Jean-Paul Sartre
Da Cioffi…, I libri di diàlogos, cit., vol. F, pp. 107-111



Vita e opere

Jean-Paul Sartre nasce a Parigi nel 1906. Studia psicologia e filosofia all’École normale supérieure, dal 1924 al 1927. Dopo un periodo di insegnamento nei licei, nel 1933 si reca a Berlino, per studiare la fenomenologia tedesca.
Tornato in Francia pubblica i primi scritti di intonazione fenomenologica: L’immaginazione (1936), Abbozzo di una teoria delle emozioni (1939), L’immaginario (1940). Si dedica anche all’attività di scrittore, ottenendo la fama letteraria con il romanzo La nausea (1938) e la raccolta di novelle Il muro (1939), in cui cominciano ad affacciarsi temi del suo esistenzialismo. Durante la guerra esce il suo capolavoro filosofico: L’essere e il nulla (1943). Partecipa alla resistenza antinazista. Scrive anche il suo primo dramma: A porte chiuse (1944), iniziando un’attività drammaturgica che conoscerà importanti sviluppi nel dopoguerra, con Morti senza tomba (1946), Le mani sporche (1948), 11 diavolo e il buon Dio (1951). Fonda, insieme con Simone de Beauvoir, la scrittrice e intellettuale che gli sarà compagna per il resto della vita, la rivista "Les Temps Modernes" (1945), che diviene l’organo più prestigioso degli intellettuali di sinistra, fiancheggiatori del Partito comunista francese, sia pure in posizione critica. Nel 1947 pubblica Che cos’è la letteratura?.
Le posizioni politiche di Sartre negli anni cinquanta determinano frequenti polemiche nei confronti di intellettuali antifascisti un tempo vicini (Raymond Aron), di amici esistenzialisti (Albert Camus), di intimi collaboratori di "Les Temps Modernes" (Maurice Merleau-Ponty). Si dedica in questi anni al chiarimento dei rapporti tra esistenzialismo e marxismo, pubblicando infine il capolavoro della maturità: Critica della ragione dialettica (1960). La cattiva accoglienza dell’opera da parte dei marxisti ufficiali, e il mutato clima politico internazionale dopo la fine della guerra fredda, sollecitano un profondo ripensamento politico. Uno scritto autobiografico, Le parole (1963), gli fa vincere il Nobel per la letteratura (da lui rifiutato).
Nel 1968 rompe definitivamente con il Partito comunista e si schiera a favore della sinistra extraparlamentare. Negli ultimi anni di vita si dedica alla monumentale e incompiuta monografia su Flaubert, di cui pubblica soltanto la prima parte: L’idiota della famiglia (1971-72). Muore a Parigi nel 1980.



