CASO
BARILLÀ: PERCHÉ SÌ AL DANNO ESISTENZIALE, SECONDO LA CASSAZIONE PENALE
SOMMARIO
1. Introduzione - 2. Il danno non patrimoniale - 3. L’ampliamento dell’area
della responsabilità - 4. Il danno morale - 5. Natura non patrimoniale del
danno biologico - 6. Valutazioni della S.C. - 7. Il danno esistenziale - 8.
Limiti delle sentenze 8827 e 8828/2003 - 9. Differenze fra danno esistenziale e
biologico - 10. Diversità fra danno esistenziale e danno morale - 11.
Riferimenti normativi: Costituzione e oltre - 12. Una ricostruzione persuasiva -
13. Casistica - 13.1. Cose che valgono - 13.2. Le figure portanti 14.
Cambiamenti, riconciliazioni – 14.1. Lezioni del passato - 15. Il requisito
dell’ingiustizia - 16. Patrimoniale e non patrimoniale - 16.1.
Esemplificazioni - 17. I danni esistenziali ingiusti - 18. Diritto alla
“felicità” in che senso – 19. Il rapporto di causalità - 20. Il futuro
prossimo fra artt. 2043 e 2059 c.c. - 21. Il no a etichette meramente negative -
22. Tre categorie di danno non patrimoniale - 23. Espansioni future - 24.
Riequilibri interni – 24.1. Che cosa cambia - 25. Nuove voci funzionali - 26.
Raccordi - 27. Danni plurimi e combinazioni ricorrenti.
1. Introduzione
Sono molte le ragioni per cui la
pronuncia in esame, agli occhi del civilista, si presenta
istruttiva e originale. La delicatezza umana dell’episodio storico, in primo
luogo; l’importanza delle questioni che il caso solleva, sotto i profili del quantum
debeatur (tipologia delle voci risarcibili, commisurazioni specifiche per
ciascuna, etc.); le qualità logiche e sistematiche che la decisione della Corte
rivela.
Non ultimo, il fatto che sia stato un collegio penale ad emetterla.
Il mondo alla rovescia, verrebbe voglia di commentare! I giudici penali della
Cassazione che, in tema di danno alla persona, mostrano di conoscere/comprendere
il senso delle alternative in gioco - per certi versi - più e meglio degli
stessi giudici civili…
La vicenda di base è nota. Il 13 febbraio 1992 Daniele Barillà,
titolare da qualche anno di una ditta artigiana di assemblaggio di materiale
elettrico, viene arrestato per reati (da lui in effetti non commessi)
concernenti il traffico di sostanze stupefacenti. Condannato, subirà una
detenzione, dapprima cautelare e poi in espiazione della pena, per complessivi
sette anni, cinque mesi e dieci giorni. Si scopre poi che il Barillà è
innocente: il 17 luglio 2000 l’uomo, che ha sempre continuato a proclamarsi
non colpevole, viene assolto per non aver commesso il fatto. Di qui la domanda
di riparazione dell’errore giudiziario – domanda che la Corte di Genova
(dopo aver nominato due periti per l’accertamento delle conseguenze
psico-fisiche della detenzione subita) accoglierà positivamente, determinando
l’ammontare del dovuto nella somma di 3.947.994,00 euro.
A seguito dei ricorsi contro tale provvedimento (proposti
dall’Avvocatura dello Stato nonché dalla Procura della Corte d’appello di
Genova) la Corte di cassazione, sezione quarta penale, respinge con la sentenza
in commento - dopo avere annullato l’ordinanza ligure limitatamente ad alcuni
profili dell’indennizzo - i ricorsi stessi.
2. Il danno non patrimoniale
Più d’una – sul terreno dei danni non patrimoniali (alle cui
tematiche il discorso si limiterà di qui in avanti) - le questioni che la
Cassazione affronta esplicitamente.
Fra i punti di maggior interesse per il tortman: il
significato dei modelli che sono venuti affacciandosi, da ultimo, nel settore
del danno alla persona; la nozione di danno morale soggettivo, gli orientamenti
disciplinari emersi al riguardo, le funzioni che il risarcimento è chiamato a
svolgere in quest’area; le origini lontane e vicine del danno biologico, le
dispute sulla patrimonialità/non patrimonalità di simile voce, la querelle
circa la sede codicistica da preferire.
Ancora: l’attendibilità o meno dei timori, manifestati da certi
dottrinari, circa gli squilibri cui l’istituto aquiliano andrebbe incontro
oggigiorno - stante l’affermarsi di linee eccessivamente indulgenti (si
afferma) nei confronti della vittima; i tratti distintivi del danno
esistenziale, le sue peculiarità rispetto al danno biologico e al danno morale,
l’opportunità o meno di far luogo ad allargamenti di tutela, in
quest’ambito, la sufficienza o meno dei filtri che sono offerti dal sistema.
Sono tutti passaggi rispetto ai quali le ricostruzioni fornite dalla
S.C. appaiono - s’è detto - del tutto equilibrate e condivisibili.
3. L’ampliamento dell’aera della responsabilità
Punto di partenza, nel ragionamento della Corte, è il riscontro
dell’evoluzione recentemente avvenuta in materia di danno alla persona.
(a) Ricordano i giudici, in primo luogo,
come “l’evidente iniquità della limitazione della risarcibilità del danno
non patrimoniale alle ipotesi di reato (e alle altre limitate ipotesi via via
introdotte dal legislatore)” abbia avuto l’effetto di indurre “dottrina e
giurisprudenza a costruire, in un primo tempo, ipotesi di danni risarcibili come
danni patrimoniali anche in casi nei quali la lesione patrimoniale era assai
poco evidente e comunque poteva mancare”;
(b) in tal senso - continua la pronuncia -
la prima citazione non può che andare alla figura del danno biologico
(“costituito, come si è detto, dalla lesione dell’integrità psico fisica
della persona che è stato fondato sulla diretta violazione del diritto
alla salute e all’integrità psicofisica della persona, garantito
dall’articolo 32 della Costituzione, ma con il richiamo all’articolo 2043
c.c., e non all’articolo 2059 del medesimo codice, anche dopo che ne è stata
riconosciuta la natura non patrimoniale”);
(c) la seconda menzione, non meno eloquente,
concerne l’entrata in scena del danno esistenziale - categoria sui cui tratti
caratteristici l’estensore dichiara di voler tornare più avanti, nel corso
della motivazione; anticipando solo che, di questo tipo di pregiudizio, la
“natura non patrimoniale, a differenza di quello biologico, è sempre stata
indiscussa”:
(d) ecco poi, in generale, la precisazione
secondo cui il “danno non patrimoniale risarcibile” non può essere
riduttivamente ricondotto al c.d. “danno morale soggettivo” cioè
“alla mera sofferenza psicologica, al patema d’animo, al turbamento
contingente conseguente al fatto illecito” – trattandosi (ricordano i
giudici) di un’entità che abbraccia “invece tutte le conseguenze
dell’illecito che non sono suscettibili di una valutazione pecuniaria”;
(e) si sottolinea anzi, al riguardo, come
l’ampliarsi della nozione di danno non patrimoniale ben al di là dei confini
del danno morale soggettivo abbia avuto, fra le sue prime conseguenze, quella di
consentire l’estensione della risarcibilità del danno non patrimoniale anche
a soggetti diversi dalle persone fisiche;
(f) particolarmente indicativo, sotto altro
profilo, suona poi anche in Italia “l’orientamento della giurisprudenza
comunitaria che, dopo avere in più occasioni riaffermato che la risarcibilità
del danno morale costituisce problema riservato alle legislazioni nazionali, ha
in un caso che potrebbe anche essere ritenuto di natura “bagatellare”
(quello della “vacanza rovinata”)” - caso che, proprio per questa ragione,
conferma agli occhi dei giudici “la tendenza espansiva del danno non
patrimoniale” riconosciuto la risarcibilità del danno morale
conseguente all’inadempimento delle prestazioni pattuite dagli organizzatori
di viaggi organizzati;
(g) viene infine ricordato, dalla S.C., come
“l’evoluzione giurisprudenziale più significativa in tema di danno non
patrimoniale” sia cosa vicina, recentissima; “con due sentenze depositate il
medesimo giorno (31 maggio 2003 nn. 8828, che indica le soluzioni proposte, e
8827 che, su questi temi, richiama e fa proprie le argomentazioni dell’altra
sentenza) la terza sezione civile di questa Corte ha ribadito innanzitutto come
non possa più essere ricondotto, il concetto di danno non patrimoniale, al mero
danno morale soggettivo e ha interpretato l’articolo 2059 in esame nel senso
che “il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia,
comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona’”.
Ha ritenuto che una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 Cc
imponga di ritenere inoperante il limite posto da tale norma “se la lesione ha
riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti” ed in
particolare i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti
dall’articolo 2 della Costituzione”.
4. Il danno morale
Di qui una serie di puntualizzazioni, fornite dalla S. C. penale, in
ordine alla fisionomia complessiva che la categoria del danno morale è venuto
assumendo, ai nostri giorni - con il corredo di alcuni rilievi di dettaglio, a
proposito delle sviste che la corte genovese di merito mostra di aver commesso
al riguardo.
Quest’ultima ha in particolare errato, sostiene la Cassazione, nel
far rifluire ogni voce del danno morale soggettivo entro il raggio di quello
esistenziale (figura che appare al centro, ricordiamo, delle impugnazioni
proposte dai soccombenti in cassazione). La verità è che, sul punto in esame,
“l’interpretazione della Corte di merito sul danno morale soggettivo appare
riduttiva, perché questa tipologia di danno ha perso, o visto attenuato nel
tempo, l’originario carattere sanzionatorio per assumere sempre più una veste
anche riparatoria”.
Occorre anzi tenere presente – concludono i giudici penali – che
la sent. di Cass. n. 8827 del 2003 “ha compiuto un ulteriore passo per
svincolare dal reato anche il danno morale soggettivo, avendo ritenuto che, nel
caso di pregiudizi derivanti dalla lesione di un interesse costituzionalmente
protetto, “il pregiudizio consequenziale integrante il danno morale soggettivo
(patema d’animo) è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come
reato’’”.
5. Natura non patrimoniale del danno biologico
Seguono da parte della Corte alcune illustrazioni (tutte, bisogna
dire, da condividere) in merito alla nozione e alla disciplina del danno
biologico.
Osserva anzitutto la S.C. come la categoria in questione
rappresenti, essenzialmente, il frutto di un’elaborazione di stampo
giurisprudenziale - pur avendo il danno biologico trovato da ultimo
“significative conferme a livello legislativo con l’entrata in vigore del
D.Lgs 38/2000 e della legge 57/2001”. E si ricorda poi, opportunamente, come
il nocciolo dei pregiudizi inflitti dall’agente sia rappresentato qui “dalla
compromissione, di natura areddituale, dell’integrità psicofisica della
persona”.
Continuano poi i giudici: “Sul punto della collocazione teorica
del danno biologico deve rilevarsi che la qualificazione come danno non
patrimoniale data dal giudice della riparazione appare del tutto corretta e
confermata dalla giurisprudenza di legittimità. La lesione del bene giuridico
tutelato non necessariamente comporta un pregiudizio di natura patrimoniale: chi
vive esclusivamente di investimenti finanziari potrà continuare a farlo, e a
percepire i medesimi introiti, anche se ha subito un gravissimo incidente che ne
provoca l’immobilità”.
Viene precisato subito dopo: “Per converso un danno biologico
modesto (per es. una lesione permanente ad una mano) potrà provocare un danno
economico rilevantissimo ad un affermato pittore o ad un noto pianista. Ma, in
quest’ultimo caso, il danno economico andrà risarcito autonomamente come
riduzione della capacità lavorativa (in questo caso specifica) e non come danno
biologico che troverà un suo autonomo risarcimento (ma taluni, come si è già
accennato, preferiscono usare, per il danno non patrimoniale e quindi anche per
il danno biologico, il termine riparazione)”.
