La Stampa-28 APRILE 2001

LELLO DEMICHELIS

Per il capitalismo senza regole ci vorrebbe un nuovo Keynes

Michel Aglietta, Giorgio Lunghini, "Sul capitalismo contemporaneo", Bollati Boringhieri

Nel Paese delle meraviglie, Alice chiedeva al gatto: Vuoi dirmi, di grazia, quale strada prendere per uscire di qui? E il gatto: Dipende da dove vuoi andare. C'è un paradosso nel capitalismo di questi anni: da una parte un turbocapitalismo veloce, innovativo ma onnivoro; dall'altra, disuguaglianze sempre crescenti. Non solo: quanto più avremmo bisogno di regole e di sicurezza sociale, tanto più ripudiamo lo Stato sociale e tutto riduciamo alle razionalissime leggi del mercato (sorta di nomos pre-dominante), alle quali dovremmo sottometterci senza più volerle migliorare, così rinunciando alla nostra libertà e alla nostra autonomia.
Scriveva Keynes nel 1936: "Suggerire un'azione sociale per il bene pubblico alla City di Londra è come discutere L'origine delle specie di Darwin con un vescovo nel 1865". Se sostituiamo la City con Wall Street (il baricentro finanziario odierno), abbiamo la stessa radicale incomprensione. Il bene pubblico non interessa al capitalismo e neppure più alla politica. Viviamo una nuova fase rivoluzionaria del capitalismo, che distrugge il vecchio creando il nuovo (ma la globalizzazione e la net economy sono davvero nuove?), una forma capitalistica però ancora instabile e incontrollata: servirebbe allora un ordine per questo mercato senza regole - non più quelle vecchie, non ancora quelle nuove.
Michel Aglietta e Giorgio Lunghini si interrogano sulla questione e ne nasce un libro importante, ricco di suggestioni.
Aglietta, docente di Economia a Parigi, è padre della cosiddetta scuola delle regolazioni: il capitalismo è una grande forza di cambiamento, ma non ha in sé alcun principio di regolazione, questo deve venire piuttosto "dalla coerenza delle mediazioni sociali che orientano l'accumulazione del capitale nel senso del progresso". Ieri, erano le regolazioni del fordismo, imposte dalle istituzioni e dalle lotte sociali. Ma oggi?
Il capitalismo - scrive Aglietta mette oggi in concorrenza società intere e il gioco delle mediazioni sociali si rompe a vantaggio di interessi privati e delle imprese. I legami sociali si spezzano, il denaro diviene l'unica forma di riconoscimento sociale, cresce l'insicurezza, la società salariale è in affanno. E' dunque urgente "orientare nuovamente l'accumulazione del capitale verso una ripartizione solidale dei redditi". E immaginare anche un reddito di cittadinanza.
Più critica ma più accattivante l'analisi e la tesi di Giorgio Lunghini, che insegna Economia politica a Pavia - autore, tra gli altri, di L'età dello spreco. Disoccupazione e bisogni sociali. Grande è la ricchezza materiale prodotta dal capitalismo - "sistema che ha la straordinaria capacità di mutare forma per conservare la propria sostanza". Ma grande è anche la contraddizione tra disoccupazione, distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e del reddito da una parte e bisogni sociali insoddisfatti dall'altra. "Una contraddizione che l'ideologia del mercato tende a nascondere e che il mercato non potrà comporre, essendone infatti la causa". il capitalismo è cambiato. Ma se il capitalismo ha questa insolvibile contraddizione, lo Stato sociale è davvero morto?
No certo, e neppure è morta la necessità della politica economica, scrive Lunghini, che propone una nuova lettura di J. M. Keynes, economista troppo esaltato (e tradito) ieri, troppo dimenticato oggi. Lo Stato, diceva Keynes, non deve fare le cose che gli individui fanno già, ma "fare quelle cose che gli individui non fanno del tutto". Salute e ambiente, ad esempio, sono beni pubblici che acquisiranno un valore crescente e questo giustificherà l'intervento dello Stato. Ma il capitalismo è anche incapace "di garantire l'allocazione intertemporale delle risorse, dunque solo lo Stato potrà occuparsi del nostro futuro a lungo termine".
Keynes. Ma non il Keynes della spesa pubblica facile; piuttosto quello dell'ultimo capitolo (filosofico) della Teoria generale, là dove scrive Lunghini - accanto ad una "lucida analisi dei difetti del capitalismo, c'è soprattutto un disegno di politica economica e sociale chiaro e tecnologicamente, robusto". E' lì, secondo Lunghini, che possiamo trovare la risposta. Forse non tanto la domanda di Alice, " da dove si esce da qui, ma a quella, più importante, del gatto: dipende da dove si vuole andare."

Da SWIF - http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna/keynes.htm

Puoi leggere delle Brevi note su Keynes e la sua teoria economica

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