L’esistenzialismo di sinistra

Le diverse espressioni della filosofia dell’esistenza, che interessano l’Europa nel corso degli anni venti e trenta, trovano favorevole accoglienza in Francia. Da un lato la tradizione dello spiritualismo ottocentesco, rinnovata agli albori del nuovo secolo dalla filosofia di Bergson, offre un terreno particolarmente propizio a una filosofia che accentua il lato personale della meditazione filosofica. Dall’altro l’inedita apertura dei filosofi francesi al mondo culturale tedesco (un fenomeno che si accentua dopo la prima guerra mondiale) fornisce l’occasione per la penetrazione in Francia delle varie correnti della filosofia della vita (Lebensphilosophie), della tenomenologia e della filosofia dell’esistenza. Alcune esperienze isolate, come quella di Gabriel Marcel, svolgono in questo campo un importante ruolo di anticipazione. Ma è soprattutto con la nascita parallela della rivista "Recherches philosophiques", fondata da Alexandre Koyré nel 1932, e della collana Philosophie de l‘Esprit, fondata da René Le Senne nel 1934, che si possono individuare due correnti esistenzialiste, che si è soliti distinguere in una di "sinistra" e in una di "destra".
La corrente di sinistra, cui fanno riferimento gli autori che collaborano alla "Recherches philosophiques", è quella che più risente della cultura tedesca. Più accentuati sono, in essa, gli atteggiamenti di ribellione nei confronti della tradizione filosofica; vi trova posto una sensibilità più acuta per la drammaticità dell’esistenza; maggiore è la propensione verso una conclusione pessimistica. L’autore più rappresentativo di questa tendenza è Jean Wahl (1888-1974). Egli rivolge un’attenzione specifica alle tematiche esistenzialiste, con il fondamentale volume di Studi kierkegaardiani (Etudes kierkegaardiennes, 1938), che inaugura la rinascita di questo autore in Francia. Jean Wahl ha avuto anche un importante ruolo di stimolo nel campo degli studi hegeliani. Il volume del 1929, La coscienza infelice nella filosofia di Hegel (La malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel), in cui le opere giovanili del filosofo tedesco vengono studiate come gli scritti più interessanti, perché più vicini alla concretezza del romanticismo, sarà in Francia un punto di riferimento costante per la ricerca successiva. A esso si rifà anche l’opera di Jean Hyppolite (1908-68), traduttore della Fenomenologia dello spirito di Hegel e autore di alcuni studi - Genesi e struttura della "Fenomenologia dello spirito" di Hegel (1947); Introduzione alla filosofia della storia di Hegel (1948) - che hanno un’importanza fondamentale nell’orientare l’esistenzialismo, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, verso una confluenza (sia pure dialettica e critica) di hegelismo e marxismo.


Sartre: l’essere e il nulla

Protagonista di tale vicenda sarà soprattutto JeanPaul Sartre (1905-80). A lui si deve la popolarità assunta, a partire dal 1944, dal termine existentialisme. L’esistenzialismo viene con Sartre sempre più a caratterizzare una corrente filosofico-letteraria (tra le cui espressioni si fanno rientrare, per esempio, i romanzi di Albert Camus), che contribuisce potentemente a orientare una parte dell’intellettualità francese ed europea nella direzione di un diretto engagement politico-sociale.
Il suo fortunato pamphlet del 1946, dal titolo L’esistenzialismo è un umanismo, scritto con l’intento di rispondere alle accuse marxiste mosse alla sua dottrina della libertà, è, da questo punto di vista, particolarmente significativo. Rivendicando, infatti, al proprio esistenzialismo un significato umanistico, che lo differenzia dalle correnti accademiche della filosofia francese, Sartre cerca di instaurare un confronto dialettico con il marxismo, che si rivelerà aperto a nuovi sviluppi negli anni successivi.
L’essere e il nulla (1943) esprime i motivi del primo esistenzialismo sartriano. Grazie a quest’opera vengono divulgati in Francia i temi dell’esistenzialismo tedesco: le filosofie di Jaspers e di Heidegger, accostate da Sartre fin dagli anni trenta, insieme alla fenomenologia husserliana. Benché i primi interessi dello studioso francese si indirizzassero verso temi di psicologia fenomenologica (le emozioni, l’immaginazione ecc.) ben presto, anche per influenza della sensibilità letteraria dell’autore, questi temi tendono a debordare dal mero interesse scientifico e dalla passione descrittiva, tipica del fenomenologo, per assumere una più netta valenza ontologica e una accentuata connotazione morale. Pur ponendosi sul terreno di un radicale fenomenismo e sostenendo che l’essere non è una cosa, ma un fenomeno, al pari di ogni altro, Sartre sostiene la necessità, per la fenomenologia, di affrontare le tradizionali questioni ontologiche, indagando, da un duplice punto di vista, sia "il fenomeno dell’essere" sia "l’essere del fenomeno".