Ecco poi dalla S. C. il (richiamo al) passaggio in cui, nel testo
della 8827 e della 8828/03, si dichiara esplicitamente che l’orientamento
tradizionale, favorevole a collocare la disciplina del danno biologico
nell’art. 2043 c.c., “non appena ne sarà fornita l’occasione, merita di
essere rimeditato”.
Aggiunge la Cassazione penale come tale impostazione sia “stata
autorevolmente accolta anche dalla Corte costituzionale che, investita per
l’ennesima volta della questione di costituzionalità dell’articolo 2059 Cc,
ha, con la sentenza 233/03, condiviso integralmente il mutamento
giurisprudenziale del giudice di legittimità sul danno non patrimoniale e ha
espressamente affermato la natura non patrimoniale del danno biologico
tutelabile attraverso la tutela fornita dall’articolo 2059 Cc che, proprio in
conseguenza di questa interpretazione costituzionalmente orientata, si è
salvato ancora una volta dalla dichiarazione di incostituzionalità”.
A tale riguardo anzi - contro l’opinione di “autorevole corrente
dottrinaria”, la quale “ha posto motivatamente in discussione questo
orientamento ed in particolare la tendenza a creare, con l’interpretazione
ricordata dell’articolo 2059 Cc, una clausola generale di responsabilità non
patrimoniale relegando l’articolo 2043 del medesimo codice a clausola generale
di responsabilità patrimoniale” – sempre la Cass. penale ribadisce di
“condividere l’orientamento ricordato” della 233/2003, affermando “la
natura non patrimoniale del danno biologico” e approvando in concreto “la
sua collocazione all’interno dell’articolo 2059 Cc quale danno alla salute
tutelato direttamente dall’articolo 32 della Costituzione”.
6. Valutazioni della S.C.
Inizia qui un altro capitolo della sentenza - di taglio più
scopertamente critico, in merito ai percorsi disciplinari sopra illustrati.
Dopo una breve premessa - a metà fra realismo letterario e prudenza
dogmatica (meglio non “addentrarsi in una problematica che sarebbe opera di
presunzione tentare di risolvere da parte del giudice penale di legittimità”)
- rimarca la Corte che “le fondate preoccupazioni della corrente dottrinaria
contraria a questa evoluzione della giurisprudenza preoccupazioni dirette
soprattutto alla finalità di non estendere in modo abnorme una forma di
responsabilità per sua natura dai contorni generici e indefiniti possono
essere significativamente attenuate con una duplice considerazione: 1) anche il
danno non patrimoniale richiede pur sempre l’ingiustizia (oltre che
l’elemento soggettivo e il rapporto di causalità) secondo i criteri di
valutazione formatisi nell’interpretazione dell’articolo 2043 c.c. (che può
quindi continuare a rappresentare la clausola generale della responsabilità
compresa quella per danni non patrimoniali; un passaggio della sentenza 8828/03
lo dice espressamente); 2) l’applicazione estensiva dell’articolo 2059 c.c.
non dà luogo ad un abnorme ampliamento dei casi di danni risarcibili perché la
selezione degli interessi meritevoli di tutela avviene con il parametro
costituzionale (addirittura, se il riferimento è all’articolo 2, con la sola
considerazione dei diritti l’inviolabili)”.
In altre parole: “il sistema della responsabilità per danno non
patrimoniale è dotato di due filtri, quello dell’articolo 2043 e, una volta
superato questo varco, quello dell’articolo 2059 (casi previsti dalla legge,
reato, lesione di diritti costituzionalmente protetti). E questo assetto, tra
l’altro, garantisce un sufficiente grado di tipicità delle ipotesi di danno
riparabile venendo incontro ad un’altra preoccupazione espressa da una parte
della dottrina. Si aggiunga, come possibile (e discusso) ulteriore criterio
selettivo (peraltro non richiamato né dalla Corte costituzionale né dalla
Cassazione), quello sostenuto da autorevole dottrina che richiede inoltre, come
previsto da altri ordinamenti per i danni non patrimoniali, una gravità
dell’offesa che giustifichi la riparazione”.
Conclusione finale sul punto: “ingiustizia del danno e valori
costituzionali valgono sufficientemente a selezionare i danni meritevoli di
tutela riparatoria, anche se provocati nell’esercizio di attività legittime
(ma con conseguenze ingiuste) rispetto a quelli bagatellari”. Siamo di fronte
insomma - con il trasloco dell’intero danno non patrimoniale, in tutte le sue
vesti possibili, comprese quelle sin qui affidate alla gestione dell’art.2043
c.c. - ad un “ disegno complessivo di razionalizzazione del sistema della
responsabilità civile, nell’ambito di un processo che mostra una
condivisibile tendenza alla tutela dei valori della persona anche quando i
pregiudizi subiti dalla medesima non abbiano risvolti economici ma si risolvano
nella lesione dell’integrità fisica e morale, degli interessi riguardanti gli
affetti, i rapporti personali e familiari”.
Tutte “situazioni giuridiche spesso contrabbandate come aventi
carattere patrimoniale proprio per garantirne la tutela giurisdizionale”; ciò
che corrisponde, d’altronde, a una linea di tendenza nient’affatto
sorprendente nella responsabilità civile - se è vero che in questo campo
“spesso sono stati i danni ingiusti a orientare l’interpretazione della
norma e non viceversa”.
7. Il danno esistenziale
Seguono alcuni capoversi - da parte della S.C. – circa i tratti
distintivi della figura dottrinaria/giurisprudenziale che, sempre più in questi
anni, è venuta occupando il posto di centro nella “nuova” responsabilità
aquiliana: il danno esistenziale.
Da quali lidi la categoria in esame arrivi, in primo luogo:
ricordano appunto i giudici che essa “costituisce il frutto di
un’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale relativamente recente”. In
cosa consista il pregiudizio che si lamenta: esso “è ricollegato ad un
peggioramento non temporaneo della qualità della vita del danneggiato con un
conseguente mutamento radicale delle sue abitudini, dei suoi rapporti personali
e familiari”.
Atteggiamenti della dottrina in proposito: “sulla natura,
presupposti e fondamento del danno esistenziale la dottrina è divisa (si sono
formate tre scuole facenti capo a sedi universitarie denominate triestina,
torinese e pisana, quest’ultima contraria alla categoria del danno
esistenziale)”. Propensioni manifestate dalle corti italiane: la
“giurisprudenza è sempre più orientata a ritenere ammissibile la riparazione
del danno esistenziale e questo percorso è da ritenere confermato dalle citate
sentenze 8828 e 8827 e da quella della Corte costituzionale n. 233
(quest’ultima, a differenza delle altre due, fa esplicito riferimento anche al
danno esistenziale)”.
8. Limiti delle sentenze 8827 e 8828/2003
Ecco il tono della sentenza in commento cambiare alquanto, però, di
qui in poi - facendosi (da riepilogativo) schiettamente e apertamente critico
verso gli approcci della 8828 e della 8827, sul punto specifico.
Poco convincente, ai giudici del caso Barillà, appare in
particolare la maniera con cui le dette pronunce hanno affrontato le
problematiche di gestione del danno esistenziale, e delle altre voci di danno
non patrimoniale (biologico, morale). In effetti:
(a) da un lato, “il giudice civile di
legittimità sembra propendere per un concetto unitario di danno non
patrimoniale”;
(b) dall’altro, lo stesso giudice afferma
di ritenere “ non proficuo “ (di qui in poi la S.C. citerà esplicitamente
le parole delle due sentenze del 2003) “ritagliare all’interno di tale
generale categoria specifiche figure di danno etichettandole in vario modo: ciò
che rileva, ai fini dell’ammissione al risarcimento, in riferimento
all’articolo 2059, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla
persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione
economica”.
Orbene, “in questa ottica - rileva la S.C. penale - le sentenze
citate della terza sezione evitano di fare espresso riferimento al danno
esistenziale”. “Ma – ed ecco le note di perplessità del collegio, proprio
tenuto conto delle situazioni concretamente all’origine della 8828 e della 8827
- l’esame dei casi presi in considerazione conferma che i danni accertati
erano riferiti a questo tipo di danno (in un caso riguardavano la perdita del
rapporto parentale; nell’altro lo sconvolgimento delle abitudini dei genitori
conseguente alle gravissime lesioni subite dal figlio ridotto allo stato
vegetativo) perché si riferivano a casi che la precedente giurisprudenza, anche
di legittimità, collocava tra i danni di natura esistenziale”.
9. Differenze fra danno esistenziale e biologico
Proseguendo lungo le stesse linee (distinguibilità ontologica tra i
vari lemmi del danno patrimoniale, valore anche pratico di tali differenze), i
giudici penali avvertono subito dopo l’esigenza di offrire una serie di
puntualizzazioni quanto ai rapporti correnti fra il danno esistenziale, da un
lato, e le altre due poste non patrimoniali, dall’altro lato.
Si tratta, in particolare, di non far mancare un riscontro (e
un’attenta risposta) alle osservazioni che figurano poste a base
dell’impugnativa della sentenza genovese - da parte della Procura e
dell’Avvocatura.
Circa i nessi fra danno biologico e danno esistenziale, allora:
“non è condivisibile la critica di fondo contenuta nei due ricorsi che,
sostanzialmente, lamentano che, con il riconoscimento del danno esistenziale, si
opererebbe un’indebita duplicazione risarcitoria con il danno biologico.
Questa duplicazione non esiste perché il danno esistenziale è cosa diversa dal
danno biologico e non presuppone alcuna lesione fisica o psichica, né una
compromissione della salute della persona, ma si riferisce ai già indicati
sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali
provocate dal fatto illecito. Si vedano gli esempi esaminati, e già accennati,
nelle sentenze 8827 e 8828”.
10. Diversità fra danno esistenziale e danno morale
Non diverse le conclusioni per quanto concerne il raffronto fra i
due modelli del d.morale e del d.esistenziale.
Occorre evitare ancora una volta – rimarca la Cassazione – di
confondere “la natura delle due tipologie di danno: il danno morale soggettivo
(pati) si esaurisce nel dolore provocato dal fatto dannoso, è un danno
transeunte di natura esclusivamente psicologica; il danno esistenziale (non facere
ma anche un facere obbligato che prima non esisteva), pur avendo
conseguenze di natura psicologica, si traduce in cambiamenti peggiorativi
permanenti, anche se non sempre definitivi, delle proprie abitudini di vita e
delle relazioni interpersonali”.
E “la non sovrapponibilità tra le due categorie di danno emerge
chiaramente proprio in relazione all’ingiusta detenzione: la privazione della
libertà personale per un solo giorno può provocare un gravissimo danno morale
ma il danno esistenziale, in questi casi, può anche mancare”.
Sono nozioni cui gli stessi giudici genovesi (continua la S.C.)
fanno un consapevole riferimento, allorché - con riguardo alla vittima
dell’errore giudiziario - parlano, sia pure erroneamente, di danno morale:
“la Corte fa infatti riferimento al “carico di sofferenze” ma lo ricollega
al modificato regime di vita e alla privazione della libertà personale, le cui
conseguenze perdurano nel tempo, non avendo potuto il Barillà, dopo la
scarcerazione, ripristinare le sue precedenti abitudini di vita. Non quindi -
conclude la S.C. - sofferenza psicologica transitoria connaturata al danno
morale soggettivo ma sconvolgimento perdurante nel tempo (anche successivamente
all’avvenuta scarcerazione) delle abitudini di vita che costituisce
l’aspetto caratterizzante del danno esistenziale”.
Ecco perché l’ordinanza genovese, al di là di qualche
imprecisione sul terreno definitorio o qualificatorio, non può che ritenersi
nella sostanza impeccabile: “nel caso in esame il giudice di merito ha
accertato l’esistenza di tutti i presupposti per la risarcibilità del danno
esistenziale subito da Barillà, e ben può affermarsi che l’ipotesi in esame
costituisca un caso emblematico dello sconvolgimento esistenziale che procurano
una detenzione, una sottoposizione a processo e una condanna ad una lunga pena
da espiare, poi rivelatesi ingiuste, e da cui conseguono la privazione della
libertà personale, l’interruzione delle attività lavorative e di quelle
ricreative, l’interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali,
il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita e altre
che non è necessario precisare”.
