Il "ritorno a Kant", caratteristico della filosofia tedesca di fine Ottocento, si orienta come già sappiamo in tre dire-zioni principali: una tendenza psicologistica (Lange, Helmholtz) interpreta la tematica kantiana dell'a priori in chiave materialistica; una linea neokantiana (scuole di Marburgo e del Baden) si sofferma sulla dimensione epi-stemologica della filosofia trascendentale; infine la scuo-la di Dilthev mira a una riforma radicale della problema-tica dell'a priori che ne consenta l'applicazione anche al-la sfera psichica e storico-sociale.
Pur nella notevole dif-ferenza delle singole impostazioni teoriche, emerge un bisogno comune a tutta la tradizione kantiana, ma parti-colarmente vivo alla fine del XIX secolo: la necessità di sviluppare con maggiore concretezza la nozione dell'a priori, con più visibile e diretta connessione con proble-matiche culturali significative, per portare il metodo tra-scendentale a esaminare non astratte operazioni mentali prese per se stesse (la sintesi, lo schematismo, il giudizio ecc.), ma aspetti probanti della viva pratica scientifica e della reale soggettività umana.
La filosofia di ispirazione kantiano-trascendentale che, tra Ottocento e Novecento, abbia con più tenacia perseguito questi obiettivi, è la fe-nomenologia di Edmund Husserl, che ha rafforzato ed esteso l'ambito di applicazione del metodo trascendenta-le fino a fame la pietra angolare di un ambizioso proget-to di nuova enciclopedia filosofica.
Nel senso husserliano del termine, fenomenologia pura significa dottrina che descrive sistematicamente l'espe-rienza (secondo il senso etimologico), ma non come es-sa si dà alla coscienza immediata, bensì isolandone, me-diante procedimenti teorici specifici (che prendono il nome di epoché fenomenologico-trascendentale e ridu-zione), l'essenza pura, gli elementi a priori.
Nella concezione kantiano-trascendentale, gli elementi puri e a priori che costituiscono l'esperienza sono però tutti di origine soggettiva e hanno un carattere esclusiva-mente formale. La revisione husserliana della filosofia trascendentale è su questo punto molto netta: anche la di-mensione contenutistica del pensiero è articolata in una sua struttura a priori (cosiddetta struttura noematica).
Dal punto di vista metodologico, la fenomenologia ri-prende un ideale "forte" di filosofia come sapere fondativo di tutte le scienze, e ciò proprio in virtù della possibi-lità di accesso, che essa si garantisce con metodi specifi-ci, non a un campo settoriale dell'essere, ma all'essere assolutamente costitutivo del senso della realtà tutta. Questo essere assoluto e originario è per Husserl il sog-getto trascendentale, l'io puro o coscienza pura; non si tratta però di un soggetto disincarnato o di un io metafi-sico, bensì del mio stesso io di fatto, afferrato e compre-so in modo nuovo.
Da questo punto di vista, la fenomenologia si avvicina quindi alle istanze della filosofia empiristica e della "fi-losofia della vita".
Con l'empirismo la fenomenologia condivide la tesi che l'origine del senso che noi scorgia-mo nella realtà è soggettiva e largamente dovuta ad abi-tudini, esperienze, peculiarità culturali che diventano per noi veri e propri a priori di comprensione del nostro mon-do; con la filosofia della vita, e in particolare con Dilthey, il pensiero di Husserl assegna una funzione insostituibile alla comprensione esatta e descrittiva del funzionamento dell'attività psichica quale fondamento dell'interpreta-zione delle forme superiori della ragione.
Il pensiero di Husserl si differenzia però tanto dall'empirismo che dalla psicologia descrittiva diltheyana proprio per la sua op-zione metodologica "trascendentale" e "pura". L'io, il vissuto, le abitudini, le associazioni preconsce ecc. ven-gono infatti affrontate da Husserl cercando di isolarne la componente strutturale, ideale o invariante dopo averle sottoposte aIl'epoché e alla riduzione.
Husserl perviene quindi a concretizzare la nozione kan-tiana del soggetto trascendentale sia superando il rigido dualismo di forma e materia della filosofia critica, sia at-tribuendo il valore e la funzione di forma trascendentale anche ad aspetti abitudinari, associativi e passivi dell'io.
