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Il forziere di BombaSicilia

scaglie e emozioni da conservare...


Inauguriamo questo nuovo spazio  con i sonetti di Shakespeare  scelti, amati e tradotti da Gino Tasca che, di riflesso, li ha fatti amare  a tutta la ML di BombaCarta. 

 

"Il traduttore di questi sonetti non ritiene che sia di nessuna importanza né il suo nome, né le sue origini o fattezze né le sue nevrosi o gioie.
Se qualcuno trovasse anche solo un po' di Grazia in quanto ha erroneamente posto in essere ne sarebbe già totalmente appagato.
Merci."


1

From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty's rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory;
Bit thou, contracted to thien own bright eyes,
Feed's thy light's flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.
Thou art now the world's fresh ornament
And only herald to the gaudy spring
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak'st waste ing niggarding.
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world's due, by the grave and thee.

(Dalle creature più belle desideriamo incremento,/cosicché la bellezza della rosa non possa mai morire,/ma (non appena) il culmine fosse dal tempo rovinato,/il suo (della rosa) tenero eredo possa farsi gravido della sua memoria;/ma tu, che è quasi contratto promessa di matrimonio con i tuoi stessi occhi luminosi,/nutri la luce della tua fiamma con il sostanziale combustibile del tuo "sè",/procurando carestia lì dove regnava l'abbondanza,/tu nemico di te stesso, troppo crudele verso il tuo dolce "sé"./Tu che ora sei del mondo l'ornamento appena nato/e il solo araldo della gaudiosa primavera/nel tuo bocciolo stesso seppellisci la tua gioia,/e, tenero avaro, sprechi lesinando./Abbi pietà del mondo o sii pure questo ghiottone,/che divora quanto è dovuto al mondo, con
la tomba e te stesso.)

Da ogni essere splendente preghiamo discendenza
Ché l'incantata rosa non possa mai spirare
E, quando il Tempo il culmine muti in decadenza,
possa il suo dolce erede memoria conservare;
ma tu infatuato ossesso da quel tuo sguardo ardente,
la tua fiammata luce alimenti di te stesso
e dove era abbondanza regni ora tu indigente
nemico del tuo cuore e crudele nell'eccesso.
Tu che del mondo adesso sei il vivo suo ornamento
E del lussuoso aprile sei araldo e gioia e bando,
nella tua stessa gemma sotterri il compimento
e, dolcemente avaro, ti sprechi lesinando:
abbi pietà del mondo o, ingordo, divorargli
potrai, tu e la tua tomba, quanto dovresti dargli.


29

When, in disgrace with fortune and men's eyes,
I all alone beweep my outcast state,
And trouble deaf heaven with my bootless cries,
And look upon myself and curse my fate,
Wishing me like to one more rich in hope,
Featured like him, like him with friend possessed,
Desiring this man's art, and that man's scope,
With what I most enjoy contented least,
Yet, in these thoughts myslef almost despising,
Haply I think on thee, and then may state,
Like to the lark at break of day arising
From sullen earth sings hymns at heaven's gate;
For thy sweet love remembered such wealth brings
That then I scorn to change my state with kings.

(Quando in disgrazia con la Fortuna e agli degli uomini,/io tutto solo lamento il mio stato reietto,/e turbo il cielo sordo con i miei sterili pianti,/e medito su me stesso e maledico il mio fato,/desiderandomi simile ad uno più ricco di speranze,/fatto a suo modo, e come lui tutto preso dagli amici,/desiderando di quest'uomo l'arte e di quell'uomo le mete,/da ciò di cui più gioisco meno soddisfatto,/tuttavia, quasi disprezzandomi in questi pensieri,/per caso penso a te e allora il mio stato,/come l'allodola che all'irrompere dell'aurora prenda il volo,/dalla sudicia terra canta inni al cancello del Paradiso;/perché il tuo dolce amore ricordato arreca tale ricchezza/che io allora disdegno di cambiare il mio stato con i re.)

Se in uomini e Fortuna produco il disincanto,
io solitario impreco all'esser mio randagio
e turbo il cielo sordo col mio sterile pianto,
e poi bestemmio e penso ossessivo al mio naufragio,
e come uno desidero esser d'attese ricco,
fatto a suo modo e tutto invasato dagli amici,
sull'arte d'uno e mira d'un altro m'alambicco,
e le mie gioie intanto trasmuto in miei nemici
e quasi ossesso sprezzo me stesso ma se allora
quasi per caso penso a te questo triste viso
come l'allodola ebbra che irrompa dall'aurora
dalla perversa terra canta inni al Paradiso:
tale opulenza arreca il tuo amore rammentato
che ai re disprezzo il cambio del mio col loro stato.
 

 

[continua]


 
 

 

 
 

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