...THE WHO...
Selvaggi, anarchici e assolutamente
fondamentali. Se c'era un concerto da non perdere negli anni '60, era proprio
quello degli Who.
Poche band nella storia del rock sono state percorse da così tante
contraddizioni come gli Who; e, tra queste, solo
loro hanno saputo sopravvivere e scrivere il loro nome nel pantheon dei grandi.
Quattro personalità completamente diverse e folli, come emergeva dagli
indiavolati show degli anni '60. Bastava osservarli: Keith Moon che violentava
la batteria facendo volare le bacchette, Pete Townshend che saltava come un
pazzo mulinando la chitarra, Roger Daltrey che cantava incedendo tronfio come un
pavone-teppista, mentre il bassista John Entwistle se ne stava immobile a
guardare.
Il risultato: conflitti interni, cambi di direzione, momentacci. Ma soprattutto
dieci anni di musica indimenticabile. Alla guida della British Invasion degli
anni '60 e del movimento dei Mods, gli Who hanno
sovvertito le regole del rock e dell'R&B. Come? Semplicemente ribaltando
la struttura ritmica dei pezzi e i ruoli degli strumenti: è la chitarra a
dettare il ritmo, mentre basso e batteria improvvisano loop caotici e la voce dà
ordine e emozione alla follia organizzata.
Ma l'esperienza degli Who ha significato anche
sperimentazione sonora da sala d'incisione, raffinatezza nel
songwriting, gusto per l'architettura sinfonica e ricerca della perfezione nella
composizione; quasi una doppia anima live/studio che nessun altro gruppo ha mai
espresso in modo così estremo e creativo.
Le origini del gruppo affondano nell'amicizia tra
Pete Townshend e John Entwistle, che si conoscono all'high school
di Shepherd's Bush, nei sobborghi di Londra, sul finire degli anni Cinquanta. I
due suonano in un gruppo Dixieland, Entwistle alla tromba e Townshend al banjo.
Decidono di formare una band, ma nel 1962 Entwistle passa ai Detours, un gruppo
di rockaccio duro in cui ogni tanto canta un
lamierista di nome Roger Daltrey. Un anno dopo Townshend si unisce
a loro come chitarrista e Daltrey soppianta definitivamente il vocalist Colin
Dawson. In pochi mesi il nucleo degli Who è fatto,
quando viene chiamato Keith Moon (che militava nei Beachcombers)
al posto del batterista Doug Sandom. Il nome della band viene deciso all'inizio
del 1964.
Di giorno si tira a campare, con Townshend che frequenta una scuola d'arte e gli
altri tre a fare lavoretti occasionali. Ma di sera si cerca la gloria al Marquee
Club; è qui che Pete, indispettito per i difetti dell'amplificazione, spacca la
sua prima chitarra, un gesto che diverrà un marchio di fabbrica del Rock'n'Roll.
Il gruppo si crea un piccolo seguito, che solletica il manager Pete Meaden. Per
allinearsi con il movimento dei Mods, il boss impone un nuovo nome (High Numbers)
e vestiti eleganti. Arriva il primo singolo, "I'm the Face" / "Zoot Suit", due
brani scritti da Meaden, che viene però scaricato a favore di Kit Lambert e
Chris Stamp, due pivelli del music business appena falliti come registi.
Anche i nuovi manager sin incaponiscono con il trend dei Mods e decidono cosa il
gruppo debba suonare e cosa vestire; ma un'idea sembra funzionare, quella della
maglietta col bersaglio disegnato,
che diventa un elemento di riconoscimento visivo dei quattro.
Intanto viene recuperato il nome Who e messo a punto un repertorio definito nei
poster "Maximum R&B", fatto esclusivamente di soul e groove stile Motown. Il
successo tra i giovani alla moda è grande e a fine '64 il gruppo,
sull'onda di "I Can't Explain" (imitazione di "You
Really Got Me" dei Kinks), firma per la Decca Records, la stessa
dei Rolling Stones.
