Caratteristiche del mobbing (realtà per i mobbizzati, estremizzazioni per gli scettici)
Preambolo
Il mobbing è una
vessazione premeditata, continuata e finalizzata: “un linciaggio psicologico”,
un’intenzionale manifestazione di ostilità. Il mobbing è una guerra combattuta
soprattutto sul piano psicologico e strategico, di solito sul posto di lavoro.
Il mobbing è pure definito “terrorismo psicologico sul posto di lavoro”. Il
mobbing è una guerra senza quartiere, con vincitori e vinti, con danni morali e
materiali. I concetti esposti qui di seguito sono il frutto dell’esperienza
personale e concreta di chi scrive e di altre persone conosciute. Questi
concetti non sono da intendere come “regole assolute” bensì come una semplice
testimonianza.
L’autore, la persona, le sue motivazioni,
l’obbiettivo
L’autore, ovvero la
persona che esercita il mobbing, è normalmente un preposto o un (o più) collega
con mansioni diverse ma che detiene un certo potere ed è in grado di influire
sul destino della vittima (in questo caso si parla di bossing). L’autore può
anche essere un gruppo di persone (per esempio i colleghi del medesimo
reparto). L’autore del mobbing è generalmente una persona in stato di
inferiorità psicologica (frustrato) perché meno esperta, con meno anni di servizio,
più giovane oppure portatrice di un complesso, di invidia o di rancore nei
confronti della vittima (per esempio se l’autore è fisicamente meno prestante,
in condizioni economiche inferiori, di grado militare inferiore, d’un partito
politico diverso, soffre di solitudine, ecc.). È possibile che l’autore sia
sottoposto a pressioni da parte dei suoi superiori per ridurre il numero di
dipendenti a scopo di risparmio; è pure possibile che la vittima sia
concorrente o rivale o semplicemente antipatica all’autore o a un suo
conoscente, ecc. Spesso i preposti inesperti e/o deboli di carattere o tiranni
si attendono dai subordinati un atteggiamento servile ed adulatore (in Giappone
era usanza che il subordinato si rivolgesse al preposto con stupore e tremore
!). La tipologia tipica dell’autore è il frustrato, il sadico, il criticone, il
leccapiedi, il tiranno, il carrierista, ecc. L’obiettivo è di asservire o
allontanare o eliminare la vittima (il “nemico”) distruggendola
psicologicamente, come pure di raccogliere le prove per allestire la
documentazione per una messa sotto accusa, un licenziamento (licenziamento
infamante) e/o la sua sostituzione con una persona più gradita allo scopo
ultimo di conservare e/o rafforzare il proprio potere. Per principio l’autore
del mobbing evita/rifiuta ogni contatto/colloquio/confronto con la vittima per
quanto concerne il mobbing stesso che evidentemente per l’autore non esiste. Se
l’incontro è inevitabile l’autore si riferirà unicamente a presunte
incapacità/insufficienze della vittima.
La vittima (chiunque
può essere vittima del mobbing; qui è definita al maschile) è generalmente un
subordinato tranquillo, coscienzioso, onesto ma un po' ingenuo, desideroso di
essere considerato e promosso; timoroso perché bisognoso del posto di lavoro in
quanto ha doveri familiari/obblighi finanziari. Il suo atteggiamento
volonteroso ma non servile, la sua serenità, il suo carattere equilibrato,
schivo, introverso, la sua diversità, il suo battersi per ciò che è giusto,
ecc. infastidiscono (“non rientra nello schema”). Il mobbing lo rende nervoso,
distratto: aumenta in lui la percentuale di errore e l’insicurezza.
Il mobbing ha durata
illimitata, tuttavia per renderlo più efficace l’autore del mobbing alterna
periodi di forte pressione psicologica con periodi relativamente sereni, ciò
sconcerta e rende insicura la vittima che tende ad abbassare la guardia
permettendo all’autore del mobbing di scoprire le proprie difese (scoprire chi
sono gli alleati, le fonti di informazione, i programmi e quanto la vittima
intraprende per contrastare l’autore / il mobbing). Secondo alcuni testi esiste
mobbing se c’è almeno un “attacco” alla settimana per almeno 6 mesi. Il mobbing
termina con l’uscita di scena” della vittima o più raramente dell’autore,
oppure con la cessazione delle ostilità perché l’autore non può o non vuole più
raggiungere il suo obiettivo. La durata dipende anche dall’intensità del
mobbing, dalla forza dell’autore del mobbing e dal grado di resistenza della
vittima.
L’azienda,
l’ambiente di lavoro
Il mobbing si
sviluppa più facilmente in un ente pubblico o una grande azienda dove il potere
supremo ha poco contatto con i livelli inferiori e/o dove vige una certa
confusione di ruoli e compiti (azienda enorme con moltissimi servizi e reparti
autonomi, azienda in trasformazione e/o con razionalizzazioni in corso, ecc.).
Il gigantismo dell’azienda, le continue ristrutturazioni, la lontananza e/o
l’incompetenza dei superiori permettono che il mobbing passi inosservato. In
caso di conflitto con l’azienda la gestione del problema passa all’ufficio del
personale o al servizio giuridico (generalmente già sovraccarichi di lavoro)
che giudicano in base ai rapporti/documenti esistenti, alle dichiarazioni dei
superiori e alle disposizioni interne e legali. L’ambiente di lavoro dipende
anche dal grado di accettazione da parte del gruppo / inserimento nel gruppo di
lavoro. I colleghi I colleghi e i terzi si dividono in nemici, neutrali e amici.