La chiave di volta di questa trasformazione della filoso-fia trascendentale sta poi, oltre che nell'epoché-riduzio-ne, nell'impiego di un elemento teorico estraneo alla tra-dizione kantiana: si tratta dell'intenzionalità del vissuto, caratteristica essenziale a priori di ogni atto di coscienza che consiste nella sua capacità di dirigersi verso un og-getto secondo modalità peculiari (il "tendere" affettivo è diverso da quello razionale) e di correlarsi a oggetti dota-ti a loro volta di caratteristiche specifiche (lo stesso og-getto, nel ricordo e nella percezione diretta, assume dif-ferenti specificazioni).
2 - Le Idee: la fenomenologia come scienza universale
L'esigenza della scientificità rigorosa in filosofia impo-neva a Husserl una determinazione esplicita delle possi-bilità di accesso al campo dell'indagine fenomenologica (i vissuti intenzionali). Mentre nelle Ricerche logiche ta-le possibilità è affidata empiricarnente all' "esercizio" della riflessione condotta senza alcun presupposto, si fa strada il tema dell'epoché quale metodo specifico atto a condurre tale indagine.
Emergono ora anche altre tematiche - quali la distinzio-ne tra elementi a priori ed elementi a posteriori della co-noscenza e la questione della riduzione - che danno un nuovo orientamento alla fenomenologia.
Si tratta comunque di ambiti della riflessione tra loro strettamente intrecciati, volti a chiarificare e articola-re la dimensione intenzionale dei vissuti e della co-scienza.
L'epoché: la sospensione del giudizio sul mondo
Epoché è un vocabolo tratto dalla terminologia dello scetticismo greco e si-gnifica "sospensione del giudizio". L'atteggiamento del fenomenologo con-siste nella radicale "messa tra parentesi" della quotidiana e naturale coscien-za del mondo che si muove nella sfera dell'ovvietà e dell'abitudine (vedi TE-STI, Unità 23 - testo 2).
Nella dimensione dell'abitudine (che Husserl defi-nisce "atteggiamento naturale"), il mondo circostante ci appare come una realtà indipendente, dotata di un senso proprio noto già da sempre e ap-profondibile mediante gli strumenti conoscitivi messi a disposizione dalle scienze naturali e storiche, con i loro metodi altrettanto ovvi e disponibili.
Con l'epoché il mondo viene sospeso nella sua validità, vengono cioè sospe-se le "ovvie" credenze - nel senso humeano del belief - nella sua indipen-denza e oggettività. Del mondo non resta che un residuo, cioè il suo "fenomeno", il manifestarsi alla coscienza; il nostro scopo diventa ora quello di in-terrogarci sulle operazioni mediante le quali la coscienza costituisce questo significato.
La fenomenologia diviene così trascendentale, nel senso che l'apparente contraddizione delle Ricerche logiche - in cui Husserl parlava del significato come polo in sé, oggetto intenzionale trascendente gli atti espres-sivi, ma al contempo insisteva sulla correlazione tra atti e significati, correla-zione che ne presuppone l'omogeneità -, questa apparente contraddizione, si diceva, viene ora risolta affermando che tanto gli atti che i significati, tanto la noesi che il noema, sono a priori.
Elementi a priori ed elementi a posteriori della conoscenza
L'elemento a posteriori della conoscenza, cioè il dato percettivo dell'intuizione sensibile, viene definito da Husserl iletico (dal greco hyle, materia); esso coincide con l'impressione in senso humeano, è cioè dato in modo intujtivo, immediato, ma non intenzionale, in quanto appunto materia recepita passivamente.
Sui dati iletiSui dati iletici opera l'intenzionalità, che li mette in forma come dati naematici (dal greco noema, contenuto di pensiero), accordandoli cioè secondo una certa regola di sintesi che li presenta come manifestazioni di un oggetto trascendente la coscienza. Il carattere a priori del noema consiste quindi nel fatto che esso è il significato oggettivo di una noesi, che manifesta un oggetto trascendente la noesi stessa. Se io compio certi atti percettivi (visivi, tattili ecc.), a questi corrisponde a priori un certo tipo di noema, a seconda del tipo di oggetto cui l'intenzionalità è diretta: il noema "albero" implica una certa sintesi dei dati iletici in base a una determinata forma essenziale.
