La Storia dell'Eritrea
L'Eritrea annessa all'Etiopia: nascita della guerriglia (1962/ 1989)
La politica attuata dal Fronte di Liberazione dell’Eritrea (la lotta armata per l’indipendenza del Paese) porta ad una revisione nei piani del Mle che, attuati troppo velocemente, porteranno alla fine del movimento nel 1964. In quella data l’ultimo gruppo del Mle rimasto dopo le offensive etiopiche verrà liquidato dai guerriglieri del Fronte, la cui convinzione era l’esistenza di un’unica organizzazione. La guerriglia del Fle aveva dimostrato di possedere una maggiore efficacia già dalle prime azioni: nel 1962 fu messa in atto un’escalation di attentati nelle principali città eritree, culminata il 12 luglio ad Akordat, quando alcune granate lanciate sul palco delle autorità uccidono 22 persone. La vendetta dell’imperatore non si farà attendere a lungo e il 14 novembre viene convocata, sotto le minacce delle armi, l’Assemblea eritrea. Il capo dell’Amministrazione, Asfahà Woldemikael, alla presenza dei poliziotti etiopi, legge in lingua amarica questo comunicato: «La risoluzione che vi leggo rappresenta la soluzione finale della questione eritrea, e non potete fare altro che accettarla così com’è. Noi abbiamo abrogato la Federazione e perciò siamo ora completamente uniti alla madrepatria». L’Eritrea diventa la quattordicesima provincia dell’Etiopia nell’indifferenza e nel silenzio delle Nazioni Unite, dell’Italia e della comunità internazionale. Il popolo eritreo, ormai stanco e sfiduciato dall’indifferenza internazionale, inizia lentamente ad appoggiare la guerriglia direttamente (entrando a farne parte) o indirettamente (con aiuti ai guerriglieri).
Negli anni seguenti le principali vicende sono legate ai contrasti interni dei diversi movimenti di guerriglieri eritrei e alle numerose offensive etiopiche portate avanti nella speranza di stroncare la lotta armata. Il primo imponente attacco è del 1967, quando l’esercito etiopico decide di assalire ad una ad una le Divisioni del Fronte, isolando man mano i territori sgombri dai guerriglieri. Il Fle, lacerato dalle lotte interne, riceve la sua prima grave sconfitta, anche se la peggio l’avrà la popolazione civile che inizierà, proprio in quell’anno, a spostarsi nel vicino Sudan per scampare dall’offensiva etiope (i rifugiati alla fine della guerra per l’indipendenza presenti nel Sudan e in altri Paesi come Stati Uniti, Italia, Germania e Canada supereranno il milione). Le lotte interne al Fle sono principalmente mosse da tre delle cinque Divisioni di cui è composto, che richiedono una più salda unità delle forze della guerriglia superando le divisioni etnico - religiose presenti. La «Unità dei tre» - nome del coordinamento dei dissidenti - punta ad una riforma dall’interno del Fle, che si sarebbe dovuta attuare già nell’agosto del 1969 durante la conferenza di Adobha. Dopo un compromesso siglato con il Consiglio supremo, che prevedeva lo scioglimento di quest’ultimo e la nascita del Comando generale, composto da 38 membri, la situazione diviene nuovamente grave. Il Comando generale liquida gli esponenti di maggior spicco dell’opposizione e darà vita ad una vera e propria guerra civile nei confronti delle neo costituite Forze Popolari di Liberazione dell’Eritrea, sorte nel settembre del 1973 dall’unione dei due gruppi di dissidenti fuggiti precedentemente in Sudan e sull’altopiano. Presidente sarà eletto un uomo che segnerà la storia dello Stato Eritrea: Isaias Afeworki.
Nello stesso periodo la II Divisione dell’esercito decide di sferrare l’offensiva "decisiva alle Forze Popolari di Liberazione nel Sahel, mentre l’Etiopia è stretta nella morsa della carestia. Per due settimane, è il gennaio 1974, i guerriglieri (lasciate da parte le divisioni interne) e i militari si fronteggiano fino alla capitolazione di questi ultimi che, stanchi e sempre più scontenti per le basse paghe, iniziano l’ammutinamento. Né l’imperatore né il governo si rendono conto dell’entità della protesta, che nel frattempo si sta estendendo all’interno di tutte le Divisioni etiopiche. Nel giugno dello stesso anno si costituisce il Comitato di coordinamento delle Forze armate, nascita che sarà ufficializzata il 3 luglio. Diciannove giorni dopo i militari riescono addirittura a imporre un nuovo primo ministro, Mikael Imrù, che affronta subito il delicato capitolo eritreo cercando una soluzione politica al problema: il 9 settembre viene presentato il "Piano in 19 punti", in cui si prospetta una relativa autonomia della provincia. Pochi giorni dopo l’esercito compie un passo importante e meditato da tempo: all’alba del 12 settembre viene deposto l’ultimo negus dell’Etiopia, Hailé Sellassié, il cui posto verrà preso dal Comitato di coordinamento che cambierà il nome in Derg (Consiglio Amministrativo Militare Provvisorio). Immediatamente viene sospesa la Costituzione, il Parlamento è sciolto e vengono esposti i principi del «socialismo etiopico».