Sono i lecchini che stanno opportunisticamente dalla parte del più forte e i portaborse che sono legati a un potente, di solito l’autore del mobbing. Quando l’autore infierisce sulla vittima rincarano la dose con accuse, rimproveri, scherzi, ecc. Non aiutano mai la vittima, tengono le debite distanze (la vittima è emarginata), riferiscono ogni cosa all’autore (ruffiani), ecc. I “lecchini” si sentono in dovere di adulare e interpellare il potente di turno per ogni futile motivo e/o di divertirlo con battute cattive anche di basso livello. Grandi risate e/o sghignazzamenti all’indirizzo di colleghi o terzi evidenziano la situazione; la vittima è chiaramente un soggetto / tema / bersaglio privilegiato. In ogni circostanza approvano a gran voce quanto fa o dice l’autore e disapprovano veementemente quanto fa o dice la vittima. Verso la vittima tengono lo stesso atteggiamento sprezzante dell’autore del mobbing. Formano l’ “esercito” dell’autore del mobbing, partecipano volenti o nolenti alle operazioni e vengono premiati con aumenti di stipendio, promozioni, ecc. Se promossi continueranno a loro volta il mobbing in quanto incarnano la filosofia dell’autore del mobbing, del reparto o a volte persino dell’azienda. Nella sua tracotanza l’autore o il potente di turno si fida ciecamente degli uni e degli altri ma i lecchini lo abbandoneranno inesorabilmente non appena si presenta la possibilità di mettersi dalla parte di una persona ancora più potente e i portaborse sono deboli perché saliranno e affonderanno con il loro protettore. Se l’autore del mobbing ha a sua volta dei protettori in alto loco, essi sono da considerare con diffidenza anche se nei loro confronti deve essere mantenuto un atteggiamento educato ma non servile. I neutrali sono persone che non si esprimono perché sono terrorizzati dall’idea di subire la stessa sorte della vittima e di perdere il posto di lavoro o perché non sono sufficientemente informati in quanto operanti in un’altra sede, ecc. Se informati dalla vittima non danno peso alle dichiarazioni e assumono un atteggiamento passivo o di sorpresa/scetticismo ed adducono una scusa per non aiutare la vittima. Per la vittima sono inaffidabili.
Sono degli alleati
preziosi da trattare con i guanti e da non compromettere più di quel tanto.
Sono spinti dall’amicizia, da un destino comune (siamo tutti nella stessa
barca), da un certo senso della giustizia o da una rivalità verso l’autore (i
nemici dei miei nemici sono miei amici). In questo caso occorre saper valutare
le forze in campo in quanto le alleanze possono modificarsi rapidamente (a
nessuno piace stare con un “cadavere”). Il sostegno di parenti e amici privati
è assolutamente indispensabile per parare all’emarginazione professionale e
mantenere l’equilibrio psicologico.
Si dividono in
ignoranti e consenzienti. Se ignorano quanto succede, l’autore ha le mani un pò
legate in quanto il gioco potrebbe essere scoperto e/o denunciato con
conseguenze imponderabili. Con queste persone l’autore del mobbing manterrà un
atteggiamento servile e farà di tutto per rendersi personalmente benvoluto e
credibile. Se interpellate dalla vittima non vogliono entrare nel merito. Se il
o i superiori sono convinti degli argomenti dell’autore e/o sono consenzienti
(per esempio nel caso sia stato emanato l’ordine di ridurre il personale)
l’autore ha le mani libere e il mobbing si fa veramente pesante e senza
appello. In casi estremi i superiori appoggiano e aiutano l’autore e
contribuiscono personalmente a creare difficoltà alla vittima (le minacce
diventano concrete, gli ordini impossibili e l’emarginazione totale e
ufficiale). La vittima diventa “un caso”. Anche dopo un’improbabile cessazione
delle ostilità queste persone continueranno per anni a disprezzare la vittima
con gravi conseguenze per la carriera, ecc. Tra i superiori si distingue il
capo del personale che di solito interpreta gli avvenimenti come un conflitto
caratteriale (è la vittima ad avere il carattere più cattivo) o generazionale;
subodorato l’andazzo non vuole difendere un perdente ma si attiene alle
direttive ufficiali.
Causa la precaria
situazione economica i dipendenti sono timorosi di perdere l’ambito posto di
lavoro e sopportano la paura (stress) e/o il mobbing senza protestare. Se una
volta “ il capo” doveva essere il più esperto, intelligente e sensibile, nella
situazione odierna il capo può farsi ubbidire con il ricatto del licenziamento.
In certe aziende, per essere “capo”, sono sufficienti opportunismo, cinismo e
una certa dose di faccia tosta e/o arroganza. Di conseguenza la qualità del
management scade con riflessi negativi sull’intera economia. A scopo di
risparmio o per ovviare a carenze interne, certe aziende si affidano vieppiù ai
consulenti esterni anche nelle questioni concernenti il personale. Il consiglio
attualmente più in voga è quello di risparmiare sui costi per il personale
riducendo gli effettivi (specialmente il personale anziano meglio pagato),
assumendo personale ausiliario e personale pagato a ore.
Le valutazioni
periodiche del collaboratore sono delle occasioni privilegiate per
l’autore/preposto che ne approfitterà pienamente per esprimere valutazioni
negative su tutta la linea. A volte l’autore briga affinché la valutazione
della vittima venga effettuata da “specialisti esterni” ufficialmente neutrali
e disinformati ma “pilotati” in modo tale che emettano giudizi e/o qualifiche
negativi. A secondo delle circostanze alla vittima vengono attribuiti
alternativamente un cattivo carattere, una mancanza di professionalità, una
mancanza di collaborazione, presunti problemi familiari o privati ecc. (dato
che a suo tempo fu valutato e assunto, ovviamente per una questione di
credibilità non si può far apparire una persona un incapace totale). I lati
positivi della vittima, le sue qualifiche professionali, la sua assiduità sul
lavoro, ecc. vengono ignorati, minimizzati e/o sottaciuti (per esempio il fatto
che la vittima non si è mai assentata una sola volta nel corso dell’anno non
viene nemmeno citato; la vittima viene chiamata col solo cognome senza
l’appellativo “signor..” o senza il
titolo di studio, ecc.). In ogni caso l’esperienza, la competenza, le capacità,
i diplomi, la laurea ecc. della vittima creano invidia e ne fanno un
concorrente qualificato e perciò scomodo.
