corte costituzionale, con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, ha confermato la legittimità della scelta,
mentre i limiti vari e non uniformi
previsti in rapporto a specifici fini
prevenzionistici non possono valere, per
necessità logica e per espressa disposizione di legge, ai diversi fini dei benefici previdenziali; in ogni caso l'unico limite utilizzabile non
potrebbe essere che quello previsto
dal D.M. 6 settembre 1995 (rectius
1994, n.d.r.), per cui è prevista la restituibilità dei
locali bonificati solo in caso di
concentrazione dell'amianto non superiore a 2 fibre/litro” (contro le 100 o 200
previste quali “soglia d’allarme” dagli artt. 24 e 31 d.lgs.n. 277/91)”.
A conclusione un dato di cronaca
che ha vivamente allarmato le varie Associazioni di esposti ad amianto: i c.d.
tecnici (del Ministero del lavoro) al servizio del governo di centro destra –
la cui produzione nota (libro bianco, legge delega di riforma del mercato del
lavoro (18), ecc.) ed in fieri è tutta indirizzata alla introduzione di
strumenti legislativi di precarizzazione del rapporto di lavoro, alla
prospettazione del contratto a termine quale modello unico e generalizzato per
le future assunzioni (in ragione della convertibilità a tempo indeterminato
assistita dalla facoltà di licenziare
ingiustificatamente senza reintegra ex art. 18 st.lav. e con sola
monetizzazione) e alla destruturazione delle pregresse conquiste normative di civiltà
giuridica nella normativa lavoristica e
nelle relazioni sindacali – sembra abbiano già nei cassetti una “bozza
di d.d.l. di modifica dell’art. 13, 8° co., l. n. 257/92” (peraltro nota in
quanto fuoriuscita dagli stessi), sostanziantesi in 5 articoli.
Il contenuto di questa “bozza” – tramite l’abrogazione della preesistente normativa – in
sintesi, mira:
a)
a
ridurre a 1,25 l’attuale maggiorazione di 1,5 (del periodo di esposizione ad
amianto);
b) ad addizionare
all’esposizione ultradecennale il valore di concentrazione in fibre inalabili
(quale indicato dalla Cassazione) nella misura di 100 fibre/litro nelle otto
ore medie al giorno;
c) a sottrarre
la "maggiorazione" dell’anzianità contributiva ad un utilizzo per
un pensionamento anticipato e a trasformarla in solo “beneficio economico”
incrementativo della pensione di coloro che si sono posti in quiescenza per
averne maturato i requisiti in base alla normativa ordinaria (senza
naturalmente avvalersi della contribuzione figurativa da esposizione ad
amianto) e con il limite che il beneficio opera entro e fino al massimo dei 40 anni di contribuzione
(e dal 2007 la contribuzione figurativa da esposizione ad amianto non potrà
eccedere i 5 anni).
Mario Meucci
(pubblicata
su D&L, Riv.crit.dir.lav. 1/2002, p. 25 e ss.; ad essa si
fa riferimento quando nelle note si dice "in questa Rivista")
NOTE
(1) Così Miscione, I
benefici previdenziali per l’amianto, in Lav. giur. 1996, 977 e ss.,
secondo il quale “la maggiorazione ai fini pensionistici deriva dal
riconoscimento di altre e non meno terribili malattie da amianto, oltre la
storica asbestosi, ed in particolare dalla scoperta che l’amianto è causa di
tumori: in sostanza, si è voluto dare un piccolo beneficio economico a chi,
lavorando in un modo o nell’altro con l’amianto, non sapeva di correre rischi
da tumore”(p. 978).
(2) In Cons. Stato
1994, I, 507 e, nello stesso senso, erroneamente di recente Trib. Roma (1°
grado) 9 febbraio 2001, in questa Rivista 2001, 525, con nota di Meucci
(evidenziante l’errore compiuto).
(3)Nel
testo iniziale del D.L. 169/93 era disposto (nel nuovo comma 8°) che i
beneficiari sarebbero stati i lavoratori “dipendenti dalle imprese che
estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso
di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse”; ma
poi nella conversione in legge (L. 271/93), la norma appena riportata è stata
eliminata e quindi il beneficio è
rimasto genericamente “per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per
un periodo superiore a dieci anni”(così dalla nt. 67 dell’articolo di
Miscione, cit. 985).
(4) Miscione, op. cit. 986 e Giometti, L’esposizione
ultradecennale ad amianto e la rivalutazione contributiva, in questa Rivista,
2000, 29 e ss.
(5) In Lav. prev.
Oggi, 1998, 2037.
(6) In Dir. lav.
1999, II, 55.
(7) In Mass. giur. lav. 1998, 896.
(8) In Foro it.,
Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 529.
(9) L. Spagnuolo
Vigorita, L’orientamento della
Cassazione in tema di contribuzione aggiuntiva per l’esposizione all’amianto,
in Mass. giur. lav. 1998, 978 e ss.
