Per il pensiero ermeneutico, che si sviluppa in particolare nell'Ottocento con Schleiermacher e alle soglie del Novecento con Dilthey (vedi PROFILO STORICO Neokantismo, storicismo e filosofia della vita), qualsiasi testo, ma in generale qualsiasi espressione di vita oggettivata, non costituisce qualcosa di completamente estraneo all'interprete, in quanto questi è sempre in rapporto con il testo attraverso la tradizione e dispone già di una comprensione preliminare di esso. In Heidegger il problema ermeneutico è allargato alla struttura dell'esistenza, che è sempre un comprendere sebbene in forma per lo più implicita e non tematica. L'intero problema dell'essere tende così a risolversi in una radicalizzazione di questa comprensione pre-ontologica dell'essere.
[...] L'interpretazione, che è promotrice di una nuova comprensione, de-ve aver già compreso l'interpretando. Si tratta di un fatto già notato da tempo, benché solo nell'ambito di forme derivate di comprensione e di interpretazione come l'interpretazione filologica. Questa cade nel domi-nio della conoscenza scientifica. Un tal genere di conoscenza richiede la rigorosa giustificazione dei propri asserti. Il procedimento dimostrativo
scientifico non può incominciare col presupporre ciò che si propone di dimostrare. Ma se l'interpretazione deve sempre muoversi nel compreso e nutrirsi di esso, come potrà condurre a risultati scientifici senza avvolgersi in un circolo, tanto più che la comprensione presupposta è costituita dalle convinzioni ordinarie degli uomini e del mondo in cui vivono? Le regole più elementari della logica ci insegnano che il circolo è circulus vitiosus, Ne deriva l'espulsione a priori dell'interpretazione storio-grafica dal dominio del conoscere rigoroso.(13)
Poiché il costituirsi del cir-colo è un fatto che non può essere eliminato, la storiografia finisce per doversi accontentare di procedimenti conoscitivi meno rigorosi. Si crede di poter in qualche modo ovviare a questa mancanza di rigore facendo appello al "significato spirituale" dei suoi "oggetti". Anche secondo l'opinione dello storiografo, l'ideale sarebbe, certo, che il circolo potesse essere evitato e trovasse fondamento la speranza di poter un giorno costruire una storiografia indipendente dall'autore, come sì presume lo sia la scienza della natura.
Ma se si vede in questo circolo un circolo vizioso e se si mira ad evitarlo o semplicemente lo si "sente" come un'irrimediabile imperfezione, si fraintende la comprensione da capo a fondo. Non è il caso di modellare comprensione e interpretazione su un particolare ideale conoscitivo, che, in ultima analisi, è pur sempre una forma derivata di conoscere, smarri-tasi nel compito in sé legittimo della conoscenza della semplice-presen-za nella sua incomprensibilità essenziale. Il chiarimento delle condizioni fondamentali della possibilità dell'interpretazione richiede, in primo luo-go, che non si disconosca in partenza l'interpretare stesso quanto alle condizioni essenziali della sua possibilità. L'importante non sta nell'u-scir fuori dal circolo, ma nello starvi dentro nella maniera giusta.(33)
Il cir-colo della comprensione non è un semplice cerchio in cui si muova qual-siasi forma di conoscere, ma l'espressione della pre-struttura propria dell'esserci stesso. Il circolo non deve essere degradato a circolo vitiosus e neppure ritenuto un inconveniente ineliminabile. In esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere più originario, possibilità che è af-ferrata in modo genuino solo se l'interpretazione ha compreso che il suo compito primo, durevole ed ultimo è quello di non lasciarsi mai imporre pre-disponibilità, pre-veggenza e pre-cognizione dal caso o dalle opinio-ni comuni, ma di farle emergere dalle cose stesse, garantendosi così la scientificità del proprio tema.(43)
(da M. Heidegger, Essere e tempo, trad it. Di P. Chiodi, UTET, Torino 1978)
Heidegger analizza il problema del circolo ermeneutico" che già in pas-sato era stato evidenziato come struttu-ra tipica dell'interpretazione: nella sua forma più semplice esso significa che le parti di un testo (le parole, le frasi) si comprendono solo alla luce del tutto, ma il tutto a sua volta può essere com-preso solo in base alle parti.
Lo sviluppo dell'approccio ermeneutico nel XIX secolo (rr. 1-13)
Heidegger sottolinea anzitutto come ogni interpretazione sì fondi su una comprensione preliminare del suo og-getto. E una tesi che proviene dall'in-terpretazione filologica dei testi, ma le cui premesse risalgono fino all'esegesi medievale e poi a quella protestante delle Sacre Scritture. Circoscrivendo il problema al pensiero ottocentesco si può affermare che l'ermeneutica (vedi ORIENTAMENTI E TRADIZIONI Ermeneutica) aveva assunto, per Schleiermacher, il significato di interpretazione di ogni testo il cui senso non fosse immediatamente chiaro, in quanto ci sepa-rava da esso una qualche distanza (storica, psicologica, linguistica). Con Schleiermaeher l'ermeneutica esce da un ambito ristretto, tecnico, relativo all'interpretazione di testi religiosi o giu-ridici, per divenire una disciplina filo-sofica i cui confini sono, tendenzial-mente, quelli stessi del linguaggio.
