Boccaccio

La peste a Firenze nel Decameron di Boccaccio

    Sulla soglia del Decameron, prima che inizi la descrizione delle dieci giornate dedicate al racconto di novelle, troviamo il racconto tragico e solenne della peste. La vicenda  infatti prende spunto dalla peste che nel 1348 colpisce Firenze come il resto dell'Europa. In questa atmosfera di devastazione materiale e di dissoluzione morale, una brigata di dieci giovani, sette donne e tre uomini, decidono di recarsi fuori città, in un palazzo del contado, e di passare il tempo passeggiando, scherzando e raccontando novelle per esorcizzare l'orrore della morte con la definizione di una laica ed equilibrata prospettiva dell'esistenza: essa assume la forma dell’onestà, che è una virtù sociale, e della "gentilezza", che è invece una virtù individuale. Se l’uomo risulta condizionato da " due ministre del mondo ", che sono appunto la fortuna e la natura, l’ingegno può servire a controllare, almeno in parte, la natura anche nei suoi aspetti di malattia, sofferenza e morte.

P. Bruegel il Vecchio, Trionfo della morte (1562), olio su tela, Madrid, Museo del Prado

Il Decameron, dedicato poi in gran parte al racconto dell'amore per la vita nei suoi vari aspetti, si apre dunque con la rappresentazione terrificante della morte:".... pervenne la mortifera pestilenza, la quale o per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’innumerabile quantità di viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in un altro continuandosi, inverso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata...". Il tono è solenne, lo stile usato qui dal Boccaccio è quello che veniva definito tragico, in corrispondenza alla serietà della materia. La descrizione del fenomeno è lucida, distaccata, quasi scientifica, tanto che potrebbe apparire fredda, se qualche inciso o qualche tensione stilistica non rivelasse l’orrore e il giudizio morale dello scrittore. Il fatto è che Boccaccio, vuole affidare l’orrore e il giudizio alle cose stesse, evitando ogni intervento soggettivo che correrebbe il rischio di cadere nel patetico o nel tono esclamativo e retorico. Il suo atteggiamento distaccato è appunto l’arma per suscitare l’orrore e la reazione morale di chi legge. Si motiva così la minuta descrizione, in primo luogo, della corruzione fisica (i bubboni, le macchie) con la agghiacciante constatazione finale ("certissimo indizio di futura morte"), in secondo luogo degli effetti del contagio, in terzo luogo dei vari rimedi da ciascuno escogitati e la loro sostanziale inutilità ("non perciò tutti campavano"), e infine della disgregazione morale e sociale. Protagonista del Decameron è una società in trasformazione che, attraverso una simile prova e tali stravolgimenti di valori, si trova alla fine profondamente mutata e si accorge che sono nate "cose contrarie a’ primi costumi de’ cittadini". Le terribili condizioni della peste provocarono la perdita della morale comune; testimoniano il rapporto crudele e e innaturale che si era instaurato tra i cittadini frasi come "... l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito e - che maggior cosa è quasi non credibile - li padri e le madri i figlioli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano".

 

La morte annulla il tempo del gioco e del divertimento

P. Bruegel il Vecchio, particolare del Trionfo della morte (1562), olio su tela, Madrid, Museo del Prado

Appunto in una simile situazione un gruppo di giovani amici decide di abbandonare Firenze e di riparare in campagna. Il luogo dove riparano è in netto contrasto rispetto alla città tormentata dal flagello: una grande villa in collina, confortevole e bella, circondata dal verde dei prati, ricca d’acque freschissime e vini preziosi. E in netto contrasto è la psicologia dei giovani : tanto lì dominata dall’incubo della morte, quanto qui disposta a godere onestamente e serenamente i piaceri della vita. Fra i loro divertimenti ci sarà anche quello di raccontare per dieci giorni una novella ciascuno. Questi giovani vanno contro le convenzioni sociali dell’epoca, infatti solitamente gli uomini avevano occupazioni differenti da quelle delle donne, la peste induce a superare queste barriere creando una comitiva mista che manifesta la propria libertà esprimendo idee discutibili e non accettate dalla società di quel tempo. La peste sembra dunque aver per così dire spezzato ogni legame con il vivere civile.