Il posto di lavoro
della vittima (il locale, la scrivania, l’attrezzatura) è il peggiore del
reparto: malformato, scomodo, discosto. Il posto di lavoro della vittima viene
informatizzato per ultimo e dopo che tutti i colleghi sono stati adeguatamente
istruiti mentre la vittima deve imparare l’uso delle nuove tecnologie a proprie
spese e dopo l’orario di lavoro. Chiaramente il materiale assegnato alla
vittima è quello vecchio precedentemente in dotazione all’autore che invece
riceve il modello più recente. Nell’uso dei veicoli e delle altre attrezzature
di servizio la vittima deve prenotarsi con largo anticipo e riconsegnare il
veicolo o l’attrezzatura puntualmente e in perfetto stato. I colleghi hanno
comunque la priorità nell’uso del veicolo in quanto le loro trasferte, anche se
decise all’ultimo minuto, sono sempre più importanti. Conseguentemente la
vittima deve ripiegare sul proprio veicolo privato; i conseguenti costi di
trasferta non vengono riconosciuti in quanto “c’è a disposizione il veicolo di
servizio e si tratta solo di organizzarsi”. Tuttavia la vittima è comunque
responsabile della manutenzione del veicolo di servizio e guai se alla partenza
l’autore non trovasse il serbatoio pieno. La vittima non ha diritto (con
relativi inconvenienti) al telefono mobile della ditta. Se ne volesse uno deve
pagarselo con i propri mezzi. Le chiamate di lavoro non vengono rimborsate
perché la vittima “non necessita del telefono mobile”.
Le mansioni
assegnate sono di secondaria importanza, che non permettono di evidenziare le
capacità, che obbligano la vittima a lavorare da sola (per esempio riordinare
l’archivio). Alla vittima vengono affidati preferibilmente “incarichi che
scottano” o non ben definiti, basati su dati insufficienti o non ancora
definitivi o di un genere totalmente nuovo o in una lingua straniera oppure
dove occorra svolgere opera di avanscoperta. Chiaramente, nella difficile
ipotesi che l’operato della vittima avesse un esito interessante e/o positivo,
la continuazione del suo lavoro verrà affidata ad altri. Spesso non le viene
affidata mansione alcuna: “il lavoro se lo cerchi da solo”. Il lavoro allo
schermo è continuo e ininterrotto per mesi, in barba ad ogni prescrizione
legale. In fase di elaborazione verranno date nuove disposizioni, richiesti
continui cambiamenti, ulteriori dettagli e precisazioni, varianti varie, ecc.
che complicano il lavoro e prolungano i tempi di esecuzione. Al momento di
valutare il risultato e/o il tempo impiegato dalla vittima, le difficoltà, le
modifiche intervenute durante il lavoro e le varianti richieste verranno
ignorati: solo il risultato finale verrà confrontato con un lavoro analogo o
più semplice eseguito però da uno specialista con il quale è impossibile
competere. L’autore del mobbing preciserà che comunque “la maggior parte del
lavoro l’ha dovuta svolgere lui o un suo subordinato (portaborse)”. A
dimostrazione che in realtà la vittima ha delle effettive capacità
professionali che l’autore conosce ma volutamente ignora, unicamente in caso di
necessità alla vittima vengono assegnati incarichi superiori alla sua funzione
quali, per esempio, sostituire un preposto assente, ecc. Al rientro del
preposto, dopo una sequela di critiche, tutto ritorna come prima. A volte
vengono fissati/imposti degli obiettivi irraggiungibili. Il mancato
raggiungimento (scontato) dell’obiettivo sarà motivo di ulteriori sanzioni.
Ogni lavoro è
urgentissimo e vengono imposti dei termini ristretti abbinati a velate minacce.
Se il termine di consegna non è rispettato significa che la vittima è lenta e
non è flessibile in quanto, considerata l’urgenza, non si è fermata in ufficio
la sera e/o i giorni festivi per terminare il lavoro. Per poter dimostrare la
capacità di lavorare in fretta la vittima si sente obbligata a fermarsi anche
dopo il normale orario di lavoro o/e a portarsi il lavoro a casa senza
rivendicare compensi. Ogni ritardo è considerato una grave mancanza.
Se l’autore del mobbing è un preposto, il suo potere gli permette di definire i limiti delle competenze (dunque il potere decisionale) del subordinato. Più stretti sono i limiti delle competenze e più frequente è la necessità per il subordinato di chiedere un’autorizzazione al preposto. È compito del preposto di prendere le decisioni che travalicano le competenze del subordinato. È mobbing quando sistematicamente il preposto evita di prendere tali decisioni (per esempio rendendosi inavvicinabile). Se il subordinato non agisce (perché attende una decisione) sarà accusato di passività, immobilismo, mancanza di iniziativa, ecc. Se il subordinato decide di sua iniziativa (per non lasciar precipitare le cose) i casi sono 2:
a) le cose vanno male allora il subordinato verrà accusato di aver travalicato le sue competenze, di non aver chiesto il parere del superiore, di creare sempre problemi, ecc.;
b) le cose vanno per il verso giusto allora il preposto ignora, minimizza o attribuisce il merito del buon esito a se stesso (“era un caso minore”, “perché era un caso di sua competenza”, “perché era un suo incarto”) o al proprio gruppo di lavoro.
