CASO BARILLÀ: PERCHÉ SÌ AL DANNO ESISTENZIALE, SECONDO LA CASSAZIONE PENALE

 

SOMMARIO 1. Introduzione - 2. Il danno non patrimoniale - 3. L’ampliamento dell’area della responsabilità - 4. Il danno morale - 5. Natura non patrimoniale del danno biologico - 6. Valutazioni della S.C. - 7. Il danno esistenziale - 8. Limiti delle sentenze 8827 e 8828/2003 - 9. Differenze fra danno esistenziale e biologico - 10. Diversità fra danno esistenziale e danno morale - 11. Riferimenti normativi: Costituzione e oltre - 12. Una ricostruzione persuasiva - 13. Casistica - 13.1. Cose che valgono - 13.2. Le figure portanti 14. Cambiamenti, riconciliazioni – 14.1. Lezioni del passato - 15. Il requisito dell’ingiustizia - 16. Patrimoniale e non patrimoniale - 16.1. Esemplificazioni - 17. I danni esistenziali ingiusti - 18. Diritto alla “felicità” in che senso – 19. Il rapporto di causalità - 20. Il futuro prossimo fra artt. 2043 e 2059 c.c. - 21. Il no a etichette meramente negative - 22. Tre categorie di danno non patrimoniale - 23. Espansioni future - 24. Riequilibri interni – 24.1. Che cosa cambia - 25. Nuove voci funzionali - 26. Raccordi - 27. Danni plurimi e combinazioni ricorrenti.

 

1. Introduzione

Sono molte le ragioni per cui la pronuncia in esame, agli occhi del civilista, si presenta istruttiva e originale. La delicatezza umana dell’episodio storico, in primo luogo; l’importanza delle questioni che il caso solleva, sotto i profili del quantum debeatur (tipologia delle voci risarcibili, commisurazioni specifiche per ciascuna, etc.); le qualità logiche e sistematiche che la decisione della Corte rivela.

Non ultimo, il fatto che sia stato un collegio penale ad emetterla. Il mondo alla rovescia, verrebbe voglia di commentare! I giudici penali della Cassazione che, in tema di danno alla persona, mostrano di conoscere/comprendere il senso delle alternative in gioco - per certi versi - più e meglio degli stessi giudici civili…

La vicenda di base è nota. Il 13 febbraio 1992 Daniele Barillà, titolare da qualche anno di una ditta artigiana di assemblaggio di materiale elettrico, viene arrestato per reati (da lui in effetti non commessi) concernenti il traffico di sostanze stupefacenti. Condannato, subirà una detenzione, dapprima cautelare e poi in espiazione della pena, per complessivi sette anni, cinque mesi e dieci giorni. Si scopre poi che il Barillà è innocente: il 17 luglio 2000 l’uomo, che ha sempre continuato a proclamarsi non colpevole, viene assolto per non aver commesso il fatto. Di qui la domanda di riparazione dell’errore giudiziario – domanda che la Corte di Genova (dopo aver nominato due periti per l’accertamento delle conseguenze psico-fisiche della detenzione subita) accoglierà positivamente, determinando l’ammontare del dovuto nella somma di 3.947.994,00 euro.

A seguito dei ricorsi contro tale provvedimento (proposti dall’Avvocatura dello Stato nonché dalla Procura della Corte d’appello di Genova) la Corte di cassazione, sezione quarta penale, respinge con la sentenza in commento - dopo avere annullato l’ordinanza ligure limitatamente ad alcuni profili dell’indennizzo - i ricorsi stessi.

 

2. Il danno non patrimoniale

Più d’una – sul terreno dei danni non patrimoniali (alle cui tematiche il discorso si limiterà di qui in avanti) - le questioni che la Cassazione affronta esplicitamente.

Fra i punti di maggior interesse per il tortman: il significato dei modelli che sono venuti affacciandosi, da ultimo, nel settore del danno alla persona; la nozione di danno morale soggettivo, gli orientamenti disciplinari emersi al riguardo, le funzioni che il risarcimento è chiamato a svolgere in quest’area; le origini lontane e vicine del danno biologico, le dispute sulla patrimonialità/non patrimonalità di simile voce, la querelle circa la sede codicistica da preferire.

Ancora: l’attendibilità o meno dei timori, manifestati da certi dottrinari, circa gli squilibri cui l’istituto aquiliano andrebbe incontro oggigiorno - stante l’affermarsi di linee eccessivamente indulgenti (si afferma) nei confronti della vittima; i tratti distintivi del danno esistenziale, le sue peculiarità rispetto al danno biologico e al danno morale, l’opportunità o meno di far luogo ad allargamenti di tutela, in quest’ambito, la sufficienza o meno dei filtri che sono offerti dal sistema.

Sono tutti passaggi rispetto ai quali le ricostruzioni fornite dalla S.C. appaiono - s’è detto - del tutto equilibrate e condivisibili.

 

3. L’ampliamento dell’aera della responsabilità

Punto di partenza, nel ragionamento della Corte, è il riscontro dell’evoluzione recentemente avvenuta in materia di danno alla persona.

(a) Ricordano i giudici, in primo luogo, come “l’evidente iniquità della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale alle ipotesi di reato (e alle altre limitate ipotesi via via introdotte dal legislatore)” abbia avuto l’effetto di indurre “dottrina e giurisprudenza a costruire, in un primo tempo, ipotesi di danni risarcibili come danni patrimoniali anche in casi nei quali la lesione patrimoniale era assai poco evidente e comunque poteva mancare”;

(b) in tal senso - continua la pronuncia - la prima citazione non può che andare alla figura del danno biologico (“costituito, come si è detto, dalla lesione dell’integrità psico fisica della persona   che è stato fondato sulla diretta violazione del diritto alla salute e all’integrità psicofisica della persona, garantito dall’articolo 32 della Costituzione, ma con il richiamo all’articolo 2043 c.c., e non all’articolo 2059 del medesimo codice, anche dopo che ne è stata riconosciuta la natura non patrimoniale”);

(c) la seconda menzione, non meno eloquente, concerne l’entrata in scena del danno esistenziale - categoria sui cui tratti caratteristici l’estensore dichiara di voler tornare più avanti, nel corso della motivazione; anticipando solo che, di questo tipo di pregiudizio, la “natura non patrimoniale, a differenza di quello biologico, è sempre stata indiscussa”:

(d) ecco poi, in generale, la precisazione secondo cui il “danno non patrimoniale risarcibile” non può essere riduttivamente ricondotto al c.d. “danno morale soggettivo”   cioè “alla mera sofferenza psicologica, al patema d’animo, al turbamento contingente conseguente al fatto illecito” – trattandosi (ricordano i giudici) di un’entità che abbraccia “invece tutte le conseguenze dell’illecito che non sono suscettibili di una valutazione pecuniaria”;

(e) si sottolinea anzi, al riguardo, come l’ampliarsi della nozione di danno non patrimoniale ben al di là dei confini del danno morale soggettivo abbia avuto, fra le sue prime conseguenze, quella di consentire l’estensione della risarcibilità del danno non patrimoniale anche a soggetti diversi dalle persone fisiche;

(f) particolarmente indicativo, sotto altro profilo, suona poi anche in Italia “l’orientamento della giurisprudenza comunitaria che, dopo avere in più occasioni riaffermato che la risarcibilità del danno morale costituisce problema riservato alle legislazioni nazionali, ha in un caso che potrebbe anche essere ritenuto di natura “bagatellare” (quello della “vacanza rovinata”)” - caso che, proprio per questa ragione, conferma agli occhi dei giudici “la tendenza espansiva del danno non patrimoniale”   riconosciuto la risarcibilità del danno morale conseguente all’inadempimento delle prestazioni pattuite dagli organizzatori di viaggi organizzati;

(g) viene infine ricordato, dalla S.C., come “l’evoluzione giurisprudenziale più significativa in tema di danno non patrimoniale” sia cosa vicina, recentissima; “con due sentenze depositate il medesimo giorno (31 maggio 2003 nn. 8828, che indica le soluzioni proposte, e 8827 che, su questi temi, richiama e fa proprie le argomentazioni dell’altra sentenza) la terza sezione civile di questa Corte ha ribadito innanzitutto come non possa più essere ricondotto, il concetto di danno non patrimoniale, al mero danno morale soggettivo e ha interpretato l’articolo 2059 in esame nel senso che “il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona’”. Ha ritenuto che una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 Cc imponga di ritenere inoperante il limite posto da tale norma “se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti” ed in particolare i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione”.

 

4. Il danno morale

Di qui una serie di puntualizzazioni, fornite dalla S. C. penale, in ordine alla fisionomia complessiva che la categoria del danno morale è venuto assumendo, ai nostri giorni - con il corredo di alcuni rilievi di dettaglio, a proposito delle sviste che la corte genovese di merito mostra di aver commesso al riguardo.

Quest’ultima ha in particolare errato, sostiene la Cassazione, nel far rifluire ogni voce del danno morale soggettivo entro il raggio di quello esistenziale (figura che appare al centro, ricordiamo, delle impugnazioni proposte dai soccombenti in cassazione). La verità è che, sul punto in esame, “l’interpretazione della Corte di merito sul danno morale soggettivo appare riduttiva, perché questa tipologia di danno ha perso, o visto attenuato nel tempo, l’originario carattere sanzionatorio per assumere sempre più una veste anche riparatoria”.

Occorre anzi tenere presente – concludono i giudici penali – che la sent. di Cass. n. 8827 del 2003 “ha compiuto un ulteriore passo per svincolare dal reato anche il danno morale soggettivo, avendo ritenuto che, nel caso di pregiudizi derivanti dalla lesione di un interesse costituzionalmente protetto, “il pregiudizio consequenziale integrante il danno morale soggettivo (patema d’animo) è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato’’”.

 

5. Natura non patrimoniale del danno biologico

Seguono da parte della Corte alcune illustrazioni (tutte, bisogna dire, da condividere) in merito alla nozione e alla disciplina del danno biologico.

Osserva anzitutto la S.C. come la categoria in questione rappresenti, essenzialmente, il frutto di un’elaborazione di stampo giurisprudenziale - pur avendo il danno biologico trovato da ultimo “significative conferme a livello legislativo con l’entrata in vigore del D.Lgs 38/2000 e della legge 57/2001”. E si ricorda poi, opportunamente, come il nocciolo dei pregiudizi inflitti dall’agente sia rappresentato qui “dalla compromissione, di natura areddituale, dell’integrità psicofisica della persona”.

Continuano poi i giudici: “Sul punto della collocazione teorica del danno biologico deve rilevarsi che la qualificazione come danno non patrimoniale data dal giudice della riparazione appare del tutto corretta e confermata dalla giurisprudenza di legittimità. La lesione del bene giuridico tutelato non necessariamente comporta un pregiudizio di natura patrimoniale: chi vive esclusivamente di investimenti finanziari potrà continuare a farlo, e a percepire i medesimi introiti, anche se ha subito un gravissimo incidente che ne provoca l’immobilità”.

Viene precisato subito dopo: “Per converso un danno biologico modesto (per es. una lesione permanente ad una mano) potrà provocare un danno economico rilevantissimo ad un affermato pittore o ad un noto pianista. Ma, in quest’ultimo caso, il danno economico andrà risarcito autonomamente come riduzione della capacità lavorativa (in questo caso specifica) e non come danno biologico che troverà un suo autonomo risarcimento (ma taluni, come si è già accennato, preferiscono usare, per il danno non patrimoniale e quindi anche per il danno biologico, il termine riparazione)”.

Ecco poi dalla S. C. il (richiamo al) passaggio in cui, nel testo della 8827 e della 8828/03, si dichiara esplicitamente che l’orientamento tradizionale, favorevole a collocare la disciplina del danno biologico nell’art. 2043 c.c., “non appena ne sarà fornita l’occasione, merita di essere rimeditato”.