Nella descrizione cupa, lucida, distaccata e realistica della peste - vista come un fenomeno non solo di corruzione fisica ma di disgregazione morale e sociale - e nella evasione dei dieci giovani, che lasciano alle spalle le "mura vote" di Firenze e ritrovano nella campagna, nelle loro feste, nei loro giochi, nei loro passatempi la gioia di vivere, può forse trovarsi il senso più riposto dell’arte del Boccaccio: l’affermazione della vita sulla morte, affermazione che è quasi emblematicamente riassunta nell’immagine felice dei giovani che ritornano da una passeggiata: "Essi eran tutti di frondi di quercia inghirlandati, con le man piene o d’erbe odorifere o di fiori ; e chi scontrati gli avesse, niuna cosa avrebbe potuto dire se non: O costor non saranno dalla morte vinti o ella gli ucciderà lieti ". Boccaccio vuol proporre la vittoria della vita, in tutte le sue manifestazioni, dalle più elementari alle più elevate (e in certi casi la morte stessa è dignitosa difesa dei valori della vita), sulla morte, nei suoi aspetti, non solo di corruzione fisica ma di mortificazione della natura e di tenebra della ragione. Questo è il significato artistico e ideologico del che introduce alle novelle e di tutta la cornice che le racchiude, al di là della funzione strumentale di offrire una struttura organica e verosimile a tutta l’opera.


TESTO

Giovanni Boccaccio, Decameron,

I, Introduzione.



Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente s'era ampliata.
E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l'entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell'anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun' altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.
A cura delle quali infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che natura del malore nol patisse o che la ignoranza de' medicanti (de' quali, oltre al numero degli scienziati, così di femine come d'uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse, non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra 'l terzo giorno dalla apparizione de' sopra detti segni, chi più tosto e chi meno e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano.
E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'avventava a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l'usare cogli infermi dava a' sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare.
Maravigliosa cosa è da udire quello che io debbo dire: il che, se dagli occhi di molti e da' miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che di scriverlo, quantunque da fededegna udito l'avessi. Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno a altro, che non solamente l'uomo all'uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente fece, cioè che la cosa dell'uomo infermo stato, o morto di tale infermità, tocca da un altro animale fuori della spezie dell'uomo, non solamente della infermità il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è detto, presero tra l'altre volte un dì così fatta esperienza: che, essendo gli stracci d'un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co' denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra.
Dalle quali cose e da assai altre a queste simiglianti o maggiori nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine tiravano assai crudele era di schifare e di fuggire gl'infermi e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno medesimo salute acquistare.
E erano alcuni, li quali avvisavano che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a così fatto accidente resistere; e fatta brigata, da ogni altro separati viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi, dove niuno infermo fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente usando e ogni lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare a alcuno o volere di fuori di morte o d'infermi alcuna novella sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver poteano si dimovano. Altri, in contraria oppinion tratti, affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando attorno e sollazzando e il sodisfare d'ogni cosa all'appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male; e così come il dicevano mettevano in opera a lor potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo e senza misura, e molto più ciò per l'altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che lor venissero a grado o in piacere E ciò potevan far di leggiere, per ciò che ciascun, quasi non più viver dovesse, aveva, sì come sé , le sue cose messe in abbandono; di che le più delle case erano divenute comuni, e così l'usava lo straniere, pure che ad esse s'avvenisse, come l'avrebbe il proprio signore usate; e con tutto questo proponimento bestiale sempre gl'infermi fuggivano a lor potere.
E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era d'adoperare. Molti altri servavano, tra questi due di sopra detti, una mezzana via, non strignendosi nelle vivande quanto i primi né nel bere e nell'altre dissoluzioni allargandosi quanto i secondi, ma a sofficienza secondo gli appetiti le cose usavano e senza rinchiudersi andavano a torno, portando nelle mani chi fiori, chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie, quelle al naso ponendosi spesso, estimando essere ottima cosa il cerebro con cotali odori confortare, con ciò fosse cosa che l'aere tutto paresse dal puzzo de' morti corpi e delle infermità e delle medicine compreso e puzzolente.
Alcuni erano di più crudel sentimento, come che per avventura più fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina essere contro alle pestilenze migliore né così buona come il fuggir loro davanti; e da questo argomento mossi, non curando d'alcuna cosa se non di sé , assai e uomini e donne abbandonarono la propia città, le propie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l'altrui o almeno il lor contado, quasi l'ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa intendesse; o quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta.
E come che questi così variamente oppinanti non morissero tutti, non per ciò tutti campavano: anzi, infermandone di ciascuna molti e in ogni luogo, avendo essi stessi, quando sani erano, essemplo dato a coloro che sani rimanevano, quasi abbandonati per tutto languieno. E lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata né petti degli uomini e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.
Per la qual cosa a coloro, de' quali era la moltitudine inestimabile, e maschi e femine, che infermavano, niuno altro sussidio rimase che o la carità degli amici (e di questi fur pochi) o l'avarizia de' serventi, li quali da grossi salari e sconvenevoli tratti servieno, quantunque per tutto ciò molti non fossero divenuti: e quelli cotanti erano uomini o femine di grosso ingegno, e i più di tali servigi non usati, li qual niuna altra cosa servieno che di porgere alcune cose dagl'infermi addomandate o di riguardare quando morieno; e, servendo in tal servigio, sé molte volte col guadagno perdeano.
E da questo essere abbandonati gli infermi da' vicini, da' parenti e dagli amici e avere scarsità di serventi, discorse uno uso quasi davanti mai non udito: che niuna, quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse, infermando, non curava d'avere a' suoi servigi uomo, egli si fosse o giovane o altro, e a lui senza alcuna vergogna ogni parte del corpo aprire non altrimenti che a una femina avrebbe fatto, solo che la necessità della sua infermità il richiedesse; il che, in quelle che ne guerirono, fu forse di minore onestà, nel tempo che succedette, cagione. E oltre a questo ne seguio la morte di molti che per avventura, se stati fossero atati , campati sarieno; di che, tra per lo difetto degli opportuni servigi, li quali gl'infermi aver non poteano, e per la forza della pestilenza, era tanta nella città la moltitudine che di dì e di notte morieno, che uno stupore era a udir dire, non che a riguardarlo. Per che, quasi di necessità, cose contrarie a' primi costumi de' cittadini nacquero tra quali rimanean vivi.
