Ipotesi
( da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., pp. 608-609)

Il termine greco ypothesis rimanda al verbo tithemi ("pongo") e alla particella ypo ("sotto").
"Ipotesi" dunque trova la sua trasposizione letterale nella parola "supposizione".
Il significato odierno del termine comprende sia l'idea di "principio", fondamento, punto di partenza di un ragionamento, sia l'idea di congettura.

Il concetto di ipotesi nella scienza antica
Nella concezione antica di scienza è ampiamente ammessa la presenza di ipotesi. Aristotele, anche se a volte adopera il termine ipotesi nel senso generalissimo di premessa di una dimostrazione, lo distingue, nel suo significato specifico, dalle premesse necessarie del ragionamento sillogistico, che chiama assiomi o definizioni.
L'ipotesi è quindi premessa di grado o qualità inferiore, cioè priva della necessità che è propria delle premesse autentiche. In particolare le ipotesi stabiliscono l'esistenza delle cose definite: le definizioni ci fanno comprendere ciò di cui si parla e le ipotesi ne stabiliscono l'esistenza.
Nella scienza antica il ragionamento su basi ipotetiche assunse un particolare significato in astronomia. Qui, sotto la spinta di Aristotele, venne distinta una astronomia fisica, interessata alla verità delle proprie affermazioni di partenza, da una astronomia matematica, che parte da premesse ipotetiche le quali non mirano alla conquista della verità, ma vogliono solo consentire di costruire utili strumenti di calcolo. Questa distinzione tra i due tipi di astronomia assunse un risalto storicamente enorme nel corso della disputa sul sistema copernicano.

Il carattere congetturale delle ipotesi nella scienza moderna
La prefazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico fu scritta da Andrea Osiander e suggeriva di interpretare l'ipotesi eliocentrica appunto come ipotesi puramente calcolistica. Tale interpretazione ebbe un ruolo rilevantissimo nello scontro tra Galileo e la chiesa.
L'accezione di ipotesi come premessa che non si preoccupa della propria verità o falsità fu assunta da Cartesio per dare una veste congetturale alle proprie spiegazioni meccanicistiche, forse per sfuggire ai pericoli dell'Inquisizione: "Affinché ciascuno sia libero di pensarne ciò che a lui piacerà, io desidero che quello che scriverò sia preso solamente per un'ipotesi, la quale è forse molto lontana dalla verità; ma anche se così fosse, io crederei dì aver fatto molto se tutte le cose che ne sono state dedotte fossero completamente conformi all 'esperienza".
Nel Seicento il termine assunse il significato di spiegazione causale: i principi scientifici furono identificati con le ipotesi e ne venne sottolineata la natura congetturale.
Newton reagì contro il metodo delle finzioni ipotetiche cartesiane, bandendo dalla fisica tutte quelle ipotesi per le quali non sia possibile un rapporto probatorio diretto con l'esperienza: "In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Infatti tutto ciò che non si deduce dai fenomeni deve essere chiamato ipotesi; e le ipotesi, sia metafisiche che fisiche, sia di qualità occulte sia meccaniche, non hanno posto nella fi-losofia sperimentale".

Il valore delle ipotesi nella scienza contemporanea
Durante il positivismo fu messo in luce il grande ruolo giocato dalle ipotesi nel metodo di costruzione della scienza. La formulazione di ipotesi fu indagata come uno speciale procedimento per elaborare principi che devono essere verificati sperimentalmente.
In questo caso le ipotesi sono intese come congetture, incerte ma verosimili, attraverso le quali l'immaginazione anticipa la conoscenza e che sono destinate a essere ulteriormente verificate. Secondo Stuart Mill il procedimento scientifico è composto da tre parti: induzione, raziocinazione e verificazione. Il metodo ipotetico "sopprime il primo di questi tre passi, l'induzione, per accertare la legge e si limita alle altre due operazioni, raziocinazione e verificazione: la legge in base alla quale si ragiona è assunta invece di essere provata". Nel positivismo, tuttavia, permane la distinzione tra ipotesi e fatti e la scienza ideale è ancora concepita come un procedimento che, pur impiegando l'ipotesi come strumento euristico, riesce a fare a meno di essa nella sua formulazione finale, allorché enuncia cioè proposizioni dimostrate.

La critica convenzionalista e il neopositivismo
La critica convenzionalista di fine secolo evidenziò il ruolo ineliminabile delle ipotesi non solo nelle procedure di scoperta e nell'organizzazione delle conoscenze, ma anche nella stessa decifrazione delle esperienze: la pretesa del positivismo di poter distinguere tra proposizioni ipotetiche e proposizioni fattuali è illusoria; ogni descrizione di eventi può avvenire solo impiegando ipotesi e non è mai riducibile al "puro fatto'.
Duhem, in particolare, dimostrò l'insostenibìlità dell'idea di poter effettuare degli esperimenti cruciali, in grado di scegliere tra ipotesi concorrenti falsificandone una: quel che l'esperienza può condannare - questa è la tesi fondamentale di Duhem - non è mai la singola ipotesi ma tutto un complesso teorico, o anche un insieme di teorie.
Quest'idea fu poi generalizzata, nel Novecento, da W.O. Quine, il quale sostenne che l'esperienza può falsificare l'intera scienza di un dato momento storico.
Il movimento neopositivista ha tentato, pur tenendo conto della critica convenzionalista, di recuperare l'idea di una base empirica salda e indubitabile per la scienza, ma non ha potuto fare a meno di ammettere che la formulazione d questa base empirica non può avvenir senza l'assunzione di ipotesi, accettate per convenzione.


Link del 1° Nucleo
Link del 2° Nucleo
Link generali
Link interdisciplinari
INDICE GENERALE
HOME