Conclude su questi aspetti la S.C.: “insomma l’ingiusta
detenzione e l’ingiusta sottoposizione a processo costituiscono forse un caso
ancor più significativo tra quelli che la giurisprudenza ha fino ad oggi preso
in considerazione per fondare la risarcibilità del danno esistenziale”.
11. Riferimenti normativi: Costituzione e oltre
Ultimo nodo per i giudici penali: il sistema dei riferimenti
normativi la cui violazione sarebbe idonea a legittimare, volta per volta, il
risarcimento del danno esistenziale.
Premette al riguardo la Corte: “Quanto al fondamento giuridico (il
rinvio, da taluno ritenuto riserva di legge, contenuto nell’articolo 2059
c.c.) in questo caso la tutela si fonda non solo sulla norma costituzionale
generica (articolo 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo) ma anche sulle norme, specifiche, che sanciscono l’inviolabilità
della libertà personale (articolo 13) e tutelano le libertà, previste negli
articoli successivi, che la detenzione inevitabilmente comprime o addirittura
esclude (per es. la libertà di circolazione)”.
Ecco allora la precisazione di maggior rilievo, operativamente: si
tratta in ogni caso di richiami (oltre che complessi in se stessi) non
strettamente circoscrivibili al testo puro e semplice della nostra Costituzione:
e “ne consegue che correttamente la Corte di merito ha ritenuto la
risarcibilità (o riparabilità) anche del danno esistenziale perché
ricollegato ad una privazione o restrizione legittime - ma successivamente
rivelatesi ingiuste - degli indicati diritti garantiti non solo dalla
nostra Costituzione ma anche dai già ricordati articolo 5 comma 50 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sull’articolo 9 n. 5 del Patto
internazionale dei diritti civili e politici”.
La conclusione finale è d’obbligo: «sembra del tutto
condivisibile l’affermazione fatta in dottrina, proprio a commento
dell’ordinanza in esame, che l’articolo 643 Cpp “contempli uno dei casi di
risarcibilità dei danni non patrimoniali a cui rinvia l’articolo 2059
c.c.”».
12. Una ricostruzione persuasiva
Uno dei tratti che più spicca in questa sentenza penale - se la si
confronta con certi scritti dottrinari e decisioni giurisprudenziali, anche
recenti - è la mancanza di ogni sospettosità/catastrofismo nell’approccio
alle questioni sul danno.
Nessuno dei preconcetti e dei timori di collasso che vediamo
permeare, da qualche anno, tante fra le obiezioni avanzate dai c.d. “antiesistenzialisti”.
Non - in particolare - gli allarmismi nei confronti degli attori in
giudizio (spesso additati quali simulatori di professione, pronti a trasformare
qualsiasi inezia in fonte di lucro); non la diffidenza verso il ceto degli
avvocati (accusati ritualmente di scarsa coscienziosità, disposti ad
assecondare ogni messinscena dei clienti); non gli scetticismi circa la
perspicacia dei giudici (visti come inermi dinanzi alle commedie, all’oscuro
dei guasti che la loro ingenuità determinerebbe).
Accenti fiduciosi invece, quelli della S.C. penale, ispirati a
ragionevoli aperture di credito verso il sistema; gli “addetti ai lavori”
pensati come operatori in grado, tendenzialmente, di fare il loro mestiere e di
scansare i tranelli del caso. Distensione, sapienza dogmatica, pacatezza di
tono. Moniti a non sottovalutare l’importanza dei filtri che sono attivi -
secondo quanto il legislatore ha previsto - per la responsabilità aquiliana in
generale.
Un diritto normale per persone qualsiasi che subiscono incidenti di
tutti i giorni – lesioni tali da incrinare, di tanto o di poco, la qualità e
la serenità della vita.
Il riscontro - repertori giurisprudenziali alla mano - per le
garanzie istituzionali che il processo appresta, a favore di entrambi i
protagonisti; il richiamo alla severità degli ostacoli che attendono al varco
chiunque punti a un ristoro per i danni: l’attitudine della macchina aquiliana
a sbarrare, operativamente, l’ingresso alle istanze insensate, pretestuose - o
fatte oggetto, sotto altra veste, di un preventivo, integrale risarcimento
(dentro o fuori il processo).
Il conteggio dei fardelli destinati a gravare, in giudizio, su ogni
mossa o contromossa del plaintiff - in merito alla prova del dolo e della
colpa, oppure circa il fattore oggettivo di collegamento; o ancora in ordine al
nesso di causalità, ovvero riguardo alla sussistenza e alla misura del danno.
In particolare: l’onere per chi abbia subito un torto di
dimostrare l’effettività, e possibilmente la misura, dei contraccolpi
patrimoniali e non patrimoniali - quello biologico, quello morale, quello
esistenziale - così come lamentati nella citazione. Pena il rifiuto di ogni
salvaguardia ex lege Aquilia.
Onere prospettato, bisogna dire, in chiave fin troppo rigorosa da
alcune recenti pronunce, specialmente quanto all’ultima voce lesiva, pur
ammessa in linea di principio come meritevole di ascolto - tanto, è stato
osservato, da avvicinare la sostanza dei risultati così ottenuti a certe
invocazioni degli anti-esistenzialisti (al punto da far rimpiangere, per un
attimo, le stesse eterodossie e disinvolture di marca eventistica!).
Casistica
Si capisce come la Corte del caso Barillà possa orientarsi,
d’altro canto, nel bilancio relativo alla casistica giurisprudenziale –
quella di legittimità come quella di merito, in particolare rispetto alle
pronunce dell’ultimo decennio. E si tratta di passaggi ancora una volta da
condividere.
Gli “antiesistenzialisti” parlano, come fanno in continuazione,
di danni (da qualificarsi) immaginari o esagerati, comunque di pregiudizi
insignificanti per qualità e quantità, spesso in agguato nelle cause civili di
oggigiorno? Di quasi-spose vittime di tagli sbagliati di capelli, di
automobilisti multati inopinatamente per divieto di sosta - di lacrime destinate
a scorrere per motociclette nuove rubate, di viaggiatori lasciati ad attendere
per ore e ore in aeroporto, senza informazioni di sorta?
E’ facile avvedersi come non siano quelli, in materia, gli esempi
davvero eponimi, portanti; e lo stesso andrà ripetuto per quasi tutte le
ipotesi di condanna (di natura pretesamente futile, bagatellare) che vengono
evocate nei dibattiti. Le decisioni circa il cagnolino o il gattino di casa,
ucciso apposta o per sbaglio da un terzo; oppure quelle sulla studentessa
laureata con quindici punti meno del dovuto, sull’automobilista incidentato
con un fermo macchina di qualche giorno, sul liceale alloggiato suo malgrado
presso una famiglia di anziani bigotti statunitensi, sul proprietario di un
cellulare attivato dall’ente gestore dopo settimane di attesa. E così di
seguito.
E’ palese come non possa bastare un ventaglio del genere a
“ridicolizzare”, di tanto o di poco, la figura del danno esistenziale – a
trasformarla in qualcosa di diverso da quello che essa è. E ciò per due ordini
di considerazioni almeno.
Una domanda anzitutto: avremmo mai assistito in Italia - qualora
l’inventario dei reperti si esaurisse per intero nelle curiosità di cui sopra
- a uno sviluppo così intenso, vigoroso della categoria? Bestiole, motocicli e
cellulari possederebbero da soli il dono di irretire la Cassazione, nelle sue
varie sezioni, di sedurre al primo incontro anche la Corte costituzionale?
La verità è che, se quelli e nessun altro fossero stati gli
episodi risolti dalle nostre corti, tutto sarebbe rimasto entro i confini di
un’aneddotica marginale - ai limiti del pettegolezzo o del folklore.
Difficilmente avremmo assistito, quanto al modo di guardare all’universo del
non patrimoniale (non solamente al d.e.), al “rivoluzionamento” che si è
verificato nel nostro paese, a partire dagli anni ‘90, presso tanta parte
della dottrina e della giurisprudenza.
13.1. Cose che valgono
Il che non comporta beninteso (e arriviamo così al secondo punto)
l’attribuzione di una parvenza di verità alla parte riposta, sottintesa del
discorso avversario - non giustifica, in particolare, le ironie o le
indignazioni di prammatica, messe in campo da alcuni antiesistenzialisti,
riguardo alle pronunce “eclettiche” di cui sopra.
Ci vuol poco ad accorgersi che:
(a) alcune delle controversie in esame
(quelle relative all’uccisione dell’animale domestico, ad esempio)
riguardavano propriamente istanze di danno morale, più che di danno esistenziale
in senso stretto;
(b) pressoché in tutte le vicende i
turbamenti fatti valere apparivano, per se stessi, degni di attenzione,
antropologicamente sacrosanti e comprensibili; ciò proprio alla stregua dei
principi generali del sistema, quando non in forza di regole specifiche di
protezione, suggellate in qualche testo di legge, di natura penale, civile o
amministrativa (ma anche evenienze del genere a parte: avrebbe senso
un’ermeneutica disposta, a parole, a ben considerare l’essere umano e le sue
necessità - e pronta nei fatti a concludere, dinanzi a condotte suscitatrici di
perturbamenti nel 90% dei casi, che sarà giusta la scelta di vietarle
formalmente e che le compromissioni arrecate alle vittime resteranno però, in
caso di trasgressione, prive di rilievo giuridico?);
(c) convincente, in definitiva, la scelta
dei giudici di ammettere per quei frangenti il ristoro, dando soddisfazione alla
parte lesa (il che è valso, nel contempo, a mantenere il dizionario aquiliano
al passo con i tempi - in linea con la complessità di ciò che tutti “siamo e
vogliamo”, non escluse le piccole cose di gozzaniana memoria);
(d) a trovarsi in gioco - nelle vicende
all’origine di quei verdetti – era talvolta un contratto in senso proprio,
nel quale ad una delle parti figuravano promesse determinate prestazioni, di
dare o di fare qualche cosa (il tutto, significativo per il benessere quotidiano
dell’interessato: vacanza, comunicazione, svago, istruzione, documentazione di
momenti felici, etc.); esecuzione non avvenuta poi ad opera dell’obbligato,
senza giustificazioni accettabili, donde l’indiscutibilità della pretesa
risarcitoria nei sui vari capitoli, di tenore economico o meno (artt.1174 e 1218
c.c.);
(e) l’ammontare dei risarcimenti concessi
dal giudice mostra di essere stato, in quasi tutte le occasioni, notevolmente
esiguo, talvolta alle soglie dell’irrisorietà/derisorietà – poco più di
una corresponsione simbolica.
Rimane in ogni caso: non è nel riscontro di pronunce simili, più o
meno estemporanee, che l’essenza del danno esistenziale può cercarsi. Non
soltanto lì perlomeno; ben altre debbono essere, per lo studioso, le figure di
condanna giudiziale da tenere in conto – e basta sfogliare i repertori
dell’ultimo quindicennio per accorgersene.
I lutti familiari in primo luogo (dovuti al fatto illecito di un
terzo); le macroinvalidazioni che abbiano colpito un congiunto, dopo un
incidente stradale o di lavoro, le violenze sessuali rivolte a una figlia
minorenne. I figli nati malformati per errore dell’ostetrico, la perdita
traumatica del feto, le nascite intempestive e non desiderate. E ancora, le
lesioni arrecate da un terzo alla capacità procreativa, di una donna o di un
uomo, le malevolenze endo-coniugali gravi, il mancato mantenimento di un figlio
per mesi o per anni di seguito, il disconoscimento (da parte del padre) di un
neonato frutto di fecondazione assistita.
È intorno a questi esempi che la rifinitura del modello
“esistenziale”, nei contorni che oggi conosciamo, ha preso storicamente le
mosse: qui si è, per la prima volta, parlato di quotidianità alterata, di
agenda sconvolta, di peggior interfacciamento con gli altri - di qualità della
vita meno alta, di ritocchi forzati nel relazionarsi e nello stare al mondo.
