La Storia dell'Eritrea
La nascita della Colonia Eritrea (1869/ 1896)
Nella metà del XIX secolo la quasi totalità delle potenze europee poteva vantare un impero coloniale vasto, consolidato ed in grado, soprattutto, di contribuire attivamente nell’economia del Paese, o attraverso il rifornimento di materie prime oppure diventando un importante mercato per le esportazioni. Sul finire del secolo il colonialismo europeo ha un nuovo slancio a cui partecipano, senza grande successo, i due nuovi Stati (Italia e Germania) alla ricerca di uno status di "potenza" non ancora pienamente acquisito.
L’Italia compie la prima mossa in direzione coloniale nel 1869 verso un territorio che, a seguito dell’apertura del canale di Suez (1867), era divenuto, potenzialmente, un punto di appoggio sulla rotta Europa - Oriente. Il 12 ottobre 1869 l’ex lazzarista Giuseppe Sapeto ed il contrammiraglio Guglielmo Acton partono da Brindisi per svolgere il compito a loro affidato in via del tutto ufficiosa dal Governo italiano. Dopo un tentativo sulla costa asiatica del Mar Rosso, la spedizione approda su quella africana, sbarcando nei pressi di Assab. Il 15 novembre i due acquistano dai capi locali un lembo di terra di circa 18 chilometri quadrati impegnandosi a pagare i seimila talleri (circa trentamila lire) entro cento giorni.
La mattina dell’11 marzo 1870 Sapeto ritorna nella baia di Assab e liquida il pagamento riuscendo ad ampliare ulteriormente i possedimenti: il 13 marzo sulla baia di Buia (nei pressi di Assab) sventola il tricolore e prima di lasciare l’Africa fa issare un cartello con scritto: «Proprietà Rubattino comprata agli 11 marzo 1870».
Bisognerà attendere fino al 1879 per sentir nuovamente parlare di Assab, quando cioè il Rubattino, a seguito di una concessione negata in Parlamento, ha tutti gli interessi perché si ritorni a rivalutare lo scalo africano. Per l’armatore genovese tutto procede per il meglio: già nell’estate il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli decide la rioccupazione di Assab in segreto (per superare gli ostacoli che si sarebbero potuti creare con alcuni ministri e per preoccupare il meno possibile la Gran Bretagna, i cui interessi nel Mar Rosso erano molto elevati). Nel frattempo si chiede al Rubattino di proseguire nell’agire in conto proprio nonostante gli accordi presi. La segretissima operazione viene annunciata però sulle pagine de "Il Popolo Romano" e ripreso immediatamente dal "Times" inglese con scontate polemiche e accuse. La decisione è comunque di continuare nel progetto e così il giorno di Natale la spedizione del Rubattino, accompagnata da due navi della Marina italiana giunge nei possedimenti ed inizia la costruzione dello stabilimento commerciale progettato. Due anni dopo il Governo italiano decide di mandare nello stabilimento di Assab, nonostante sia ancora di proprietà del Rubattino, il primo commissario civile: Giovanni Branchi.
Il 10 marzo 1882 avviene la svolta: l’Italia acquista dall’armatore genovese lo stabilimento di Assab per creare la prima colonia. La cifra pattuita è di 416 mila lire. Le iniziative successive dell’Italia dimostreranno tutta l’inesperienza e la goffaggine nella gestione dei possedimenti africani. Per citare solamente alcuni casi: nel gennaio 1885 l’Italia decide di occupare Massawa (scelta derivata dall’appoggio inglese, che preferisce avere nel Mar Rosso gli italiani anziché i francesi), il colonnello Saletta, partito con oltre 800 militari da Napoli il 17, apprende la sua destinazione il 1° febbraio. Il graduato dovrebbe quindi prendere Massawa con l’intera artiglieria stivata sotto 600 tonnellate di altro carico, senza aver mai visto una carta geografica della città ed una volta sbarcato affrontare forse uno dei nemici peggiori: il caldo della zona con divise invernali. Altro errore, che si ripeterà durante tutta l’occupazione italiana, la sottovalutazione e la poca considerazione data all’impero etiope.
Il primo vero scontro tra i due eserciti avviene nel gennaio del 1887, quando i 20 mila uomini di ras Alula spazzano via a Dogali oltre 500 soldati dell’esercito regio. In Italia la parola d’ordine sarà «rivincita» e l’uomo giusto arriverà alla morte del presidente del Consiglio Agostino Depretis: Francesco Crispi. Negli anni successivi vengono praticamente tracciati quelli che saranno i confini della futura Eritrea e un altro errore costerà caro all’Italia. Il 2 maggio 1889 ad Uccialli il futuro negusa nagast (negus neghesti) Menelik firma un trattato di amicizia e di commercio con l’Italia in cui vengono delineati, fra gli altri punti, i confini e soprattutto autonomia e sovranità etiopi (molto care al negus). Menelik è molto attento e prudente, lo dimostrano le modifiche che farà apportare prima della firma a ben 19 articoli su 20. L’unico che rimarrà inalterato sarà il 17, proprio quello che sarà contestato aspramente dall’imperatore, in quanto le due edizioni del trattato (quella italiana e quella amarica) differiscono in un punto, dando l’impressione (che è poi la volontà italiana) che Menelik accetti il protettorato italiano.
