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X-Force, 6 mesi dopo: la malattia al potere, il potere come malattia

Ormai si è concluso il primo arco narrativo della nuova X-Force, capitanata da Pete Milligan ai testi e da Mike Allred alle matite (ma come non citare il contributo fondamentale di Laura Allred ai colori?)... ed è arrivato il momento dei primi bilanci. Alla luce degli ultimi due episodi pubblicati in X-Treme X-Men 7, cerchiamo quindi di capire chi sono gli X-Forcer con cui abbiamo a che fare dopo il massacro della prima formazione (nell'ormai storico n°116) e dopo i successivi eventi luttuosi. U-Go Girl è una ragazza dalla pelle blu. Particolare che nessuno sembra notare, ed a cui nessuno sembra dare alcun peso. Il suo enorme potenziale (è capace di teleportare se stessa e gli altri dovunque desideri) la rendono forse l'unico componente davvero fondamentale dell'attuale formazione. La dipendenza degli altri dalle sue prestazioni in missione le procura un insano attaccamento a tutto quanto odori di potere e di autorità. Le sue ostentate pose da star e la sua ansiosa necessità di capeggiare a tutti i costi il gruppo la rendono fragile come un calice di cristallo soprattutto nei momenti topici, quando cioè gli altri hanno realmente bisogno di lei. Inoltre, lo stress causatele dallo sfruttamento del suo potere le provoca una curiosa forma di narcolessia che la obbliga ad aver bisogno di appositi medicinali per restare cosciente. E' una ragazza determinata, arrivista e senza scru-
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poli, ma allo stesso tempo è anche l'incognita del gruppo, a causa dei suoi problemi di dipendenza che vanno (per quanto ne sappiamo) dagli psicofarmaci all'alcool e che rendono le sue reazioni piuttosto imprevedibili. L'Anarchico è un ragazzo di colore, accusato dai suoi "fratelli" di essere un "coconut" (noce di cocco: termine dispregiativo che indica un nero che vive negando la sua radice etnica/culturale, conformandosi ai bianchi). Il suo carattere arrogante e la sua natura belligerante non sono altro che maschere dietro le quali nascondere i suoi problemi relazionali: si autodefinisce un nero più nero degli altri, a causa del suo essere un mutante di colore. Come se non bastasse, soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo, legato alla natura dei suoi poteri: è infatti dotato di sudore acido, che diventa il conduttore di una non meglio identificata forma di energia. Un altro essere umano che entrasse in contatto diretto con lui potrebbe essere vittima di incontrollate manifestazioni del suo potere, particolarmente instabile quando l'Anarchico perde il controllo dei nervi. Se rileggete con attenzione le sue apparizioni, noterete che evita ogni contatto fisico prima ancora di essere evitato dagli altri. Un inquietante caso di autoghettizzazione sia fisica che psicologica, insomma. Vivisector è un nerd. Il tormentato rapporto con la famiglia (in particolare col padre, 
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famoso professore universitario) associato ad una sua scarsa predisposizione per le relazioni sociali ne fanno un vero e proprio disadattato incapace di reagire adeguatamente agli attacchi dei suoi coetanei. Queste frustrazioni lo portano a reprimere dentro di sè un tale concentrato di rabbia ed odio da obbligarlo a sfogare le sue pulsioni latenti sul primo nemico che gli capita a tiro, trasformandosi (letteralmente) in un lupo assetato di sangue. Come un moderno Mr. Hyde, in questa forma abbandona ogni inibizione trasfigurando in furia distruttiva la sua mostruosa carenza d'affetto. Phat è un ragazzo privo di ogni personalità. Istruito dalle mode, creato dalla televisione, schiavo del business che crede di controllare. La pubblicità ne romanza le origini nel nome dell'emarginazione e della povertà, ma nasconde al mondo una realtà fatta di anonima e benestante normalità. Il suo potere? Ingrassare.  La cosa può riguardare tutto il corpo o zone localizzate di esso, e se 
normalmente riesce a controllare il  processo, in situazioni di particolare stress emotivo il suo talento può sfuggirgli di mano. Fortunatamente per lui, il processo è reversibile. L'Orfano. Il capo, altrimenti conosciuto come Mr. Sensibile. Un ragazzo che i genitori hanno tentato di uccidere per la sua diversità (anche se loro affermano il contrario) in quanto nato e cresciuto con il segno del mutante stampato in fronte, e rappresentato da un caratteristico paio di piccole antenne. Il suo potere consiste in una ipersensibilità che lo obbliga a provare dolore per ogni minima variazione nello spazio che lo circonda e che è talmente sviluppata da interessare anche la sua sfera emotiva. Con gli anni ha imparato a disciplinarsi e, grazie anche all'aiuto di uno speciale costume fornitogli dal capo degli X-Men Charles Xavier, a convivere con la sua drammatica situazione. Ma questo non impedisce all'Orfano di soffrire. Soffre per se stesso e soffre per gli altri, e ciò non può che influenzare negativamen-