Ipotesi tutte - com’è palese - di aggressioni e collisioni non da
poco; ciascuna all’origine di seri imbarazzi per l’equilibrio personale per
l’attore, talvolta fonte di risarcimenti con molti zeri.
E sono caratteristiche che ritroviamo, puntualmente, in molti altri
tra i filoni dell’illecito - pur al di fuori del campo familiare. Le
immissioni prolungate nel tempo, anzitutto; e poi le violazioni della privacy,
gli attentati all’onore, le case d’abitazione incivili o invivibili, le
lesioni ambientali di massa, i processi dalla durata infinita; e, ancora, le
molestie sessuali sul posto di lavoro, il mobbing, i licenziamenti
ingiuriosi, le ferie non godute per anni, gli attentati ai diritti del
lavoratore. L’elenco potrebbe continuare.
Non è improbabile che tanti siano, già oggi, gli interpreti
disposti a seguire la Corte nel suo percorso ricostruttivo. Senso della realtà,
rigore strategico, visione dall’alto del sistema; misura e intelligenza negli
approcci: ecco i fattori che più toccano - d’abitudine - le corde e la
ragione dei lettori, imponendosi alla fine nelle dispute.
Taluni autori affezionati al passato potranno inclinare ancora alla
neghittosità, ai misoneismi di principio; al non expedit circa questo o
quel risvolto classificatorio. Fra gli accademici, specie quelli meno
familiarizzati con la sala macchina della responsabilità, qualche oppositore ai
nuovi moduli continuerà verosimilmente a non “farsi incantare”.
Nell’insieme però il danno esistenziale - prospettato com’è
dalla S.C. senza baldanze, né stonature gestionali o processuali (ad es., sul
terreno della prova) - dovrebbe guadagnare altri consensi.
E’ stato scritto che vi sarebbe in Italia (da un decennio in qua,
rispetto al settore in esame) una pluralità di “scuole di pensiero”; il che
è tutto sommato vero. E che ognuna di esse osteggerebbe pregiudizialmente il
punto di vista delle altre, senza riconoscere agli “avversari” alcun merito.
Si è parlato di spaccature totali, di diatribe accanite e roventi.
Affermazioni del genere appaiono - va detto - un po’ al di fuori
dal mondo. Diversità fra questo e quel gruppo di studiosi ve ne sono,
indubbiamente. Si è trattato però spesso (occorre dire) di intersezioni o
curvature esteriori, sul piano lessicale o retorico - preferenze legate,
soprattutto, alle suggestioni nei confronti di questo o quel retroterra
extracivilistico. La medicina legale o la farmacologia, come alleate
strategiche, piuttosto che la psichiatria o la criminologia. Incontri di viaggio
con la morale o l’economia, invece che esplorazioni avviate con la sociologia
o l’antropologia; e così di seguito.
Talvolta niente più che passaggi di maniera, autobiografismi di un
certo scienziato, di un erudito; accentuazioni giocate su un’opportunità
applicativa invece che su un’ altra. Tal’altra semplici esigenze dello show-business
convegnistico - un gioco delle parti insomma.
Del resto: sono proprio gli anti-esistenzialisti - alcuni di essi
perlomeno, e neppur fra i più concilianti - a invitare occasionalmente chi li
ascolta, allorché si parla del loro focolare, a “non fare di ogni erba un
fascio”; che sottolineano, rispetto ai nuovi crinali del danno, la necessità
di non confondere tra l’una e l’altra delle voci di famiglia (“non siamo
uguali, basta leggere con attenzione, i confronti parlano”) .
14.1. Lezioni del passato
In ogni caso: grazie anche a decisioni come questa, della S.C. nel
caso Barillà, è plausibile che le trascorse distanze di campo (già diminuite
significativamente a seguito delle pronunce gemelle di Cassazione del 2003, poi
della Corte cost. 233/2003) verranno ancor più attenuandosi. L’aria che si
respira non è già la stessa di due anni fa - è sufficiente frequentare gli
incontri di studio, leggere fra le righe degli ultimi contributi. Né vincitori
né vinti, il vento sta ormai girando (salvo che per taluni irriducibili).
Del resto, se pensiamo alle vicende dell’intera responsabilità
civile, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo: quanti non sono stati - rispetto
alle proposte di lettura affluenti - i casi di un “no” iniziale, da parte
dell’accademia o delle alte magistrature, seguito da un “sì” altrettanto
perentorio, caloroso, a più o meno breve distanza di tempo?
E’ spesso andata così. Non c’è quasi novità che non abbia,
sul principio, destato le più fiere avversioni nell’establishment –
e che non sia stata accolta nel salotto buono dell’istituto, dopo qualche
lustro o decennio. L’ammissibilità del danno morale, ad esempio; oppure
l’analisi economica del diritto, il ricorso alle vie d’uscita della
responsabilità oggettiva, la tutela esterna del credito, il doppio rapporto di
causalità, l’abuso del diritto; o, ancora, il danno biologico, la disciplina
degli interessi legittimi, la rilevanza autonoma del dolo, l’applicabilità
dei criteri obiettivi di imputazione alla pubblica amministrazione, l’obbligo
di riversare il profitto conseguito attraverso l’illecito. E’ sovente
bastato, agli innovatori, “sedersi sulla riva del fiume”.
Così, per lo stesso danno esistenziale - e dintorni immediati. La
storia è ancor breve qui. Già oggi, quanti non sono però i ravvedimenti
silenziosi, i salti letterari della quaglia! quante le contro-letture tramontate
in fretta, i protocolli di settore corretti sino a diventare irriconoscibili, le
parole d’ordine (un tempo perentorie) che serpeggiano sempre meno
spavaldamente!
La (pretesa) indistinguibilità fra danno morale e danno
esistenziale, ad esempio; vessillo un tempo maggioritario - lapalissiano quasi;
attualmente i sostenitori dichiarati si contano sulle dita di una mano. Oppure:
la convinzione che tutto al mondo sia biologico, che ogni guaio dell’individuo
sia riconducibile ai mali della salute incrinata; tesi diffusissima sino a poco
fa, plebiscitaria, mostra ogni giorno di perdere consensi – fors’anche a
livello popolare, certamente nel campo del diritto civile.
E così di seguito: le prospettazioni del danno biologico, e dello
stesso danno esistenziale, come mere species di danno patrimoniale. La
tesi che punta a far coincidere il nucleo del d. esistenziale e,
rispettivamente, quello del d. psichico (o le stesse pigrizie di chi non sa
linguisticamente distinguerli). Le ricostruzioni – oggi non proprio scomparse
interamente; un tempo però dogmi di fede, immancabili nelle monografie più in
voga, nella manualistica del primo anno d’università - secondo cui il
risarcimento del danno morale obbedirebbe (prevalentemente o esclusivamente) a
funzioni di tipo sanzionatorio, afflittivo. Si potrebbe continuare a lungo.
15. Il requisito dell’ingiustizia
Ecco allora - in merito al danno non patrimoniale - le linee-guida
del (possibile e magari definitivo, comunque non effimero) “trattato di
pace” fra le varie scuole italiane di tortmen: così come tratteggiate
dal pennello della Cassazione penale, a livello sia scolastico che tecnico.
Per quel che attiene in particolare al requisito
dell’”ingiustizia” del danno - fintantoché l’art. 2059 c.c. rimanga in
vita, perlomeno: nello scenario che arieggia, cioè, all’imprescindibilità di
un rinvio nominale alla Costituzione, quale tabernacolo dei valori rilevanti
anche ai fini del risarcimento.
Un dato sarà sufficiente sottolineare, in proposito: e ci si
riferisce alla necessità di far luogo a una lettura non chiusa (non
autocratica, non impaurita, non formalistica) della nostra Carta fondamentale.
Il che significa puntare essenzialmente, sotto il profilo delle fonti, su un
sistema di richiami “a corone circolari”, a faglie progressive di materiali
- ciascuna delle quali relativa a classi ben distinte di evidenze legislative;
vale a dire:
(a) al centro - coerentemente con un
paradigma di responsabilità com’è quello italiano, che s’impernia sulla
presenza di una clausola generale (cfr., in tal senso, anche Cass. 8828/2003) -
gli artt. 2 e 3 della Costituzione;
(b) subito all’intorno, il richiamo ai
vari articoli (della nostra carta fondamentale) ove si menzionano
passaggi/contesti della persona di immediato rilievo, ai fini del diritto
privato - specie quelli più eloquenti sotto l’angolatura non patrimoniale:
segretezza, associazione, riunione, processo, famiglia, maternità, disagio,
scuola, paesaggio, lavoro, etc.;
(c) più oltre, il corredo delle
dichiarazioni internazionali in cui appaiono toccati, più o meno direttamente,
i temi delle relazioni umane e dei beni fondamentali dell’individuo (le
proclamazioni in sede Onu, anzitutto, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo,
la Convenzione di New York sui diritti dei bambini; la carta di Nizza, le
indicazioni a livello europeo e comunitario, etc.).
(d) più all’esterno ancora, con
riferimento al quadro nazionale, il ventaglio delle disposizioni ordinarie che,
in maniera più o meno immediata, si occupano dei diritti della persona, delle
formazioni sociali, della sofferenza fisica e psichica, del fare areddituale di
ciascun soggetto - non esclusa l’attenzione del legislatore per la disciplina
dei beni, delle istituzioni, dei centri, delle strutture tecnologiche, dei
filamenti ambientali, dei servizi, etc., di più accentuato risalto sotto i
profili della “qualità della vita” (v. ad es. le leggi 26.7.1975, n. 354,
sull’ ordinamento penitenziario; 9.12.1977, n. 903, sulla parità di
trattamento; 14.4.1982, n. 164, sul transessualismo; 25.1.1992, n. 74, sulla
pubblicità ingannevole; 25.6.1993, n. 205, sulla discriminazione razziale,
etnica e religiosa; 28.8.1997, n. 285, sull’infanzia e adolescenza;
31.12.1996, n. 675, sul trattamento dati personali; 6.3.1998, n. 40,
sull’immigrazione; 12.3.1999, n. 68, sul lavoro dei disabili; e si potrebbe
ricordare ancora le varie normative sulla cittadinanza, sull’adozione, sulla
tutela dei consumatori, sui viaggi tutto compreso, sulle barriere
architettoniche, sullo sciopero nei servizi pubblici, sull’handicap,
sull’aborto, sui servizi socio-sanitari, e così via).
Ecco allora che:
- mirando a ricomporre il panorama (dell’ingiustizia del danno)
dal punto di vista delle situazioni della persona, quali regolate nell’insieme
di quelle disposizioni;
- volendo guardare, nel contempo, alla tipologia degli intralci
quotidiani/relazionali che ogni aggressione è destinata ad irradiare, rispetto
ai campi delle singole prerogative;
- ebbene, non sembra difficile l’approdo a una sequenza di tavole
generali, in cui a ciascuno fra i beni meritevoli di tutela giuridica (salute,
immagine, onore, normalità familiare, sessualità, riservatezza, identità
complessiva, benessere ambientale, diritti civili nell’ambito del lavoro,
aspettative scolastiche, diritti nel processo, interessi legittimi, etc.) si
accompagni il riscontro per alcune costanti “vittimologiche”, sotto il
profilo negativo/ripercussionale: ciascuna in funzione del grado di oppressività
che ogni attentato nasconde, rispetto alle sub-voci patrimoniali e non
patrimoniali.
Inutile sottolineare l’utilità che uno quadro siffatto
preannuncia, a livello istruttorio, in particolare sul terreno del quantum -
come traccia lungo cui tenderanno a ripartirsi i singoli impatti e cascami
pregiudizievoli (quali emergenti nelle singole controversie). Non meno evidente
tuttavia la necessità di evitare sopravvalutazioni, automatismi deduttivi.
Quanto alle attese dell’interprete, allora: sarà pur lecito,
ogniqualvolta vengano in gioco (minacce a) posizioni di natura schiettamente
patrimoniale - proprietà, usufrutto, diritti personali di godimento, etc. -
pensare a coefficienti di maggior insidiosità sul terreno reddituale,
contabile, piuttosto che non su quello morale od esistenziale.