Aggiunge la Cassazione penale come tale impostazione sia “stata autorevolmente accolta anche dalla Corte costituzionale che, investita per l’ennesima volta della questione di costituzionalità dell’articolo 2059 Cc, ha, con la sentenza 233/03, condiviso integralmente il mutamento giurisprudenziale del giudice di legittimità sul danno non patrimoniale e ha espressamente affermato la natura non patrimoniale del danno biologico tutelabile attraverso la tutela fornita dall’articolo 2059 Cc che, proprio in conseguenza di questa interpretazione costituzionalmente orientata, si è salvato ancora una volta dalla dichiarazione di incostituzionalità”.

A tale riguardo anzi - contro l’opinione di “autorevole corrente dottrinaria”, la quale “ha posto motivatamente in discussione questo orientamento ed in particolare la tendenza a creare, con l’interpretazione ricordata dell’articolo 2059 Cc, una clausola generale di responsabilità non patrimoniale relegando l’articolo 2043 del medesimo codice a clausola generale di responsabilità patrimoniale” – sempre la Cass. penale ribadisce di “condividere l’orientamento ricordato” della 233/2003, affermando “la natura non patrimoniale del danno biologico” e approvando in concreto “la sua collocazione all’interno dell’articolo 2059 Cc quale danno alla salute tutelato direttamente dall’articolo 32 della Costituzione”.

 

6. Valutazioni della S.C.

Inizia qui un altro capitolo della sentenza - di taglio più scopertamente critico, in merito ai percorsi disciplinari sopra illustrati.

Dopo una breve premessa - a metà fra realismo letterario e prudenza dogmatica (meglio non “addentrarsi in una problematica che sarebbe opera di presunzione tentare di risolvere da parte del giudice penale di legittimità”) - rimarca la Corte che “le fondate preoccupazioni della corrente dottrinaria contraria a questa evoluzione della giurisprudenza   preoccupazioni dirette soprattutto alla finalità di non estendere in modo abnorme una forma di responsabilità per sua natura dai contorni generici e indefiniti   possono essere significativamente attenuate con una duplice considerazione: 1) anche il danno non patrimoniale richiede pur sempre l’ingiustizia (oltre che l’elemento soggettivo e il rapporto di causalità) secondo i criteri di valutazione formatisi nell’interpretazione dell’articolo 2043 c.c. (che può quindi continuare a rappresentare la clausola generale della responsabilità compresa quella per danni non patrimoniali; un passaggio della sentenza 8828/03 lo dice espressamente); 2) l’applicazione estensiva dell’articolo 2059 c.c. non dà luogo ad un abnorme ampliamento dei casi di danni risarcibili perché la selezione degli interessi meritevoli di tutela avviene con il parametro costituzionale (addirittura, se il riferimento è all’articolo 2, con la sola considerazione dei diritti l’inviolabili)”.

In altre parole: “il sistema della responsabilità per danno non patrimoniale è dotato di due filtri, quello dell’articolo 2043 e, una volta superato questo varco, quello dell’articolo 2059 (casi previsti dalla legge, reato, lesione di diritti costituzionalmente protetti). E questo assetto, tra l’altro, garantisce un sufficiente grado di tipicità delle ipotesi di danno riparabile venendo incontro ad un’altra preoccupazione espressa da una parte della dottrina. Si aggiunga, come possibile (e discusso) ulteriore criterio selettivo (peraltro non richiamato né dalla Corte costituzionale né dalla Cassazione), quello sostenuto da autorevole dottrina che richiede inoltre, come previsto da altri ordinamenti per i danni non patrimoniali, una gravità dell’offesa che giustifichi la riparazione”.

Conclusione finale sul punto: “ingiustizia del danno e valori costituzionali valgono sufficientemente a selezionare i danni meritevoli di tutela riparatoria, anche se provocati nell’esercizio di attività legittime (ma con conseguenze ingiuste) rispetto a quelli bagatellari”. Siamo di fronte insomma - con il trasloco dell’intero danno non patrimoniale, in tutte le sue vesti possibili, comprese quelle sin qui affidate alla gestione dell’art.2043 c.c. - ad un “ disegno complessivo di razionalizzazione del sistema della responsabilità civile, nell’ambito di un processo che mostra una condivisibile tendenza alla tutela dei valori della persona anche quando i pregiudizi subiti dalla medesima non abbiano risvolti economici ma si risolvano nella lesione dell’integrità fisica e morale, degli interessi riguardanti gli affetti, i rapporti personali e familiari”.

Tutte “situazioni giuridiche spesso contrabbandate come aventi carattere patrimoniale proprio per garantirne la tutela giurisdizionale”; ciò che corrisponde, d’altronde, a una linea di tendenza nient’affatto sorprendente nella responsabilità civile - se è vero che in questo campo “spesso sono stati i danni ingiusti a orientare l’interpretazione della norma e non viceversa”.

 

7. Il danno esistenziale

Seguono alcuni capoversi - da parte della S.C. – circa i tratti distintivi della figura dottrinaria/giurisprudenziale che, sempre più in questi anni, è venuta occupando il posto di centro nella “nuova” responsabilità aquiliana: il danno esistenziale.

Da quali lidi la categoria in esame arrivi, in primo luogo: ricordano appunto i giudici che essa “costituisce il frutto di un’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale relativamente recente”. In cosa consista il pregiudizio che si lamenta: esso “è ricollegato ad un peggioramento non temporaneo della qualità della vita del danneggiato con un conseguente mutamento radicale delle sue abitudini, dei suoi rapporti personali e familiari”.

Atteggiamenti della dottrina in proposito: “sulla natura, presupposti e fondamento del danno esistenziale la dottrina è divisa (si sono formate tre scuole facenti capo a sedi universitarie denominate triestina, torinese e pisana, quest’ultima contraria alla categoria del danno esistenziale)”. Propensioni manifestate dalle corti italiane: la “giurisprudenza è sempre più orientata a ritenere ammissibile la riparazione del danno esistenziale e questo percorso è da ritenere confermato dalle citate sentenze 8828 e 8827 e da quella della Corte costituzionale n. 233 (quest’ultima, a differenza delle altre due, fa esplicito riferimento anche al danno esistenziale)”.

 

8. Limiti delle sentenze 8827 e 8828/2003

Ecco il tono della sentenza in commento cambiare alquanto, però, di qui in poi - facendosi (da riepilogativo) schiettamente e apertamente critico verso gli approcci della 8828 e della 8827, sul punto specifico.

Poco convincente, ai giudici del caso Barillà, appare in particolare la maniera con cui le dette pronunce hanno affrontato le problematiche di gestione del danno esistenziale, e delle altre voci di danno non patrimoniale (biologico, morale). In effetti:

(a) da un lato, “il giudice civile di legittimità sembra propendere per un concetto unitario di danno non patrimoniale”;

(b) dall’altro, lo stesso giudice afferma di ritenere “ non proficuo “ (di qui in poi la S.C. citerà esplicitamente le parole delle due sentenze del 2003) “ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione al risarcimento, in riferimento all’articolo 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica”.

Orbene, “in questa ottica - rileva la S.C. penale - le sentenze citate della terza sezione evitano di fare espresso riferimento al danno esistenziale”. “Ma – ed ecco le note di perplessità del collegio, proprio tenuto conto delle situazioni concretamente all’origine della 8828 e della 8827 - l’esame dei casi presi in considerazione conferma che i danni accertati erano riferiti a questo tipo di danno (in un caso riguardavano la perdita del rapporto parentale; nell’altro lo sconvolgimento delle abitudini dei genitori conseguente alle gravissime lesioni subite dal figlio ridotto allo stato vegetativo) perché si riferivano a casi che la precedente giurisprudenza, anche di legittimità, collocava tra i danni di natura esistenziale”.  

9. Differenze fra danno esistenziale e biologico

Proseguendo lungo le stesse linee (distinguibilità ontologica tra i vari lemmi del danno patrimoniale, valore anche pratico di tali differenze), i giudici penali avvertono subito dopo l’esigenza di offrire una serie di puntualizzazioni quanto ai rapporti correnti fra il danno esistenziale, da un lato, e le altre due poste non patrimoniali, dall’altro lato.

Si tratta, in particolare, di non far mancare un riscontro (e un’attenta risposta) alle osservazioni che figurano poste a base dell’impugnativa della sentenza genovese - da parte della Procura e dell’Avvocatura.

Circa i nessi fra danno biologico e danno esistenziale, allora: “non è condivisibile la critica di fondo contenuta nei due ricorsi che, sostanzialmente, lamentano che, con il riconoscimento del danno esistenziale, si opererebbe un’indebita duplicazione risarcitoria con il danno biologico. Questa duplicazione non esiste perché il danno esistenziale è cosa diversa dal danno biologico e non presuppone alcuna lesione fisica o psichica, né una compromissione della salute della persona, ma si riferisce ai già indicati sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate dal fatto illecito. Si vedano gli esempi esaminati, e già accennati, nelle sentenze 8827 e 8828”.

 

10. Diversità fra danno esistenziale e danno morale

Non diverse le conclusioni per quanto concerne il raffronto fra i due modelli del d.morale e del d.esistenziale.

Occorre evitare ancora una volta – rimarca la Cassazione – di confondere “la natura delle due tipologie di danno: il danno morale soggettivo (pati) si esaurisce nel dolore provocato dal fatto dannoso, è un danno transeunte di natura esclusivamente psicologica; il danno esistenziale (non facere ma anche un facere obbligato che prima non esisteva), pur avendo conseguenze di natura psicologica, si traduce in cambiamenti peggiorativi permanenti, anche se non sempre definitivi, delle proprie abitudini di vita e delle relazioni interpersonali”.

E “la non sovrapponibilità tra le due categorie di danno emerge chiaramente proprio in relazione all’ingiusta detenzione: la privazione della libertà personale per un solo giorno può provocare un gravissimo danno morale ma il danno esistenziale, in questi casi, può anche mancare”.

Sono nozioni cui gli stessi giudici genovesi (continua la S.C.) fanno un consapevole riferimento, allorché - con riguardo alla vittima dell’errore giudiziario - parlano, sia pure erroneamente, di danno morale: “la Corte fa infatti riferimento al “carico di sofferenze” ma lo ricollega al modificato regime di vita e alla privazione della libertà personale, le cui conseguenze perdurano nel tempo, non avendo potuto il Barillà, dopo la scarcerazione, ripristinare le sue precedenti abitudini di vita. Non quindi - conclude la S.C. - sofferenza psicologica transitoria connaturata al danno morale soggettivo ma sconvolgimento perdurante nel tempo (anche successivamente all’avvenuta scarcerazione) delle abitudini di vita che costituisce l’aspetto caratterizzante del danno esistenziale”.

Ecco perché l’ordinanza genovese, al di là di qualche imprecisione sul terreno definitorio o qualificatorio, non può che ritenersi nella sostanza impeccabile: “nel caso in esame il giudice di merito ha accertato l’esistenza di tutti i presupposti per la risarcibilità del danno esistenziale subito da Barillà, e ben può affermarsi che l’ipotesi in esame costituisca un caso emblematico dello sconvolgimento esistenziale che procurano una detenzione, una sottoposizione a processo e una condanna ad una lunga pena da espiare, poi rivelatesi ingiuste, e da cui conseguono la privazione della libertà personale, l’interruzione delle attività lavorative e di quelle ricreative, l’interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali, il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita e altre che non è necessario precisare”.

Conclude su questi aspetti la S.C.: “insomma l’ingiusta detenzione e l’ingiusta sottoposizione a processo costituiscono forse un caso ancor più significativo tra quelli che la giurisprudenza ha fino ad oggi preso in considerazione per fondare la risarcibilità del danno esistenziale”.