Se una decisione del preposto/autore si rivela errata il preposto negherà di aver mai preso tale decisione (io non c’ero, ero in vacanza; esempio dell’ingegnere che cancellava gli ordini che lui stesso aveva scritto a matita sui disegni, ecc.), oppure ne attribuirà la responsabilità al subordinato che gli avrebbe fornito informazioni errate. Per evitare le responsabilità il preposto debole ma furbo non decide mai da solo bensì fa prendere la decisione ad un folto gruppo di lavoro (gli specialisti, i consulenti, le autorità, gli altri caporeparto, ecc.) da lui appositamente riunito. L’esecuzione delle decisioni sarà affidata alla vittima come descritto nel capitolo “le mansioni assegnate”.
Il lavoro svolto
dalla vittima viene sempre esaminato con estrema attenzione e alla ricerca di
errori. Gli errori vengono evidenziati e valutati in ogni caso come
estremamente gravi, citati ripetutamente e reclamizzati all’infinito e in ogni
circostanza; la loro eliminazione viene resa per quanto possibile complicata e
onerosa. Il lavoro valido viene ignorato e minimizzato, se possibile l’autore
del mobbing se ne attribuisce il merito per esempio eseguendo lui stesso la
fase conclusiva (per es. l’inaugurazione dell’opera). Spesso la prestazione è
dichiarata insufficiente, troppo lenta, imprecisa, superficiale, ecc....e il
lavoro “deve” essere rifatto. Il lavoro di rifacimento “deve” evidentemente
essere assegnato ad una persona predestinata al successo e alla quale viene
perciò assegnato un lavoro già fatto e che richiede solo qualche aggiustamento
estetico. Alla vittima del mobbing verrà in ogni caso assegnata una nota
negativa. Come le attitudini, pure il lavoro svolto viene fatto valutare da
persone o enti esterni ufficialmente neutrali ma che vengono pilotati o
“invitati” a emettere un giudizio molto critico. Il relativo rapporto negativo
sarà inserito nel fascicolo personale della vittima e ci si riferirà ad esso in
ogni possibile circostanza. Durante le riunioni se la vittima tace significa
che non è all’altezza o che è impreparata mentre i suoi interventi vengono
accolti con scetticismo, interpretati negativamente, ecc. Quando la vittima
lascia l’impiego, magari dopo un licenziamento infamante, probabilmente il
benservito sarà più o meno apertamente negativo. Chiaramente l’autore del
mobbing non può smentirsi firmando un benservito nel quale conferma l’esistenza
di quelle qualità positive che lui ha sempre negato. Non è escluso che l’autore
introduca nel benservito un segno particolare segreto, per esempio nella firma,
che indichi a chi lo sa interpretare una nota negativa (per esempio un piccolo
scarabocchio sotto la lettera finale significa “inaffidabile”, ecc.). Simili
benserviti creeranno difficoltà alla vittima per tutta la vita.
Alla vittima viene
impedito o persino proibito contattare di persona i superiori, la centrale,
enti pubblici e terzi, ufficialmente per scongiurare i danni che sicuramente il
“comportamento maldestro” della vittima avrebbe creato. In realtà si impedisce
alla vittima di guadagnare punti e allacciare nuovi rapporti; inoltre l’autore
può mantenere la vittima sotto controllo e continuare il mobbing. Alla vittima
vengono invece permessi o ordinati quei contatti “ a rischio” con persone
(preventivamente avvertite) o enti notoriamente in cattivi rapporti con
l’azienda o l’autore. Ogni insuccesso viene naturalmente attribuito al cattivo
carattere della vittima. I terzi vengono pregati di riferire sul
“comportamento” della vittima, sui colloqui e sulle telefonate avute con la
vittima, ecc. La vittima non è autorizzata a consegnare personalmente i propri
lavori, rapporti o altro a terzi, come pure non può tenere delle conferenze o
relazioni a terzi e non ha il diritto di firmare la corrispondenza.
L’autore del mobbing
tenta in ogni modo di danneggiare l’immagine esterna e di screditare la vittima
facendo circolare notizie false e/o documenti compromettenti, propagandando
fatti negativi che concernono la vittima o suoi parenti, ecc. In caso di
inchieste interne o esterne il nome della vittima viene “suggerito” e incluso
nell’elenco dei sospetti. Pur se estraneo il nome della vittima verrà messo in
relazione all’inchiesta con grave danno per il suo buon nome. L’autore, per
indurre altre persone a tenere un atteggiamento negativo verso la vittima,
riferendosi ad essa esterna sarcasmo, disprezzo, scetticismo, incredulità,
diffidenza: per esempio fa intendere più o meno velatamente che la vittima è un
sempliciotto, lo zimbello del reparto ovvero una persona insignificante da non
prendere sul serio, che ne ha combinata una grossa di cui non si può parlare,
ecc. Se possibile l’autore invita i terzi a non collaborare con la vittima,
fatto che verrà poi attribuito al “cattivo carattere” o all’incompetenza della
vittima stessa e comporterà per lei una nota negativa. Se l’interlocutore
prende le difese della vittima l’autore afferma che a carico della vittima ci
sono degli “altri fatti ” di cui non si può parlare, che “il mobbing è
contagioso”, ecc. L’autore non perderà occasione per smentire e/o umiliare la
vittima davanti a un pubblico “amico” o davanti a terzi, mentre l’ignorerà in
consessi più vasti dove invece “deve” curare la propria immagine.