E tuttavia: considerate la frequente vischiosità delle sfere
individuali, tenuto conto quanti siano nella vita di ognuno i momenti deputati a
soddisfare (in prima battuta) esigenze d’ordine non materiale, non pecuniario,
sono palesi anche i limiti di un’impostazione che non scontasse abbastanza la
probabilità che assalti simili - combinandosi con questo o quel filamento
peculiare, nella sfera di quel danneggiato o di tutti i danneggiati possibili -
finiscano per generare, in parallelo, compromissioni di tipo comunicativo,
sentimentale, biologico, edonistico, partecipativo, emotivo, colloquiale, e così
via.
Basta pensare - ma i richiami sarebbero infiniti – al modo in cui
ogni individuo si comporta nella sua propria casa d’abitazione, di città o di
montagna, oppure all’uso che si fa abitualmente dei camper o delle roulottes,
all’importanza delle protesi sanitarie per un handicappato. Magari
all’attaccamento che un artista può nutrire per il suo strumento musicale,
per gli scalpelli di famiglia, alle cose che agevolano la fruizione del tempo
libero, agli oggetti pensati per la cultura o per i ricordi, all’artigianato,
agli animali d’affezione, ai mezzi in grado di migliorare la mobilità o la
tattilità di un soggetto infermo, di un bambino, di un disabile.
In qualche misura – allargando lo sguardo – occorrerà pensare
anche ai telefonini, alla pubblica amministrazione, ai dischi rigidi dei
computer, all’impianto dell’acqua e del gas, alle cavallette, ai rullini
fotografici, alle centraline di ogni sorta, agli specchietti per le allodole, ai
blocchi stradali, ai contraccettivi difettosi, alla posta elettronica, alle
collezioni in corso. Oppure ai black-out, alle fonti di cattivi odori, ai
giocattoli-trappola, alle bocciature ingiuste, ai virus biologici o elettronici,
agli analgesici, ai telecomandi, agli scarichi del bagno ostruiti, al cibo, alle
automobili, allo spamming, alle valanghe dovute all’ imprudenza altrui.
O magari alle password, alle obbligazioni societarie, agli spinelli, alle
videocamere, alle chat-line, alle autoambulanze in ritardo, ai
collegamenti via cavo, agli intonaci, ai cani altrui che abbaiano, agli alberi
che si protendono, ai francobolli, ai dirottamenti aerei, agli eco-mostri, ai compact
disk, al denaro. E così di seguito.
Difficile immaginare, fermandoci alle ipotesi più elementari, che
accadimenti come la distruzione di questo o quell’oggetto, oppure il suo
smarrimento in mare aperto (magari un danneggiamento, una consumazione, un
mancato accomodamento, un difetto di fabbricazione; o piuttosto un’intrusione,
un occultamento, una messa fuori uso, un’alienazione a non domino)
finisca per generare riflessi sul terreno puramente venale, materiale – e
null’altro.
Non diverse, d’altro canto, le conclusioni cui pervenire sul
versante “simmetrico” della casistica aquiliana – quello delle (sequenze
che si collegano a) violazioni di una posizione iscrivibile, nella nomenclatura
tradizionale, sotto il registro della “non patrimonialità”.
Le ragioni per avversare ogni semplificazione, circa i giochi di
causa ed effetto possibili, appaiono anzi stavolta ancor più forti. E basterà
un richiamo alle libertà fondamentali dell’uomo, ai diritti della personalità,
a quei vari presidî di natura individuale - dalla salute, alla libertà, dal
nome alla dignità, dall’onore all’immagine, dall’autodeterminazione alla
riservatezza, etc. - la cui lesione fa paventare al titolare, nell’ordine
delle cose, anche ricadute di tipo economico.
E’ quanto i repertori giurisprudenziali documentano, ogni giorno
più diffusamente. Più ancora che per le voci del cuore o dello spirito, è
facile constatare in quante occasioni di scontro - tenuto conto del modo in cui
la parte lesa era venuta organizzando la propria economia - le conseguenze
risulteranno temibili (dirompenti talvolta) proprio a livello patrimoniale.
Utilità di tavole empatico/eziologiche sì, dunque, a seconda
dell’astratta natura degli interessi destinati a venire in gioco; ma al tempo
stesso, fuori e dentro al giudizio, necessità di riscontri accurati circa le
variabili in campo - quelle capaci di incidere sul tenore e sulle dimensioni
effettive del pregiudizio.
17. I danni esistenziali ingiusti
Quanto poi al danno esistenziale, è palese come il filo conduttore
per l’interprete – nel montaggio dei riferimenti normativi che interessano
– sarà tutt’uno con la chiave fornita dalle “attività realizzatrici
della persona”.
Si tratterà di tener conto, pertanto, della misura in cui il
legislatore mostra di ricollegare al fulgore di certe condizioni generali - alla
mancata compromissione di talune prerogative - la possibilità per l’individuo
di esprimersi lungo le svariate ribalte della sfera affettiva e sessuale, della
reattività quotidiana di tipo biologico, del lavoro e della politica, della
creatività e dell’arte, dello svago e del tempo libero.
Riguardo poi ai fattori di “complicazione” del giudizio -
destinati, eventualmente, a sparigliare il gioco fra etichette della
patrimonialità e non patrimonialità, nella concreta secolarità delle vittime
- è indubbio come saranno anch’essi censibili a tavolino (sfruttando al
meglio le indicazioni offerte dalla giurisprudenza). E, anche nei loro
confronti, va sottolineato come ogni combinazione sarà destinata a mutare
secondo le tipologie degli illeciti.
Ciò sotto entrambe le angolature che rilevano. Tanti possono essere
in effetti - nello scenario di un diritto al risarcimento costruito dal basso
- gli elementi capaci di “esistenzializzare” il campo
antropologico/operazionale di un interesse; o che promettono, all’inverso, di
“de-esistenzializzare” valenze e rapporti in merito a un certo crinale della
persona.
Resta il fatto che, proprio sul fronte esistenziale, l’elemento
dell’ingiustizia si direbbe avviato – in una proiezione dall’oggi - a
raggiungere latitudini e profondità sempre maggiori.
(I) Al Leit-motiv della attività
realizzatrici è giocoforza riconoscere, nella scala dei valori del sistema, un
tasso di meritevolezza fra i più elevati. E guardare le cose dal punto di vista
dell’homo faber significa mettere in causa, fenomenologicamente,
un orizzonte vicino ai 360°. L’avvitarsi fra le due eliche (del fatto e del
diritto) non potrà che condurre - ormai che si è capito come avviene - a
scansioni via via più ricche sotto il profilo qualitativo, come sotto quello
quantitativo.
(II) Nel momento in cui al centro della scena
s’insedia la “qualità della vita”, le probabilità che all’origine
della catena vi sia un torto verso altri soggetti (familiari soprattutto)
diventano subito maggiori che altrove. Più duratura risulterà cioè
l’incidenza sulle attività realizzatrici del congiunto, che non quella
suscettibile di pesare sul reddito o sulla salute fisica o psichica, o sul
benessere emotivo dei parenti della vittima iniziale;
(III) Opera ben più che altrove, in questo
campo, il meccanismo indotto dai mutamenti di percezione chimico/dogmatica che
hanno luogo, circa la natura ultima dei danni (infra § 24). Basta
leggere le sentenze più recenti. Sempre più raro diventa, col passaggio del
tempo, il caso in cui ci si orienti a ribattezzare sub specie di
biologica, o di morale, o di patrimoniale, una posta ormai archiviata sotto il
segno dell’esistenzialità. Già oggi ricorre spesso, invece, l’eventualità
opposta - e non è detto che la curva dei ravvedimenti non verrà ancora ad
innalzarsi, durante i prossimi anni.
18. Diritto alla “felicità” in che senso
E’ frequente in dottrina, soprattutto ultimamente, la propensione
a rovesciare gli approcci più consueti, nei riguardi delle “attività
realizzatrici” della persona - a ricomporre il quadro delle norme secondo una
chiave, per così dire, in positivo.
Non tanto, cioè, l’attenzione per ciò che si sia tradotto (a
seguito del torto) nella perdita di opportunità comunicative, nella
frustrazione di un disegno esistenziale. Anche aspetti simili beninteso, così
come chiariti nel giudizio, rispetto ai vissuti del plaintiff. Insieme a
essi, però, la considerazione per i lieviti da registrare ex ante,
speculari rispetto al danno - visti come componenti di un progetto di vita,
indipendentemente dai discorsi sul risarcimento.
I tratti del facere individuale, e gli interscambi con il
prossimo, stando a ciò che potrebbe/dovrebbe accadere - secondo quanto si
vorrebbe in mancanza di impedimenti (“sono le catene che danno le ali”,
diceva Paul Éluard … sì, ma non sempre!).
La ricerca di salvaguardie allora - e di nuove occasioni - per i
propri spazi espressivi, colloquiali. La spinta a interfacciarsi con persone e
cose, a “diventare quello che si è”, sotto le voci più svariate: creatività,
scienza, lavoro, affetti, scavi, gioco, partecipazione, ambiti collettivi,
viaggi, e così via.
Passaggi da mettere al centro (ecco il punto) di una prerogativa
individuale di tipo nuovo - il diritto alla “realizzazione della persona”,
come si è detto - inedita rispetto alle tradizionali posizioni soggettive, sia
per estensione sia per timbro.
I rapporti di scambio, in questa luce, con la filosofia e con il
linguaggio della 8828/2003. La necessità di assumere quale centro per le
letture sul danno non patrimoniale (nonché varco onde aggirare le forche
caudine dell’art. 2059 c.c.) lo spirito dei primi 47 articoli della
Costituzione – soprattutto il motivo della valorizzazione della persona umana,
lungo ogni passaggio della quotidianità.
Le corrispondenze fra i due ordini formali del discorso, quello
“politico” di fondo e quello più strettamente “applicativo”: (x)
le indicazioni di cui all’art.3, 2° comma della Costituzione, da una parte,
con le postulazioni rivolte a una clausola generale, quale riferimento di “default”
per ogni contesto relazionale della persona; (y) le restrizioni
codicistiche in punto di protezione aquiliana, dall’altra parte, con
l’intervento della 8828/2003 quale affondo per la rimozione degli ostacoli
ingiusti, sulla via di una miglior salvaguardia dei danneggiati.
L’opportunità di modulazioni sintetiche, allora - dal suono
tuttavia generoso, rinascimentale. L’approdo a una formula non tanto ristretta
da cancellare, assorbendole, le frazioni di cittadinanza messe in circolo
(diritto alla serenità familiare, alla tranquillità ambientale, alla normalità
lavorativa, alla quiete dell’abitazione domestica, alla vivacità sessuale,
etc.); e idonea, nel contempo, a cogliere/rappresentare i fili di ogni attività
realizzatrice, il loro far capo a una stessa creatura - a un solo ponte di
comando.
L’utilità esplicativa di locuzioni - come questa - attente ai
momenti della promozionalità, dell’agire e dell’essere nel mondo.
L’attitudine a permettere, in tal modo, un più congruo apprezzamento
dell’illecito, anche agli effetti della quantificazione. L’accentuazione dei
risvolti progettuali come tramite per dar conto dei tratti dinamici
dell’ingiustizia - per legittimare valutazioni estese, nella law in action,
all’ intera fascia operativa della vittima
Il motivo stesso della “felicità” quale bandolo tutt’altro
che impresentabile per il diritto, una volta ritrovate le chiavi etimologiche
della parola - ossia le valenze della fertilità, della fecondità
(che è in ciascun essere): negli affetti, nel lavoro, nell’arte, nella
politica, nelle avventure, nel volontariato, nello svago, etc. Ogni individuo
guardato lungo le sue coordinate specifiche, di rigoglio possibile, di fioritura
- nella cornice dei bisogni/desideri di sempre, proteso a far passare dal dentro
al fuori i “sì” e i “no” che si avvicendano.
19. Il rapporto di causalità
Sin qui i discorsi sull’ingiustizia del danno.
