La Storia di Crescentino
Fondata nel 1242 dal comune di Vercelli come borgofranco, ebbe difficili inizi in quanto il territorio apparteneva alla vicina abbazia benedettina di San Genuario e quindi la sua realizzazione incontrò una tenace resistenza da parte degli abati, sia per la sottrazione dei fondi coltivi, sia per lo spopolamento progressivo dei servi e dei coloni dai villaggi che sorgevano intorno all’abbazia stessa. La favorevole posizione geografica, l’abbondanza naturale delle acque e la fertilità del suolo, avevano spinto i vercellesi ad edificare un nuovo borgo, necessario per creare un avamposto sul confine della diocesi di Ivrea, nonché per affermare la supremazia comunale in una zona politicamente vulnerabile, a ridosso delle colline del Monferrato.
All’inizio del secolo XIV, i contrasti profondi fra le varie famiglie vercellesi dei Tizzoni e degli Avogadro degenerarono in lotte turbolente. Nel 1310, in occasione del suo viaggio in Italia, l’imperatore Enrico VII sciolse il borgofranco di Crescentino dal vincolo di dipendenza comunale e lo concesse a Riccardo Tizzoni, fautore della fazione imperiale. La ratifica di tale atto da parte dei crescentinesi avvenne in modo solenne il 7 aprile 1315 e così ebbe origine un piccolo organismo signorile che dovette poi inevitabilmente scontrarsi con le comunità vicine, in modo particolare con l’abbazia di San Genuario.
I Tizzoni conseguirono un importante traguardo presso la corte dell’imperatore Sigismondo: l’erezione di Crescentino in contea (27 settembre 1434).
All’inizio del Cinquecento, durante il conflitto franco - spagnolo in Piemonte, il conte Riccardo IV Tizzoni di Crescentino angariava la popolazione col più sfrenato dispotismo. Nello stesso periodo, anche i signori di Vische, nel Canavese, si erano abbandonati a gravi soprusi, allorché la popolazione, aiutata segretamente da un gruppo di crescentinesi armati, aveva assalito il castello dei San Martino, uccidendo due inservienti e ferendo lo stesso conte. A causa di questi fatti, il ocnte di Crescentino mise in atto violente ritorsioni, tanto da spingere un gruppo di 19 giovani, capeggiati da Antonio Viancino, a porre fine alla tracotanza dei Tizzoni. Quantunque i congiurati si fossero accordati in gran segreto con gli amici di Vische, per timore di essere scoperti, decisero di anticipare l’incurzione. Cosicché, nella notte dal 14 al 15 febbraio 1529, mentre il paese immerso nel sonno attendeva il trascorrere degli ultimi giorni di carnevale, i rivoltosi assalirono violentemente il palazzo dei Tizzoni, trucidando prima le guardie e poi il conte con la moglie Beatrice e tutti i suoi figli. Al gruppo degli assalitori si aggiunse la folla eccitata, richiamata dal gran fragore delle armi e dalla campana della torre che suonava maestosamente. Il palazzp, situato nel centro del borgo, venne dato alle fiamme. Quando i vischesi giunsero alle porte di Crescentino, l’eccidio era già stato consumato e, da quell’epoca, si instaurò una sincera alleanza fra i due paesi che ancor oggi viane annualmente ricordata.
All'incremento demografico del borgo corrispose, nei primi anni del Seicento, la ripresa del mercato cittadino, con scambi sempre più intensi coi paesi vicini. Grazie anche ad un periodo relativamente tranquillo, ci fu un significativo impulso dell'artigianato e del piccolo commercio. Lo sviluppo della vita cittadina si manifestò nella ristrutturazione del centro urbano, con particolare riguardo ai portici e alle nuove cinte murarie.
Ma la vita operosa fu bruscamente interrotta dall'attività bellicosa del duca Carlo Emanuele I di Savoia. La sua mente agile e irrequieta lo spinse ad imprese ardue e a vasti progetti politici. il 22 dicembre 1612 morì di vaiolo a Mantova il duca Francesco Gonzaga. Poiché le trattative diplomatiche condotte dall'abate Alessandro Scaglia di Verrua non approdarono a nulla di concreto, il duca, privo di sicure alleanze e contro il parere della maggior parte dei suoi consiglieri, decise nell'aprile del 1613 un colpo di audacia, occupando, nel giro di pochi giorni, Trino, Morano, Alba, Moncalvo e Gabiano. La fulminea azione di guerra provocò, com'era prevedibile, le immediate reazioni delle corti di Mantova e di Madrid.
Il borgo di Crescentino fu utilizzato come luogo strategico per la sussistenza e per i vari collegamenti con le truppe sabaude. Data la sproporzione delle forze, le vicende della guerra non potevano essere favorevoli al duca, che fu costretto a cedere i paesi occupati. Le spese per sostenere la campagna militare furono ingentissime. Solo Crescentino dovette sborsare oltre 130 mila ducati, senza contare l'onere per i nuovi interventi alle fortificazioni e i danni di guerra subiti.