Nel 1965 il produttore Shel Talmy (che aveva lavorato con i Kinks) li porta in
studio e registra il singolo. Aiutati dallo show televisivo "Ready, Steady, Go",
in cui Townshend e Moon distruggono gli strumenti, "I Can't Explain" scala le
chart inglesi. Seguono "Anyway, Anyhow, Anywhere" e "My
Generation", che arriva fino alla seconda posizione. Gli Who sono il
fenomeno della musica inglese.
A fine anno esce il primo album, "My Generation", che piazza "Substitute" nella
Top Ten. È un rock energico venato di blues, che scatena i teenager inglesi e
propone gli Who come possibile terza punta della
British Invasion, insieme a Stones e Beatles.
Separatisi con astio da Talmy, i quattro nominano Lambert nuovo produttore, che
decide di coinvolgere tutti i membri del gruppo nella composizione dei brani per
il nuovo album, cosa che secondo lui può portare maggiori guadagni.
"A Quick One" (1966) è un lavoro piuttosto incoerente ma contiene l'intuizione
dell'opera-rock che porterà a "Tommy" e in ogni caso viene accolto con calore
dal pubblico di casa. Oltreoceano bisogna aspettare l'anno dopo e una diversa
titolazione ("Happy Jack") per l'ingresso nella Top 40.
Il '67 porta anche il terzo LP, "The Who Sell Out", un concept-album costruito
come la trasmissione di una finta radio pirata. Con l'apparizione al Monterey
Pop Festival e l'ingresso del singolo "I Can See for Miles" nella Top 10 Usa,
gli Who sono ormai una delle realtà in ascesa dell'epoca d'oro del Rock.
La Storia fa il suo corso e con il 1968 il movimento dei Mods è alla frutta:
dopo l'ultimo omaggio al genere ("Dogs"), Townshend
si segrega per scrivere ciò che aveva in mente da tempo: la storia
di un ragazzo cieco, sordo e muto ma con un talento inarrivabile per il flipper.
È "Tommy", la prima rock-opera della storia. Il doppio album esce nel 1969 e
diventa immediatamente un successo clamoroso, recensito entusiasticamente sia
dalle riviste mainstream che da quelle underground. Gli Who portano l'opera in
tour arrivando a suonare su palcoscenici inusuali per una rock band, come il
London Coliseum e la Metropolitan Opera House di New York. In qualche modo "Tommy"
è stato l'apice degli Who e la loro dannazione:
è stato messo in scena sui palchi di tutto il mondo, tradotto per il cinema da
Ken Russell (in un ottimo, omonimo film del 1975 con Daltrey e Tina Turner) e
adattato per Broadway (nel 1993, da Townshend, per la regia di Des McAnuff). Ma
la perfetta macchina da soldi e gloria ha anche offuscato il gruppo, mettendo in
secondo piano tutti gli altri lavori e precipitandolo in una serie di scontri
interni e crisi di personalità (come restare all'altezza?).
I lavori successivi infatti sono un live, ("Live at Leeds", 1970), una
collezione ("Meaty, Beaty, Big and Bouncy", 1971). Si cerca di bissare con la
rock-opera e Pete scrive "Lifehouse", una storia di
fantascienza, ma è la scelta peggiore che si potesse fare. Il
resto della band non lo segue, accusandolo di spingersi troppo verso nuovi
orizzonti sonori (elettronica e synth), di risentire dell'ingombrante influenza
del suo guru indiano Meher Baba, e di avere costruito una trama incomprensibile.
Townshend ha un crollo nervoso.
Una volta ripresosi, raccoglie i cocci del progetto "Lifehouse" e li rivede col
gruppo e il producer Glyn Johns fino alla
pubblicazione di "Who's Next". Sorpresa: il power rock venato di
mood orientali e leggera psichedelica diventa un hit planetario e, col passare
degli anni, una pietra miliare della storia del
Rock, almeno quanto "Tommy". "Baba O'Riley", "Bargain", "Behind
Blue Eyes", "Won't Get Fooled Again" e "My Wife" son i cavalli di battaglia
delle nascenti radio libere degli anni '70.