Non diverse comunque - quanto al rilievo (anche sul terreno non
patrimoniale) dei criteri limitativi che vigono in materia - le conclusioni cui
pervenire rispetto un altro segmento basilare del giudizio di responsabilità:
quello del rapporto causale.
Nessuna differenza, in particolare, per ciò che concerne le voci di
natura esistenziale. Non è meno forte del consueto l’esigenza che risulti
circoscritta convenientemente, pur qui, l’ambito di ciò che sarà risarcibile
alla vittima - evitando che l’incognita di esborsi irragionevoli, dovuti al
combinarsi di fattori bizzarri o remoti, sia tale da disincentivare in partenza
chi si accinge ad agire.
Irresponsabilità, pertanto, qualora la causalità naturale
non sussista. A non potrà chiedere a B - il cui mozzicone di sigaretta abbia
provocato l’incendio del bosco, nel quale A era abituato a fare jogging
mattutino - un qualche risarcimento in relazione alle corse silvestri mancate,
laddove emerga che A quella mattina si era già rotto per conto suo una gamba. C
che ha investito e mandato all’ospedale D non dovrà risarcirlo per il fatto
che D non ha più recitato nella filodrammatica di quartiere durante i mesi
successivi, laddove emerga che il giorno prima dell’incidente D aveva
dichiarato – seriamente, irrevocabilmente - di non voler mai più recitare.
Necessità poi che sia riscontrabile, nel frangente, un nesso di causalità
adeguata. Se la cattiva organizzazione dell’agenzia di viaggi fa sì
che un certo turista passi le vacanze in un albergo scadente, quando gli
alberghi erano tutti allo stesso livello di mediocrità e insufficienza in
quella zona, non vi sarà responsabilità laddove risulti che il cliente era,
comunque, deciso a recarsi nella detta parte del mondo. Non sarà imputabile,
insomma, il danno esistenziale nel caso in cui l’azione, da rimproverarsi al
convenuto, non abbia aumentato il rischio che si verificassero compromissioni di
quella certa attività realizzatrice – nel caso in cui l’illecito si sia
limitato a produrre la presenza della vittima in un determinato sito,
all’interno di un contesto entro cui questa si sarebbe comunque trovata, e nel
quale le probabilità dell’ evento apparivano uniformemente distribuite.
Pieno risalto, ancora, per la regola che fa capo allo scopo della
norma violata. Irrilevanza, dunque, degli inconvenienti legati al mancato
compimento dell’impresa X (dato pur riconducibile al gesto del
convenuto) laddove emerga trattarsi di attività estranee a quelle di cui la
norma violata mirava a garantire lo svolgimento. Se - a causa delle mancate
informazioni da parte della compagnia aerea, circa il fatto che l’apparecchio
che dovrei prendere è guasto - finisce che passo otto ore in aeroporto
attendendo invano, non potrò chiedere il risarcimento per il fatto che il pollo
che ho mangiato allo snack-bar dell’aeroporto mi ha fatto male, o che
un’impiegata della segreteria mi ha coperto di insulti, o che un ascensore che
mi portava alla toilette si è bloccato.
Opportunità, infine, di non lasciare a carico della vittima le
compromissioni pur di scarso rilievo, oppure quelle riconducibili a fattori
idiosincratici, o quelle dovute alla concomitanza di elementi lontani e
sofisticati, laddove risulti avere il convenuto agito con dolo, e in
certi casi con colpa grave.
Conclusione – merita precisare - tanto più sicura nei
frangenti di dolo specifico, quando emerga aver il convenuto agito proprio allo
scopo di danneggiare, tarpando la vittima su quel certo versante: caso di A il
quale investe B con una motocicletta per impedirgli di fare la corte a una
ragazza, o perché non vuole che partecipi a un corso di cucina messicana.
Lo stesso però - aggiungiamo - in numerosi casi di dolo generico.
Ciò, a maggior ragione allorquando la desistenza della vittima, rispetto al
compimento di una data attività, sia dovuta proprio all’odiosità
dell’aggressione (A diffama B in maniera pesante; B, animo sensibile, si
scoraggia dinanzi a tanta cattiveria, e tralascia di partecipare a un concorso
di floricoltura, di cui A ignorava però l’esistenza). Comunque - in misura più
o meno intensa - anche nei casi in cui quell’incidenza non sia così evidente,
e resti in vita tuttavia, per l’ordinamento, l’opportunità di colpire
esemplarmente il danneggiante malizioso, mettendo a tacere per una volta gli
argomenti che s’intonano ai meriti della libertà di movimento e alle necessità,
per la stessa lex Aquilia, di non deprimerla.
20. Il futuro prossimo fra artt. 2043 e 2059 c.c.
Gli elementi sin qui indicati appaiono sufficienti a far intravedere
in che maniera tutta una serie di passaggi, sul terreno del danno biologico,
morale, esistenziale, verranno a evolversi nell’immediato futuro.
Inutile osservare, beninteso, come ogni previsione si annunci
tutt’altro che semplice, entro il comparto dell’illecito. E i pronostici
sembrano ancor più azzardati per un’area quale quello (del danno) non
patrimoniale - dove le categorie per metà si presentano relativamente acerbe,
irruenti, per l’altra metà figurano precocemente invecchiate e bisognose di
un restyling.
E’ verosimile, tuttavia, che i riassetti avvenuti nell’ultimo
periodo, non foss’altro che per l’autorevolezza degli artefici (la stessa
Cassazione penale nel caso Barillà), non subiranno incrinature tanto presto. E
fra le “bocce” forme della disciplina - contemplando il panorama dall’oggi
– possono in particolare segnalarsi:
(a) la permanenza in vita, formalmente, per
l’art. 2059 c.c., la sua non cancellazione dal testo ufficiale del codice
civile (la sua riduzione però a controfigura settoriale dell’art. 2043 c.c.);
(b) il trasloco sul terreno di tale norma
(art. 2059) di tutte le figure significative del danno non patrimoniale -
manovra che appare destinata, come s’è detto, a non farsi mettere in
discussione per un po’ di tempo;
(c) la fine, in particolare, dopo una
quindicina d’anni o poco più, della signoria nominale dell’art.2043 c.c.
sul danno biologico;
(d) un declino sempre più generalizzato,
concettualmente e applicativamente, per le impostazioni di stampo c.d.
“eventistico” (e ciò sul terreno biologico, esistenziale, morale - anche
riguardo a quest’ultimo, in linea di principio); la riconferma in generale
delle letture “consequenzialistiche”: l’onere per l’attore di fornire
lui dunque - patrimoniali o non patrimoniali che siano - le prove delle
conseguenze lesive;
(e) la necessità/sufficienza - testé
sottolineata - che alla base di ogni filamento non patrimoniale per cui si
agisce ex lege Aquilia sia ravvisabile, sotto il profilo
dell’ingiustizia, un interesse della persona meritevole di tutela, alla luce
dei valori costituzionali (intesi però con riferimento all’insieme
dell’ordinamento giuridico, ossia all’integralità dei materiali normativi
che interessano: cfr. retro);
(f) la normale applicabilità delle regole
sul nesso di causalità, e ciò in relazione a tutte le voci pregiudizievoli,
anche quelle non patrimoniali;
(g) la piena vigenza - in punto di
presupposti della responsabilità, particolarmente circa il criterio di
imputazione attivabile: sorveglianza, impresa, pericolosità, proprietà,
custodia, etc. - degli artt. dal 2047 al 2054 c.c. anche sul terreno non
patrimoniale, nessuna voce di danno esclusa; e lo stesso deve ripetersi, sempre
ai fini dell’an respondeatur, con riguardo a disposizioni di
responsabilità oggettiva o semioggettiva comunque presenti nel sistema
italiano, dentro e fuori il c.c.;
(h) la gestione della prova - relativamente
ai lemmi non patrimoniali - attraverso gli strumenti della valutazione
equitativa, combinati con riferimenti di natura tabellare; lo spazio da
concedere in quest’ambito ai ragionamenti presuntivi; la possibilità per
l’avversario di controprovare e rovesciare le risultanze sfavorevoli; il tutto
- si può dire – attraverso copioni/protocolli diversi secondo il tipo di
pregiudizio, messo in causa, e, verosimilmente, in modo neppur eguale o uniforme
per i singoli sub-settori (famiglia, lavoro, ambiente, processo, etc.).
21. Il no a etichette meramente negative
Altre indicazioni è probabile che cambieranno, di tanto o di poco.
Ma occorre distinguere. Nella maggior parte dei casi, non è difficile
immaginare in che maniera le tracce potranno evolversi; solo su alcuni aspetti
di dettaglio il domani appare meno sicuro.
Fra i punti fermi vi è, plausibilmente, il no a un’impostazione
che si accontenti, per i materiali in esame, di parlare semplicemente (con
un’espressione di tipo generale - unico riferimento cui far capo, al quale
nient’altro dovrebbe fare seguito, come attributo o come sostantivo) di danno non
patrimoniale
Decisivi in tal senso i rilievi - già affacciati da qualche autore
- circa l’inidoneità di una piattaforma atteggiata in termini meramente
oppositivi (e dunque povera di contenuto) a svolgere sul terreno dell’art 2059
c.c. compiti soddisfacenti di amministrazione.
Approcci simili potevano forse bastare (si è rimarcato) nelle fasi
aurorali/embrionali della responsabilità civile. In contesti del genere, anzi,
un mero ricorso a dei “no” e a dei “contro” sarà magari appropriato -
per la necessità di far risaltare allora le differenze di segno, proprie dei
capitoli emergenti.
Oggi che in Italia la casistica si è tanto arricchita - non solo
dal punto di vista qualitativo (colonne cinquanta volte più estese nei
repertori, rispetto a trent’anni fa), ma anche sul terreno qualitativo
(numerose voci inedite alla ribalta) - è palese come l’insistenza su
etichette puramente “avversative” appaia, rispetto ai materiali di cui
all’ultima disposizione del quarto libro del c.c., qualcosa di inadeguato. Un
ripiego istituzionalmente povero - poco più di un’”apparecchiatura” di
bottega, che si arresta là dove le informazioni di lavoro dovrebbero invece
cominciare, sgorgare.
Viene meno anche il pungolo a effettuare, da parte dello studioso,
approfondimenti di sorta; ogni precisazione diventa gratuita, un gesto fuori
misura - una prova di zelo non richiesto. Non c’è il calibro per raccontare né
quindi il modo di sapere punto per punto (ecco l’infelicità in senso
proprio) come la vittima stesse prima di quell’aggressione, quali
inconvenienti il torto le abbia procurato.
Diverrà ardua (a istruttoria conclusa) una quantificazione aderente
alla realtà delle compromissioni - rispettosa del nome e del senso delle
perdite. Manca il lemmario elementare di servizio: aumenta il pericolo che
alcuni tra i contraccolpi del caso finiscano per non farsi nemmeno percepire,
nel processo, o si accentua (all’inverso) il rischio che il giudice non riesca
a evitare duplicazioni risarcitorie.
22. Tre categorie di danno non patrimoniale
Ben giustificata invece - sotto profili di nomenclatura, per
l’universo non patrimoniale - la messa in gioco di un modello articolato lungo
tre “fuochi” generali: (I) ciò che fa capo alle funzioni del corpo e
della mente; (II) l’insieme dei patemi d’animo e delle sofferenze
interne; (III) le attività realizzatrici dell’essere umano,
quali pregiudicate dall’aggressione a beni diversi dalla salute.
Non è difficile accorgersi - benché i “tagli” architettonici
divergano sensibilmente - come ciascuno dei riferimenti (e a riconoscerlo sono
gli stessi giudici del caso Barillà; ma già prima la 233/2003 della Corte
costituzionale) possieda le qualità per governare, nei tre ambiti
rispettivamente, una frangia significativa di ripercussioni.
Poche, infrequenti statisticamente, senza grande valore intrinseco,
le tipologie di malesseri o disappunti non riportabili – in via diretta -
sotto questa o quella delle tre egide.