La vittima è
obbligata a riferire regolarmente e puntigliosamente sulla sua attività, sui suoi
contatti, ecc., sia oralmente che per iscritto: controllo tempi di lavoro,
controllo entrate e uscite; obbligo di chiedere anticipatamente il permesso per
le assenze di servizio e private, rapporto spese di trasferta da far approvare
preventivamente; controllo tempi di lavoro; verbale delle riunioni, rapporto
giornaliero, settimanale, mensile, trimestrale, finale; rapporto sulla
situazione di ogni singolo caso, ecc. I rapporti vengono spulciati alla ricerca
di appigli per rimproverare la vittima; i tempi impiegati sono in ogni caso
troppo lunghi, i rapporti stessi qualitativamente insufficienti....e vengono
rispediti al mittente pieni di correzioni e osservazioni in rosso (rifare!,
inaccettabile!, ecc.).
L’informazione
(sapere è potere)
Alla vittima viene
negata sistematicamente ogni informazione, sia che provenga dall’esterno, sia
che provenga dall’alto, sia che concerni l’attività dei colleghi. L’autore
procrastina la trasmissione di informazioni il più a lungo possibile. Ogni
richiesta d’informazioni è considerata con sospetto e le risposte sono evasive.
I comunicati vengono ritrasmessi con il contagocce e con aria di sufficienza.
La vittima è esclusa sistematicamente dalla partecipazione a riunioni
importanti, a corsi di formazione interni, gruppi di lavoro, scelta dei
collaboratori, ecc. Le decisioni vengono comunicate alla vittima solo dopo
essere state prese, quando sono già operanti e dunque evidenti. Visto che le
mansioni affidate alla vittima sono “di poco conto”, “non è necessario” che la
vittima partecipi alle riunioni d’ufficio che d’altronde si tengono a porte
chiuse nell’ufficio dell’autore stesso e/o spesso al bar o al domicilio
dell’autore. In presenza della vittima, per non farsi udire, l’autore e i suoi
alleati parlano sottovoce. Pur di impedire alla vittima di contattare persone
esterne l’autore esegue le manovre più stravaganti quali assumere personale
avventizio per tali mansioni, farsi sostituire da terzi, rientrare
provvisoriamente dalle vacanze per partecipare a una riunione alla quale la
vittima avrebbe dovuto sostituirlo, ecc. Le informazioni che la vittima
vorrebbe trasmettere per la via di servizio, dunque tramite l’autore del
mobbing, difficilmente passano; se passano lo sono con grande ritardo e dopo
innumerevoli tentennamenti, critiche, modifiche eseguite senza il consenso
della vittima o imposte alla vittima con velate minacce. La sbirciata della
vittima nella corrispondenza in arrivo per mettersi un po’ al corrente è
considerato un fatto gravissimo; il compito di aprire la corrispondenza è
perciò strettamente affidato ad altri, alle segretarie si danno indicazioni di
smistamento parcellizzato onde lasciare la vittima all’oscuro dietro presunta
competenza specifica di altri nell’informativa (che dovrebbe essere di
carattere generale e diffuso) o, se non ci fosse nessuna segretaria disponibile
per l’apertura della corrispondenza, la stessa deve rimanere chiusa sul tavolo
dell’autore fino al suo rientro oppure l’autore se la fa recapitare al suo
domicilio. La telefonata extraurbana della vittima o al collega d’Oltralpe è
considerata con sospetto e diffidenza. L’autore si informerà immediatamente
presso tale collega sull’argomento della conversazione sia allo scopo di
mettersi in evidenza, sia per essere personalmente informato, sia per smentire
le affermazioni della vittima. Conseguentemente, visto che l’autore “ha dovuto
correggere il tiro”, la telefonata fatta dalla vittima diventa un fatto
altamente riprovevole. L’ubicazione del posto di lavoro della vittima non
permette di osservare ciò che avviene nel reparto. Tutti gli elaboratori, e a
volte anche le porte, sono protetti da innumerevoli codici di accesso. In
questi ambiti i movimenti della vittima sono evidentemente limitati per
principio.
La vittima viene
chiaramente discriminata nel trattamento, nella retribuzione, nei
riconoscimenti, nelle promozioni, nell’assegnazione dei compiti e del
materiale. Gli errori della vittima contano 10 volte di più di quelli dei
colleghi. Se la vittima è in difficoltà non può contare sulla comprensione o
sull’aiuto dei superiori. Ciò che è permesso agli altri non è permesso alla
vittima, ecc.
In genere durante le
riunioni di lavoro l’autore del mobbing lancia qualche accusa all’indirizzo
della vittima cogliendo pure l’occasione per richiamare tutti all’ubbidienza,
ecc. A scadenze regolari (ogni 2 - 4 mesi) la vittima del mobbing viene
invitata ad una riunione ristretta durante la quale si esaminano “i problemi
del personale”. Queste riunioni si trasformano in veri processi ove la vittima
è confrontata con ogni sorta di accuse (“lei ha detto, lei ha fatto o non ha
fatto, lei non collabora, lei raccoglie solo note negative, il suo
comportamento, il suo carattere, deve controllarsi di più, lo diciamo per il
suo bene”, ecc.) rivoltegli dall’autore (e/o dai superiori) e rincarate dai
fedelissimi portaborse. Lo scopo è quello di intimorire la vittima (e gli altri
subordinati) con un ammonimento o una punizione esemplare e a volte di trovare
un capro espiatorio per scaricare su di lui le frustrazioni e i conflitti
interni. Generalmente le conseguenze di questi “processi” sono un’assegnazione
a compiti minori, un’ulteriore riduzione dei limiti delle competenze preludio a
qualifiche negative, mancate promozioni, trasferimenti, ecc.
La vittima è il
capro espiatorio predestinato. Visto che la vittima ha probabilmente eseguito
qualche mansione secondaria in quasi tutti i lavori in corso, è facile
attribuire a qualche imprecisione nell’operato della vittima l’origine di tutti
gli errori commessi in seguito da altre persone. Se la vittima lavora
prevalentemente in ufficio sarà designato responsabile dell’ordine in ufficio,
nell’archivio, nel ripostiglio e persino nei servizi igienici e relativi
impianti (riscaldamento, condizionatori, fotocopiatrici, telefoni, fax,
elaboratori, pulizia, cancelleria, servizio sorveglianza, ecc.).