Ma Townshend ha il chiodo fisso del guru indiano ("Who Came First", 1972, è una
raccolta di registrazioni personali dedicate a Meher Baba) e soprattutto
dell'opera. Ci riprova nel 1973 con il doppio "Quadrophenia"; questa volta però
abbandona la fantasia, optando per un affresco del mondo-Mod anni '60. Il
soggetto non avrà neppure la possibilità di venire rappresentato sui palchi per
una serie di problemi tecnici, restando relegato nell'anonimato fino
all'adattamento cinematografico nel 1979.
L'opera sarà letale al gruppo, che incomincia la
sua deriva artistica e umana: Entwistle si sente emarginato e
decide di concentrarsi sulla carriera solista ("Ox" e "Rigor Mortis"), Moon
sulle droghe (oltre al disco "Two Sides of the Moon"), Daltrey sulla recitazione
e Townshend fa di tutto per corrodere la propria immagine di leader,
sprofondando nell'alcoolismo.
"Odds and Sods", una collezione di rarità, e "The Who By Numbers", una serie di
brani messi insieme da Pete, riescono a raggiungere un buon successo, ma alla
fine del tour del 1975 il gruppo annuncia ufficialmente una momentanea
separazione.
Il periodo di lontananza dura tre anni e finisce con "Who Are You",
un'infatuazione prog-rock che, pur contrapponendosi alla rivoluzione punk,
sbanca le chart (numero due in Usa). Ma non è un ritorno trionfale come i
quattro speravano, poiché di lì a poco (il 7 settembre 1978)
il batterista Keith Moon viene trovato cadavere: overdose.
I tre decidono di andare avanti, ma più tardi dichiareranno che quel giorno di
settembre erano morti tutti gli Who. La loro
immagine, la loro musica e il loro spirito non sarà più lo stesso.
Ingaggiato Kenny Jones alla batteria
(proveniente dagli Small Faces) e il tastierista John "Rabbit" Bundrick, il
gruppo si chiude in studio per registrare nuovo materiale, ma non sarà cosa
facile. Il primo lavoro ad essere pubblicato è il documentario "The Kids Are
Alright", seguito dall'adattamento di "Quadrophenia" per il grande schermo.
Un'altra tragedia si abbatte sugli Who. Il 3 dicembre 1979,
11 ragazzi muoiono calpestati nella corsa alle prime
file durante il concerto al Cincinnati's Riverfront Coliseum; la
band verrà informata solo a fine concerto, uscendone a pezzi e incominciando un
lento, inesorabile declino. Townshend non riesce a liberarsi dalla scimmia di
eroina, cocaina, alcol e tranquillanti e vede la morte da molto vicino per
un'overdose nel 1981. Entwistle e Daltrey si arrabattano come possono in
carriere soliste, ma senza impegno e successo.
Una reunion nel 1981 porta "Face Dances" (il primo LP dalla morte di Moon), un
buon successo ma malvisto dalla critica. L'anno dopo è il turno di "It's Hard" e
del tour d'addio, commemorato dal live "Who's Last" (1984). Dopodiché Daltrey e
Entwistle spariscono dalla circolazione, mentre Townshend,
per cui gli Who sono ancora un'ossessione,
continua a scrivere canzoni e convoca il gruppo per grandi eventi (Live Aid del
1985).
Il vecchio leader non resiste senza band e, sostituito Jones col batterista
Simon Phillips, recupera gli altri per celebrare il Venticinquesimo con una
tournée americana. Ma, come spesso accade in queste occasioni, tutta la stima
che gli Who avevano conquistato in cinque lustri presso fan e critici
viene dissipata da questo patetico e irritante
tour-macchina-da-soldi. Il loro 'momento' è finito da tempo e vengono
percepiti come la caricatura di se stessi.
Due concerti nel 1994 per celebrare i 50 anni di Daltrey, uno a Hyde Park nel
1996 per far rivivere "Quadrophenia", poi altri due fallimentari tour americani,
sempre alla ricerca di qualche dollaro spillato alla loro gloria passata, come
molti grandi gruppi del rock '60-'70.
Ma non c'è dubbio che gli Who sono stati una delle più potenti
e innovative macchine da rock'n'roll di tutti i tempi.