 

11. Riferimenti normativi: Costituzione e oltre

Ultimo nodo per i giudici penali: il sistema dei riferimenti normativi la cui violazione sarebbe idonea a legittimare, volta per volta, il risarcimento del danno esistenziale.

Premette al riguardo la Corte: “Quanto al fondamento giuridico (il rinvio, da taluno ritenuto riserva di legge, contenuto nell’articolo 2059 c.c.) in questo caso la tutela si fonda non solo sulla norma costituzionale generica (articolo 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo) ma anche sulle norme, specifiche, che sanciscono l’inviolabilità della libertà personale (articolo 13) e tutelano le libertà, previste negli articoli successivi, che la detenzione inevitabilmente comprime o addirittura esclude (per es. la libertà di circolazione)”.

Ecco allora la precisazione di maggior rilievo, operativamente: si tratta in ogni caso di richiami (oltre che complessi in se stessi) non strettamente circoscrivibili al testo puro e semplice della nostra Costituzione: e “ne consegue che correttamente la Corte di merito ha ritenuto la risarcibilità (o riparabilità) anche del danno esistenziale perché ricollegato ad una privazione o restrizione legittime  - ma successivamente rivelatesi ingiuste -  degli indicati diritti garantiti non solo dalla nostra Costituzione ma anche dai già ricordati articolo 5 comma 50 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sull’articolo 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici”.

La conclusione finale è d’obbligo: «sembra del tutto condivisibile l’affermazione fatta in dottrina, proprio a commento dell’ordinanza in esame, che l’articolo 643 Cpp “contempli uno dei casi di risarcibilità dei danni non patrimoniali a cui rinvia l’articolo 2059 c.c.”».

 

12. Una ricostruzione persuasiva

Uno dei tratti che più spicca in questa sentenza penale - se la si confronta con certi scritti dottrinari e decisioni giurisprudenziali, anche recenti - è la mancanza di ogni sospettosità/catastrofismo nell’approccio alle questioni sul danno.

Nessuno dei preconcetti e dei timori di collasso che vediamo permeare, da qualche anno, tante fra le obiezioni avanzate dai c.d. “antiesistenzialisti”.

Non - in particolare - gli allarmismi nei confronti degli attori in giudizio (spesso additati quali simulatori di professione, pronti a trasformare qualsiasi inezia in fonte di lucro); non la diffidenza verso il ceto degli avvocati (accusati ritualmente di scarsa coscienziosità, disposti ad assecondare ogni messinscena dei clienti); non gli scetticismi circa la perspicacia dei giudici (visti come inermi dinanzi alle commedie, all’oscuro dei guasti che la loro ingenuità determinerebbe).

Accenti fiduciosi invece, quelli della S.C. penale, ispirati a ragionevoli aperture di credito verso il sistema; gli “addetti ai lavori” pensati come operatori in grado, tendenzialmente, di fare il loro mestiere e di scansare i tranelli del caso. Distensione, sapienza dogmatica, pacatezza di tono. Moniti a non sottovalutare l’importanza dei filtri che sono attivi - secondo quanto il legislatore ha previsto - per la responsabilità aquiliana in generale.

Un diritto normale per persone qualsiasi che subiscono incidenti di tutti i giorni – lesioni tali da incrinare, di tanto o di poco, la qualità e la serenità della vita.

Il riscontro - repertori giurisprudenziali alla mano - per le garanzie istituzionali che il processo appresta, a favore di entrambi i protagonisti; il richiamo alla severità degli ostacoli che attendono al varco chiunque punti a un ristoro per i danni: l’attitudine della macchina aquiliana a sbarrare, operativamente, l’ingresso alle istanze insensate, pretestuose - o fatte oggetto, sotto altra veste, di un preventivo, integrale risarcimento (dentro o fuori il processo).

Il conteggio dei fardelli destinati a gravare, in giudizio, su ogni mossa o contromossa del plaintiff - in merito alla prova del dolo e della colpa, oppure circa il fattore oggettivo di collegamento; o ancora in ordine al nesso di causalità, ovvero riguardo alla sussistenza e alla misura del danno.

In particolare: l’onere per chi abbia subito un torto di dimostrare l’effettività, e possibilmente la misura, dei contraccolpi patrimoniali e non patrimoniali - quello biologico, quello morale, quello esistenziale - così come lamentati nella citazione. Pena il rifiuto di ogni salvaguardia ex lege Aquilia.

Onere prospettato, bisogna dire, in chiave fin troppo rigorosa da alcune recenti pronunce, specialmente quanto all’ultima voce lesiva, pur ammessa in linea di principio come meritevole di ascolto - tanto, è stato osservato, da avvicinare la sostanza dei risultati così ottenuti a certe invocazioni degli anti-esistenzialisti (al punto da far rimpiangere, per un attimo, le stesse eterodossie e disinvolture di marca eventistica!).  

Casistica

Si capisce come la Corte del caso Barillà possa orientarsi, d’altro canto, nel bilancio relativo alla casistica giurisprudenziale – quella di legittimità come quella di merito, in particolare rispetto alle pronunce dell’ultimo decennio. E si tratta di passaggi ancora una volta da condividere.

Gli “antiesistenzialisti” parlano, come fanno in continuazione, di danni (da qualificarsi) immaginari o esagerati, comunque di pregiudizi insignificanti per qualità e quantità, spesso in agguato nelle cause civili di oggigiorno? Di quasi-spose vittime di tagli sbagliati di capelli, di automobilisti multati inopinatamente per divieto di sosta - di lacrime destinate a scorrere per motociclette nuove rubate, di viaggiatori lasciati ad attendere per ore e ore in aeroporto, senza informazioni di sorta?

E’ facile avvedersi come non siano quelli, in materia, gli esempi davvero eponimi, portanti; e lo stesso andrà ripetuto per quasi tutte le ipotesi di condanna (di natura pretesamente futile, bagatellare) che vengono evocate nei dibattiti. Le decisioni circa il cagnolino o il gattino di casa, ucciso apposta o per sbaglio da un terzo; oppure quelle sulla studentessa laureata con quindici punti meno del dovuto, sull’automobilista incidentato con un fermo macchina di qualche giorno, sul liceale alloggiato suo malgrado presso una famiglia di anziani bigotti statunitensi, sul proprietario di un cellulare attivato dall’ente gestore dopo settimane di attesa. E così di seguito.

E’ palese come non possa bastare un ventaglio del genere a “ridicolizzare”, di tanto o di poco, la figura del danno esistenziale – a trasformarla in qualcosa di diverso da quello che essa è. E ciò per due ordini di considerazioni almeno.

Una domanda anzitutto: avremmo mai assistito in Italia - qualora l’inventario dei reperti si esaurisse per intero nelle curiosità di cui sopra - a uno sviluppo così intenso, vigoroso della categoria? Bestiole, motocicli e cellulari possederebbero da soli il dono di irretire la Cassazione, nelle sue varie sezioni, di sedurre al primo incontro anche la Corte costituzionale?

La verità è che, se quelli e nessun altro fossero stati gli episodi risolti dalle nostre corti, tutto sarebbe rimasto entro i confini di un’aneddotica marginale - ai limiti del pettegolezzo o del folklore. Difficilmente avremmo assistito, quanto al modo di guardare all’universo del non patrimoniale (non solamente al d.e.), al “rivoluzionamento” che si è verificato nel nostro paese, a partire dagli anni ‘90, presso tanta parte della dottrina e della giurisprudenza.

 

13.1. Cose che valgono

Il che non comporta beninteso (e arriviamo così al secondo punto) l’attribuzione di una parvenza di verità alla parte riposta, sottintesa del discorso avversario - non giustifica, in particolare, le ironie o le indignazioni di prammatica, messe in campo da alcuni antiesistenzialisti, riguardo alle pronunce “eclettiche” di cui sopra.

Ci vuol poco ad accorgersi che:

(a) alcune delle controversie in esame (quelle relative all’uccisione dell’animale domestico, ad esempio) riguardavano propriamente istanze di danno morale, più che di danno esistenziale in senso stretto;

(b) pressoché in tutte le vicende i turbamenti fatti valere apparivano, per se stessi, degni di attenzione, antropologicamente sacrosanti e comprensibili; ciò proprio alla stregua dei principi generali del sistema, quando non in forza di regole specifiche di protezione, suggellate in qualche testo di legge, di natura penale, civile o amministrativa (ma anche evenienze del genere a parte: avrebbe senso un’ermeneutica disposta, a parole, a ben considerare l’essere umano e le sue necessità - e pronta nei fatti a concludere, dinanzi a condotte suscitatrici di perturbamenti nel 90% dei casi, che sarà giusta la scelta di vietarle formalmente e che le compromissioni arrecate alle vittime resteranno però, in caso di trasgressione, prive di rilievo giuridico?);

(c) convincente, in definitiva, la scelta dei giudici di ammettere per quei frangenti il ristoro, dando soddisfazione alla parte lesa (il che è valso, nel contempo, a mantenere il dizionario aquiliano al passo con i tempi - in linea con la complessità di ciò che tutti “siamo e vogliamo”, non escluse le piccole cose di gozzaniana memoria);

(d) a trovarsi in gioco - nelle vicende all’origine di quei verdetti – era talvolta un contratto in senso proprio, nel quale ad una delle parti figuravano promesse determinate prestazioni, di dare o di fare qualche cosa (il tutto, significativo per il benessere quotidiano dell’interessato: vacanza, comunicazione, svago, istruzione, documentazione di momenti felici, etc.); esecuzione non avvenuta poi ad opera dell’obbligato, senza giustificazioni accettabili, donde l’indiscutibilità della pretesa risarcitoria nei sui vari capitoli, di tenore economico o meno (artt.1174 e 1218 c.c.);

(e) l’ammontare dei risarcimenti concessi dal giudice mostra di essere stato, in quasi tutte le occasioni, notevolmente esiguo, talvolta alle soglie dell’irrisorietà/derisorietà – poco più di una corresponsione simbolica.

 

Le figure portanti

Rimane in ogni caso: non è nel riscontro di pronunce simili, più o meno estemporanee, che l’essenza del danno esistenziale può cercarsi. Non soltanto lì perlomeno; ben altre debbono essere, per lo studioso, le figure di condanna giudiziale da tenere in conto – e basta sfogliare i repertori dell’ultimo quindicennio per accorgersene.

I lutti familiari in primo luogo (dovuti al fatto illecito di un terzo); le macroinvalidazioni che abbiano colpito un congiunto, dopo un incidente stradale o di lavoro, le violenze sessuali rivolte a una figlia minorenne. I figli nati malformati per errore dell’ostetrico, la perdita traumatica del feto, le nascite intempestive e non desiderate. E ancora, le lesioni arrecate da un terzo alla capacità procreativa, di una donna o di un uomo, le malevolenze endo-coniugali gravi, il mancato mantenimento di un figlio per mesi o per anni di seguito, il disconoscimento (da parte del padre) di un neonato frutto di fecondazione assistita.

È intorno a questi esempi che la rifinitura del modello “esistenziale”, nei contorni che oggi conosciamo, ha preso storicamente le mosse: qui si è, per la prima volta, parlato di quotidianità alterata, di agenda sconvolta, di peggior interfacciamento con gli altri - di qualità della vita meno alta, di ritocchi forzati nel relazionarsi e nello stare al mondo.

Ipotesi tutte - com’è palese - di aggressioni e collisioni non da poco; ciascuna all’origine di seri imbarazzi per l’equilibrio personale per l’attore, talvolta fonte di risarcimenti con molti zeri.