La popolazione eritrea, a seguito degli ultimi avvenimenti, chiede al Fle e alle Fple di unirsi per la causa comune e di interrompere definitivamente l’assurda guerra fraticida: una richiesta che verrà accettata con la firma di un accordo di cooperazione militare nel gennaio 1975. Ma ormai saranno sempre più i guerriglieri delle Fple (che dai primi anni Settanta possono contare, per la prima volta nella storia, una componente femminile) a tenere viva la lotta per l’indipendenza dell’Eritrea, attraverso azioni mirate soprattutto a spezzare i collegamenti fra le principali unità etiopiche, accerchiare le guarnigioni più isolate e attaccare i convogli militari per acquisire armi e munizioni. La svolta però arriva nei primi mesi del 1977: il 5 gennaio i guerriglieri conquistano la città di Karora, il primo paese a cadere nelle mani delle Fple; dal 23 al 31 gennaio si tiene nella "zona liberata" del Sahel il I Congresso delle Forze Popolari, che vedrà la nascita del Fronte Popolare di Liberazione dell’Eritrea e l’approvazione del "Programma democratico nazionale", ed infine, il 22 marzo, Nakfa è il primo capoluogo di provincia ad essere "liberata" dai guerriglieri.
Il 1977 sarà un anno importante anche per l’Etiopia. Il 3 febbraio, infatti, dopo una sanguinosa sparatoria, il nuovo presidente del Derg è il colonnello Menghistu Hailé Mariam che dichiara: «Combattere il terrore con il terrore», cioè annientare le opposizioni nell’intero Paese. Ed è quello che cercherà di fare: terminata l’offensiva nell’Ogaden contro la Somalia e ottenuto l’appoggio dell’Unione Sovietica, nel giugno 1978 Menghistu scatena contro la guerriglia eritrea circa 150 mila uomini, centinaia di mezzi corazzati e decine di Mig sovietici pilotati da cubani e yemeniti. Il Fple il 28 luglio decide la "ritirata strategica" dei propri uomini verso il Sahel (la zona in cui i guerriglieri avevano già adottato riforme sociali antifeudali e attuato una vasta politica di alfabetizzazione) e gli attacchi etiopi si concentrano sul territorio controllato dal Fle. La seconda offensiva dell’esercito di Menghistu è del novembre ’78 e questa volta l’obiettivo è Keren (la capitale del Fple), che viene abbandonata dai guerriglieri il 27. Seguiranno altre tre offensive nel Sahel fino al luglio 1979, e alla fine dei 150 mila soldati schierati ne rimarranno attivi solo un terzo e il Fple, tra il 2 e l’11 dicembre, avanzerà addirittura di una sessantina di chilometri da Nakfa, l’avamposto che da un anno sta tenendo testa all’esercito del Derg.
Le continue offensive etiopiche rischiano di degenerare in un vero e proprio genocidio e così il Fronte propone il 22 novembre 1980 una soluzione pacifica al conflitto attraverso l’organizzazione, sotto il controllo internazionale, di un referendum in cui gli eritrei possano scegliere fra tre quesiti: unità all’Etiopia, autonomia regionale (proposta da Menghistu) e indipendenza. Ancora una volta, nell’assoluto silenzio internazionale (l’unica ad esprimersi sulla proposta sarà la Conferenza dei Paesi islamici), il Derg risponde negativamente e si appresta a preparare una nuova offensiva (denominata "Operazione Stella Rossa") ai danni di Nakfa nel 1982: un attacco che fallirà nuovamente. Nell’estate 1981, intanto, dopo un anno di guerra civile tra Fle e Fple, i primi vengono costretti a rifugiarsi definitivamente in Sudan. A non demordere è però Menghistu che, in piena carestia, dà il via nel febbraio 1983 alla settima offensiva, durante la quale cercherà di usare a proprio vantaggio anche la fame della popolazione: organismi umanitari e non governativi portano a conoscenza della comunità internazionale l'utilizzo degli aiuti per sfamare l’esercito presente in Eritrea e Tigray e come arma di ricatto nei confronti della popolazione. Medici Senza Frontiere denuncia inoltre il piano (finanziato anche dall’Italia) di «reinsediamento» attuato da Addis Abeba. Il piano prevedeva lo spostamento di una vasta porzione di abitanti delle regioni colpite dalla siccità (Tigray e Wollo) verso quelle meridionali più fertili. La denuncia di Msf, che costerà loro l’allontanamento, porta in evidenza la disorganizzazione nell’attuazione del piano, a tal punto da aver causato la morte di 600 mila civili. Altre denunce si sono invece alzate per i forti dubbi sull’efficienza dell’operazione e sulla possibilità che essa avesse come unico scopo quello di fare "terra bruciata" (e quindi isolare) la guerriglia. Nonostante tutti gli sforzi, l’Etiopia non riuscirà comunque mai a fermare la guerra per l’indipendenza eritrea e dovrà capitolare quando, in seguito alla caduta del muro di Berlino, gli verrà a mancare anche l’importante appoggio militare sovietico.
Tutte le note, la bibliografia e i riferimenti potranno essere trovati nelle sezioni "Bibliografia" e "Tesi".
|