L’essere in sé e il per sé

Uno degli aspetti che meglio consentono di caratterizzare la nozione sartriana di essere è il suo netto rifiuto della dottrina aristotelica della "potenza". Tutto ciò che è, è attuale, tutto è in atto; non vi è né può esservi nell’essere mera possibilità, alcuna potenzialità irrealizzata. Dell’essere si può dire soltanto che è, che è in sé, che è ciò che è. Non vi è un fondamento dell’esistenza dell’essere, che è radicalmente contingente, inesplicabile, assurdo. Solo Dio potrebbe spiegare l’esistenza dell’essere: ma Dio non esiste e la stessa idea di creazione è contraddittoria, Ne deriva - rovesciando la tradizionale prova ontologica - che è l’esistenza a precedere l’essenza. L’essere in sé riposa semplicemente su se stesso: massiccio, immobile, opaco. L’essere in sé non ha relazione con gli altri esseri, si situa al di fuori della temporalità. Sartre non vuol certo negare il fenomeno del mutamento: ma esso viene spiegato da cause determinanti: bisogna quindi concepirlo come un divenire rigido, immobile. Come può, dunque, esistere, in un mondo rigido, immobile e deterministico, l’uomo come essere dotato di conoscenza e di libertà?
Perché ciò sia concepibile, bisogna ammettere, al di fuori dell’essere in sé, una realtà di tutt’altro tipo: il per-sé, l’essere sQecificatamenI~ unianiì o coscienza. Ma, poiché tutto ciò che esiste deve essere in-sé, Sartre ne conclude logicamente che questo essere di tutt’altro tipo coincide con il nulla. Parafrasando la formula che Heidegger riferisce al Dasein, Sartre definisce la realtà umana, ossia quel. l’essere per cui il nulla si produce nel mondo, come "un essere nel quale, nel suo essere, si fa questione del nulla del suo essere". Sartre è d’accordo con Heidegger nel sostenere che il "nulla" non èfondato dalla "negazione" (ossia da un atto del giudizio), ma ha un fondamento nell’oggetto, che esistono cioè realmente delle qualità negative (négatités). Per essere la sorgente del nulla, l’uomo deve portare il nulla in se stesso. L’analisi del per-sé, ossia della coscienza, rivela in effetti che l’uo. mo non porta solo il nulla in se stesso, ma consiste propriamente in questo nulla. Certamente nell’uomo si trova anche dell’essere in-sé: il suo corpo, il suo io, le sue abitudini; ma ciò che c’è in lui di specificatamente umano è appunto il nulla.

La temporalità e l’altro

Il per-sé, è essenzialmente temporalità, ed è caratterizzato da tre ek-stasi, ossia dalla tendenza a superarsi in direzione del nulla (la coscienza), dell’altro e dell’essere. La prima ek-stasi è quella della coscienza. La coscienza è una sorta di "decompressione" dell’essere pieno, di "scissione" dell’in-sé. Il nulla della coscienza si rivela nel fenomeno della libertà. Se l’uomo fosse determinato dal suo passato non potrebbe scegliere; viceversa sceglie, il che significa che annulla il proprio passato, aspirando a qualcosa che ancora non esiste.
L’uomo non ha una natura né un’essenza definite; la sua essenza è libertà, ossia incertezza e angoscia. L’uomo tende a fuggire l’angoscia e quindi la libertà. Vorrebbe, per esempio, poter concepire il proprio passato come un principio della sua libertà, benché esso sia una volta per tutte concluso., irnrnnbile, estraneo. Tuttavia non riesce a liberarsi dall’angoscia, poiché è la propria angoscia e coincide con essa. La prima ek-stasi, del per-sé è dunque, nella prospettiva di Sartre condannata allo scacco.

L’incontro con l’altro come alienazione

La seconda ek-stasi del per-sé è l’essere-per-altri. Le relazioni con l’altro sono essenziali per l’uomo, Non è possibile dimostrare l’esistenza dell’altro: tutte le prove discorsive rischiano di infrangersi contro lo scoglio del solipsismo. L’esistenza dell’altro ci è data solo intuitivamente, nel fenomeno psicologico della vergogna cd è illustrata mediante l’analisi dello sguardo. L’esperienza dell’altro è per la coscienza quella di un’alienazione fondamentale. Non ci può essere che un rapporto essenziale tra i per-sé: ognuno cerca di oggettivizzare l’altro. Non si tratta (come nella celebre dialettica signoria-servitù nella Fenomenologia dello spirito di Hegel) di dominare l’altro come un semplice oggetto, quasi di ucciderlo; il per-sé, secondo Sartre, vuole dominare l’altro in quanto libertà e dunque possederlo come oggetto e come libertà. L’analisi della vita sessuale, sia normale sia patologica (sadismo e masochismo) illustra bene questa caratteristica dell’essere per-altri: noi non desideriamo tanto il corpo dell’altro, e ancor meno il nostro proprio piacere, ma l’altro in se stesso, la sua libertà. Ma un per-sé non potrà mai possedere un altro per-sé, e dunque anche la seconda ek-stasi è votata al fallimento.