E sono caratteristiche che ritroviamo, puntualmente, in molti altri tra i filoni dell’illecito - pur al di fuori del campo familiare. Le immissioni prolungate nel tempo, anzitutto; e poi le violazioni della privacy, gli attentati all’onore, le case d’abitazione incivili o invivibili, le lesioni ambientali di massa, i processi dalla durata infinita; e, ancora, le molestie sessuali sul posto di lavoro, il mobbing, i licenziamenti ingiuriosi, le ferie non godute per anni, gli attentati ai diritti del lavoratore. L’elenco potrebbe continuare.

 

Cambiamenti, riconciliazioni

Non è improbabile che tanti siano, già oggi, gli interpreti disposti a seguire la Corte nel suo percorso ricostruttivo. Senso della realtà, rigore strategico, visione dall’alto del sistema; misura e intelligenza negli approcci: ecco i fattori che più toccano - d’abitudine - le corde e la ragione dei lettori, imponendosi alla fine nelle dispute.

Taluni autori affezionati al passato potranno inclinare ancora alla neghittosità, ai misoneismi di principio; al non expedit circa questo o quel risvolto classificatorio. Fra gli accademici, specie quelli meno familiarizzati con la sala macchina della responsabilità, qualche oppositore ai nuovi moduli continuerà verosimilmente a non “farsi incantare”.

Nell’insieme però il danno esistenziale - prospettato com’è dalla S.C. senza baldanze, né stonature gestionali o processuali (ad es., sul terreno della prova) - dovrebbe guadagnare altri consensi.

E’ stato scritto che vi sarebbe in Italia (da un decennio in qua, rispetto al settore in esame) una pluralità di “scuole di pensiero”; il che è tutto sommato vero. E che ognuna di esse osteggerebbe pregiudizialmente il punto di vista delle altre, senza riconoscere agli “avversari” alcun merito. Si è parlato di spaccature totali, di diatribe accanite e roventi.

Affermazioni del genere appaiono - va detto - un po’ al di fuori dal mondo. Diversità fra questo e quel gruppo di studiosi ve ne sono, indubbiamente. Si è trattato però spesso (occorre dire) di intersezioni o curvature esteriori, sul piano lessicale o retorico - preferenze legate, soprattutto, alle suggestioni nei confronti di questo o quel retroterra extracivilistico. La medicina legale o la farmacologia, come alleate strategiche, piuttosto che la psichiatria o la criminologia. Incontri di viaggio con la morale o l’economia, invece che esplorazioni avviate con la sociologia o l’antropologia; e così di seguito.

Talvolta niente più che passaggi di maniera, autobiografismi di un certo scienziato, di un erudito; accentuazioni giocate su un’opportunità applicativa invece che su un’ altra. Tal’altra semplici esigenze dello show-business convegnistico - un gioco delle parti insomma.

Del resto: sono proprio gli anti-esistenzialisti - alcuni di essi perlomeno, e neppur fra i più concilianti - a invitare occasionalmente chi li ascolta, allorché si parla del loro focolare, a “non fare di ogni erba un fascio”; che sottolineano, rispetto ai nuovi crinali del danno, la necessità di non confondere tra l’una e l’altra delle voci di famiglia (“non siamo uguali, basta leggere con attenzione, i confronti parlano”) .

 

14.1. Lezioni del passato

In ogni caso: grazie anche a decisioni come questa, della S.C. nel caso Barillà, è plausibile che le trascorse distanze di campo (già diminuite significativamente a seguito delle pronunce gemelle di Cassazione del 2003, poi della Corte cost. 233/2003) verranno ancor più attenuandosi. L’aria che si respira non è già la stessa di due anni fa - è sufficiente frequentare gli incontri di studio, leggere fra le righe degli ultimi contributi. Né vincitori né vinti, il vento sta ormai girando (salvo che per taluni irriducibili).

Del resto, se pensiamo alle vicende dell’intera responsabilità civile, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo: quanti non sono stati - rispetto alle proposte di lettura affluenti - i casi di un “no” iniziale, da parte dell’accademia o delle alte magistrature, seguito da un “sì” altrettanto perentorio, caloroso, a più o meno breve distanza di tempo?

E’ spesso andata così. Non c’è quasi novità che non abbia, sul principio, destato le più fiere avversioni nell’establishment – e che non sia stata accolta nel salotto buono dell’istituto, dopo qualche lustro o decennio. L’ammissibilità del danno morale, ad esempio; oppure l’analisi economica del diritto, il ricorso alle vie d’uscita della responsabilità oggettiva, la tutela esterna del credito, il doppio rapporto di causalità, l’abuso del diritto; o, ancora, il danno biologico, la disciplina degli interessi legittimi, la rilevanza autonoma del dolo, l’applicabilità dei criteri obiettivi di imputazione alla pubblica amministrazione, l’obbligo di riversare il profitto conseguito attraverso l’illecito. E’ sovente bastato, agli innovatori, “sedersi sulla riva del fiume”.

Così, per lo stesso danno esistenziale - e dintorni immediati. La storia è ancor breve qui. Già oggi, quanti non sono però i ravvedimenti silenziosi, i salti letterari della quaglia! quante le contro-letture tramontate in fretta, i protocolli di settore corretti sino a diventare irriconoscibili, le parole d’ordine (un tempo perentorie) che serpeggiano sempre meno spavaldamente!

La (pretesa) indistinguibilità fra danno morale e danno esistenziale, ad esempio; vessillo un tempo maggioritario - lapalissiano quasi; attualmente i sostenitori dichiarati si contano sulle dita di una mano. Oppure: la convinzione che tutto al mondo sia biologico, che ogni guaio dell’individuo sia riconducibile ai mali della salute incrinata; tesi diffusissima sino a poco fa, plebiscitaria, mostra ogni giorno di perdere consensi – fors’anche a livello popolare, certamente nel campo del diritto civile.

E così di seguito: le prospettazioni del danno biologico, e dello stesso danno esistenziale, come mere species di danno patrimoniale. La tesi che punta a far coincidere il nucleo del d. esistenziale e, rispettivamente, quello del d. psichico (o le stesse pigrizie di chi non sa linguisticamente distinguerli). Le ricostruzioni – oggi non proprio scomparse interamente; un tempo però dogmi di fede, immancabili nelle monografie più in voga, nella manualistica del primo anno d’università - secondo cui il risarcimento del danno morale obbedirebbe (prevalentemente o esclusivamente) a funzioni di tipo sanzionatorio, afflittivo. Si potrebbe continuare a lungo.

 

15. Il requisito dell’ingiustizia

Ecco allora - in merito al danno non patrimoniale - le linee-guida del (possibile e magari definitivo, comunque non effimero) “trattato di pace” fra le varie scuole italiane di tortmen: così come tratteggiate dal pennello della Cassazione penale, a livello sia scolastico che tecnico.

Per quel che attiene in particolare al requisito dell’”ingiustizia” del danno - fintantoché l’art. 2059 c.c. rimanga in vita, perlomeno: nello scenario che arieggia, cioè, all’imprescindibilità di un rinvio nominale alla Costituzione, quale tabernacolo dei valori rilevanti anche ai fini del risarcimento.

Un dato sarà sufficiente sottolineare, in proposito: e ci si riferisce alla necessità di far luogo a una lettura non chiusa (non autocratica, non impaurita, non formalistica) della nostra Carta fondamentale. Il che significa puntare essenzialmente, sotto il profilo delle fonti, su un sistema di richiami “a corone circolari”, a faglie progressive di materiali - ciascuna delle quali relativa a classi ben distinte di evidenze legislative; vale a dire:

(a) al centro - coerentemente con un paradigma di responsabilità com’è quello italiano, che s’impernia sulla presenza di una clausola generale (cfr., in tal senso, anche Cass. 8828/2003) - gli artt. 2 e 3 della Costituzione;

(b) subito all’intorno, il richiamo ai vari articoli (della nostra carta fondamentale) ove si menzionano passaggi/contesti della persona di immediato rilievo, ai fini del diritto privato - specie quelli più eloquenti sotto l’angolatura non patrimoniale: segretezza, associazione, riunione, processo, famiglia, maternità, disagio, scuola, paesaggio, lavoro, etc.;

(c) più oltre, il corredo delle dichiarazioni internazionali in cui appaiono toccati, più o meno direttamente, i temi delle relazioni umane e dei beni fondamentali dell’individuo (le proclamazioni in sede Onu, anzitutto, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Convenzione di New York sui diritti dei bambini; la carta di Nizza, le indicazioni a livello europeo e comunitario, etc.).

(d) più all’esterno ancora, con riferimento al quadro nazionale, il ventaglio delle disposizioni ordinarie che, in maniera più o meno immediata, si occupano dei diritti della persona, delle formazioni sociali, della sofferenza fisica e psichica, del fare areddituale di ciascun soggetto - non esclusa l’attenzione del legislatore per la disciplina dei beni, delle istituzioni, dei centri, delle strutture tecnologiche, dei filamenti ambientali, dei servizi, etc., di più accentuato risalto sotto i profili della “qualità della vita” (v. ad es. le leggi 26.7.1975, n. 354, sull’ ordinamento penitenziario; 9.12.1977, n. 903, sulla parità di trattamento; 14.4.1982, n. 164, sul transessualismo; 25.1.1992, n. 74, sulla pubblicità ingannevole; 25.6.1993, n. 205, sulla discriminazione razziale, etnica e religiosa; 28.8.1997, n. 285, sull’infanzia e adolescenza; 31.12.1996, n. 675, sul trattamento dati personali; 6.3.1998, n. 40, sull’immigrazione; 12.3.1999, n. 68, sul lavoro dei disabili; e si potrebbe ricordare ancora le varie normative sulla cittadinanza, sull’adozione, sulla tutela dei consumatori, sui viaggi tutto compreso, sulle barriere architettoniche, sullo sciopero nei servizi pubblici, sull’handicap, sull’aborto, sui servizi socio-sanitari, e così via).

 

Patrimoniale e non patrimoniale

Ecco allora che:

- mirando a ricomporre il panorama (dell’ingiustizia del danno) dal punto di vista delle situazioni della persona, quali regolate nell’insieme di quelle disposizioni;

- volendo guardare, nel contempo, alla tipologia degli intralci quotidiani/relazionali che ogni aggressione è destinata ad irradiare, rispetto ai campi delle singole prerogative;

- ebbene, non sembra difficile l’approdo a una sequenza di tavole generali, in cui a ciascuno fra i beni meritevoli di tutela giuridica (salute, immagine, onore, normalità familiare, sessualità, riservatezza, identità complessiva, benessere ambientale, diritti civili nell’ambito del lavoro, aspettative scolastiche, diritti nel processo, interessi legittimi, etc.) si accompagni il riscontro per alcune costanti “vittimologiche”, sotto il profilo negativo/ripercussionale: ciascuna in funzione del grado di oppressività che ogni attentato nasconde, rispetto alle sub-voci patrimoniali e non patrimoniali.

Inutile sottolineare l’utilità che uno quadro siffatto preannuncia, a livello istruttorio, in particolare sul terreno del quantum - come traccia lungo cui tenderanno a ripartirsi i singoli impatti e cascami pregiudizievoli (quali emergenti nelle singole controversie). Non meno evidente tuttavia la necessità di evitare sopravvalutazioni, automatismi deduttivi.

Quanto alle attese dell’interprete, allora: sarà pur lecito, ogniqualvolta vengano in gioco (minacce a) posizioni di natura schiettamente patrimoniale - proprietà, usufrutto, diritti personali di godimento, etc. - pensare a coefficienti di maggior insidiosità sul terreno reddituale, contabile, piuttosto che non su quello morale od esistenziale.