I tre gradi della riduzione
La coscienza "ingenua", "prefenomenologica", non conosce e non coglie co-me tutti i tipi dì oggetti, da lei posti come separatamente esistenti da se stes-sa, siano invece fenomeni radicati nell'intenzionalità. Riacquisirne la dimen-sione intenzionale è ciò che Husserl definisce riduzione. Ridurre significa de-limitare, restringere; la riduzione è un processo che Husserl articola in tre gradi fondamentali:
a) in primo luogo si ha la riduzione fenomenologica, che mette in evidenza come ogni esperienza si radichi nell'a priori trascendentale della conoscenza, non abbia cioè senso in se stessa ma solo in ragione delle forme noetico-noematiche costitutive della coscienza.
b) In secondo luogo si ha la riduzione eidetica, che si occupa dell'analisi del-le forme essenziali della coscienza, ossia l'intenzionalità e i suoi tipi, l'evi-denza, la riflessione ecc.
c) In ultima istanza Husserl introduce il tema della riduzione trascendentale, che consiste nell'analisi dell'io puro come fonte di tutti i significati intenzionali che vengono a costituire l'orizzonte dell'esperienza della coscienza (il mondo) e nell'interpretazione del processo della genesi delle categorie tra-scendentali mediante le quali l'io Stesso costituisce il mondo (vedi TESTI, Unità 23 - testo 4).
Questo duplice tema non è lontano dalla "storia pragmatica della coscienza" fichtiana o dalla "fenomenologia" in senso hegeliano, in quanto vuole dare conto di come si siano formate tutte le stratificazioni intenzionali - le categorie, le opinioni, i valori culturali di cui è intessuto l'io. Si tratta della que-stione più complessa e forse filosoficamente più affascinante della riflessio-ne di Huxserl: essa assume il nome di "analisi genetica.
Implicazioni reciproche tra diverse forme di intenzionalità
La coscienza "ingenua", "prefenomenologica", non conosce e non coglie co-me tutti i tipi dì oggetti, da lei posti come separatamente esistenti da se stes-sa, siano invece fenomeni radicati nell'intenzionalità. Riacquisirne la dimen-sione intenzionale è ciò che Husserl definisce riduzione. Ridurre significa de-limitare, restringere; la riduzione è un processo che Husserl articola in tre gradi fondamentali:
a) in primo luogo si ha la riduzione fenomenologica, che mette in evidenza come ogni esperienza si radichi nell'a priori trascendentale della conoscenza, non abbia cioè senso in se stessa ma solo in ragione delle forme noetico-noematiche costitutive della coscienza.
b) In secondo luogo si ha la riduzione eidetica, che si occupa dell'analisi del-le forme essenziali della coscienza, ossia l'intenzionalità e i suoi tipi, l'evi-denza, la riflessione ecc.
e) In ultima istanza Husserl introduce il tema della riduzione trascendentale, che consiste nell'analisi dell'io puro come fonte di tutti i significati intenzio-nali che vengono a costituire l'orizzonte dell'esperienza della coscienza (il mondo) e nell'interpretazione del processo della genesi delle categorie tra-scendentali mediante le quali l'io Stesso costituisce il mondo (vedi TESTI, Unità 23 - testo 4).
Questo duplice tema non è lontano dalla "storia pragmatica della coscienza" fichtiana o dalla "fenomenologia" in senso hegeliano, in quanto vuole dare conto di come si siano formate tutte le stratificazioni intenzionali - le cate-gorie, le opinioni, i valori culturali di cui è intessuto l'io. Si tratta della que-stione più complessa e forse filosoficamente più affascinante della riflessio-ne di Huxserl: essa assume il nome di "analisi genetica.
Implicazioni reciproche tra diverse forme di intenzionalità
Rispetto a questo tema si delinea un primo problema: come si trovano già sempre, nella coscienza, certe capacità intenzionali? Cartesio, come è noto, aveva risposto definendo l'io come un insieme di idee, alcune delle quali, per l'appunto, innate. La fenomenologia non accetta però questa soluzione e si propone di tracciare la storia della formazione dell 'intenzionalità all'interno dell'io, e quindi la storia della costituzione dell'io stesso.
Un secondo problema deriva dal fatto che lo studio della coscienza mediante la riflessione intuitiva non ci porta a esaminare soltanto le singole forme del-l'intenzionalità, ma anche le loro implicazioni reciproche.