L’uomo e una passione inutile

Rimane il tentativo di superarsi nella direzione dell’essere inteso come valore. Ma anche il valore non è, è, cioè, una modalità del nulla. Il fondamento di ogni valore è infatti la libertà, che si sceglie, e sceglie con ciò i propri valori. -Una sola è, per Sartre, la legge morale fondamentale. Essa si esprime nell’imperativo: "scegli te stesso!" Questa legge èin effetti quella che sempre si impone, poiché l’uomo è condannato a essere libero. Ma che cosa, al fondo, l’uomo cerca sempre? Qual è il suo progetto fondamentale, la sua prima scelta? La risposta ci è fornita da quella che Sartre chiama (in polemica con quella, naturalistica, di Freud) la psicoanalisi esistenzialista. Questa non deve mai dimenticare, nelle sue descrizioni e nella sua interpretazione del comportamento umano, la natura essenzialmente libera e progettuale del per-sé, senza cercare le proprie proprie spiegazioni nell’inconscio (che per Sartre non esiste). Ciò che il per-sé vuole nel suo fondo èdi essere. Essendo nulla, esso desidera tuttavia l’essere. Non l’essere in-sé: opaco, vischioso, agglutinante in cui l’uomo si sente gettato e che suscita in lui un sentimento (che assume, come l’angoscia, rilevanza metafisica) di nausea.
Ciò che l’uomo desidererebbe è divenire un essere in-sé che sia a un tempo fondamento di se stesso, ossia un essere in-sé-per-sé. Detto in altri termini, l’uomo aspira a divenire Dio (nel senso spinoziano di causa sui). La passione dell’uomo è in un certo senso speculare a quella di Cristo: l’uomo deve morire, affinché Dio viva. Ma Dio (è la conclusione ribadita dell’esistenzialismo ateo) non esiste: un In-sé-per-sé è un concetto assurdo. Anche la terza ek-stasi fallisce. "L’uomo" - conclude pessimisticamente Sartre - "è una passione inutile".

L’esistenzialismo umanistico

Nel secondo dopoguerra Sartre si sforza di presentare il proprio esistenzialismo come una più positiva dottrina umanistica, che non esclude (nonostante il pessimismo) l’impegno e la partecipazione ai grandi dibattiti etico-politici del tempo. La prima conseguenza di questa svolta è rappresentata dalla pubblicazione, a partire dall’ottobre del 1945, della rivista "Les Temps Modernes". Nel comitato di redazione del periodico, destinato a diventare ben presto una delle più autorevoli voci della cultura europea di sinistra, figurano, inizialmente, personaggi come Raymond Aron, Albert Camus, Maurice Merleau-Ponty, i quali danno un contributo importante all’affermazione del modello di intellettuale impegnato (engagé) che Sartre viene esplicitamente teorizzando nel saggio Che cos’è la letteratura? del 1947. Sartre intraprende in questi anni un serrato confronto con il marxismo il quale, da un lato, viene riconosciuto come "orizzonte insuperabile del nostro tempo" ma, dall ‘altro, è denunciato, nella pratica staliniana e nella teoria del materialismo dialettico, come "scolastica della totalità": un preteso sapere assoluto, astrattamente universale, incapace di rendere ragione del particolare concreto. Nell’intento di rivitalizzare il marxismo, Sartre pubblica, nel 1957, il saggio Questioni di metodo, in cui propone un arricchimento dell’analisi marxista della "struttura" attraverso i possibili contributi offerti dalla psicoanalisi, dalla microsociologia e dalle altre scienze umane. Queste, secondo Sartre, sono capaci di dare il giusto rilievo ai fenomeni "sovrastrutturali", e prospetta una possibile integrazione tra marxismo ed esistenzialismo.
Egli propone un metodo "progressivo-regressivo", per evitare cadute economicistiche.
A differenza di quanto pretende il marxismo ufficiale, infatti, l’individuo non è semplicemente determinato dalla Situazione economica di partenza - alla quale l’analisi scientifica deve "regredire" - ma si progetta liberamente sulle possibilità che la situazione presenta e che occorre mostrare il futuro verso il quale l’individuo "progredisce".