Le ultime guerre combattute da Carlo Emanuele I che videro Crescentino teatro delle contese, riguardano l'assedio di Verrua, posto dagli spagnoli nel 1625. Il lungo conflitto si innestava nel gioco delle grandi competizioni europee, in quanto la politica sabauda, sostenuta prima da Venezia e poi dalla Francia, intervenne contro la Spagna e l'Austria che avevano occupato la Valtellina cattolica, allora incorporata nel cantone dei Grigioni, per proteggerla dall'azione punitiva dei protestanti svizzeri. Dall'altro versante, il duca aveva aperto un fronte su Genova attraverso il Monferrato, provocando l'intervento diretto dell'esercito spagnolo, che, dopo qualche esitazione se assediare Vercelli o Crescentino, oppure se marciare verso il chierese sulla sponda destra del Po, attaccò la fortezza di Verrua, strategicamente importante e scarsamente fortificata.
Per la difesa del castello il duca si stabilì col grosso del suo esercito sulla pianura di Crescentino, nella regione detta Roncole, all'inizio della strada per la frazione Mezzi da Po, ove si collegò con le truppe francesi, comandate dal maresciallo di Crequi, raggiungendo una consistenza di circa 10 mila uomini. Qui fece costruire un fortino tenagliato e con delle chiatte galleggianti si collegò al basso forte terrapienato, ai piedi della rocca, indi stabilì un collegamento con la strada e ponte del Soccorso, onde far giungere viveri e munizioni nell'interno della fortezza.
L'esercito spagnolo, forte di 20 mila soldati, 5 mila cavalli e 20 cannoni, raggiunse Verrua l'8 agosto e si dislocò nella collina fra le frazioni di Carbignano e Cascine, pensando di espugnare il castello nel giro di breve tempo. Ma durante i giorni che precedettero la marcia degli spagnoli da Asti verso Verrua, il duca era riuscito a far entrare nel castello circa un migliaio di soldati al comando del Saint Réran, designato come governatore, il quale con grande rapidità fece scavare dei grossi trinceroni fuori dalla cinta muraria, riadattò i vecchi rivellini e fece collocare l'artiglieria nelle alture strategicamente più importanti, per contrastare le soverchianti forze nemiche. . Dall'analisi dei documenti del periodo che va dal 1613 al 1625 la popolazione crescentinese risulta pressoché dimezzata. I tentativi di ristabilizzazione dell'economia in Crescentino diedero qualche frutto solo dopo il 1630, sotto il governo di Vittorio Amedeo I, il quale fu costretto a firmare l'anno successivo l'umiliante trattato di Cherasco. Ma fu al figlio Vittorio Amedeo II che toccò la sventura di chiudere questo nefasto periodo d'invadenza francese e di riportare il Piemonte fra i protagonisti della storia europea.
Com'è noto, con la morte di Carlo II, ultimo erede della dinastia asburgese di Spagna e l'accettazione del suo testamento da parte del re di Francia, il quale si era affrettato ad insediare sul trono spagnolo il nipote Filippo V scoppiò un generale conflitto, meglio conosciuto come guerra di successione spagnola. Alle prime schermaglie diplomatiche, Vittorio Amedeo II passò dalla parte austriaca, provocando un'azione punitiva di Luigi XIV Ma essa fu infranta dall'ostinata quanto inattesa resistenza della fortezza di Verrua.
Il duca di Vendòme, designato dal re di Francia quale comandante della campagna in Piemonte, era - secondo i biografi - un generale molto fiducioso in se stesso, ma valoroso e sagace. In un suo scritto del 12 ottobre 1703 si dimostrava sicuro di concludere la guerra con successo e, dopo la caduta di Vercelli e Verrua, avrebbe marciato rapidamente su Torino. La lentezza delle operazioni consentì tuttavia a Vittorio Amedeo II di allestire un esercito di 18 mila uomini e di sollecitare l'arrivo del contingente imperiale di altri 14 mila soldati, comandati dal conte di Starhemberg, che si trovava nei pressi di Parma. Mentre il Vendòme con 27 mila uomini e 9 mila cavalli attendeva invano altri rinforzi nei pressi di Casale, le truppe sabaudo-imperiali vennero dislocate lungo il Sesia, a Trino e tra la Dora Baltea e il Po, nei pressi di Crescentino.