E tuttavia: considerate la frequente vischiosità delle sfere individuali, tenuto conto quanti siano nella vita di ognuno i momenti deputati a soddisfare (in prima battuta) esigenze d’ordine non materiale, non pecuniario, sono palesi anche i limiti di un’impostazione che non scontasse abbastanza la probabilità che assalti simili - combinandosi con questo o quel filamento peculiare, nella sfera di quel danneggiato o di tutti i danneggiati possibili - finiscano per generare, in parallelo, compromissioni di tipo comunicativo, sentimentale, biologico, edonistico, partecipativo, emotivo, colloquiale, e così via.

 

Esemplificazioni

Basta pensare - ma i richiami sarebbero infiniti – al modo in cui ogni individuo si comporta nella sua propria casa d’abitazione, di città o di montagna, oppure all’uso che si fa abitualmente dei camper o delle roulottes, all’importanza delle protesi sanitarie per un handicappato. Magari all’attaccamento che un artista può nutrire per il suo strumento musicale, per gli scalpelli di famiglia, alle cose che agevolano la fruizione del tempo libero, agli oggetti pensati per la cultura o per i ricordi, all’artigianato, agli animali d’affezione, ai mezzi in grado di migliorare la mobilità o la tattilità di un soggetto infermo, di un bambino, di un disabile.

In qualche misura – allargando lo sguardo – occorrerà pensare anche ai telefonini, alla pubblica amministrazione, ai dischi rigidi dei computer, all’impianto dell’acqua e del gas, alle cavallette, ai rullini fotografici, alle centraline di ogni sorta, agli specchietti per le allodole, ai blocchi stradali, ai contraccettivi difettosi, alla posta elettronica, alle collezioni in corso. Oppure ai black-out, alle fonti di cattivi odori, ai giocattoli-trappola, alle bocciature ingiuste, ai virus biologici o elettronici, agli analgesici, ai telecomandi, agli scarichi del bagno ostruiti, al cibo, alle automobili, allo spamming, alle valanghe dovute all’ imprudenza altrui. O magari alle password, alle obbligazioni societarie, agli spinelli, alle videocamere, alle chat-line, alle autoambulanze in ritardo, ai collegamenti via cavo, agli intonaci, ai cani altrui che abbaiano, agli alberi che si protendono, ai francobolli, ai dirottamenti aerei, agli eco-mostri, ai compact disk, al denaro. E così di seguito.

Difficile immaginare, fermandoci alle ipotesi più elementari, che accadimenti come la distruzione di questo o quell’oggetto, oppure il suo smarrimento in mare aperto (magari un danneggiamento, una consumazione, un mancato accomodamento, un difetto di fabbricazione; o piuttosto un’intrusione, un occultamento, una messa fuori uso, un’alienazione a non domino) finisca per generare riflessi sul terreno puramente venale, materiale – e null’altro.

Non diverse, d’altro canto, le conclusioni cui pervenire sul versante “simmetrico” della casistica aquiliana – quello delle (sequenze che si collegano a) violazioni di una posizione iscrivibile, nella nomenclatura tradizionale, sotto il registro della “non patrimonialità”.

Le ragioni per avversare ogni semplificazione, circa i giochi di causa ed effetto possibili, appaiono anzi stavolta ancor più forti. E basterà un richiamo alle libertà fondamentali dell’uomo, ai diritti della personalità, a quei vari presidî di natura individuale - dalla salute, alla libertà, dal nome alla dignità, dall’onore all’immagine, dall’autodeterminazione alla riservatezza, etc. - la cui lesione fa paventare al titolare, nell’ordine delle cose, anche ricadute di tipo economico.

E’ quanto i repertori giurisprudenziali documentano, ogni giorno più diffusamente. Più ancora che per le voci del cuore o dello spirito, è facile constatare in quante occasioni di scontro - tenuto conto del modo in cui la parte lesa era venuta organizzando la propria economia - le conseguenze risulteranno temibili (dirompenti talvolta) proprio a livello patrimoniale.

Utilità di tavole empatico/eziologiche sì, dunque, a seconda dell’astratta natura degli interessi destinati a venire in gioco; ma al tempo stesso, fuori e dentro al giudizio, necessità di riscontri accurati circa le variabili in campo - quelle capaci di incidere sul tenore e sulle dimensioni effettive del pregiudizio.

 

17. I danni esistenziali ingiusti

Quanto poi al danno esistenziale, è palese come il filo conduttore per l’interprete – nel montaggio dei riferimenti normativi che interessano – sarà tutt’uno con la chiave fornita dalle “attività realizzatrici della persona”.

Si tratterà di tener conto, pertanto, della misura in cui il legislatore mostra di ricollegare al fulgore di certe condizioni generali - alla mancata compromissione di talune prerogative - la possibilità per l’individuo di esprimersi lungo le svariate ribalte della sfera affettiva e sessuale, della reattività quotidiana di tipo biologico, del lavoro e della politica, della creatività e dell’arte, dello svago e del tempo libero.

Riguardo poi ai fattori di “complicazione” del giudizio - destinati, eventualmente, a sparigliare il gioco fra etichette della patrimonialità e non patrimonialità, nella concreta secolarità delle vittime - è indubbio come saranno anch’essi censibili a tavolino (sfruttando al meglio le indicazioni offerte dalla giurisprudenza). E, anche nei loro confronti, va sottolineato come ogni combinazione sarà destinata a mutare secondo le tipologie degli illeciti.

Ciò sotto entrambe le angolature che rilevano. Tanti possono essere in effetti - nello scenario di un diritto al risarcimento costruito dal basso - gli elementi capaci di “esistenzializzare” il campo antropologico/operazionale di un interesse; o che promettono, all’inverso, di “de-esistenzializzare” valenze e rapporti in merito a un certo crinale della persona.

Resta il fatto che, proprio sul fronte esistenziale, l’elemento dell’ingiustizia si direbbe avviato – in una proiezione dall’oggi - a raggiungere latitudini e profondità sempre maggiori.

(I) Al Leit-motiv della attività realizzatrici è giocoforza riconoscere, nella scala dei valori del sistema, un tasso di meritevolezza fra i più elevati. E guardare le cose dal punto di vista dell’homo faber significa mettere in causa, fenomenologicamente, un orizzonte vicino ai 360°. L’avvitarsi fra le due eliche (del fatto e del diritto) non potrà che condurre - ormai che si è capito come avviene - a scansioni via via più ricche sotto il profilo qualitativo, come sotto quello quantitativo.

(II) Nel momento in cui al centro della scena s’insedia la “qualità della vita”, le probabilità che all’origine della catena vi sia un torto verso altri soggetti (familiari soprattutto) diventano subito maggiori che altrove. Più duratura risulterà cioè l’incidenza sulle attività realizzatrici del congiunto, che non quella suscettibile di pesare sul reddito o sulla salute fisica o psichica, o sul benessere emotivo dei parenti della vittima iniziale;

(III) Opera ben più che altrove, in questo campo, il meccanismo indotto dai mutamenti di percezione chimico/dogmatica che hanno luogo, circa la natura ultima dei danni (infra § 24). Basta leggere le sentenze più recenti. Sempre più raro diventa, col passaggio del tempo, il caso in cui ci si orienti a ribattezzare sub specie di biologica, o di morale, o di patrimoniale, una posta ormai archiviata sotto il segno dell’esistenzialità. Già oggi ricorre spesso, invece, l’eventualità opposta - e non è detto che la curva dei ravvedimenti non verrà ancora ad innalzarsi, durante i prossimi anni.

 

18. Diritto alla “felicità” in che senso

E’ frequente in dottrina, soprattutto ultimamente, la propensione a rovesciare gli approcci più consueti, nei riguardi delle “attività realizzatrici” della persona - a ricomporre il quadro delle norme secondo una chiave, per così dire, in positivo.

Non tanto, cioè, l’attenzione per ciò che si sia tradotto (a seguito del torto) nella perdita di opportunità comunicative, nella frustrazione di un disegno esistenziale. Anche aspetti simili beninteso, così come chiariti nel giudizio, rispetto ai vissuti del plaintiff. Insieme a essi, però, la considerazione per i lieviti da registrare ex ante, speculari rispetto al danno - visti come componenti di un progetto di vita, indipendentemente dai discorsi sul risarcimento.

I tratti del facere individuale, e gli interscambi con il prossimo, stando a ciò che potrebbe/dovrebbe accadere - secondo quanto si vorrebbe in mancanza di impedimenti (“sono le catene che danno le ali”, diceva Paul Éluard … sì, ma non sempre!).

La ricerca di salvaguardie allora - e di nuove occasioni - per i propri spazi espressivi, colloquiali. La spinta a interfacciarsi con persone e cose, a “diventare quello che si è”, sotto le voci più svariate: creatività, scienza, lavoro, affetti, scavi, gioco, partecipazione, ambiti collettivi, viaggi, e così via.

Passaggi da mettere al centro (ecco il punto) di una prerogativa individuale di tipo nuovo - il diritto alla “realizzazione della persona”, come si è detto - inedita rispetto alle tradizionali posizioni soggettive, sia per estensione sia per timbro.

I rapporti di scambio, in questa luce, con la filosofia e con il linguaggio della 8828/2003. La necessità di assumere quale centro per le letture sul danno non patrimoniale (nonché varco onde aggirare le forche caudine dell’art. 2059 c.c.) lo spirito dei primi 47 articoli della Costituzione – soprattutto il motivo della valorizzazione della persona umana, lungo ogni passaggio della quotidianità.

Le corrispondenze fra i due ordini formali del discorso, quello “politico” di fondo e quello più strettamente “applicativo”: (x) le indicazioni di cui all’art.3, 2° comma della Costituzione, da una parte, con le postulazioni rivolte a una clausola generale, quale riferimento di “default” per ogni contesto relazionale della persona; (y) le restrizioni codicistiche in punto di protezione aquiliana, dall’altra parte, con l’intervento della 8828/2003 quale affondo per la rimozione degli ostacoli ingiusti, sulla via di una miglior salvaguardia dei danneggiati.

L’opportunità di modulazioni sintetiche, allora - dal suono tuttavia generoso, rinascimentale. L’approdo a una formula non tanto ristretta da cancellare, assorbendole, le frazioni di cittadinanza messe in circolo (diritto alla serenità familiare, alla tranquillità ambientale, alla normalità lavorativa, alla quiete dell’abitazione domestica, alla vivacità sessuale, etc.); e idonea, nel contempo, a cogliere/rappresentare i fili di ogni attività realizzatrice, il loro far capo a una stessa creatura - a un solo ponte di comando.

L’utilità esplicativa di locuzioni - come questa - attente ai momenti della promozionalità, dell’agire e dell’essere nel mondo. L’attitudine a permettere, in tal modo, un più congruo apprezzamento dell’illecito, anche agli effetti della quantificazione. L’accentuazione dei risvolti progettuali come tramite per dar conto dei tratti dinamici dell’ingiustizia - per legittimare valutazioni estese, nella law in action, all’ intera fascia operativa della vittima

Il motivo stesso della “felicità” quale bandolo tutt’altro che impresentabile per il diritto, una volta ritrovate le chiavi etimologiche della parola - ossia le valenze della fertilità, della fecondità (che è in ciascun essere): negli affetti, nel lavoro, nell’arte, nella politica, nelle avventure, nel volontariato, nello svago, etc. Ogni individuo guardato lungo le sue coordinate specifiche, di rigoglio possibile, di fioritura - nella cornice dei bisogni/desideri di sempre, proteso a far passare dal dentro al fuori i “sì” e i “no” che si avvicendano.

 

19. Il rapporto di causalità

Sin qui i discorsi sull’ingiustizia del danno.

Non diverse comunque - quanto al rilievo (anche sul terreno non patrimoniale) dei criteri limitativi che vigono in materia - le conclusioni cui pervenire rispetto un altro segmento basilare del giudizio di responsabilità: quello del rapporto causale.