Il 1° gennaio 1890 nasce con decreto reale la "Colonia Eritrea", dall’etimologia greca del Mar Rosso (Mar Eritreo), comprendente tutti i possedimenti italiani: 110 mila chilometri quadrati con circa 200 mila abitanti. L’Italia prosegue, durante il governo Giolitti, in grandi e piccole conquiste e continua la politica di "doppia amicizia" con Menelik ed il ras confinante del Tigray. La situazione cambia nuovamente con il ritorno del Crispi nel dicembre 1893: la sua politica è di espansione. Nel 1894 Oreste Baratieri, governatore della Colonia Eritrea, è l’uomo giusto per le aspirazioni crispine, dimostrazione ne è la promozione a tenente generale per merito di guerra conseguita nel gennaio del ’95 quando, durante uno scontro con gli uomini di ras Mangascià ordina di aprire il fuoco contro l’accampamento avversario con alzo a 2 mila 600 metri: la prima salve centra in pieno la tenda del ras tigrino. Crispi è ormai convinto di poter invadere la provincia etiope e telegrafa a Baratieri: «Il Tigrè è aperto all’Italia: sarà indulgenza nostra se non vorremmo occuparlo». Lo stesso anno, nel mese di settembre, i lazzaristi francesi vengono allontanati dal governo italiano ed il 13 settembre 1894 viene eretta, in seguito agli accordi tra Italia e Vaticano, la Prefettura apostolica dell’Eritrea, affidata ai cappuccini della Provincia romana. Con questo atto nella colonia ci saranno missionari italiani e questi lavoreranno autonomamente dal Vicariato apostolico dell’Abissinia.
Sul fronte politico, intanto, le continue incursioni italiane in Etiopia e l’ancora irrisolta questione del trattato di Uccialli portano Menelik, il 17 settembre 1895, a ordinare la mobilitazione generale. Durante il consiglio di guerra tenutosi nel mese di aprile ad Addis Abeba, l’imperatore aveva deciso per la guerra all’Italia, dando così il via ai preparativi del potente esercito africano. L’11 ottobre Menelik lascia Addis Abeba in direzione del Tigray, accompagnato dall’inseparabile moglie Taitù e da un esercito che andrà via via ingrossandosi durante il tragitto. Nel frattempo (tra il dicembre 1895 e il gennaio 1896) sull’Amba Alagi una nuova sconfitta italiana lascia sul campo circa 2 mila uomini tra feriti e morti (tra gli ascari10, le vittime saranno circa 1200).
Nello stesso periodo arrivano in Eritrea i rinforzi richiesti da Baratieri, ossia 19 battaglioni, 8 batterie di cannoni da montagna e a tiro rapido, ma il governatore non è soddisfatto: gli uomini sono arrivati troppo tardi, non sono né addestrati né affiatati, l’equipaggiamento non è adatto e, per evitare il problema del doppio munizionamento, a Massawa vengono sostituiti i moderni ed efficienti Mannilicher - Carcano, modello 91, con i vecchi Vetterli, modello 1870/87. Quando i due eserciti sono schierati nei pressi di Adwa si contano circa 20 mila soldati italiani e circa 120 mila etiopi11. Baratieri (sotto le pressioni dei brigadieri Albertone, Dabormida, Arimondi ed Ellena) decide per la marcia verso Adwa nella notte del 29 febbraio e di attaccare l’esercito avversario all’alba del 1° marzo 1896 divisi in tre colonne: sarà la più grande disfatta nella storia del colonialismo europeo e l’Italia contò più vittime in questa battaglia (circa 4 mila 800 italiani, mille ascari, oltre ai 1500 feriti e i 2 mila 700 prigionieri) che in tutte le guerre d’Indipendenza. Sul fronte opposto rimasero al suolo dai 3 mila 500 ai 12 mila uomini.
Le proteste in Italia non si fecero attendere: a Milano, per esempio, la folla occupa piazza del Duomo e si verificano numerosi scontri con le forze dell’ordine, a Pavia gli studenti universitari bloccano i binari del treno e a Roma è presa a sassate la casa di Crispi. Il presidente del Consiglio terminerà con la disfatta di Adwa la sua carriera politica e Baldissera prenderà il posto di Baratieri con un mandato preciso che il successore di Crispi, Antonio Di Rudinì, espone in Parlamento il 17 marzo. Le linee guida, ribadite anche successivamente, sono chiare: il suo governo non si accingerà «mai a fare una politica di espansione» e «non aspira a conquistare il Tigrè».
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