In seguito a tale spiegamento di forze, notava il Venderne, non era prudente avanzare verso Torino lasciando dietro il duca di Savoia a Cresccntina con le sue truppe. Nella primavera del 1704 l'esercito francese occupò Vercelli e Trino, cosicché il duca fu costretto a rafforzare lo sbarramento da Verrua a Crescentino. Il 14 ottobre, dopo aver raggiunto i più importanti punti strategici del Piemonte, il Vendòme pose l'assedio alla fortezza di Verrua, ultimo ostacolo prima di assediare la capitale, ritenendo che con la caduta di questo baluardo il duca di Savoia sarebbe sceso sicuramente a trattative. Ai primi di novembre, dopo sanguinosi scontri, il Vendòme decise un assalto simultaneo contro tutto il complesso fortificativo che digradava dal Fort Royal di Carbignano, mentre altri battaglioni da Trino dovevano guadare il Po per assalire di sorpresa Crescentino. Ma il duca di Savoia informato da alcuni disertori delle mosse del Vendòme, abbandonò il campo di Carbignano, facendo saltare le fortificazioni, per poter meglio difendere Crescentino. Resa impossibile tale operazione ed indispettito dall'accanita resistenza del castello, che dopo quattro mesi d'assedio non era ancora capitolato, il Vendòme riuscì ad isolare Crescentino da Verrua, dietro consiglio dell'ingegnere militare Antonio Laparà, inviato appositamente da Luigi XIV La sera del 13 marzo giungerà a Verrua l'ultima bomba vuota detta corriera, sparata dal campo alleato di Crescentino, con le istruzioni al comandante militare colonnello De Fresen, che aveva sostituito il De la Roche d'Allery, ferito. Il 9 aprile 1705 Verrua, senza più viveri, si arrendeva con l'onore delle armi, ma la sua resistenza consentì la difesa di Torino e l'arrivo delle truppe imperiali del principe Eugenio di Savoia alle spalle del nemico, vanificando l'assedio francese alla città. Con la caduta di Verrua, Vittorio Amedeo II tolse il campo di Crescentino, portandosi prima a Castagneto Po e poi a Torino, così tutto il territorio circostante rimase alla mercé del Venderne, che devastò i raccolti ed infierì sui malcapitati contadini, lasciando alcuni presidi prima al comando del Conoch e poi del La Valette che, attraverso il commissario di guerra Demurat, taglieggiarono anche i vicini paesi di San Genuario, Lamporo e Fontanetto, fino alla loro partenza per la Francia attraverso il piccolo San Bernardo.
Nel 1752 Crescentino ottenne il titolo di città con regie patenti datate 15 giugno.
Fra gli avvenimenti che nel 1799 fecero maggiormente scalpore ci fu il passaggio di papa Pio VI da Crescentino, condotto prigioniero in Francia. Per evitare che il pontefice accendesse il fanatismo delle folle, venne scelta la strada Casale-Torino, attraverso Trino e Crescentino. Il vescovo di Casale, Ferrerò della Marmerà, ne dava avviso ai padri filippini di Crescentino, affinchè predisponessero un locale per il pernottamento del papa. Enorme dovette essere lo sbigottimento dei crescentinesi, quando il 23 aprile videro giungere in una carrozza trainata da quattro cavalli il capo della cristianità, vecchio e malato, accompagnato solo dai monsignori Spina e Caracciolo e, scortato da un capitano e venti dragoni francesi, pernottare nella casa parrocchiale per poi essere esiliato in Francia.
Con la vittoria di Marengo, ottenuta da Napoleone, ritornò la pace e la stabilità, ma la grave crisi finanziaria favorì il processo di annessione del Piemonte alla Francia (11 settembre 1802). Poco prima vennero aboliti gli ordini religiosi e i loro beni incamerati, ad eccezione di quei sodalizi che avevano come scopo l'istruzione o l'assistenza agli infermi. A Crescentino il provvedimento colpì la congregazione dei padri filippini, i francescani, nonché le proprietà delle confraternite. Dopo un mese dall'emanazione del decreto del 28 Termidoro anno X (15 agosto 1802), il convento situato nella contrada Chiò (oggi via Dalmazia) dovette essere sgomberato, mentre i filippini, oltre all'abbandono del loro edificio di via Degregori, furono costretti a cedere la titolarità della parrocchia al clero secolare. A tutti i religiosi venne fatto divieto di indossare gli abiti del proprio ordine: dei beni messi all'incanto, quasi nulla potè essere salvato. Statue, quadri, libri, suppellettili e arredi sacri vennero dispersi e venduti al miglior offerente.