Nessuna differenza, in particolare, per ciò che concerne le voci di natura esistenziale. Non è meno forte del consueto l’esigenza che risulti circoscritta convenientemente, pur qui, l’ambito di ciò che sarà risarcibile alla vittima - evitando che l’incognita di esborsi irragionevoli, dovuti al combinarsi di fattori bizzarri o remoti, sia tale da disincentivare in partenza chi si accinge ad agire.

Irresponsabilità, pertanto, qualora la causalità naturale non sussista. A non potrà chiedere a B - il cui mozzicone di sigaretta abbia provocato l’incendio del bosco, nel quale A era abituato a fare jogging mattutino - un qualche risarcimento in relazione alle corse silvestri mancate, laddove emerga che A quella mattina si era già rotto per conto suo una gamba. C che ha investito e mandato all’ospedale D non dovrà risarcirlo per il fatto che D non ha più recitato nella filodrammatica di quartiere durante i mesi successivi, laddove emerga che il giorno prima dell’incidente D aveva dichiarato – seriamente, irrevocabilmente - di non voler mai più recitare.

Necessità poi che sia riscontrabile, nel frangente, un nesso di causalità adeguata. Se la cattiva organizzazione dell’agenzia di viaggi fa sì che un certo turista passi le vacanze in un albergo scadente, quando gli alberghi erano tutti allo stesso livello di mediocrità e insufficienza in quella zona, non vi sarà responsabilità laddove risulti che il cliente era, comunque, deciso a recarsi nella detta parte del mondo. Non sarà imputabile, insomma, il danno esistenziale nel caso in cui l’azione, da rimproverarsi al convenuto, non abbia aumentato il rischio che si verificassero compromissioni di quella certa attività realizzatrice – nel caso in cui l’illecito si sia limitato a produrre la presenza della vittima in un determinato sito, all’interno di un contesto entro cui questa si sarebbe comunque trovata, e nel quale le probabilità dell’ evento apparivano uniformemente distribuite.

Pieno risalto, ancora, per la regola che fa capo allo scopo della norma violata. Irrilevanza, dunque, degli inconvenienti legati al mancato compimento dell’impresa X (dato pur riconducibile al gesto del convenuto) laddove emerga trattarsi di attività estranee a quelle di cui la norma violata mirava a garantire lo svolgimento. Se - a causa delle mancate informazioni da parte della compagnia aerea, circa il fatto che l’apparecchio che dovrei prendere è guasto - finisce che passo otto ore in aeroporto attendendo invano, non potrò chiedere il risarcimento per il fatto che il pollo che ho mangiato allo snack-bar dell’aeroporto mi ha fatto male, o che un’impiegata della segreteria mi ha coperto di insulti, o che un ascensore che mi portava alla toilette si è bloccato.

Opportunità, infine, di non lasciare a carico della vittima le compromissioni pur di scarso rilievo, oppure quelle riconducibili a fattori idiosincratici, o quelle dovute alla concomitanza di elementi lontani e sofisticati, laddove risulti avere il convenuto agito con dolo, e in certi casi con colpa grave.

Conclusione – merita precisare ­ - tanto più sicura nei frangenti di dolo specifico, quando emerga aver il convenuto agito proprio allo scopo di danneggiare, tarpando la vittima su quel certo versante: caso di A il quale investe B con una motocicletta per impedirgli di fare la corte a una ragazza, o perché non vuole che partecipi a un corso di cucina messicana.

Lo stesso però - aggiungiamo - in numerosi casi di dolo generico. Ciò, a maggior ragione allorquando la desistenza della vittima, rispetto al compimento di una data attività, sia dovuta proprio all’odiosità dell’aggressione (A diffama B in maniera pesante; B, animo sensibile, si scoraggia dinanzi a tanta cattiveria, e tralascia di partecipare a un concorso di floricoltura, di cui A ignorava però l’esistenza). Comunque - in misura più o meno intensa - anche nei casi in cui quell’incidenza non sia così evidente, e resti in vita tuttavia, per l’ordinamento, l’opportunità di colpire esemplarmente il danneggiante malizioso, mettendo a tacere per una volta gli argomenti che s’intonano ai meriti della libertà di movimento e alle necessità, per la stessa lex Aquilia, di non deprimerla.

 

20. Il futuro prossimo fra artt. 2043 e 2059 c.c.

Gli elementi sin qui indicati appaiono sufficienti a far intravedere in che maniera tutta una serie di passaggi, sul terreno del danno biologico, morale, esistenziale, verranno a evolversi nell’immediato futuro.

Inutile osservare, beninteso, come ogni previsione si annunci tutt’altro che semplice, entro il comparto dell’illecito. E i pronostici sembrano ancor più azzardati per un’area quale quello (del danno) non patrimoniale - dove le categorie per metà si presentano relativamente acerbe, irruenti, per l’altra metà figurano precocemente invecchiate e bisognose di un restyling.

E’ verosimile, tuttavia, che i riassetti avvenuti nell’ultimo periodo, non foss’altro che per l’autorevolezza degli artefici (la stessa Cassazione penale nel caso Barillà), non subiranno incrinature tanto presto. E fra le “bocce” forme della disciplina - contemplando il panorama dall’oggi – possono in particolare segnalarsi:

(a) la permanenza in vita, formalmente, per l’art. 2059 c.c., la sua non cancellazione dal testo ufficiale del codice civile (la sua riduzione però a controfigura settoriale dell’art. 2043 c.c.);

(b) il trasloco sul terreno di tale norma (art. 2059) di tutte le figure significative del danno non patrimoniale - manovra che appare destinata, come s’è detto, a non farsi mettere in discussione per un po’ di tempo;

(c) la fine, in particolare, dopo una quindicina d’anni o poco più, della signoria nominale dell’art.2043 c.c. sul danno biologico;

(d) un declino sempre più generalizzato, concettualmente e applicativamente, per le impostazioni di stampo c.d. “eventistico” (e ciò sul terreno biologico, esistenziale, morale - anche riguardo a quest’ultimo, in linea di principio); la riconferma in generale delle letture “consequenzialistiche”: l’onere per l’attore di fornire lui dunque - patrimoniali o non patrimoniali che siano - le prove delle conseguenze lesive;

(e) la necessità/sufficienza - testé sottolineata - che alla base di ogni filamento non patrimoniale per cui si agisce ex lege Aquilia sia ravvisabile, sotto il profilo dell’ingiustizia, un interesse della persona meritevole di tutela, alla luce dei valori costituzionali (intesi però con riferimento all’insieme dell’ordinamento giuridico, ossia all’integralità dei materiali normativi che interessano: cfr. retro);

(f) la normale applicabilità delle regole sul nesso di causalità, e ciò in relazione a tutte le voci pregiudizievoli, anche quelle non patrimoniali;

(g) la piena vigenza - in punto di presupposti della responsabilità, particolarmente circa il criterio di imputazione attivabile: sorveglianza, impresa, pericolosità, proprietà, custodia, etc. - degli artt. dal 2047 al 2054 c.c. anche sul terreno non patrimoniale, nessuna voce di danno esclusa; e lo stesso deve ripetersi, sempre ai fini dell’an respondeatur, con riguardo a disposizioni di responsabilità oggettiva o semioggettiva comunque presenti nel sistema italiano, dentro e fuori il c.c.;

(h) la gestione della prova - relativamente ai lemmi non patrimoniali - attraverso gli strumenti della valutazione equitativa, combinati con riferimenti di natura tabellare; lo spazio da concedere in quest’ambito ai ragionamenti presuntivi; la possibilità per l’avversario di controprovare e rovesciare le risultanze sfavorevoli; il tutto - si può dire – attraverso copioni/protocolli diversi secondo il tipo di pregiudizio, messo in causa, e, verosimilmente, in modo neppur eguale o uniforme per i singoli sub-settori (famiglia, lavoro, ambiente, processo, etc.).

 

21. Il no a etichette meramente negative

Altre indicazioni è probabile che cambieranno, di tanto o di poco. Ma occorre distinguere. Nella maggior parte dei casi, non è difficile immaginare in che maniera le tracce potranno evolversi; solo su alcuni aspetti di dettaglio il domani appare meno sicuro.

Fra i punti fermi vi è, plausibilmente, il no a un’impostazione che si accontenti, per i materiali in esame, di parlare semplicemente (con un’espressione di tipo generale - unico riferimento cui far capo, al quale nient’altro dovrebbe fare seguito, come attributo o come sostantivo) di danno non patrimoniale

Decisivi in tal senso i rilievi - già affacciati da qualche autore - circa l’inidoneità di una piattaforma atteggiata in termini meramente oppositivi (e dunque povera di contenuto) a svolgere sul terreno dell’art 2059 c.c. compiti soddisfacenti di amministrazione.

Approcci simili potevano forse bastare (si è rimarcato) nelle fasi aurorali/embrionali della responsabilità civile. In contesti del genere, anzi, un mero ricorso a dei “no” e a dei “contro” sarà magari appropriato - per la necessità di far risaltare allora le differenze di segno, proprie dei capitoli emergenti.

Oggi che in Italia la casistica si è tanto arricchita - non solo dal punto di vista qualitativo (colonne cinquanta volte più estese nei repertori, rispetto a trent’anni fa), ma anche sul terreno qualitativo (numerose voci inedite alla ribalta) - è palese come l’insistenza su etichette puramente “avversative” appaia, rispetto ai materiali di cui all’ultima disposizione del quarto libro del c.c., qualcosa di inadeguato. Un ripiego istituzionalmente povero - poco più di un’”apparecchiatura” di bottega, che si arresta là dove le informazioni di lavoro dovrebbero invece cominciare, sgorgare.

Viene meno anche il pungolo a effettuare, da parte dello studioso, approfondimenti di sorta; ogni precisazione diventa gratuita, un gesto fuori misura - una prova di zelo non richiesto. Non c’è il calibro per raccontare né quindi il modo di sapere punto per punto (ecco l’infelicità in senso proprio) come la vittima stesse prima di quell’aggressione, quali inconvenienti il torto le abbia procurato.

Diverrà ardua (a istruttoria conclusa) una quantificazione aderente alla realtà delle compromissioni - rispettosa del nome e del senso delle perdite. Manca il lemmario elementare di servizio: aumenta il pericolo che alcuni tra i contraccolpi del caso finiscano per non farsi nemmeno percepire, nel processo, o si accentua (all’inverso) il rischio che il giudice non riesca a evitare duplicazioni risarcitorie.

 

22. Tre categorie di danno non patrimoniale

Ben giustificata invece - sotto profili di nomenclatura, per l’universo non patrimoniale - la messa in gioco di un modello articolato lungo tre “fuochi” generali: (I) ciò che fa capo alle funzioni del corpo e della mente; (II) l’insieme dei patemi d’animo e delle sofferenze interne; (III) le attività realizzatrici dell’essere umano, quali pregiudicate dall’aggressione a beni diversi dalla salute.

Non è difficile accorgersi - benché i “tagli” architettonici divergano sensibilmente - come ciascuno dei riferimenti (e a riconoscerlo sono gli stessi giudici del caso Barillà; ma già prima la 233/2003 della Corte costituzionale) possieda le qualità per governare, nei tre ambiti rispettivamente, una frangia significativa di ripercussioni.

Poche, infrequenti statisticamente, senza grande valore intrinseco, le tipologie di malesseri o disappunti non riportabili – in via diretta - sotto questa o quella delle tre egide.