te le sue relazioni sociali. Un inconfessato desiderio di annullamento, di autodistruzione come fuga dalla sofferenza, lo porta a sfidare ogni giorno la sorte giocando alla roulette russa prima di addormentarsi. Ora provate a rileggere le descrizioni di questi poteri, e chiedetevi: quale di essi vorrei avere? Nessuno? Nessuno. Non sorprendetevi, nessuno li vorrebbe avere. Questi, se non ve ne siete ancora accorti, non sono veramente poteri. Almeno, non sono il tipo di poteri che siamo abituati a trovare nelle normali squadre mutanti. Di solito abbiamo un telepate, un forzuto, uno/due membri capaci di volare, un telecineta, un elementale ed un immancabile psicopatico dotato di artigli o lame od un qualunque succedaneo. E' un equilibrio consolidato nel tempo, nato dall'esigenza di raccontare gli scontri, di narrare le avventure del gruppo in questione nella maniera più articolata e variegata possibile. X-Force ha superato tutto questo. Nella sua essenza, il gruppo è un esperimento mediatico.E' l'equivalente fumettistico di un Grande Fratello, 
una versione mutante di Survivor ambientata nel jetset, una specie di Operazione Trionfo deviata e deviante. La natura umana viene studiata attraverso la lente d'ingrandimento dell'interazione tra i poteri e chi li possiede. Non abbiamo di fronte dei veri e propri supereroi: dobbiamo confrontarci con esseri umani che sono cresciuti con un difetto tanto a fondo radicato nella loro esistenza da divenire un'ambigua causa/effetto della loro psicologia. Ognuno di loro non deve solo rapportarsi con l'essere mutante: l'etichetta stessa viene a perdere di significato, quando osserviamo la profonda diversità che distingue tra loro i singoli membri del gruppo. Essi non interpretano un ruolo, ma rappresentano ed incarnano il loro potere, la loro peculiarità. Il tutto va inserito nella revisione del concetto di mutante che i nuovi x-scrittori stanno operando: ci sono voluti trent'anni, ad esempio, per capire che il visore al quarzo di
rubino di Ciclope gli impediva di fatto di percepire i colori, obbligandolo a vedere il mondo in sfumature di rosso. Il concetto di eroe, che inizialmente sovrastava ogni differente valenza del potere (da grandi poteri derivano grandi responsabilità), è stato accantonato preferendogli il senso negativo della mutazione: deformità, difficoltà comportamentali, riflessi psicologici gravi e sconvolgenti... in una parola, malattia. X-Force non sfugge a tale logica, ed anzi si pone come manifesto di questa nuova filosofia. Essere un mutante non significa più svegliarsi una mattina capaci di volare, infilarsi un bel costumino colorato e girare la città a caccia di supercriminali. Quello è un concetto limitato e limitante, figlio di una cultura in cui la diversità era sì accettata, ma solo se vista in un ottica di normalità traslata, figlia dell'uebermensch di nietzchiana memoria. Oggi essere un mutante significa crescere ai limiti della 
società, cercando disperatamente di nascondere la propria diversità, od al contrario sbandierandola, sfruttando la soggezione altrui a proprio vantaggio. Ma indipendentemente dalla scelta intrapresa, la psicologia dell'uomo adulto così formato non può non dipendere dalla sua stessa mutazione: una Jean Grey che ha difficoltà ad erigere delle solide barriere psichiche per schermarsi dai pensieri altrui, sarebbe oggi del tutto incompatibile con la serena ed affabile ragazza posata che ci hanno proposto per anni, così rassicurante nella sua imperturbabilità. I mutanti non sono più quei simpatici ragazzi affidabili nella loro solida psicologia eroica, disposti a sacrificarsi e a rinunciare alla parvenza di una vita normale per il sogno di integrazione di Xavier. Certamente non tutti. Alcuni sono fragili, insicuri, disturbati. Fanno paura, nella loro profonda ed esibita unicità. E, paradossalmente, proprio ora che il mondo avrebbe un valido motivo per odiarli inizia invece ad amarli, persino ad idolatrarli. L'umanità non li sente più lontani da sè, ora che la mutazione si rivela per quel che è. Non sono più qualcosa di profondamente diverso o di profondamente distante nella loro spiazzante superiorità, e non rappresentano più qualcosa da temere soltanto.