La critica della ragione dialettica

Nel 1960 il saggio Questioni di metodo viene pubblicato come introduzione alla voluminosa Critica della ragione dialettica, nella quale Sartre s’interroga sulle condizioni dell’agire storico, ossia sulla dialettica che opera nella concreta praxis degli uomini. A differenza di quanto sostiene il materialismo dialettico di origine engelsiana, non è possibile affermare una "dialettica della natura". La dialettica è relativa solo ed esclusivamente alla storia e all’uomo che ne è il protagonista: "la dialettica va ricercata nel rapporto degli uomini con la natura, con le "condizioni di partenza" e nelle relazioni degli uomini tra loro". Se, da una parte, è l’uomo e solo l’uomo a fare la storia, da un altro lato è la storia che condiziona l’uomo, limitandone la libertà. L’attenzione di Sartre è volta tanto a ribadire la ineliminabile componente soggettiva della storia - la quale nasce a partire dai progetti attraverso i quali gli individui oltrepassano la realtà presente verso il futuro possibile - quanto a rifiutare il proprio precedente "idealismo", riconoscendo il peso delle condizioni oggettive sulla libertà dell’uomo. In polemica con la concezione marxista ortodossa, tuttavia, la storia non è concepita come una totalità il cui significato sia già predeterminato indipendentemente dalle concrete scelte e attività degli individui. Essa è piuttosto concepita come una "totalizzazione in corso", un processo che si costituisce a partire dalla praxis degli uomini e il cui fine è sempre ancora da decidere. Alla concezione di un movimento storico necessario e predefinito, Sartre sostituisce quella di un complesso intreccio di progetti individuali i quali, se possono restare estranei gli uni agli altri e affondare nella alienante relazione della serie, possono anche fondersi nella creatrice unità del gruppo e dar vita, in tal modo, a un’autentica praxis liberatrice.

La collettività: serie e gruppo

La serie è la forma di collettività in cui l’individuo si ritrova normalmente inserito, quando si limita a stare accanto agli altri e ad agire come gli altri, senza alcun vero legame reciproco. L’esempio sartriano è quello di persone che, chiuse nella loro solitudine, attendono insieme, tutti i giorni alla stessa ora, l’autobus. Ciò che li unisce e ne fa una collettività non èla condivisione di uno scopo, ma un oggetto inerte ed esterno che li unisce in modo casuale: il mezzo pubblico che tutti devono prendere. Ma è da questa pluralità di solitudini che può sorgere, in determinate condizioni, un gruppo, ossia un vero soggetto collettivo in cui tutti sono insieme capi e gregari e che si muove verso un unico fine condiviso. Il gruppo si configura come una forza rivoluzionaria che spezza i meccanismi della ripetizione seriale diventando soggetto storico innovativo. Sartre studia tanto il processo di formazione del gruppo quanto le sue difficoltà a mantenersi e la tendenza a venire risucchiato nella serialità. Se il primo movimento (dalla serie al gruppo) è liberatorio e lo si vede all’opera soprattutto nel corso dei grandi eventi rivoluzionari - in cui uomini fino ad allora anonimi divengono protagonisti e soggetti storici -, il secondo movimento (dal gruppo alla serie) corrisponde all’arrestarsi dell’ondata rivoluzionaria e all’arenarsi della dinamicità del gruppo, come per esempio accade in un’istituzione burocratica e immobile qual è il partito. Il rilievo critico che queste analisi implicitamente contengono nei confronti delle vicende della rivoluzione sovietica e del partito comunista faranno sì che l’opera di Sartre divenga un punto di riferimento essenziale per una rivitalizzazione del marxismo ufficiale attraverso il ricorso alla soggettività.