Quanto alle note comuni ai tre settori:

(a) si tratta di voci/universo d’ampio raggio, tutte con un forte tasso di confederalità, idonee comunque ad abbracciare sub-filoni (ripercussionali) alquanto diversi e disomogenei;

(b) benché nel segno di ispirazioni differenti, ciascun’area appare tale da postulare, onde essere gestita, approcci non circoscritti al mero scadenzario del diritto - sensibili cioè ai suggerimenti di una molteplicità di discipline: antropologia, medicina legale, economia, psichiatria, sociologia, etc.;

(c) all’interno di ciascun ambito saranno destinati a giocare più modulazioni funzionali, variamente intrecciate fra loro: scontata l’ovvia costante/imprescindibilità del motivo reintegratorio, qui tenderanno a primeggiare co-finalità di tipo sanzionatorio, là invece istanze di ordine preventivo, o precauzionale, là ancora valenze di ordine distributivo, riequilibratore, etc.; quasi sempre prevarranno, in concreto, mix originali e particolari: si tratterà spesso di distribuzioni correlabili al riguardo per i momenti strutturali della fattispecie - combinazioni preziose in vista di un prontuario disciplinare, di un self-help per i giudizi in corso;

(d) ovunque potrà farsi sentire il peso dei fattori idiosincratici, legati alle peculiarità psico-fisiche della vittima - suscettibili di incidere variamente a seconda del danno considerato (biologico, esistenziale, morale); i riscontri del caso non potranno che avvenire in concreto, ope iudicis; come risultato si avrà in tutti i casi un aggiustamento, in più o in meno, del quantum decretato dalle tabelle;

(e) ogni figura del danno non patrimoniale, tenuto conto delle vicende di base, tenderà ad entrare in scena non da sola; gli accoppiamenti e le frazioni in materia sono destinati a variare: ben più spesso che nel campo patrimoniale accadrà che siano riscontrabili, all’origine, illeciti di tipo plurioffensivo: sicché il conto per il danneggiante finirà non di rado per consistere:

di un’ampia lista di legittimati attivi, con più di una “vittima secondaria” da soddisfare;

ciascuna coi suoi cahiers de doléances specifici (esistenziale e morale soprattutto).

 

23. Espansioni future

Più d’una allora, rispetto a tutto questo, le direttrici di cui è ragionevole immaginare il consolidarsi, nella sala macchina della responsabilità. E quella più significativa è rappresentata proprio dall’incremento, quantitativo e qualitativo, che ci si può attendere per gli esiti in ambito non patrimoniale - non sempre (bisogna dire) attraverso i percorsi più collaudati della lex Aquilia.

Due in particolare, fra quelli emersi ultimamente nella law in action, i comparti più “intriganti”, imprevedibili - che si segnalano soprattutto sul terreno (del danno) esistenziale.

(a) Un primo cenno appare quello inerente al capitolo c.d. illeciti endo-familiari - quando accade che ad arrecare la lesione sia il componente di una certa famiglia, a subirla un altro membro dello stesso nucleo domestico: un coniuge contro l’altro, i genitori o uno solo di essi contro un figlio, i fratelli contro le sorelle, e così via.

E’ stato ben chiarito, al riguardo: non sempre - tra un congiunto e l’altro - il ricorso ai mezzi del primo libro del c.c. appare sufficiente a sciogliere i nodi dell’illecito: e non si vede perché il ristoro (esteso secondo i casi al momento biologico, a quello morale, a quello esistenziale) dovrebbe - qualora un danno purchessia residui a quell’esercizio - non essere possibile alla vittima.

(b) Un secondo richiamo, ancor più significativo, è quello relativo alle ipotesi di inadempimento contrattuale – allorché sia la mancata esecuzione di una prestazione (quale definita fra le parti, in sede pattizia) all’origine dello spaesamento risentito dalla vittima.

Gli esempi sono ancor più numerosi, qui. Comportamenti negligenti da parte del medico, destinati ad arrecare un danno biologico e/o morale al contraente-cliente, nonché d. morali e d. esistenziali ai parenti. Illeciti di vario tipo posti in essere dal datore di lavoro. Scorrettezze compiute dall’agenzia turistica, dalla compagnia dei telefoni, dalla società di trasporto. Inadempienze da parte del locatore, che trascuri riparazioni a suo carico, costringendo per anni il conduttore a una vita disagiata. Errori e dimenticanze del parrucchiere, del fotografo, dello chaffeur, del cuoco, dei musicisti, del sarto, proprio nel giorno delle nozze. E così di seguito.

Impossibile soffermarsi qui nell’analisi dei dettagli. E’ palese tuttavia come ci si trovi dinanzi, in ambedue le ipotesi, a meccanismi alquanto singolari – anche dal punto di vista del danno non patrimoniale

(b1) Quanto all’ultima menzione, in particolare: si tratta di frangenti in cui non è scontato che il titolare potrebbe ambire a una protezione efficace, qualora fosse colpito in via extracontrattuale: mentre saranno palesi le necessità di tutela là dove il bene (antropologico) di cui al danno sia proprio quello che il titolare – stipulando il contratto – aveva inteso coltivare o promuovere.

(a1) Quanto alla prima ipotesi. Data la delicatezza del settore (che mette in causa sentimenti profondi, legami spesso insondabili) occorreranno ex lege Aquilia soluzioni altrettanto morbide. Ad esempio: bisognerà che ci si trovi al cospetto di danni che un richiamo agli strumenti del primo libro (separazione, divorzio, etc.) non varrebbe a neutralizzare; sarà necessario - quando non siano in gioco obbligazioni al mantenimento - il compimento di un illecito grave, commesso magari di proposito; poiché lo scontro aquiliano dissolverà verosimilmente la famiglia, è difficile immaginare che non dovranno promuoversi, contro il torto, anche i rimedi di tipo familiare. E così via.

Dettagli statutari a parte: ciò che colpisce è il vigore con cui il danno non patrimoniale viene bussando - qua e là - alle porte dei tribunali. E se diverso appare il percorso lungo cui argomentare la possibile condanna del defendant (qua, la forza dell’accordo iniziale fra le parti; là, l’impegnatività della famiglia e delle sue regole, che prevedono doveri, i quali hanno per scopo proprio il benessere spirituale dei singoli), è palese come ci si trovi davanti, per ambedue i capitoli, a meccanismi destinati a operare come una sorta di “cavallo di Troia”.

Le poste (esistenziali e morali) che entrano nella roccaforte dell’ illecito avranno da quel momento vita propria - e tenderanno a far valere a 360° i loro diritti di cittadinanza, lungo ogni altro contesto segnato dall’ingiustizia.

 

24. Riequilibri interni

Altri movimenti significativi (nella geografia interna del danno non patrimoniale) sono poi quelli relativi agli “adeguamenti di percezione” e ai ritocchi formali di catalogo, che periodicamente avvengono in dottrina e in giurisprudenza - riguardo a quella che è la sostanza delle compromissioni arrecate.

Le direzioni della scoperta, e dei correlativi spostamenti, appaiono in proposito più d’una.

(i) Ad esempio: diventa evidente all’improvviso come non sarà più lecito iscrivere sotto il segno della patrimonialità (l’essenza di) ciò che di sgradevole capita – giorno dopo giorno – nel momento in cui si sia rimasti vittime di un’immissione sonora, atmosferica, sussultoria, elettromagnetica, odorosa, etc.

Più precisamente: ci si accorge un certo punto come - insieme ai contraccolpi economici, a carico di chi abbia subito iniziative del genere; o accanto all’eventuale insorgere di patologie psichiche o fisiche; o in parallelo con l’eventuale patimento di sofferenze - vi siano, nella quotidianità delle vittime, molteplici ripercussioni sul terreno relazionale/antropologico.

Riflessi destinati ad aver luogo, altrettanto frequentemente, anzi con regolarità (statistica) pressoché assoluta, lungo i diversi ambiti intrusivi. E che finiscono - quasi sempre - per costituirsi come l’autentico nucleo negativo/ossessivo del male, dedotto in giudizio. Perché non chiamare quegli inconvenienti con il loro vero nome, per l’avvenire, e registrarli sotto la giusta casella aquiliana?

(ii) Oppure: ci si accorge come - nelle pieghe di cui è disseminata la carriera di un malato, divenuto tale a seguito dell’illecito altrui - tendano a nascondersi frequenti momenti di negatività/illiceità, irriducibili per se stessi all’universo del “biologico”, comunque del “fisico” in senso stretto.

Momenti connessi a questa o a quell’aggressione, dentro e fuori la struttura sanitaria, contro un determinato diritto della personalità (decoro, riservatezza, consenso, modalità comunicative, false diagnosi, abusi, autoritarismi, etc.). Oppure legati al pregiudizio di una sottovoce o dell’altra, fra quelle non strettamente anatomiche o fisiologiche, nel quadro di torti pur di matrice biologica: menomazioni dell’equilibrio psichico, maternità perduta, aborto traumatico, handicap sessuali, lesioni all’olfatto o al gusto, compromissioni estetiche, e così via.

(iii) O ancora: diventa palese, da un certo momento in avanti, la scarsa proprietà giudiziale di una criteriologia orientata ad archiviare sotto il segno “psi” voci inerenti ai capitoli - tutti esteriori - della quotidianità peggiorata, delle delusioni o dei degradi per il fare/essere, degli sconvolgimenti nell’agenda.

E siamo alle figure (ben note alle corti) della vacanza rovinata, delle lesioni sessuali arrecate al coniuge, dei guasti all’ambiente, delle violazioni dei diritti del lavoratore al riposo, dell’uccisione o della macroinvalidazione di un familiare, degli attentati alla privacy, dell’ abitazione insalubre per colpa del locatore, e così via.

 

24.1. Che cosa cambia

Che dire al riguardo? Si tratta di itinerari di trasformazione, nella mappa del danno non patrimoniale, fra i più significativi dell’ultimo periodo - e ciò per vari motivi, sempre più chiari ormai:

- non è detto che i ritocchi, di cui prendere atto, si limitino sempre a un gioco interno, di smistamento tra lemmi tutti già preesistenti; talvolta il risultato si esprimerà nella nascita di nuove categorie di danno, o almeno di locuzioni inedite, più o meno persuasive e durature: è quanto è spesso accaduto in passato (d. alla vita di relazione, d. ambientale, d. emotivo, d. alla serenità familiare, danno edonistico, etc.), e anche più recentemente (d. esistenziale):

- ogni addizione ha l’effetto di arricchire la partita interessata, che vede mutare così la sua fisionomia, e variare la propria forza attrattiva; per altre voci accade invece l’opposto: meccanismi più complessi e sottili del previsto, dunque; esiste un calibro ideale verso cui ogni figura tenderà, né eccessivamente ampio (d. non patrimoniale) né troppo ristretto (tante germinazioni degli ultimi vent’anni); le misure sfocate per eccesso o per difetto sono condannate o durare poco, o riescono comunque di scarsa utilità;

- fino a un certo punto, è giusto dire che ci si trova al cospetto di aree (del danno non patrimoniale) fra le meno costose e impegnative: i trapassi linguistici o le innovazioni nominali non si traducono, hic et nunc, in aumenti nella quantificazione complessiva: ciò che ha luogo è semplicemente una corresponsione riparatoria sotto altra veste, senza che le cifre finali aumentino granché; talvolta, la maggior correttezza della neo-qualificazione, dal punto di vista formale, può essere anzi all’origine di risarcimenti più contenuti, ogniqualvolta ci si avveda che l’impatto di quel certo capitolo (nell’universo delle vittime) era stato in effetti sopravvalutato.

 

25. Nuove voci funzionali

Direttrici di espansione vera e propria (secondo quanto alcuni episodi suggeriscono, nella giurisprudenza dell’ultimo periodo) sono invece quelle relative all’ affiancarsi di una serie di compiti, tecnico/politici, non strettamente ortodossi per la lex Aquilia - ulteriori rispetto a quelli svolti correntemente; distinti comunque rispetto alla finalità che primeggia nell’illecito, ossia il risarcimento del danno.