(10) Così sintetizza le motivazioni della Cassazione, Spagnuolo Vigorita, op. cit. 978 e ss.
(10
bis) Corte cost. n. 434/02 trovasi anche in Lav prev. Oggi, 12/02, p.
1495.
(11)
Pret. Padova 9.6.1997, in Lav. giur. 1998, 481; Pret.
Ravenna 4.12.1997, ibidem 1998, 484; Pret. Pistoia 30.12.1998, in questa
Rivista 1999, 434; Pret. Pistoia 31.12. 1998, ibidem 1998, 729; Pret.
Firenze 13 .1.1999, ibidem 1999, 739 con nota di Monaco; Trib. Ravenna
13.4.2000, in Lav. prev. Oggi, 2001, 617; Trib. Terni 18.12.2000 n. 221
(inedita a quanto consta).
(12) In questa
Rivista 2000, 318, con nota di Giometti, I benefici previdenziali per
l’amianto al vaglio della Corte costituzionale.
(13)
In questa Rivista 2001, 793, con nota critica di
Giometti, Uso improprio delle soglie di allarme del D. Lgs. n. 277/91:
genesi di una nuova nozione di esposizione ad amianto.
(14)
In Lav. prev. Oggi 2001, 1371, con nostra nota
critica.
(15)
Trattasi del D.M.
sanità del 6/9/1994 (in S.o. G.U. n. 288 del 10/12/1994 – ripubblicazione –
titolato “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma
3, dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla
cessazione dell’impiego dell’amianto”) ove al punto 6b (attinente ai “Criteri
per la certificazione di restituibilità” dei locali oggetti di bonifica da
amianto, la riconsegna è condizionata a certificazione delle competenti strutture sanitarie
attestante che “è presente, nei locali stessi, una concentrazione media di
fibre aerodisperse non superiore alle 2 fibre/litro”. Nello stesso senso,
espressamente Trib. Ravenna 13 aprile 2000 (ove peraltro per errore materiale
il d.m. in questione viene designato con l’anno 1995 in luogo del 1994), in Lav.
prev. Oggi, 2001, 617 ed in Lav. giur. 2000, 651 con commento di
Miscione; conf. Trib. Bari (sez.lav.) n. 9848/2000, riportata nel sito: http://www.pensionilex.kataweb.it/Article/0,2562,15070|219,00.html
.
(16)
Tofacchi, Benefici contributivi per amianto: la
Corte di cassazione legge la Consulta e
ripensa la ratio della norma, in Mass. giur. lav. 2001, 730 e ss.
(17)
Sull’argomento
specifico e più in generale si vedano: Conti L., A come amianto,
Edizioni Ediesse s.r.l. 1986; B.E.E.F. & A.E.A & i Verdi al parlamento
europeo, Il libro nero dell'amianto, I Verdi al
parlamento europeo, 1993; Bertagna A.; Ceccarelli G., Monitoraggio
ambientale inerente l'amianto, Atti del Convegno Nazionale
Mesoteliomi Maligni ed Esposizioni Professionali ed Extraprofessionali ad
Amianto, Pisa 13-14/11/1990, Edigrafica snc, 1992; Bruno C., De Santis M.,
Bagnato R., Comba P., La mortalità per tumore maligno del peritoneo
in Italia: ricerca di correlazioni con l'esposizione ad amianto,
Epidemiologia e Prevenzione, 45: 39-47, 1990; AA.VV., Rischio
amianto in ambienti di vita e di lavoro, Regione Lazio-Ass.rato
Sanità Igiene Ambientale, 1991;Guariniello R., Demolizione e
rimozione dell'amianto, in Diritto & Pratica del lavoro,
IPSOA, Milano 1996, n.33, pag. 2385 ss.; Guariniello R., L'amianto
nel D.Lgs. n. 277/1991, in Diritto & Pratica del lavoro,
IPSOA , Milano 1995, n.8, pag. 579 ss.; Guariniello R., Valutazione
e controllo dell'esposizione lavorativa ad amianto, in Diritto
& Pratica del lavoro, IPSOA, Milano 1996, n.9, pag. 572 ss.; Foà, Colosio, Amianto:aspetti
medici con storia degli impieghi industriali ed evoluzione dei livelli
espositivi e degli aspetti normativi, in L. Sagnuolo Vigorita (a cura di), Rischio
amianto, Milano 1997, 33 e ss, particolarmente 39; nonché Chiappino,
Nicoli, Mesotelioma: aspetti medico-legali, in L’amianto:
dall’ambiente di lavoro all’ambiente di vita. Nuovi indicatori per futuri
effetti, Fondazione Maugeri, Pavia 1997.
(18)
Per una analisi
convincentemente critica, vedi Fezzi, La legge delega in materia di mercato del lavoro, n. 88
della sezione “Articoli” del nostro sito (seguito da altro articolo sul tema di L. Gallino).
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Articoli presenti nel sito)