Il Sole 24 Ore
-1 LUGLIO 2001GIORGIO LA MALFA
Senza uscire dal mercato l'uguaglianza è possibile?
Un libro di Alex Callinicos che ha scatenato violente polemiche/Un'accusa di latitanza alla sinistra europea
http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/010701j.htm
Alex Callinicos, "Equality", Polity Press, Cambridge 2000, pagg. 160, £. 11,99. |
Il punto di partenza di un breve saggio di Alex Callinicos apparso in Inghilterra qualche mese fa è l'accusa alla Sinistra europea di avere sostanzialmente rinunziato alla realizzazione dell'obiettivo dell'eguaglianza. L'autore scrive che: "Se la Sinistra non è impegnata a realizzare l'eguaglianza, non si può dire in alcun modo che essa esista". Si tratta essenzialmente del punto di vista esposto qualche anno fa da
Norberto Bobbio nel suo Destra e Sinistra (Donzelli, Roma 1994) secondo il quale la questione dell'eguaglianza è la stella polare della distinzione fra la Destra e la Sinistra. Non è male che in tempi di rivalutazione del mercato come meccanismo unico si parli di questo problema e ci si interroghi sulle vaste aree di povertà che permangono e, secondo alcuni, si ampliano in seno alle società contemporanee.Formalmente le forze politiche che fanno riferimento al socialismo europeo non sembrano avere dimenticato questo problema. In Francia il primo ministro socialista Jospin vi ha fatto cenno dicendo di essere a favore dell'economia di mercato, non della società di mercato. In Inghilterra, Tony Blair ha dichiarato che la lotta di classe è finita, "ma la lotta per la vera eguaglianza è appena iniziata". E tuttavia Callinicos osserva, con buone ragioni, che si tratta più che altro di artifici retorici ai quali non fa seguito nell'azione di governo alcun vero contenuto concreto.
Dopo questa premessa, ci si attenderebbe che il resto del saggio fosse dedicato a illustrare il modo nel quale si possa dare un contenuto concreto a questo obiettivo. In realtà, quasi senza accorgersene, Callinicos descrive le enormi difficoltà concettuali e pratiche del problema per giungere a una duplice sconfortante conclusione e cioè che "la giustizia egualitaria può essere realizzata soltanto contro il sistema capitalistico" e che "un'alternativa al capitalismo non basata sul mercato appare sostanzialmente fuori dai limiti del buon senso contemporaneo" (pag. 132).
In queste condizioni la proposta finale è quella di "far rivivere un'immaginazione utopica per descrivere almeno per linee generali un sistema efficiente e democratico di coordinamento economico non basato sul mercato" (pag. 133). Così stando le cose, si potrebbe mettere da parte il saggio, che ha provocato una sarcastica recensione di
John Gray su uno degli ultimi numeri del "Times Literary Supplement" (There's no justice, Tls 20 aprile 2001) e una risposta furibonda dell'autore (Tls, 27 aprile 2001). E tuttavia, vale la pena di soffermarsi un po' più a fondo sul problema per illustrare la sua rilevanza, ma anche per comprendere meglio la natura della difficoltà di affrontarlo concretamente.In realtà nessuno, se non i liberisti estremi, è disposto ad affermare che il meccanismo di mercato realizzi automaticamente una qualche forma di giustizia distributiva. In questo senso il problema si pone non soltanto alla Sinistra, ma a chiunque sia interessato a un funzionamento accettabile delle società contemporanee. Vi è tuttavia una duplice difficoltà nel passare da questa affermazione negativa a una formulazione positiva. La prima è che la specificazione di cosa si intenda per eguaglianza non è univoca, "Uguaglianza di che cosa?", ha chiesto tempo fa
Amartya Sen. E le risposte possono essere molteplici: il reddito, le utilità marginali, le opportunità, le capacità di benessere: per una utile rassegna si veda il recente L'idea di eguaglianza (Feltrinelli, Milano 2001). La definizione di un obiettivo politico di eguaglianza impone quindi un criterio per scegliere quale fra questi possibili significati del principio debba essere adottato. E questo è un primo problema.La seconda difficoltà è ancora più sostanziale. Essa riguarda il problema del legame fra mercato ed efficienza e cioè la difficoltà dì realizzare un impiego efficiente delle risorse quando non venga riconosciuto il meccanismo distributivo proprio del sistema capitalistico. Su questo punto sono tuttora assolutamente penetranti le osservazioni di
John Maynard Keynes fatte oltre settanta anni fa in alcuni saggi sul sistema capitalismo poi raccolti negli Essays in Persuasion (trad. italiana in La fine del laissez-faire ed altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991). In particolare nel bellissimo Prospettive economiche per i nostri nipoti del 1930, Keynes scriveva che il futuro potrebbe liberare l'umanità dal bisogno dell'accumulazione del capitale e a quel punto la distribuzione del reddito potrebbe non dipendere piu dai principi "dell'avarizia e dell'ingordigia", di per sé "sgradevoli e ingiuste". Ma fino a quel momento - concludeva Keynes - bisogna "fingere con noi stessi che il giusto è sbagliato e lo sbagliato è giusto".Il problema è quindi che, anche immaginando di convenire su un obiettivo di eguaglianza, è difficile trovare il modo di realizzarlo senza far venir meno gli incentivi alla crescita e all'accumulazione del capitale. In fondo la sconfitta delle socialdemocrazie europee da parte delle forze liberali è dovuta alla percezione che l'attività di ridistribuzione del reddito provoca un rallentamento della crescita. Questo non vuol dire che si debba rinunziare a promuovere una maggiore giustizia nel sistema capitalistico, ma che nella ricerca degli strumenti da utilizzare bisogna essere molto attenti. Forse, per usare una formula, bisogna utilizzare le politiche di sviluppo e non le politiche di ridistribuzione, come strumento per ridurre le ineguaglianze che il mercato di per sé tende a provocare.
E qui si pongono i problemi più interessanti. A patto di uscire dalla contrapposizione fra una Sinistra che vorrebbe perseguire l'eguaglianza ma non sa come farlo e una Destra che distoglie gli occhi dalle contraddizioni del capitalismo.