John Maynard Keynes

a cura di Marcello Peracco - Docente di discipline giuridiche ed economiche

La vita e le opere principali

John Maynard (Cambridge, 1883 - Firle Beacon, Sussex, 1946) era figlio di John Neville Keynes, docente di logica e di economia politica presso la prestigiosa Università di Cambridge, uno dei fondatori della British Economic Association e dell'Economic Journal, la più autorevole rivista inglese di economia. Fin da giovane pertanto J.M. Keynes ebbe l'opportunità di frequentare alcuni dei più illustri economisti e matematici inglesi dell'epoca. Laureatosi in matematica a Cambridge nel 1905, lavorò alle dipendenze del ministero per l'India tra il 1906 e il 1908; in quel periodo si perfezionò in economia politica sotto la guida del grande teorico Alfred Marshall, che nel 1908 gli offrì il ruolo di lettore di economia all'università. Nel 1913 pubblicò il suo primo libro, Circolazione monetaria e finanza indiana, nel quale prese in esame il funzionamento del gold exchange standard (il sistema monetario in cui la moneta nazionale può essere convertita in una moneta estera, a sua volta convertibile in oro). Egli fu anche direttore dell'Economic Journal e durante la prima guerra mondiale consulente del Ministero del Tesoro. Terminata la guerra partecipò alla conferenza per la stesura del trattato di pace con la Germania e si battè per cercare di impedire che alla Germania sconfitta fossero imposti debiti eccessivamente onerosi per i danni provocati dalla guerra. Dimessosi dall'incarico a seguito del mancato accoglimento delle sue proposte, nel 1919 illustrò in proposito le proprie analisi nel saggio intitolato Le conseguenze economiche della pace, sostenendo tra l'altro che se la Germania avesse effettivamente pagato le somme imposte, paradossalmente avrebbe potuto addirittura diventare il paese economicamente più forte. Il paese sarebbe stato indotto infatti ad aumentare le proprie esportazioni verso i paesi creditori, rafforzando nel contempo la propria struttura produttiva e con i proventi delle esportazioni avrebbe pagato i debiti di guerra; le economie delle potenze vincitrici viceversa si sarebbero indebolite a seguito di una progressiva riduzione della loro sfera di mercato. Secondo Keynes si sarebbero poi dovute considerare più attentamente le possibili gravi conseguenze delle sanzioni economiche sull'assetto politico della Germania e sulla "tenuta" del regime democratico che si cercava di instaurare in Germania in quel periodo (e fu la storia poi a dargli ragione!).
L'autore si occupò in seguito di teoria delle probabilità, pubblicando nel 1921 il Trattato della probabilità, opera apprezzata anche dal filosofo e matematico Bertrand Russel. Successivamente concentrò i suoi studi sui fenomeni monetari (inflazione, deflazione) e nell'opera intitolata La riforma monetaria (1923), Keynes affrontò le problematiche relative agli effetti prodotti dalle variazioni del livello generale dei prezzi sulle principali attività economiche (in particolare risparmi, investimenti, attività produttive) e sull'occupazione, contrapponendosi alle teorie che consideravano "neutrali" le variazioni del valore della moneta rispetto all'andamento delle grandezze economiche reali. Tuttavia la sua opera più significativa sulla moneta fu il Trattato sulla moneta, pubblicato nel 1930, in cui l'autore approfondì ulteriormente le relazioni intercorrenti tra investimenti, risparmi e fenomeni monetari.
Per certi aspetti "rivoluzionaria" fu l'opera intitolata La fine del laissez - faire (1926) in cui Keynes contestava che le crisi economiche si potessero risolvere semplicemente attraverso i meccanismi della concorrenza, grazie alla "mano invisibile" (famosa espressione di Adam Smith) del mercato. E a seguito della crisi dell'economia inglese verificatasi nella seconda metà degli anni venti, caratterizzata da una crescente disoccupazione, le idee e le proccupazioni di Keynes si rivelarono senz'altro fondate. Ma fu soprattutto la "Grande Crisi" che ebbe origine negli Stati Uniti nel 1929 a provocare una più attenta considerazione delle intuizioni di Keynes anche da parte del mondo accademico. Lo stesso Keynes poi rielaborò le sue teorie nell'opera più famosa, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, ultimata nel 1936, in cui il grande economista affrontò in maniera sistematica tutte le problematiche fondamentali relative al funzionamento del sistema economico capitalistico.
Durante la seconda guerra mondiale inoltre Keynes si battè per la realizzazione di un unico sistema monetario e creditizio a livello internazionale, che avrebbe potuto favorire un aumento del volume degli scambi tra i paesi, prevenendo nel contempo possibili cause di conflitto tra gli Stati. Tuttavia nell'ambito della conferenza di Bretton Wood del 1944, organizzata al fine di riordinare i rapporti economici e finanziari internazionali, le sue proposte ebbero scarso successo e furono accolte solo in minima parte.