Due i riferimenti da considerare soprattutto.

(a) Un primo accenno è quello relativo alla possibilità che la condanna nasca talvolta - sul terreno del danno non patrimoniale - non già con l’obiettivo di neutralizzare qualche “perdita” (al conto in banca o alla sfera personale di qualcuno), bensì con l’intento di esprimere una sorta di biasimo, di riprovazione, rispetto alla condotta posta in essere dal convenuto.

Così, soprattutto, in certi casi di chiamata al risarcimento nei confronti della p.a. – relativamente a qualche (episodio di) sanzione irrogata senza fondamento, o a qualche micro-persecuzione burocratica di un cittadino.

Ad esempio, il recente caso di Perugia (siamo nel 2000), finito addirittura in Cassazione (la sentenza del S.C. è del 2004). Fattispecie - ricordiamo - di un automobilista al quale era stata inflitta una contravvenzione per violazione del divieto di accesso in zona a circolazione limitata. Nonostante il malcapitato avesse fatto presente al vigile accertatore di essere munito di permesso per accedere al centro storico, questi era rimasto fermo nella sua posizione, posizione avallata successivamente dal Comando dei vigili urbani. Di qui la necessità per la vittima di adire le vie legali. Il giudice umbro - parlando di “frustrazione che il cittadino avverte nei confronti dell’Autorità, con conseguente turbamento e sensazione di totale impotenza e afonia, anche allorché sa di trovarsi dalla parte della ragione!”, e precisando potersi parlare in relazione a ciò, oltre che di un sia pur lieve danno patrimoniale, anche di un “danno alla salute” - condannerà il Comune a (un risarcimento per) complessive 200.000 lire .

Com’è palese: non si può dire che il giudice (altre sentenze appaiono ancor più laconiche) indugi più di tanto circa le vere ragioni che l’hanno indotto a quell’esito. Colpisce tuttavia - allorché si scorrono le righe della motivazione - la frequente insistenza, da parte dell’estensore, circa il dato dell’intollerabilità dei contegni posti in essere dalla p.a. E ciò, tanto più a paragone dell’evasività con cui viene trattato nella pronuncia, invece, il punto dei danni patiti della vittima (ma non si stava parlando di responsabilità extracontrattuale?) - o tenuto conto della scarsezza di informazioni fornite in materia.

Sorprende, soprattutto, la disinvoltura con cui la decisione fa riferimento a figure (di danno) tanto abusate in passato, quali “ombrelli” sotto cui dar riparo pressoché a qualsiasi tipo di disagio, quanto visibilmente impresentabili come involucri per le prevaricazioni e i malesseri del caso.

Difficile non far capo, in definitiva, alle chiavi “decodificatorie” di cui sopra. Prendendo atto come obiettivo del giudice sia per l’appunto - dinanzi a ipotesi del genere - (a1) una censura formale da esprimere, quanto all’arroganza dimostrata dal defendant; nonché (a2) un suggello/riscatto per le umiliazioni inflitte alla vittima. E riconoscendo nel contempo come i riferimenti al danno non patrimoniale - che pur si afferma a parole di risarcire - altro non sono in realtà che un “di più” di maniera, dal tenore essenzialmente simbolico (come dimostra anche la modestia delle cifre).

(b) Un’ipotesi non tanto diversa è quella in cui il convenuto figuri aver operato, contro la vittima, nel quadro di una determinazione dolosa - magari con un vero e proprio animus nocendi.

E’ quanto vediamo accadere, ad esempio, sul terreno di talune fattispecie di mobbing, oppure di licenziamento ingiurioso; o ancora in ambito familiare, per certi casi di maltrattamenti, o ancora in ipotesi di omesso mantenimento dei figli; oppure in materia di beni naturali, con riguardo a talune vicende di inquinamento, oppure di immissioni prolungate nel tempo.

Trattasi di situazioni diverse, come si vede, rispetto a quelle sopra segnalate (il danneggiante non è, qui, un soggetto necessariamente “forte”; non c’è da parte sua soltanto colpa lieve o grave, ma addirittura malignità, più o meno raffinata) - e tuttavia ad esse assimilabili, per vari aspetti, su un terreno di politica del diritto.

A entrare in gioco sono, comunque, valutazioni e orizzonti non riducibili a quanto accade di consueto. Ed ecco allora il filo conduttore.

Il danno - che pure esiste nel secondo caso, in misura anche non piccola, e appare causalmente collegato all’azione - di fronte a semplici negligenze dell’ agente o magari anche a trascuratezze di un certo rilievo non sarebbe, verosimilmente, qualificabile come ingiusto. Una volta che il dolo entri in scena, tutto il quadro ricostruttivo si modifica. L’equilibrio nel bilanciamento degli interessi cambia di significato, ogni ragione giustificatrice per il defendant si appanna: anche voci (non patrimoniali) come quelle di tipo morale o esistenziale, delle quali non si sarebbe magari tenuto conto, diventano nel mutato contesto casi riparabili (o lo saranno comunque in misura superiore: cfr. art.18 della legge 349/1986 sull’ambiente).

 

26. Raccordi

E’ palese, in merito alla casistica testé ricordata, la necessità di un serio approfondimento. Già a prima vista spiccano comunque alcuni elementi:

(i) qui come là, le funzioni messe in campo dal giudice non appaiono addirittura di segno opposto, rispetto alle istanze affidate tradizionalmente all’illecito; in parte esprimono motivi davvero autonomi, in parte possono dirsi strumentali - piuttosto – alla miglior coltivazione di queste ultime;

(ii) la fenomenologia in questione verrà rafforzandosi, con tutta probabilità, non solo via via che si accentui la sensibilità rispetto alle valenze “politiche” che sono in gioco, ma anche man mano che diminuisca (in generale) la disponibilità dell’ordinamento a colpire, in ipotesi simili, l’autore con misure di tipo penale o amministrativo – o che queste ultime vedano scemare, in ogni caso, la fiducia (nutrita fino a quel momento) circa le loro attitudini di sapore araldico/stentoreo;

(iii) poiché è ben raro, in vicende simili, che ricorrano momenti di danno biologico in senso stretto (anche sub specie psichica), o che siano riscontrabili condizioni di autentico dolore nell’offeso, è verosimile che la categoria su cui far conto per “vestire all’aquiliana” le condanne inflitte all’autore sarà, per il futuro, soprattutto quella del d.esistenziale. Nel cui suggello sempre più fermo, da parte della Cassazione, va colto insomma un passaggio destinato a facilitare alla responsabilità civile lo svolgimento dei suoi compiti di “supplenza”, nonché il puntello in vista di verdetti sensibili comunque alle necessità di giustizia.

 

27. Danni plurimi e combinazioni ricorrenti

Rimane infine da saggiare – nell’ottica di un ampliarsi dell’aerea del risarcimento, quale si annuncia per l’immediato futuro, sul terreno dell’art. 2059 c.c. – l’attendibilità di una (ricerca volta alla) messa a punto di alcune indicazioni toponomastiche. L’obiettivo è quello di un’articolazione ragionata, nella mappa dei danni non patrimoniali, attraverso la rifinitura di una serie di combinazioni, distinte secondo le fattispecie considerate.

E’ presto per dire se e fino a che punto tutto ciò sarà attuabile. Sulla carta (occorre dire) le premesse favorevoli non mancano: nelle tipologie degli illeciti più diffusi, è facile avvedersi come non siano poche le costanti/serialità d’ordine morfologico, distribuite lungo i vari crinali che interessano:

- “struttura del fatto”: possibilità (ad esempio) di ravvisare in concreto una sola condotta oppure più condotte dannose; illeciti istantanei o invece prolungati nel tempo; comportamenti che ogni volta violano uno solo, ovvero più diritti della vittima; più eventi o un solo evento come effetti dell’azione od omissione; e così via;

- “numero delle vittime”: fatti che colpiscono un solo soggetto, oppure una molteplicità di individui: nel secondo caso, che danneggiano tutte le vittime secondo le stesse modalità, oppure destinati a gravare in forma diversa sull’una piuttosto che sull’altra; e via di seguito;

- “incidenza dei momenti idiosincratici”; prevalenza, secondo i casi, degli elementi destinati a rendere il (potenziale) danneggiato più temprato o più indifeso del consueto; natura fisica o psichica degli stessi; maggiore o minor possibilità di risalto per momenti simili, sotto il profilo giuridico; attitudine delle predisposizioni a interessare tutte piuttosto che alcune soltanto, tra le classi di illeciti; etc.;

- “colpevolezza”: vocazione dei fatti in causa ad atteggiarsi come risultati possibili di una colpa e di un dolo, oppure prevalentemente o esclusivamente di uno solo dei due (casi di dolus in re ipsa, ad esempio);

- “causalità”; frequenze (e aspettative) nella messa in gioco di uno piuttosto che dell’altro criterio limitativo, o di una pluralità di essi, a seconda delle ipotesi;

- “tipologie dei danni”: situazioni in cui non potrà mancare il prodursi di un d. biologico; o invece di un d. morale; o piuttosto di un d. esistenziale; o in cui si verificheranno incroci di vario tipo, fra l’uno e l’altro.

Con riguardo a quest’ultimo punto (occorre aggiungere) non sembra impossibile spingere più a fondo l’analisi: puntando a un censimento delle figure di illeciti secondo le graduazioni fra i pregiudizi che tendano, nei vari scenari, a contraddistinguerle - e giungendo a corredare il riscontro di ciascuna di esse con altrettanti paradigmi di orientamento. Già a prima vista non è difficile rendersi conto della verosimiglianza di tutta una serie di intrecci, congegnati singolarmente come segue:

malpratice medica: è un campo che appare dominato abitualmente dal

(patimento di un) danno biologico; il danno morale avrà di solito un certo peso, il d. esistenziale varrà soprattutto per i familiari;

incidenti stradali: la combinazione sarà di norma la medesima;

(c) immissioni; scarso si annuncia qui il risalto del d. morale, notevole quello del d. esistenziale; raro che possa determinarsi un danno biologico in senso stretto;

(d) diffamazione: gran parte delle ripercussioni sarà stavolta di tipo sofferenziale, non marginale il ruolo per il d. esistenziale; rara l’eventualità di riflessi biologici;

(e) inadempimento degli obblighi di mantenimento familiare: il danno è in questi casi soprattutto di natura esistenziale, le altre tipologie saranno pressoché assenti;

(f) processi lumaca: di d.biologico tende ad essercene ben poco, qui; il d. esistenziale farà sentire quasi sempre la sua presenza, quello morale può assumere occasionalmente un certo peso;

(g) lesioni delle capacità sessuali del partner; pregnanza delle voci esistenziali, bassa consistenza delle altre.

E così di seguito. Si tratta, è appena il caso di aggiungere, di indicazioni facilmente raccordabili con gli elementi di cui sopra, relativi alla struttura delle fattispecie, alla colpevolezza, alla causalità, etc. E neppur sembrano inimmaginabili - nella costruzione degli schemi in questione - tavole in cui i rapporti probabilistici per le varie categorie di danni vengono espressi in termini aritmetici, gruppo per gruppo.

Il giudice si vedrà messo, così, nella condizione di sapere in anticipo (sulla base di congrue pre-rubricazioni) come le voci non patrimoniali tenderanno a modularsi, nella vicenda affidata al suo magistero - e magari in condizione di impostare, alla luce di standard predeterminati, le scelte organizzative dell’istruttoria. E’ una semplificazione che potrebbe non di rado rivelarsi preziosa.

Paolo Cendon

(Professore ordinario di istituzioni di diritto privato – Università di Trieste)

 

 (Torna all'elenco Articoli nel sito)