Proprio questo problema del reciproco implicarsi delle varie forme di inten-zionalità (emozione, ricordo, conoscenza logico-scientifica, volizione ecc.) porta Husserl alla convinzione che una vera e propria teoria della costituzio-ne debba uscire dallo schema fenomenologico primitivo, che si limita a pre-cisare descrittivamente i rapporti tra forme noetiche e forme noematiche. Questa impostazione viene ora definita da Husserl statica, nel senso che ca-ratterizza soltanto i tratti specifici di una certa costituzione di un singolo tipo di oggetto o di esperienza: appunto l'emozione o l'oggetto logico-scientifico ecc. Husserl vuole invece riflettere ora sul fatto che ogni intenzionalità fenomenologicamente rilevabile interagisce con tutte le altre, secondo un indiriz-zo finalistico (teleologico, come dice Husserl), che è volto non tanto alla costituzione di un singolo oggetto quanto del mondo in generale.
In altri termini, lo sviluppo del pensiero di Husserl va da un'applicazione del-la ricerca fenomenologica alla specifica problematica dell'oggetto logico-matematico a una teoria della conoscenza che vede ormai in quest'ultima pe-culiare forma di intenzionalità una tra le svariate direzioni della vita della co-scienza mediante le quali quest'ultima esprime se stessa nel suo mondo. La ricerca si sposta così dall'indagine noetico-noematica della conoscenza, in certo senso affine al neokantismo, al ben più complesso studio del rapporto tra io e mondo, mediato dall'intenzionalità, che corrisponde invece a una ver-sione "idealistica" della fenomenologia, che si riappropria dei temi dello sto-ricismo diltheyano, ma soprattutto dell'eredità spirituale dell'idealismo tede-sco classico.
La fenomenologia è una delle correnti principali della filosofia contemporanea.
Più che come dottrina, essa si è diffusa - ben al di là della forma iniziale datale dal suo fondatore, Edmund Husserl (vedi PROFILO STORICO Ed-mund Husserl) - come metodo, incentrato sulla descri-zione del fenomeno, ossia del dato colto nella sua imme-diata autopresentazione (secondo il motto husserliano: "soviel Schein, soviel Sein", "come appare, così è").
Più che una scuola, essa costituisce un ampio movimento, che ingloba al proprio interno diverse correnti ed espe-rienze, che sono successivamente confluite nell'origina-rio solco husserliano, apportandovi consistenti elementi di novità.
Fin dal suo sorgere, infatti, la fenomenologia è stata animata dalla vivace discussione tra il fondatore e i discepoli, che ne hanno quasi subito messo in discussio-ne i risultati, accettando certe premesse del metodo e ri-fiutandone altre, o riferendosi ad alcuni scritti di Husserl a scapito di altri.
I circoli fenomenologici
I primi sviluppi della fenomenologia si fanno risalire ai circoli di Gottinga e di Monaco, formatisi a partire dal 1902, in seguito al passaggio di Husserl dall'università di Halle a quella di Gottinga.
Verso il 1905 vi confluisce un consistente gruppo di studenti provenienti da Monaco, originariamente raccolti intorno alla figura dello psicolo-go Theodor Lipps. Ne fanno parte Adolf Reinach (1883-1917), Johannes Daubert (1877-1947), Moritz Geiger (1880-1937), Theodor Conrad (1881-1969), Dietrich von Hildebrand (1889-1977), Hedwig Conrad-Martius (1888-1966), cui si uniscono in seguito Alexander Koyré
(1892-1964), Jean Hering (1890-1966), Roman Ingarden (1893-1970). Fritz Kaufmann (1891-1958), Edith Stein (189 1-1942).
Rimane invece a Monaco, animando il cir-colo di quella città, Alexander Pfànder (1870-1941). Ma l'esponente più influente del gruppo di Monaco diverrà ben presto Max Scheler (1874-1928), cui la fenomenolo-gia deve uno sviluppo originale.
La principale caratteristica di questi primi circoli fenomenologici è costituita dal riferimento esclusivo alle Ricerche logiche (1900-01) di Husserl, interpretate come avvio a una indagine "og-gettivistica" delle essenze, condotta secondo le diverse "ontologie regionali" e applicata ai vari campi della logi-ca, psicologia, estetica, sociologia, senza cedimenti alla svolta idealistico-trascendentale, impressa da Husserl al-la propria dottrina con la pubblicazione di Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenologica (1913). Per questo - in seguito - l'ortodossia husserliana si identificherà piuttosto nel gruppo degli assistenti, che Husserl associerà alle proprie isolate ricerche dopo il trasferimento a Friburgo (1916), in particolare Ludwig Landgrebe (1902) ed Eugen Fink (1905-75).