Soggettività e impegno politico

Nel quadro della riflessione teorica avviata con le Questioni di metodo e con la Critica della ragione dialettica, durante gli anni sessanta e settanta la critica sartriana al marxismo burocratizzato dell’Urss e del Pcf si affianca pertanto a quella rivolta al capitalismo e al colonialismo occidentale.
A livello intellettuale, muovendo dalla teorizzazione del metodo "progressivo-regressivo" proposto nelle Questioni di metodo, l’ultimo ventennio della sua vita è caratterizzato da una rinnovata riflessione sul tema dell’esistenza colta nel processo del suo "farsi". Contro l’antiumanismo, caratteristico dell’impostazione strutturale diffusasi nella cultura francese a partire dagli anni sessanta, Sartre non si stanca di riaffermare il soggetto come vero protagonista della vicenda storica e l’individuo come universale singolare. Quest’ultimo concetto - teorizzato esplicitamente nella relazione di Kerkiegaard presentata all’incontro organizzato dall’Unesco, nell’aprile del 1966, sul filosofo danese - sembra riassumere conclusivamente quella che è stata la più viva e costante preoccupazione filosofica di Sartre. Essa è rappresentata dalla comprensione dell’esistenza individuale colta nel suo irripetibile progettarsi rispetto alle molteplici possibilità offerte dalla situazione storica; l’affermazione della "singolarità irriducibile di ogni uomo alla Storia che, tuttavia, lo condiziona rigorosamente". A "far emergere l’incontro tra lo sviluppo della persona come ce lo chiarisce la psicoanalisi, e lo sviluppo della Storia" è volta anche la grandiosa ricostruzione biografica dedicata a Flaubert nell’opera intitolata L’idiota di famiglia del 1971-72.

L’esistenzialismo di destra

La corrente "di destra" dell’esistenzialismo francese, che ha in René Le Senne (1882-1954) e Louis Lavelle (1883-1951) i suoi due maggiori rappresentanti, si ricollega più direttamente allo spiritualismo e assume un atteggiamento meno polemico nei riguardi della tradizione, in particolare dell’idealismo. Ai toni pessimistici dell’esistenzialismo di sinistra preferisce un’intonazione più ottimistica. Il programma della Philosophie de l ‘Esprit, la collana di testi filosofici che darà voce a questa tendenza spiritualistica, è stato redatto da entrambi gli autori, con l’intento di richiamare l’uomo al senso della sua esistenza e di recuperare, nell’indagine filosofica, il valore dell’impegno e della serietà metafisica di chi, riflettendo su di sé e sul rapporto che lo unisce alla realtà, ricerca anche la propria salvezza. Essi si richiamano, in polemica con l’intellettualismo e il positivismo, all’idealismo di Hamelin e allo spiritualismo di Maine de Biran, ricongiungendosi per loro tramite alla linea principale della filosofia francese di Cartesio e Malebranche. Lavelle è tuttavia più vicino all’idealismo che all’esistenzialismo, mentre forti accenti esistenziali si possono riscontrare in Le Senne. Al centro della sua riflessione (Introduction à la philosophie. 1925; Le devoir, 1930; Obstacle et valeur, 1934) sono i concetti di frattura (félure) e di ostacolo (obstacle). L’essenza dell’io è nella coscienza dell’azione che si esercita contro la resistenza e la limitazione della realtà. La personalità si afferma nel doppio movimento del cogito, che, limitato dall’ostacolo, si eleva verso il valore. L’uomo partecipa di valori trascendenti e assoluti, che sono tuttavia da lui attinti in situazioni concrete e determinate, che gli fanno avvertire la Scissione tra un mondo di valori assoluti e uno di bruta realtà.



I punti chiave

~ Che cosa significa l’affermazione di Sartre per cui "l’esistenza precede l’essenza"?

~ Quali sono le tre ek-stasi in cui, per Sartre, l’uomo cerca di superare la coscienza?

~ Su quali temi Sartre si confronta criticamente con la tradizione marxista?



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