Quanto alle note comuni ai tre settori:
(a) si tratta di voci/universo d’ampio
raggio, tutte con un forte tasso di confederalità, idonee comunque ad
abbracciare sub-filoni (ripercussionali) alquanto diversi e disomogenei;
(b) benché nel segno di ispirazioni
differenti, ciascun’area appare tale da postulare, onde essere gestita,
approcci non circoscritti al mero scadenzario del diritto - sensibili cioè ai
suggerimenti di una molteplicità di discipline: antropologia, medicina legale,
economia, psichiatria, sociologia, etc.;
(c) all’interno di ciascun ambito saranno
destinati a giocare più modulazioni funzionali, variamente intrecciate fra
loro: scontata l’ovvia costante/imprescindibilità del motivo reintegratorio,
qui tenderanno a primeggiare co-finalità di tipo sanzionatorio, là invece
istanze di ordine preventivo, o precauzionale, là ancora valenze di ordine
distributivo, riequilibratore, etc.; quasi sempre prevarranno, in concreto, mix
originali e particolari: si tratterà spesso di distribuzioni correlabili al
riguardo per i momenti strutturali della fattispecie - combinazioni preziose in
vista di un prontuario disciplinare, di un self-help per i giudizi in
corso;
(d) ovunque potrà farsi sentire il peso dei
fattori idiosincratici, legati alle peculiarità psico-fisiche della vittima -
suscettibili di incidere variamente a seconda del danno considerato (biologico,
esistenziale, morale); i riscontri del caso non potranno che avvenire in
concreto, ope iudicis; come risultato si avrà in tutti i casi un
aggiustamento, in più o in meno, del quantum decretato dalle tabelle;
(e) ogni figura del danno non patrimoniale,
tenuto conto delle vicende di base, tenderà ad entrare in scena non da sola;
gli accoppiamenti e le frazioni in materia sono destinati a variare: ben più
spesso che nel campo patrimoniale accadrà che siano riscontrabili,
all’origine, illeciti di tipo plurioffensivo: sicché il conto per il
danneggiante finirà non di rado per consistere:
di un’ampia lista di legittimati attivi, con più di una
“vittima secondaria” da soddisfare;
ciascuna coi suoi cahiers de doléances specifici
(esistenziale e morale soprattutto).
23. Espansioni future
Più d’una allora, rispetto a tutto questo, le direttrici di cui
è ragionevole immaginare il consolidarsi, nella sala macchina della
responsabilità. E quella più significativa è rappresentata proprio
dall’incremento, quantitativo e qualitativo, che ci si può attendere per gli
esiti in ambito non patrimoniale - non sempre (bisogna dire) attraverso i
percorsi più collaudati della lex Aquilia.
Due in particolare, fra quelli emersi ultimamente nella law in
action, i comparti più “intriganti”, imprevedibili - che si segnalano
soprattutto sul terreno (del danno) esistenziale.
(a) Un primo cenno appare quello inerente al
capitolo c.d. illeciti endo-familiari - quando accade che ad arrecare la
lesione sia il componente di una certa famiglia, a subirla un altro membro dello
stesso nucleo domestico: un coniuge contro l’altro, i genitori o uno solo di
essi contro un figlio, i fratelli contro le sorelle, e così via.
E’ stato ben chiarito, al riguardo: non sempre - tra un congiunto
e l’altro - il ricorso ai mezzi del primo libro del c.c. appare sufficiente a
sciogliere i nodi dell’illecito: e non si vede perché il ristoro (esteso
secondo i casi al momento biologico, a quello morale, a quello esistenziale)
dovrebbe - qualora un danno purchessia residui a quell’esercizio - non essere
possibile alla vittima.
(b) Un secondo richiamo, ancor più
significativo, è quello relativo alle ipotesi di inadempimento contrattuale
– allorché sia la mancata esecuzione di una prestazione (quale definita fra
le parti, in sede pattizia) all’origine dello spaesamento risentito dalla
vittima.
Gli esempi sono ancor più numerosi, qui. Comportamenti negligenti
da parte del medico, destinati ad arrecare un danno biologico e/o morale al
contraente-cliente, nonché d. morali e d. esistenziali ai parenti. Illeciti di
vario tipo posti in essere dal datore di lavoro. Scorrettezze compiute
dall’agenzia turistica, dalla compagnia dei telefoni, dalla società di
trasporto. Inadempienze da parte del locatore, che trascuri riparazioni a suo
carico, costringendo per anni il conduttore a una vita disagiata. Errori e
dimenticanze del parrucchiere, del fotografo, dello chaffeur, del cuoco,
dei musicisti, del sarto, proprio nel giorno delle nozze. E così di seguito.
Impossibile soffermarsi qui nell’analisi dei dettagli. E’ palese
tuttavia come ci si trovi dinanzi, in ambedue le ipotesi, a meccanismi alquanto
singolari – anche dal punto di vista del danno non patrimoniale
(b1) Quanto all’ultima menzione, in
particolare: si tratta di frangenti in cui non è scontato che il titolare
potrebbe ambire a una protezione efficace, qualora fosse colpito in via
extracontrattuale: mentre saranno palesi le necessità di tutela là dove il
bene (antropologico) di cui al danno sia proprio quello che il titolare –
stipulando il contratto – aveva inteso coltivare o promuovere.
(a1) Quanto alla prima ipotesi. Data la
delicatezza del settore (che mette in causa sentimenti profondi, legami spesso
insondabili) occorreranno ex lege Aquilia soluzioni altrettanto morbide.
Ad esempio: bisognerà che ci si trovi al cospetto di danni che un richiamo agli
strumenti del primo libro (separazione, divorzio, etc.) non varrebbe a
neutralizzare; sarà necessario - quando non siano in gioco obbligazioni al
mantenimento - il compimento di un illecito grave, commesso magari di proposito;
poiché lo scontro aquiliano dissolverà verosimilmente la famiglia, è
difficile immaginare che non dovranno promuoversi, contro il torto, anche i
rimedi di tipo familiare. E così via.
Dettagli statutari a parte: ciò che colpisce è il vigore con cui
il danno non patrimoniale viene bussando - qua e là - alle porte dei tribunali.
E se diverso appare il percorso lungo cui argomentare la possibile condanna del defendant
(qua, la forza dell’accordo iniziale fra le parti; là, l’impegnatività
della famiglia e delle sue regole, che prevedono doveri, i quali hanno per scopo
proprio il benessere spirituale dei singoli), è palese come ci si trovi
davanti, per ambedue i capitoli, a meccanismi destinati a operare come una sorta
di “cavallo di Troia”.
Le poste (esistenziali e morali) che entrano nella roccaforte
dell’ illecito avranno da quel momento vita propria - e tenderanno a far
valere a 360° i loro diritti di cittadinanza, lungo ogni altro contesto segnato
dall’ingiustizia.
24. Riequilibri interni
Altri movimenti significativi (nella geografia interna del danno non
patrimoniale) sono poi quelli relativi agli “adeguamenti di percezione” e ai
ritocchi formali di catalogo, che periodicamente avvengono in dottrina e in
giurisprudenza - riguardo a quella che è la sostanza delle compromissioni
arrecate.
Le direzioni della scoperta, e dei correlativi spostamenti, appaiono
in proposito più d’una.
(i) Ad esempio: diventa evidente
all’improvviso come non sarà più lecito iscrivere sotto il segno della
patrimonialità (l’essenza di) ciò che di sgradevole capita – giorno dopo
giorno – nel momento in cui si sia rimasti vittime di un’immissione sonora,
atmosferica, sussultoria, elettromagnetica, odorosa, etc.
Più precisamente: ci si accorge un certo punto come - insieme ai
contraccolpi economici, a carico di chi abbia subito iniziative del genere; o
accanto all’eventuale insorgere di patologie psichiche o fisiche; o in
parallelo con l’eventuale patimento di sofferenze - vi siano, nella
quotidianità delle vittime, molteplici ripercussioni sul terreno
relazionale/antropologico.
Riflessi destinati ad aver luogo, altrettanto frequentemente, anzi
con regolarità (statistica) pressoché assoluta, lungo i diversi ambiti
intrusivi. E che finiscono - quasi sempre - per costituirsi come l’autentico
nucleo negativo/ossessivo del male, dedotto in giudizio. Perché non chiamare
quegli inconvenienti con il loro vero nome, per l’avvenire, e registrarli
sotto la giusta casella aquiliana?
(ii) Oppure: ci si accorge come - nelle
pieghe di cui è disseminata la carriera di un malato, divenuto tale a seguito
dell’illecito altrui - tendano a nascondersi frequenti momenti di negatività/illiceità,
irriducibili per se stessi all’universo del “biologico”, comunque del
“fisico” in senso stretto.
Momenti connessi a questa o a quell’aggressione, dentro e fuori la
struttura sanitaria, contro un determinato diritto della personalità (decoro,
riservatezza, consenso, modalità comunicative, false diagnosi, abusi,
autoritarismi, etc.). Oppure legati al pregiudizio di una sottovoce o
dell’altra, fra quelle non strettamente anatomiche o fisiologiche, nel quadro
di torti pur di matrice biologica: menomazioni dell’equilibrio psichico,
maternità perduta, aborto traumatico, handicap sessuali, lesioni
all’olfatto o al gusto, compromissioni estetiche, e così via.
(iii) O ancora: diventa palese, da un certo
momento in avanti, la scarsa proprietà giudiziale di una criteriologia
orientata ad archiviare sotto il segno “psi” voci inerenti ai capitoli -
tutti esteriori - della quotidianità peggiorata, delle delusioni o dei degradi
per il fare/essere, degli sconvolgimenti nell’agenda.
E siamo alle figure (ben note alle corti) della vacanza rovinata,
delle lesioni sessuali arrecate al coniuge, dei guasti all’ambiente, delle
violazioni dei diritti del lavoratore al riposo, dell’uccisione o della
macroinvalidazione di un familiare, degli attentati alla privacy, dell’
abitazione insalubre per colpa del locatore, e così via.
24.1. Che cosa cambia
Che dire al riguardo? Si tratta di itinerari di trasformazione,
nella mappa del danno non patrimoniale, fra i più significativi dell’ultimo
periodo - e ciò per vari motivi, sempre più chiari ormai:
- non è detto che i ritocchi, di cui prendere atto, si limitino
sempre a un gioco interno, di smistamento tra lemmi tutti già preesistenti;
talvolta il risultato si esprimerà nella nascita di nuove categorie di danno, o
almeno di locuzioni inedite, più o meno persuasive e durature: è quanto è
spesso accaduto in passato (d. alla vita di relazione, d. ambientale, d.
emotivo, d. alla serenità familiare, danno edonistico, etc.), e anche più
recentemente (d. esistenziale):
- ogni addizione ha l’effetto di arricchire la partita
interessata, che vede mutare così la sua fisionomia, e variare la propria forza
attrattiva; per altre voci accade invece l’opposto: meccanismi più complessi
e sottili del previsto, dunque; esiste un calibro ideale verso cui ogni figura
tenderà, né eccessivamente ampio (d. non patrimoniale) né troppo ristretto
(tante germinazioni degli ultimi vent’anni); le misure sfocate per eccesso o
per difetto sono condannate o durare poco, o riescono comunque di scarsa utilità;
- fino a un certo punto, è giusto dire che ci si trova al cospetto
di aree (del danno non patrimoniale) fra le meno costose e impegnative: i
trapassi linguistici o le innovazioni nominali non si traducono, hic et nunc,
in aumenti nella quantificazione complessiva: ciò che ha luogo è semplicemente
una corresponsione riparatoria sotto altra veste, senza che le cifre finali
aumentino granché; talvolta, la maggior correttezza della neo-qualificazione,
dal punto di vista formale, può essere anzi all’origine di risarcimenti più
contenuti, ogniqualvolta ci si avveda che l’impatto di quel certo capitolo
(nell’universo delle vittime) era stato in effetti sopravvalutato.
25. Nuove voci funzionali
Direttrici di espansione vera e propria (secondo quanto alcuni
episodi suggeriscono, nella giurisprudenza dell’ultimo periodo) sono invece
quelle relative all’ affiancarsi di una serie di compiti, tecnico/politici,
non strettamente ortodossi per la lex Aquilia - ulteriori rispetto a
quelli svolti correntemente; distinti comunque rispetto alla finalità che
primeggia nell’illecito, ossia il risarcimento del danno.