Conseguentemente è facile attribuire alla vittima la responsabilità per ogni
minima disfunzione, mancanza di materiale o altro. Alla vittima verrà
sistematicamente attribuita anche la responsabilità per i conseguenti ritardi e
disagi ai quali è poi chiamata ad ovviare di gran fretta. Mancasse la carta,
ovviamente la vittima verrà giudicata “persino incapace di organizzare la
pulizia dei servizi igienici”. La colpa per la sparizione o il danneggiamento
volontario di materiale è velatamente attribuita alla vittima. Se la vittima
indica chi è il colpevole, la mossa viene considerata un trucco per discolparsi.
Fughe di notizie e/o la cattiva immagine del reparto o della ditta presso
persone, reparti o enti esterni, ecc. sono attribuiti sistematicamente alla
vittima che deve difendersi continuamente da simili accuse. Dato che tali
situazioni si ripetono regolarmente, col tempo la pur strenua difesa della
vittima perde di credibilità. Quando la vittima riesce a dimostrare la sua
estraneità, questo fatto non viene comunicato ai superiori e a chi la crede
colpevole. Se scoperti i colpevoli, questi non si scusano con la vittima e non
si tiene conto del tempo perso dalla vittima per gli inconvenienti e per
discolparsi. In caso di “divergenze maggiori ai piani superiori” o se l’autore
ha problemi con i suoi superiori attribuisce le sue difficoltà alle carenze del
personale a lui subordinato, in particolare alle “note insufficienze della
vittima”. Alla partenza della vittima le sue “carenze professionali” verranno
citate come motivo per poter assumere nuovo personale “più qualificato” (ma in
realtà semplicemente più gradito o di fonte clientelare). La vittima non verrà
coinvolta nella scelta del nuovo personale e non avrà nessuna possibilità di
trasmettere esperienze e informazioni e tantomeno spiegare ai nuovi venuti le
sue ragioni e/o di chiarire la sua posizione. Alla vittima verrà unicamente
richiesto di trasmettere gli incarti “senza fare il furbo” e magari di
andarsene senza sbattere la porta. I nuovi arrivati, se assunti dall’autore, si
conformeranno immediatamente alla logica del mobbing esistente; se assunti dalla
Direzione, constatato il pericoloso andazzo nei confronti della vittima, si
trinceranno in una ambigua e timorosa riservatezza e probabilmente col tempo
passeranno nel campo dell’autore del mobbing. Dopo che la vittima ha lasciato
l’impiego, ancora per anni le verrà attribuita l’origine di disguidi, ammanchi,
ecc. Forse solo quando qualcuno si accorgerà di dover fare anche il lavoro di
colui che non c’è più si rimpiangerà la sua partenza (“in fondo il Tale non era
poi così male !”).
L’esperienza, la
competenza, il “know how”, le conoscenze (per esempio linguistiche o
giuridiche) della vittima fanno comodo; alla vittima vengono richieste perizie
o affidati compiti “difficili” in avanscoperta. I rapporti, le scoperte, le
iniziative e le proposte della vittima vengono esaminate e archiviate
ordinatamente nei cassetti del mobber; se valide vengono riesumate in un
secondo tempo dall’autore del mobbing che ne attribuisce il merito a se stesso
o a un suo protetto.
Il mobbing ha una forte conseguenza sulla salute: all’inizio, nel tentativo di sottrarsi al mobbing dimostrando le proprie capacità e la propria buona volontà, la vittima si sobbarca volontariamente un’enorme mole di lavoro. Attivismo comunque non apprezzato. In seguito subentra un’apatica rassegnazione con una tendenza all’irascibilità e all’autolesionismo. Contemporaneamente il mobbing crea stress (ansia, paura larvata ma continua), con i normali sintomi dell’esaurimento nervoso: mal di testa, pianto, aritmia cardiaca, nausea, inappetenza, insonnia e/o sonnolenza, problemi di digestione, acidità o ulcera allo stomaco, alito cattivo, perdita di peso, tendenza ad assumere dolciumi, medicamenti, tabagismo, bevande alcoliche, caffè, ecc. A livello psicologico crea ansia, angoscia, panico, difficoltà di concentrazione, smemoratezza, accentuazione all’isolamento (chiudersi in se stessi), menefreghismo, rassegnazione, fobie, svogliatezza, insicurezza, aggressività, rabbia e desiderio di vendetta o di suicidio difficili da controllare. Questi stati psicologici si riflettono negativamente sui rapporti personali sia sul lavoro sia con familiari e conoscenti e i traumi subiti si trascineranno, per cronicizzazione) a lungo anche dopo la fine del mobbing creando ulteriori difficoltà. Se lo stato depressivo crea gravi difficoltà anche in famiglia (spesso la donna non accetta un compagno “perdente”, inattivo, apatico, con conseguenti rimproveri e minacce di divorzio, isolamento, ecc.) si parla di doppio mobbing. Convinto di non poter nemmeno contare sui suoi parenti, per la vittima la situazione si fa veramente difficile.
(Nota: i concetti
esposti nel presente capitolo si basano su esperienze concrete vissute da chi
scrive e sono perciò solo una propria opinione personale).
In genere la donna è più maliziosa (mente con più naturalezza), intrigante, emotiva, impulsiva e loquace dell’uomo. La donna è anche più sensibile alla pressione psicologica e il suo umore e la sua salute sono più instabili ma, proprio perché donna, gode di maggiore comprensione dell’uomo. La donna è più radicale nelle sue scelte e le porta fino alle estreme conseguenze (quel che piace è accettato - ciò che non piace deve essere eliminato), non teme il confronto (l’uomo evita il confronto perché teme le disastrose conseguenze del conflitto) ed è implacabile.