Con Dilthey, poi, il comprendere e l'interpretare sono estesi a ogni pro-cesso della vita psichica e l'ermeneuti-ca, insieme con la psicologia descritti-va, si pone a fondamento delle "scien-ze dello spirito". A questi precedenti rinvia qui, implicitamente, Heidegger. Egli asserisce che l'ideale logico che è alla base della conoscenza scientifica impone di non presupporre ciò che si deve dimostrare ("circolo vizioso"). Per esempio, non posso dimostrare B avvalendomi di A, se A già presuppone B. Senonché l'interpretazione rivela proprio questo: che noi dobbiamo già muoverci in ciò che è compreso e, per di più, quanto è precompreso consiste normalmente in una rete di pregiudi-zi e in convinzioni tramandate. Per riprendere le parole di Hans Georg Gadamer, che in Verità e metodo si riallaccia espressamente a Heidegger, "chi si mette a interpretare un testo, at-tua sempre un progetto. Sulla base del più immediato senso che il testo gli esibisce, egli abbozza preliminarmente un significato del tutto. E anche il sen-so più immediato il testo lo esibisce solo in quanto lo si legge con certe at-tese determinate "
L'inevitabilità del circolo ermeneutico (rr. 14-33)
Ora, mette in luce Heidegger, se si bandisse completamente il problema di questa circolarità dalla conoscenza rigorosa, l'interpretazione storiografi-ca ne verrebbe esclusa. In questa, in-fatti, l'interprete delle manifestazioni di vita passate non è mai estraneo a presupposti che sempre lo guidano (più o meno inconsciamente) nella co-noscenza dei testi e dei prodotti spiri-tuali d'altre epoche. Lo storico non è mai uno spettatore disinteressato, che possa prescindere da questi presuppo-sti, dalle attese e dai pregiudizi (nel senso di giudizi preliminari, sedimen-tati dalla tradizione) di cui è intessuto l'umano vivere e conoscere. Per quan-to egli miri a evitare il "circolo" e a orientarsi sul modello esplicativo della scienza naturale, non può tuttavia pre-scinderne completamente.
Ma il circolo della comprensione non è per Heidegger un "circolo vizioso" da bandire dal campo conoscitivo, né si deve assumere come modello un idea-le conoscitivo che è quello che si rego-la sulla semplice-presenza dell'oggetto e che costituisce una forma derivata della originaria comprensione in cui si attua l'essere-nel-mondo proprio del-l'uomo. Non si tratta pertanto di uscire dal circolo, ma di "starvi dentro nella maniera giusta".
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Il significato della pre-comprensione ermeneutica (rr. 33-43)
Non è facile chiarire che cosa Heideg-ger intenda propriamente con l'espres-sione "stare dentro al circolo nella ma-niera giusta".
Da un lato egli mette in luce il fatto che l'esserci umano ha una struttura di "pre-": l'esserci infatti ha già sempre pre-compreso il mondo co-me totalità di rimandi e di significati, prima di interpretame le articolazioni interne. La sua interpretazione si fonda sempre su un preliminare progetto di senso. Ora, se si pretendesse di pre-scindere semplicemente dai presuppo-sti che sono impliciti in tale progetto (che, come sappiamo, è sempre un pro-getto "gettato", quindi situato in un concreto orizzonte storico di significa-ti veicolati da un certo linguaggio), es-si continuerebbero comunque ad agire e a determinare la nostra conoscenza, nel modo in cui è determinante un pre-giudizio, cioè al di fuori di ogni possi-bilità di controllo. L'importante, quindi, non è abbando-nare il circolo (il che è peraltro impos-sibile), ma non lasciarsi mai imporre i presupposti di cui dicevamo (ricondu-cibili per Heidegger alle strutture della "predisponibilità", della "preveggen-za" e della "precognizione"), dal caso o dalla mentalità del "Si" inautentico (si dice, si opina).
Secondo Heidegger si può accedere a un conoscere origi-nario solo se l'interpretazione fa emer-gere i presupposti di cui si nutre dalle "cose stesse": l'espressione è di ascen-denza fenomenologica, e tuttavia l'intero brano di Heidegger è una sottile polemica con la concezione husserlia-na della fenomenologia come scienza di evidenze intuitive.
Si può chiarire quanto sopra, dicendo che "il com-prendere perviene alla sua possibilità autentica solo se le pre-supposizioni da cui parte non sono arbitrarie" (Gada-mer), vale a dire se l'interprete, nel rapporto con il testo, mette continua-mente alla prova la legittimità dei pre-supposti con cui opera.