L'avvenimento però che fece maggior clamore in quegli anni fu il passaggio di Napoleone da Crescentino nel 1805. Ai primi di luglio, dopo aver assistito ad un solenne Te Deum nella chiesa di San Lorenzo a Genova, l'imperatore ricevette i vescovi dei dipartimenti liguri, distribuì numerose decorazioni, indi partì per Torino, passando per Casale Monferrato e Crescentino. Nella nostra città, alla notizia dell'imminente arrivo del corteo imperiale si fecero imponenti preparativi. Oltre la sistemazione delle strade e gli addobbamenti al palazzo civico, il maire Felice Saracco fece presidiare dal battaglione della Guardia Nazionale il traghetto sulla Dora Baltea, nonché le vie di accesso del paese e, nel contempo, comunicò al comune di Verrua di tenersi pronto nel caso che l'imperatore volesse visitare il castello. Il comune di Livorno Piemonte aveva inviato la banda musicale che si aggiunse ai tamburi locali. Napoleone giunse il giorno 7, accompagnato da prefetti, generali e alti dignitari, tutti accolti da smodate manifestazioni di cortigianeria e con un grandioso cerimoniale. Dopo il pranzo e il pernottamento, ritornò in Francia passando da Torino.
Resta da ricordare come il 25 marzo 1859, con una gigantesca operazione che suscitò vivaci reazioni fra i contadini di Crescentino e San Genuario, vennero allagate le campagne vercellesi, facendo straripare i canali demaniali, per ostacolare l'avanzata austriaca. "L'allagamento - come testimoniò l'ingegner Carlo Noè - fu attuato mediante sbarramenti trasversali, in modo tale che le acque prendevano per ogni dove a sommergere le campagne adiacenti, portando la mia attenzione di preferenza su Crescentino, Saluggia e Cigliano, avvengaché io riputassi, essere questa la prima barriera da frapporsi all'avanzamento del nemico verso Chivasso; e tanto vi adoperai, che segnatamente il territorio di Crescentino e sue adiacenze al passo della Dora di sant'Anna, siccome più scoperto e di facile passaggio, si trovasse, e lo fu di fatto, letteralmente convertito in lago". I danni provocati all'agricoltura furono ovviamente ingenti, "Ma con questa iniziativa - dirà più tardi Cavour - noi abbiamo impedito ali 'invasione austriaca di estendersi fino alla capitale".
Fra il 1861 e la vigilia della prima guerra mondiale, anche Crescentino ebbe, come riflesso delle istituzioni liberali, la possibilità di far partecipare alla cosa pubblica molti dei suoi migliori cittadini. In generale, lo sviluppo della produzione agricolo-artigianale, impiegando masse di lavoratori sempre più cospicue nella produzione di beni e di servizi, diede modo di rivendicare tutta una serie di diritti, che andavano dal voto alla possibilità di associarsi per fini politici e sociali. Nacque così la Società degli artisti, operai e contadini della città e territorio di Crescentino, dal motto Amiamoci-Uniamoci-Soccorriamoci, avente per scopo la fratellanza e il mutuo soccorso.
Quando sul principio del 1921, l'attività dello squadrismo si diffuse in tutto il vercellese con risse violente, intimidazioni, accoltellamenti, morti e occupazioni di sedi comunali, il fenomeno fu sottovalutato. Molti ritennero che esso, dopo aver ridotto al silenzio i propri avversari, sarebbe rientrato nella legalità costituzionale. Ma tali previsioni non si avverarono e, poco più tardi, i fascisti diranno che lo stato liberale non riuscì né a dominare la realtà effettiva, né a mantenere l'ordine pubblico.
Il primo podestà fu l'avvocato Febo Carette che si dimise nel 1932, le cui funzioni furono assunte dal consigliere di prefettura dottor Ugo Severini. Seguì il geometra Giovanni Miglino, indi dal 29 marzo 1941 il geometra Antonio Dellarole.
Anche a Crescentino, dopo l'8 settembre 1943 si formò un gruppo di opposi zione armata all'occupazione tedesca e alla repubblica di Salò, che costituì l'embrione del futuro C.L.N.
Nelle campagne e nelle vicine colline di Verrua Savoia la guerra civile si fece sentire in tutta la sua asprezza. Le reazioni nazifasciste alle azioni partigiane, spesso condotte in modo improvvisato, assunsero caratteri di inumana crudeltà, ricorrendo all'uccisione di persone civili ed i nnocenti, come accadde l'8 settembre 1944, quando vennero fucilati nove uomini sul piazzale della stazione ferroviaria, quale ritorsione per l'uccisione di un tedesco da parte di partigiani nel ristorante della stazione stessa. Undici giorni dopo la città venne prima saccheggiata e poi incendiata dai tedeschi. Trentanove case andarono distrutte e i danni furono stimati in 50 milioni dell'epoca. Pur nella sua grande diversità di situazioni, la Resistenza significò comunque un rifiuto all'incivile ideologia nazifascista e rappresentò un particolare valore morale nella lotta per la libertà e la democrazia.
Notizie tratte da Ogliaro, Mario e Bosso, Piero, Crescentino nella storia e nell'arte, Libreria Mongiano Editrice, 1998, Crescentino
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