Due i riferimenti da considerare soprattutto.
(a) Un primo accenno è quello relativo alla
possibilità che la condanna nasca talvolta - sul terreno del danno non
patrimoniale - non già con l’obiettivo di neutralizzare qualche “perdita”
(al conto in banca o alla sfera personale di qualcuno), bensì con l’intento
di esprimere una sorta di biasimo, di riprovazione, rispetto alla condotta posta
in essere dal convenuto.
Così, soprattutto, in certi casi di chiamata al risarcimento nei
confronti della p.a. – relativamente a qualche (episodio di) sanzione irrogata
senza fondamento, o a qualche micro-persecuzione burocratica di un cittadino.
Ad esempio, il recente caso di Perugia (siamo nel 2000), finito
addirittura in Cassazione (la sentenza del S.C. è del 2004). Fattispecie -
ricordiamo - di un automobilista al quale era stata inflitta una contravvenzione
per violazione del divieto di accesso in zona a circolazione limitata.
Nonostante il malcapitato avesse fatto presente al vigile accertatore di essere
munito di permesso per accedere al centro storico, questi era rimasto fermo
nella sua posizione, posizione avallata successivamente dal Comando dei vigili
urbani. Di qui la necessità per la vittima di adire le vie legali. Il giudice
umbro - parlando di “frustrazione che il cittadino avverte nei confronti
dell’Autorità, con conseguente turbamento e sensazione di totale impotenza e
afonia, anche allorché sa di trovarsi dalla parte della ragione!”, e
precisando potersi parlare in relazione a ciò, oltre che di un sia pur lieve
danno patrimoniale, anche di un “danno alla salute” - condannerà il Comune
a (un risarcimento per) complessive 200.000 lire .
Com’è palese: non si può dire che il giudice (altre sentenze
appaiono ancor più laconiche) indugi più di tanto circa le vere ragioni che
l’hanno indotto a quell’esito. Colpisce tuttavia - allorché si scorrono le
righe della motivazione - la frequente insistenza, da parte dell’estensore,
circa il dato dell’intollerabilità dei contegni posti in essere dalla p.a. E
ciò, tanto più a paragone dell’evasività con cui viene trattato nella
pronuncia, invece, il punto dei danni patiti della vittima (ma non si stava
parlando di responsabilità extracontrattuale?) - o tenuto conto della scarsezza
di informazioni fornite in materia.
Sorprende, soprattutto, la disinvoltura con cui la decisione fa
riferimento a figure (di danno) tanto abusate in passato, quali “ombrelli”
sotto cui dar riparo pressoché a qualsiasi tipo di disagio, quanto visibilmente
impresentabili come involucri per le prevaricazioni e i malesseri del caso.
Difficile non far capo, in definitiva, alle chiavi
“decodificatorie” di cui sopra. Prendendo atto come obiettivo del giudice
sia per l’appunto - dinanzi a ipotesi del genere - (a1) una censura
formale da esprimere, quanto all’arroganza dimostrata dal defendant;
nonché (a2) un suggello/riscatto per le umiliazioni inflitte alla
vittima. E riconoscendo nel contempo come i riferimenti al danno non
patrimoniale - che pur si afferma a parole di risarcire - altro non sono in
realtà che un “di più” di maniera, dal tenore essenzialmente simbolico
(come dimostra anche la modestia delle cifre).
(b) Un’ipotesi non tanto diversa è quella in cui il convenuto
figuri aver operato, contro la vittima, nel quadro di una determinazione dolosa
- magari con un vero e proprio animus nocendi.
E’ quanto vediamo accadere, ad esempio, sul terreno di talune
fattispecie di mobbing, oppure di licenziamento ingiurioso; o ancora in
ambito familiare, per certi casi di maltrattamenti, o ancora in ipotesi di
omesso mantenimento dei figli; oppure in materia di beni naturali, con riguardo
a talune vicende di inquinamento, oppure di immissioni prolungate nel tempo.
Trattasi di situazioni diverse, come si vede, rispetto a quelle
sopra segnalate (il danneggiante non è, qui, un soggetto necessariamente
“forte”; non c’è da parte sua soltanto colpa lieve o grave, ma
addirittura malignità, più o meno raffinata) - e tuttavia ad esse
assimilabili, per vari aspetti, su un terreno di politica del diritto.
A entrare in gioco sono, comunque, valutazioni e orizzonti non
riducibili a quanto accade di consueto. Ed ecco allora il filo conduttore.
Il danno - che pure esiste nel secondo caso, in misura anche non
piccola, e appare causalmente collegato all’azione - di fronte a semplici
negligenze dell’ agente o magari anche a trascuratezze di un certo rilievo non
sarebbe, verosimilmente, qualificabile come ingiusto. Una volta che il dolo
entri in scena, tutto il quadro ricostruttivo si modifica. L’equilibrio nel
bilanciamento degli interessi cambia di significato, ogni ragione
giustificatrice per il defendant si appanna: anche voci (non
patrimoniali) come quelle di tipo morale o esistenziale, delle quali non si
sarebbe magari tenuto conto, diventano nel mutato contesto casi riparabili (o lo
saranno comunque in misura superiore: cfr. art.18 della legge 349/1986
sull’ambiente).
26. Raccordi
E’ palese, in merito alla casistica testé ricordata, la necessità
di un serio approfondimento. Già a prima vista spiccano comunque alcuni
elementi:
(i) qui come là, le funzioni messe in campo
dal giudice non appaiono addirittura di segno opposto, rispetto alle istanze
affidate tradizionalmente all’illecito; in parte esprimono motivi davvero
autonomi, in parte possono dirsi strumentali - piuttosto – alla miglior
coltivazione di queste ultime;
(ii) la fenomenologia in questione verrà
rafforzandosi, con tutta probabilità, non solo via via che si accentui la
sensibilità rispetto alle valenze “politiche” che sono in gioco, ma anche
man mano che diminuisca (in generale) la disponibilità dell’ordinamento a
colpire, in ipotesi simili, l’autore con misure di tipo penale o
amministrativo – o che queste ultime vedano scemare, in ogni caso, la fiducia
(nutrita fino a quel momento) circa le loro attitudini di sapore
araldico/stentoreo;
(iii) poiché è ben raro, in vicende simili,
che ricorrano momenti di danno biologico in senso stretto (anche sub specie
psichica), o che siano riscontrabili condizioni di autentico dolore
nell’offeso, è verosimile che la categoria su cui far conto per “vestire
all’aquiliana” le condanne inflitte all’autore sarà, per il futuro,
soprattutto quella del d.esistenziale. Nel cui suggello sempre più fermo, da
parte della Cassazione, va colto insomma un passaggio destinato a facilitare
alla responsabilità civile lo svolgimento dei suoi compiti di “supplenza”,
nonché il puntello in vista di verdetti sensibili comunque alle necessità di
giustizia.
27. Danni plurimi e combinazioni ricorrenti
Rimane infine da saggiare – nell’ottica di un ampliarsi
dell’aerea del risarcimento, quale si annuncia per l’immediato futuro, sul
terreno dell’art. 2059 c.c. – l’attendibilità di una (ricerca volta alla)
messa a punto di alcune indicazioni toponomastiche. L’obiettivo è quello di
un’articolazione ragionata, nella mappa dei danni non patrimoniali, attraverso
la rifinitura di una serie di combinazioni, distinte secondo le fattispecie
considerate.
E’ presto per dire se e fino a che punto tutto ciò sarà
attuabile. Sulla carta (occorre dire) le premesse favorevoli non mancano: nelle
tipologie degli illeciti più diffusi, è facile avvedersi come non siano poche
le costanti/serialità d’ordine morfologico, distribuite lungo i vari crinali
che interessano:
- “struttura del fatto”: possibilità (ad esempio) di ravvisare
in concreto una sola condotta oppure più condotte dannose; illeciti istantanei
o invece prolungati nel tempo; comportamenti che ogni volta violano uno solo,
ovvero più diritti della vittima; più eventi o un solo evento come effetti
dell’azione od omissione; e così via;
- “numero delle vittime”: fatti che colpiscono un solo soggetto,
oppure una molteplicità di individui: nel secondo caso, che danneggiano tutte
le vittime secondo le stesse modalità, oppure destinati a gravare in forma
diversa sull’una piuttosto che sull’altra; e via di seguito;
- “incidenza dei momenti idiosincratici”; prevalenza, secondo i
casi, degli elementi destinati a rendere il (potenziale) danneggiato più
temprato o più indifeso del consueto; natura fisica o psichica degli stessi;
maggiore o minor possibilità di risalto per momenti simili, sotto il profilo
giuridico; attitudine delle predisposizioni a interessare tutte piuttosto che
alcune soltanto, tra le classi di illeciti; etc.;
- “colpevolezza”: vocazione dei fatti in causa ad atteggiarsi
come risultati possibili di una colpa e di un dolo, oppure prevalentemente o
esclusivamente di uno solo dei due (casi di dolus in re ipsa, ad
esempio);
- “causalità”; frequenze (e aspettative) nella messa in gioco di uno piuttosto che dell’altro criterio limitativo, o di una pluralità di essi, a seconda delle ipotesi;
- “tipologie dei danni”: situazioni in cui non potrà mancare il
prodursi di un d. biologico; o invece di un d. morale; o piuttosto di un d.
esistenziale; o in cui si verificheranno incroci di vario tipo, fra l’uno e
l’altro.
Con riguardo a quest’ultimo punto (occorre aggiungere) non sembra
impossibile spingere più a fondo l’analisi: puntando a un censimento delle
figure di illeciti secondo le graduazioni fra i pregiudizi che tendano, nei vari
scenari, a contraddistinguerle - e giungendo a corredare il riscontro di
ciascuna di esse con altrettanti paradigmi di orientamento. Già a prima vista
non è difficile rendersi conto della verosimiglianza di tutta una serie di
intrecci, congegnati singolarmente come segue:
malpratice medica: è un campo che
appare dominato abitualmente dal
(patimento di un) danno biologico; il danno morale avrà di solito
un certo peso, il d. esistenziale varrà soprattutto per i familiari;
incidenti stradali: la combinazione sarà
di norma la medesima;
(c) immissioni; scarso si annuncia qui il risalto del
d. morale, notevole quello del d. esistenziale; raro che possa determinarsi un
danno biologico in senso stretto;
(d) diffamazione: gran parte delle
ripercussioni sarà stavolta di tipo sofferenziale, non marginale il ruolo per
il d. esistenziale; rara l’eventualità di riflessi biologici;
(e) inadempimento degli obblighi
di mantenimento familiare: il danno è in questi casi soprattutto di natura
esistenziale, le altre tipologie saranno pressoché assenti;
(f) processi lumaca: di d.biologico
tende ad essercene ben poco, qui; il d. esistenziale farà sentire quasi sempre
la sua presenza, quello morale può assumere occasionalmente un certo peso;
(g) lesioni delle capacità sessuali
del partner; pregnanza delle voci esistenziali, bassa consistenza delle
altre.
E così di seguito. Si tratta, è appena il caso di aggiungere, di
indicazioni facilmente raccordabili con gli elementi di cui sopra, relativi alla
struttura delle fattispecie, alla colpevolezza, alla causalità, etc. E neppur
sembrano inimmaginabili - nella costruzione degli schemi in questione - tavole
in cui i rapporti probabilistici per le varie categorie di danni vengono
espressi in termini aritmetici, gruppo per gruppo.
Il giudice si vedrà messo, così, nella condizione di sapere in
anticipo (sulla base di congrue pre-rubricazioni) come le voci non patrimoniali
tenderanno a modularsi, nella vicenda affidata al suo magistero - e magari in
condizione di impostare, alla luce di standard predeterminati, le scelte
organizzative dell’istruttoria. E’ una semplificazione che potrebbe non di
rado rivelarsi preziosa.
(Professore ordinario di istituzioni di diritto privato – Università di Trieste)
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