La fenomenologia in Francia
La prima diffusione della fenomenologia in Francia, nel periodo tra le due guerre mondiali, è opera di autori esi-stenzialisti, come Gabriel Marcel (1889-1974) e Jean-Paul Sartre (1905-80), (vedi PROFILO STORICO L'esisten-zialismo). Solo in seguito, in autori come Maurice Mer-leau-Ponty (1908-61), Paul Ricoeur (1913), Emmanuel Lévinas (1905) si avrà un approfondimento più filologico e critico dei metodi e dei problemi della fenomenologia husserliana. Particolarmente significativo è il caso di Sar-tre, nella cui opera, vasta e complessa, è difficile isolare una fase specificamente fenomenologica, ma al quale si deve la principale opera di divulgazione del pensiero di Husserl e di Heidegger in Francia, grazie al capolavoro L'étre et le néant (1943). Fin dal suo primo scritto, La tra-scendenza dell' ego (1937), Sartre afferma la ((vocazione realista" della fenomenologia, sostenendo che l'io, otte-nuto mediante la riduzione fenomenologica, "non è for-malmente, né materialmente, nella coscienza, ma è fuori, nel mondo: è un essere del mondo come l'Ego d'altri". Nei coevi scritti di psicologia fenomenologica: L'imma-ginazione (1936), Abbozzo di una teoria delle emozioni (1939), L'immaginario (1940) egli sviluppa in maniera coerente il programma di una descrizione fenomenologi-ca dell'io, concepito come un oggetto infrapsichico, in cui l'originaria trasparenza e spontaneità della coscienza si dà in forme opacizzate e degradate, aprendo così la via alle indagini fenomenologiche dell'opera maggiore (L'essere e il nulla). Qui la fenomenologia è intesa come un metodo di indagine che consente di affrontare in mo-do nuovo le tradizionali questioni ontologiche dell'essere (l'in sé), della coscienza o del nulla (il per sé), della libertà e del rapporto etico tra gli uomini (il per altro).
La fenomenologia in Italia
La conoscenza della fenomenologia in Italia, in un am-biente filosofico dominato dal neoidealismo di Croce e di Gentile, è legata essenzialmente a correnti, come la filoso-fia neoscolastica, nate in diretta antitesi a quell'indirizzo culturale, o all'opera di pensatori isolati, che fin dagli an-ni venti e trenta del nostro secolo si aprirono alle correnti più innovative della filosofia europea.
Il primo a inserire nel proprio sistema di pensiero, venato di motivi attinti al neokantismo e alla filosofia della vita, la lezione della fenomenologia husserliana è Antonio Banfi (1886-1957), autore dei Principi di una teoria della ragione (1926).
L'interpretazione di Banfi, critica nei confronti dei possi-bili residui di psicologismo presenti in Husserl tende in direzione di una "fenomenologia della cultura", ossia di una sistematica razionale non chiusa, ma aperta ai diffe-renti livelli di articolazione della vita e del sapere.
Questo indirizzo è stato proseguito e ulteriormente sviluppato, nel secondo dopoguerra, da un allievo di Banfi: Enzo Paci (1911-76), i cui lavori (Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, 1961 e Funzione delle scienze e significa-to dell'uomo, 1963) hanno avuto il merito di riportare l'in-teresse sulla fase più matura e decisiva della fenomenolo-gia husserliana.
Tra i neoscolastici, si è particolarmente in-teressata alla fenomenologia Sofia Vanni Rovighi (1908-90), nel volume La filosofia di Husserl (1939).
La fenomenologia negli Stati Uniti d'America
Il principale esponente della fenomenologia in America testimone della diffusione ditale corrente ben al di là dei confini europei, è Marvin Farber (1901-1980).
Egli fonda nel 1939 1 'International Phenomenologicai Society, cui fa seguito la pubblicazione, nel 1940, di una importante rivista, "Philosophy and Phenomenological Research".
A differenza dei fenomenologi tedeschi, come Landgre-be e Fink, che interpretano il pensiero di Husserl in una linea di continuità con la tradizione del trascendentali-smo idealistico, Farber cerca di ricollegarne la problema-tica in un contesto culturale, come quello americano, do-minato dal pragmatismo di Dewey. Egli distingue netta-mente tra due significati della fenomenologia: quello ri-goroso, che la intende in senso metodico e ne accentua il radicalismo empiristico e antimetafisico, e quello ideolo-gico, che la interpreta come un sistema idealistico uni-versale di filosofia. Il suo interesse va esclusivamente al primo di questi due significati, sviluppato principalmen-te nelle opere del primo Husserl, antecedenti alla svolta trascendentale.