Era usanza (sì come ancora oggi veggiamo usare) che le donne parenti e vicine nella casa del morto si ragunavano e quivi con quelle che più gli appartenevano piagnevano; e d'altra parte dinanzi alla casa del morto co' suoi prossimi si ragunavano i suoi vicini e altri cittadini assai, e secondo la qualità del morto vi veniva il chericato; ed egli sopra gli omeri sé suoi pari, con funeral pompa di cera e di canti, alla chiesa da lui prima eletta anzi la morte n'era portato. Le quali cose, poi che a montar cominciò la ferocità della pestilenza tutto o in maggior parte quasi cessarono e altre nuove in lor luogo ne sopravennero. Per ciò che, non solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, ma assai n'erano di quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano; e pochissimi erano coloro a' quali i pietosi pianti e l'amare lagrime de' suoi congiunti fossero concedute, anzi in luogo di quelle s'usavano per li più risa e motti e festeggiar compagnevole; la quale usanza le donne, in gran parte proposta la donnesca pietà per la salute di loro, avevano ottimamente appresa. Ed erano radi coloro, i corpi de' quali fosser più che da un diece o dodici de' suoi vicini alla chiesa acompagnati; li quali non gli orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri portavano, ma una maniera di beccamorti sopravenuti di minuta gente, che chiamar si facevan becchini, la quale questi servigi prezzolata faceva, sottentravano alla bara; e quella con frettolosi passi, non a quella chiesa che esso aveva anzi la morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro a quattro o a sei cherici con poco lume e tal fiata senza alcuno; li quali con l'aiuto de' detti becchini, senza faticarsi in troppo lungo uficio o solenne, in qualunque sepoltura disoccupata trovavano più tosto il mettevano.
Della minuta gente, e forse in gran parte della mezzana, era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno; per ciò che essi, il più o da speranza o da povertà ritenuti nelle lor case, nelle lor vicinanze standosi, a migliaia per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati d'alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione, tutti morivano. E assai n'erano che nella strada pubblica o di dì o di notte finivano, e molti, ancora che nelle case finissero, prima col puzzo de lor corpi corrotti che altramenti facevano a' vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno.
Era il più da' vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de' morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a' trapassati. Essi, e per sé medesimi e con l'aiuto d'alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de' già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n'avrebbe potuti veder senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavole) ne portavano.
Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e 'l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne contenieno. E infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quatro bare, dà portatori portate, di dietro a quella: e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n'avevano sei o otto e tal fiata più. Né erano per ciò questi da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati; anzi era la cosa pervenuta a tanto, che non altramenti si curava degli uomini che morivano, che ora si curerebbe di capre; per che assai manifestamente apparve che quello che il naturale corso delle cose non avea potuto con piccoli e radi danni a' savi mostrare doversi con pazienza passare, la grandezza de' mali eziandio i semplici far di ciò scorti e non curanti.
Alla gran moltitudine de' corpi mostrata, che a ogni chiesa ogni dì e quasi ogn'ora concorreva portata, non bastando la terra sacra alle sepolture, e massimamente volendo dare a ciascun luogo proprio secondo l'antico costume, si facevano per gli cimiterii delle chiese, poi che ogni parte era piena, fosse grandissime nelle quali a centinaia si mettevano i sopravegnenti: e in quelle stivati, come si mettono le mercatantie nelle navi a suolo a suolo, con poca terra si ricoprieno infino a tanto che la fossa al sommo si pervenia.
E acciò che dietro a ogni particularità le nostre passate miserie per la città avvenute più ricercando non vada, dico che, così inimico tempo correndo per quella, non per ciò meno d' alcuna cosa risparmiò il circustante contado, nel quale, (lasciando star le castella, che erano nella loro piccolezza alla città) per le sparte ville e per li campi i lavoratori miseri e poveri e le loro famiglie, senza alcuna fatica di medico o aiuto di servidore, per le vie e per li loro colti e per le case, di dì e di notte indifferentemente, non come uomini ma quasi come bestie morieno. Per la qual cosa essi, così nelli loro costumi come i cittadini divenuti lascivi, di niuna lor cosa o faccenda curavano; anzi tutti, quasi quel giorno nel quale si vedevano esser venuti la morte aspettassero, non d'aiutare i futuri frutti delle bestie e delle terre e delle loro passate fatiche, ma di consumare quegli che si trovavano presenti si sforzavano con ogni ingegno. Per che adivenne i buoi, gli asini, le pecore, le capre, i porci, i polli e i cani medesimi fedelissimi agli uomini, fuori delle proprie case cacciati, per li campi (dove ancora le biade abbandonate erano, senza essere, non che raccolte ma pur segate) come meglio piaceva loro se n'andavano. E molti, quasi come razionali , poi che pasciuti erano bene il giorno, la notte alle lor case senza alcuno correggimento di pastore si tornavano satolli.
Che più si può dire (lasciando stare il contado e alla città ritornando) se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra 'l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermità e per l'esser molti infermi mal serviti o abbandonati né lor bisogni per la paura ch'aveono i sani, oltre a centomilia creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti, che forse, anzi l'accidente mortifero, non si saria estimato tanti avervene dentro avuti? 0 quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili abituri per adietro di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo fante rimaser voti! O quante memorabili schiatte, quante ampissime eredità, quante famose ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini, quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li quali non che altri, ma Galieno, Ipocrate o Esculapio avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co' lor parenti, compagni e amici, che poi la sera vegnente appresso nell'altro mondo cenaron con li lor passati!


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