I Trionfi sono un poema in terzine di endecasillabi a rima incatenata, a contenuto in parte allegorico e in parte autobiografico, iniziato da Francesco Petrarca in Provenza, a Valchiusa, nella primavera del 1351 e terminato ad Arquà nel 1374. Divisa in sei parti latinamente denominate Triumphus Cupidinis, Triumphus Pudicitiae, Triumphus Mortis, Triumphus Famae, Triumphus Temporis e Triumphus Eternitatis, l’opera, infarcita di riferimenti e di personaggi storici, allegorici, biblici, mitologici e letterari, narra una visione avuta da Petrarca un 6 aprile, giorno anniversario del suo primo incontro con Laura. In una specie di galleria composta da sei quadri allegorici, il poeta descrive, in successione, il trionfo di Amore-Cupido (ai cui prigionieri a un certo punto viene ad aggiungersi lo stesso Petrarca, "catturato" dall’amore per Laura), il trionfo della Pudicizia (impersonata dalla stessa Laura, refrattaria alle lusinghe di Amore), il trionfo della Morte su Laura (che nel secondo dei due capitoli di cui si compone Triumphus Mortis compare in sogno al poeta ed intreccia con lui un lungo dialogo), la vittoria della Fama sulla Morte (che si svolge attraverso una ricca rassegna di illustri uomini d’azione, la vittoria del Tempo sulla Fama (che contiene una serie di considerazioni sulla caducità della gloria) e il trionfo dell’Eternità sul Tempo (che in una dimensione profetica post-apocalittica descrive la fine dei tempi e della Storia). Sensibile, sia a livello ideologico sia a livello linguistico, l’influenza della Commedia di Dante sul poema petrarchesco.
Il Triumphus Mortis propone la narrazione della morte di Laura, donna che suscitò in Petrarca grande passione, ma sulla cui identità storica non vi è certezza. L'episodio rappresenta il momento di più grande dolore nella vita del poeta stesso e viene rappresentato in quest'opera attraverso un'allegoria che solo nel singolo momento del decesso diventa la precisa e drammatica descrizione della tragedia di Laura. Quest'ultima sta tornando in Provenza, seguita dal corteo della vergini, con l'aiuto delle quali aveva sostenuto vittoriosamente la battaglia contro Amore nel Triumphus Pudicitiae (un'altra parte dei Trionfi); la Morte l'affronta minacciosa annunciandole la sua fine imminente. Laura rimane però serena e la sua risposta è dettata dalla sicurezza di poter ricongiungere la propria anima con il Creatore dopo la morte del corpo e contemporaneamente la campagna lì intorno appare invasa dalla processione lugubre dei vinti della Morte.
Importante è sottolineare l'immagine allegorica che il poeta delinea della morte, elaborazione letteraria contemporanea allo sviluppo dell'iconografia del Trionfo della morte nelle arti figurative influenzate in parte anche dalle miniature che accompagnavani i manoscritti dell'opera petrarchesca. La morte è simboleggiata dalla lugubre figura di una donna seguita dal corteo delle sue vittime, ma contrariamente a quanto tradizionalmente avveniva la donna-morte è priva di qualsiasi atteggiamento di concitata violenza e si limita ad esercitare con grande distacco le sue tremende funzioni diventando quasi il corrispondente di una legge superiore. "Con il Trionfo della morte petrarchesco, l'elaborazione dell'immagine della morte conosce una tappa nuova. Innanzitutto a livello concettuale: l'incontro degli umani con la morte è tranquillo, parzialmente spogliato dal carattere di irruzione selvaggia ch'era il suo. Si ricordi che nel poema petrarchesco la Morte - né arpia né cavaliere apocalittico, e neppure scheletro, ma semplicemente "donna involta in veste negra" - non agisce in odio ai vivi, ma per rispetto dei ritmi eterni che reggono il mondo; e, intenerita dalla bellezza di Laura, le riserva un privilegio: "Io sono disposta a farti un tale onore/ Qual altrui far non soglio e che tu passi/ Senza paura e senz'alcun dolore". Si accontenta di strappare il capello d'oro che lega Laura alla vita; con il che viene elusa la visione stessa della morte vissuta" (M. Vovelle).
Tema centrale del componimento è la dolorosa consapevolezza della caducità delle cose terrene: tutto ciò che è materiale è destinato ineluttabilmente a finire è per questo anche l'uomo non può sottrarsi al destino della morte che pende come una condanna sulla sua esistenza. Questa concezione, già tipicamente umanistica, è evidenziata ad esempio nel verso "tutti tornate alla gran madre antica" , intesa come la terra alla quale il corpo materiale è destinato ad essere ricondotto dopo la morte, e soprattutto dal ripetuto ricorso all'aggettivo "vano" riferito ai pensieri e ai progetti dell'uomo perchè su di essi pende continuamente la minaccia della morte. Petrarca dice "O ciechi, e 'l tanto affaticar che giova?", "O umane speranze cieche e false", "Pur delle mille è un'inutile fatica, Che non sian tutte vanità palesi?": egli sottolinea quindi come l'esistenza umana sia caratterizzata da un grande senso di inutilità dovuto proprio al fatto che tutto sia destinato inesorabilmente a finire insieme alla vita stessa.
Negli ultimi versi dello stesso capitolo del Triumphus Mortis, tuttavia, l'autore intravede la possibilità di trovar rimedio alla fragilità umana nella speranza in Dio, che emerge particolarmente proprio dalla figura di Laura e dalla sua serenità nell'affrontare la morte: si tenta quindi di esorcizzare l'eterna paura dell'uomo con la promessa di una vita nuova e più vera, quella celeste. Anche in questo proposito posiamo citare dei versi dell'opera e in particolare la suggestiva similitudine con la fiamma "non come fiamma che per forza è spenta, ma che per se medesima si consume" o l'espressione "morte bella", attraverso cui possiamo dedurre come il dolore per la fine della vita terrena sia quasi sopraffatto dalla speranza della vita eterna