  

Sintesi di alcuni degli aspetti più rilevanti (anche ai fini didattici) della teoria economica keynesiana

Secondo Keynes i soli meccanismi del mercato non sono sufficienti per cercare di ottenere in un sistema economico la piena occupazione dei fattori produttivi e in particolare del fattore lavoro. Se non interviene la politica economica a correggere le disfunzioni, spesso nel sistema capitalista si realizza un equilibrio tra la domanda e l'offerta globali caratterizzato da una sottoccupazione dei fattori. All'origine delle crisi spesso è il sottoconsumo: all'aumentare dei redditi infatti nelle economie avanzate i soggetti economici tendono ad aumentare i consumi in misura meno che proporzionale; viceversa i risparmi aumentano in misura maggiore, senza assicurare necessariamente un aumento degli investimenti produttivi nella stessa misura. Il mercato della moneta infatti non garantisce automaticamente l'uguaglianza tra risparmi e investimenti così come era sostenuto invece dalla teoria tradizionale (si ricordi la legge degli sbocchi di J.B. Say). D'altra parte queste due grandezze non dipendono solo dalle variazioni del tasso di interesse: i risparmi dipendono soprattutto dal livello del reddito e tendono ad aumentare in misura più che proporzionale rispetto all'aumento dei redditi; gli investimenti invece dipendono molto dalle aspettative di profitto degli imprenditori: le imprese pertanto, anche in presenza di bassi tassi d'interesse, non sono indotte ad investire se non hanno soddisfacenti aspettative sui rendimenti futuri. Un basso livello di investimenti inoltre può far aumentare la disoccupazione che a sua volta contribuisce a provocare una diminuzione della domanda di beni di consumo. Si genera quindi spesso una carenza di domanda aggregata complessiva (consumi + investimenti) che provoca le crisi, caratterizzate da una sovrapproduzione (in pratica le imprese non riescono più a collocare sul mercato ciò che producono). Per affrontare in maniera adeguata tali situazioni è necessario l'intervento dello stato attraverso adeguate misure di politica economica e in particolare di politica finanziaria anticongiunturale (incremento delle spese pubbliche, da finanziare anche col ricorso all'indebitamento pubblico e diminuzione del carico fiscale, soprattutto per i soggetti meno abbienti che hanno una maggiore propensione marginale al consumo). Secondo Keynes è necessario quindi abbandonare i principi del laissez - faire che caratterizzavano la teoria economica classica.
Le tesi sostenute da Keynes contengono inoltre anche forti implicazioni sul piano sociale in quanto gli interventi pubblici volti a favorire un incremento della domanda dei beni di consumo presuppongono che nei sistemi capitalistici il reddito sia distribuito in maniera più equa tra i vari soggetti economici. Una grande concentrazione di reddito nelle mani di pochi d'altra parte provoca un aumento della propensione al risparmio, che potrebbe non essere utilizzato ai fini produttivi (in sostanza si tradurrebbe in un fattore "non occupato"), con conseguente crisi economica derivante da una domanda globale insufficiente.
Sotto molti aspetti quindi la teoria keynesiana può essere considerata "rivoluzionaria" rispetto alla teoria economica tradizionale (classica e neoclassica).

Da http://www.comune.prato.it/scuole/gramsci-keynes/htm/jmk-1.htm