La donna attira automaticamente l’attenzione dei colleghi maschi. Dal suo comportamento (carattere) e dal suo aspetto dipende il grado di interesse (attrazione sessuale) che i colleghi dimostrano per lei. Tendenzialmente la donna sceglie le sue amicizie in base ad un impulso (simpatia/antipatia). A sua volta, per evitare il mobbing e/o per ingraziarsi persone ritenute interessanti al raggiungimento della sicurezza o dei suoi fini, la donna è capace di esternare anche veementemente sentimenti in realtà inesistenti. Il mobbing è opera di corteggiatori respinti (molestie sessuali) e/o di/delle colleghi/e invidiosi/e o di superiori che vogliono impedire la promozione di una donna, ecc. Secondo diverse ricerche le donne sono più soggette a mobbing degli uomini.
La donna autrice
L’emancipazione femminile ha dimostrato che la donna può essere pari all’uomo anche nelle nefandezze. La donna è generalmente portatrice di frustrazioni ataviche (complessi di inferiorità) che sono fonte di invidie e gelosie, che a loro volta sono la motivazione per operare il mobbing (rivalsa verso il maschio oppressore, eliminazione di una rivale o concorrente, ecc.). La donna, specialmente se è sola e ha il potere, tende a circondarsi di persone fedeli e adulatrici e/o a fare del suo lavoro un surrogato della famiglia. Conseguentemente tende ad allontanare con ogni mezzo chi non rientra in questa logica o che a suo parere intralcia il suo agire. Il mobbing, inteso come intrigo, le è congeniale e, se lo ritiene un mezzo necessario ai suoi fini, la donna lo applica implacabilmente. La donna ama presentarsi come debole e indifesa per cui è difficile credere che sia capace di operare il mobbing. Conseguentemente può agire più liberamente di un uomo, gode di maggiori appoggi ed i suoi errori nei rapporti con gli altri vengono tollerati più facilmente. Oltre alle procedure elencate precedentemente la donna che opera il mobbing utilizza tutte le arti femminili per attirare altre persone (specialmente i superiori) dalla sua parte, convincerle della fondatezza delle sue argomentazioni e del suo agire e farne degli alleati. Anche nei confronti della vittima a volte utilizza le stesse armi, sia per creare in essa momentanei sensi di sicurezza e scoprirne le difese (per esempio ottenere informazioni private, ecc.), sia per dimostrare ai superiori che il suo atteggiamento nei confronti della vittima è conciliante. La discriminazione operata dalla donna nei confronti dei colleghi maschi si basa anche sull’attrazione sessuale (simpatia/antipatia, aspetto fisico, ecc.). Il maschio che ignora le lusinghe di una preposta (molestie sessuali) deve generalmente attendersi una rivalsa sotto forma di mobbing. In casi estremi la donna è capace di lusingare la vittima per poi denunciarla per molestie sessuali. Una particolare forma di mobbing o un motivo che potrebbe essere all’origine del mobbing sono le molestie sessuali sul luogo di lavoro. È difficile stabilire dove finiscano i normali corteggiamenti e dove incomincino le molestie. In generale si ritiene che ogni riferimento insistente e fastidioso al sesso o ogni “avance” non gradita ma ripetuta sia una molestia.
La fine
Il mobbing termina
con la partenza della vittima:
-volontariamente,
per scelta o per pressioni ricevute
-per trasferimento
-per pensionamento
-per licenziamento
-per decesso della
vittima.
Non necessariamente
il mobbing termina con la rinuncia dell’autore perché:
-è partito,
trasferito, pensionato, licenziato, morto
-ha cambiato
bersaglio
-subisce a sua volta
pressioni e ha bisogno di alleati, chiunque essi siano;
-si è convertito ed
è diventato buono (!).
Per la vittima la
fine più usuale e traumatica è il licenziamento, mentre è più sopportabile il
trasferimento o il pensionamento anticipato. Prima del licenziamento si
instaura una pace relativa in quanto l’autore, e probabilmente anche i
colleghi, sanno che la decisione è già stata presa. L’autore ha la vittoria
in pugno e se ne sta tranquillo e in disparte per evitare fastidiosi confronti
e spiegazioni mentre la vittima rimane all’oscuro di tutto. Il licenziamento
viene comunicato alla vittima senza preavviso, durante l’ennesimo e ultimo
rapido processo, con maniere umilianti. La notizia è ancora più traumatica in
quanto la vittima già si illudeva che tutto fosse finito per il meglio. Le si
lascia pochissimo tempo per riconsegnare le chiavi, ecc. e per raccogliere le
sue cose e a volte viene persino accompagnata immediatamente alla porta. Dopo
la sua partenza si cambiano i cilindri e le chiavi delle porte, i codici di
accesso, ecc. Il personale riceve l’ordine di non lasciar più entrare la
vittima. La vittima subisce un attacco traumatico: da una parte è sollevata in
quanto il mobbing è finito ma nel contempo l’avvenire è oltremodo incerto. I
suoi sentimenti vanno dalla speranza alla disperazione, con propositi di
vendetta e di suicidio. Il licenziamento viene evidenziato per servire da
monito ed intimorire anche gli altri “rompiscatole”. L’autore esulta perché ha
raggiunto lo scopo: l’autore ha vinto e la vittima ha perso ! L’autore non si
rende conto che è una vittoria moralmente insignificante perché ottenuta contro
una persona vulnerabile ed indifesa e che egli, agli occhi di molti colleghi,
appare come un combattente sleale senza coraggio e per di più arrogante e
cinico e probabilmente anche incapace. Tutti sanno che i prossimi assunti
saranno “di parte” col pericolo che gli altri impiegati saranno messi in
disparte. Molti colleghi temono inoltre di diventare loro stessi la prossima
vittima e stanno all’erta, il che ha qualche riflesso anche sull’ambiente di
lavoro. Nell’azienda, dal momento del licenziamento, la vittima diventa un
estraneo e il suo nome è tabù. Il suo posto di lavoro viene smantellato e trasformato
(non si può attribuire un posto di lavoro così misero a un “impiegato
qualificato”). Viene cancellata ogni traccia della vittima togliendo i
cartellini dalle porte, il suo nome dagli elenchi interni e dal posteggio, ecc.