La mutazione recupera decisamente il suo valore stigmatico di difetto, rievocando un termine inquietante come P.A.G. (portatore di anomalia genetica, la definizione politically correct di mutante). In tal senso si spiega il successo commerciale di X-Force, prima mutant band mediatica. La gente si riconosce in loro, perchè non sono superiori. Sono solo malati. Malati profondamente, nel loro interno, turbati dai loro poteri. Scossi da difficoltà e limiti con i quali devono quotidianamente confrontarsi. Sono veri eroi, proprio per questo. Sono imperfetti, ma hanno raggiunto la vetta, sono diventati delle star. Il bambino grasso si riconosce in Phat, il secchione represso in Vivisector, l'emarginato di qualunque tipo nell'Anarchico, la ragazzina complessata in U-Go Girl ed il giovanotto timido e sensibile nell'Orfano. Per questo sono sinceramente odiabili e profondamente detestabili. E proprio per questo sono veri. L'impressione generale è che i membri della squadra non vengano scelti in base ai loro poteri, quanto piuttosto in base al trauma che incarnano con la loro stessa esistenza. Proprio come nelle boyband che i ragazzini idolatrano, i membri vengono selezionati in base alla loro capacità di catturare un determinato target, di affascinare un segmento particolare non toccato dagli altri, di penetrare l'immaginario dei loro
potenziali fans. Il concetto stesso di gruppo mutante non ha nulla a che vedere con la forza in battaglia o con la motivazione di fondo: è il marketing a decidere il valore del personaggio, che vale tanto più è vendibile la sua condizione, quanta più presa può fare sul pubblico. E paradossalmente, è esattamente ciò che in realtà è sempre accaduto negli altri gruppi: Wolverine sta ancora negli X-Men per una logica di appartenenza al gruppo o, forse, per il fatto che il suo appeal sui Marvel fans è tale da garantire una buona fetta di lettori in più? In una visione metafumettistica, i personaggi di X-Force sono quello che gli altri mutanti sono sempre stati: con la differenza, però, che L'Orfano e compagni ne sono consapevoli, e decisi a sfruttare tutto ciò a loro vantaggio. In questo nuovo contesto, la definizione stessa di mutante viene a cadere, divenendo una semplice costruzione sociale: che differenza c'è tra una vera e propria mutazione ed un'altra menomazione/alterazione qualunque, se non il presunto e fantomatico (ed infatti qui mai nominato) fattore x? I personaggi di X-Force incarnano un nuovo concetto di eroismo, più vicino alla realizzazione sociale, alla lotta dell'uomo contro il condizionamento del suo ambiente di origine: una sorta di nuovo self made man, "eroico" nella sua capacità di controllare il proprio destino. E' la malattia, estesa a "male di vivere" nella sua tragicità, a rendere questi mutanti più umani e più veri di qualunque loro predecessore.
Certamente in passato non sono mancati i mutanti freak: pensiamo a Bestia degli X-Men, o all'intero gruppo dei Morlocks (il cui nome è un'eloquente citazione dagli scritti di Wells): cosa porta allora questa X-Force ad essere apprezzata, laddove i diretti predecessori erano dei reietti? Potremmo rispondervi, ma preferiamo porvi un'altra domanda: cosa porta un ragazzo mediocre, rozzo, volgare e superficiale ad essere esaltato come idolo delle masse frustrate, risultando immediatamente identificabile più per l'ampiezza dei suoi pettorali che per le sue presunte capacità intellettive? Se non sapete rispondere o non sapete a cosa ci riferiamo, probabilmente avete passato gli ultimi dieci anni in un altro pianeta o, più realisticamente, non possedete un televisore. Il piccolo schermo, che incarna lo strumento mediatico supremo, è l'unico fattore 
discriminante. Con il suo insano potere (che la dice lunga sul ruolo strategico che il piccolo e svolazzante Doop, con la sua telecamera a spalla, viene a rivestire in questa anomala formazione), trasforma il difetto in attributo e separa gli stessi mutanti, destinandone alcuni alla gloria ed altri alla persecuzione. In pratica li "etichetta", creando l'illusione che alcuni possano essere migliori di altri e surrogando quella che nella  tradizione Marvel è sempre stata il nemico numero uno dei mutanti tutti: l'opinione pubblica. Un tempo era  "la gente" a decidere se odiare o meno quei "diversi" che
circolavano tra loro più o meno in incognito, ora è la televisione a designare quali di essi saranno odiati e quali amati, quali dovranno diventare ricchi e famosi e quali dovranno cercare di nascondersi. Quella che sembra una simpatica ed ironica satira sul mondo dei mutanti assume quindi il valore di un'amara ma atrocemente attuale metafora dello strapotere media- tico e del suo malcelato sfruttamento da parte di chi
ne regge le sorti. Partendo da presupposti comuni alle tradizionali serie mutanti, lo scrittore Pete Milligan ha scelto di usare l'introspezione non come contorno alle variopinte avventure di un gruppo di supereroi mascherati ma come unica componente fondamentale della narrazione. Non è un caso che nei sei episodi della sua gestione non si sia ancora vista neanche l'ombra di uno dei classici supercattivoni che nella tradizione superomistica cercano di turbare quello status quo che gli eroi devono impegnarsi a preservare. Qui il campo di battaglia si trova all'interno. All'interno del gruppo, con le lotte per il ruolo di capo e le questioni morali relative all'utilità delle proprie azioni. All'interno degli stessi personaggi, che combattono contro la loro immagine pubblica cercando di trovare una dignità che vada oltre l'egoistico appagamento mediatico e che si ritrovano, quasi inconsapevolmente, a maturare una sorta di coscienza collettiva. Ma anche, soprattutto, all'interno del lettore, spiazzato da un fumetto che ribalta completamente i canoni classici del genere supereroistico nel nome di una affermazione di ritrovata indipendenza creativa degli autori. E che autori... 
Andre.a e Nat

...leggi anche la prima recensione di Andre.a ...
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Novembre ‘02