L’Ufficio del personale riceve l’ordine di “liquidare il caso” nel modo più
spiccio possibile, vale a dire senza risarcimenti, buonuscita o altro. Il
benservito, se richiesto, citerà solo le date di assunzione e di uscita (vedi
il capitolo “la valutazione del lavoro svolto“). Qualora la vittima, tramite
un legale, avanzasse delle pretese di risarcimento morale e/o pecuniario, il
caso verrà affidato al servizio giuridico o a un legale che difenderanno ad
oltranza gli interessi dell’ex datore di lavoro, negando anche contro
l’evidenza il mobbing subito ed esibendo la documentazione raccolta
dall’autore del mobbing ed “ufficializzata” per la circostanza per dimostrare
l’incompetenza, l’inaffidabilità, il cattivo carattere e/o lo scarso rendimento
della vittima e giustificarne il licenziamento. Queste procedure giuridiche
rappresentano per la vittima nuovi traumi e ulteriori costi. Spesso
aggravati dalla disoccupazione possono trascinarsi per anni. Le
incomprensioni dei giudici e del pubblico e a volte persino di parenti ed amici
daranno alla vittima l’impressione di essere abbandonato da tutti. Per anni
ogni riferimento al posto di lavoro perso o un incontro casuale con ex colleghi
riaprono dolorose ferite e sono a volte fonte di ulteriori tensioni. Al
licenziamento segue quasi inevitabilmente un lungo periodo di disoccupazione.
Esaurite tutte le riserve personali, il disoccupato è preso, successivamente, a
carico dall’assistenza pubblica che elargisce a titolo di prestito il minimo
esistenziale. Il reinserimento nel mondo del lavoro è via via più difficile con
l’avanzare dell’età e del prolungarsi del periodo di disoccupazione a causa del
ritardo nell’esperienza professionale. Il pericolo di un’emarginazione sociale
è reale. Le conseguenze sul piano psicofisico sono in ogni caso preoccupanti e
a volte gravi (simili a quelle del mobbing). Il fatto che tutti conoscono le
gravi conseguenze della perdita del posto di lavoro conferisce ancora maggior
peso alla minaccia di licenziamento implicita nel mobbing.
Il mobbing è una
vessazione premeditata, continuata e finalizzata. Di solito viene praticato sul
posto di lavoro. Il mobbing è una piaga sociale conseguenza dell’esasperata
competizione tra gli individui incentivata dal sistema socio/economico e dal
mito dell’autoritarismo ed efficientismo di successo. Il tutto è figlio
della globalizzazione, rinnovata ideologia del dominio e della massimizzazione
del profitto di stampo statunitense. L’autore del mobbing vuole generare
insicurezza, umiliare, ottenere l’asservimento totale o l’allontanamento della
vittima per salvaguardare o rafforzare il suo potere personale. Il mobbing
si concretizza dove la Direzione non vuole o non ha la possibilità di
intervenire a salvaguardia dei buoni rapporti tra i dipendenti e del buon
funzionamento dell’azienda (di solito una grande azienda, un ente pubblico
senza necessità di conseguire un reddito, ecc.). La vittima del mobbing subisce
un grave e traumatico attacco psicologico con conseguenze nefaste per la sua
psiche e la sua salute fisica e, di riflesso, con conseguenze nefaste sulla
qualità del lavoro, della vita e sui rapporti familiari e affettivi. La vittima
subisce un danno morale e pecuniario (malattia, perdita del posto di lavoro,
disoccupazione, dequalificazione, difficoltà nei rapporti con gli altri, ecc.)
concreto ma difficilmente quantificabile e difficile da provare in giudizio. Il
mobbing demotiva i preposti e i subalterni e, come ogni conflitto interno,
compromette il buon funzionamento dell’azienda e dell’economia in generale.
Per finire le
vittime del mobbing possono gravare sulle assicurazioni sociali e su tutta la
collettività. L’attuale situazione economica incentiva il mobbing in quanto la
tendenza è di ridurre il personale e di accentuare la competitività anche tra
le singole persone. I quadri che praticano il mobbing rinunciano ad un
management professionale, intelligente ed umano per imporre le loro decisioni
con il ricatto/autoritarismo a tutto detrimento della qualità del management
stesso, dei rapporti di lavoro e del buon andamento dell’azienda e
dell’economia. Legare l’ammontare della retribuzione alla prestazione (cottimo
o salario al merito) sistema che va diffondendosi, crea il problema di valutare
la prestazione stessa. Questo conferisce ancor maggior potere a chi può/deve esprimere
una valutazione con la possibilità per queste persone di esercitare pressioni e
ricatti vari modificando a piacimento i risultati. Inoltre l’incentivo del
premio è nel contempo una demotivazione per chi è escluso.
Tutti possiamo essere vittime del mobbing. È perciò nostro dovere combattere questa piaga sociale e ogni forma socioeconomica che lo promuove e/o lo tollera.
Roma, 15 aprile 2003
Consul-Studi C.A
(Torna alla sezione Articoli nel sito)