Riferimenti storici e geografici
La campagna per l'italianizzazione della Venezia Giulia assunse in breve tempo aspetti paradossali. Imposto ufficialmente l'uso della lingua italiana nelle scuole e negli uffici governativi, l'uso dello slavo diventò rischioso anche nelle conversazioni. Cartelli con la scritta «Qui si parla italiano» apparvero nei negozi e nei locali pubblici e fu persino proibito ai gruppi corali slavi di cantare nelle feste le loro canzoni. Il culmine del paradosso fu raggiunto nel 1927 quando venne imposta anche l'italianizzazione dei nomi dei paesi e dei cognomi di famiglia. L'operazione risultò piuttosto complessa e mise a dura prova i funzionari incaricati di eseguirla. Infatti, se per i centri abitati già si disponeva di una denominazione bilingue (Pola = Pula, Fiume = Rijeka, Parenzo = Porecv, Capodistria = Koper, ecc.), i cognomi slavi dovevano essere tradotti in italiano ora cancellando la classica finale in «ch» o in «c'», ora modificandoli arbitrariamente per renderli più facilmente pronunciabili nella nostra lingua. Ma ecco, per fare un esempio, un brano dell'ordinanza del prefetto di Pola indirizzata agli uffici anagrafici dei comuni e alla direzione delle scuole: «Per togliere gli storpiamenti di cognomi perpetrati dai politicanti slavi negli ultimi decenni, ho disposto che i cognomi degli abitanti di questo Comune vengano scritti come qui sotto elencati». Seguiva un lunghissimo elenco di cognomi slavi liberamente ridotti in italiano: Andretich = Andretti, Burich = Bubbi, Pulich = Pulli, Volcic' = Volci, Vidalich = Vidali e così via. Fra le vittime di questa paradossale epurazione figurano anche molti nomi illustri che poi hanno preferito mantenere la versione italiana, come quello del senatore a vita Leo Valiani che, nel 1927, quando era un giovane studente di Fiume, si chiamava Leo Weiczen. Ma va aggiunto, per correttezza, che molti autorevoli casati poterono conservare senza problemi i loro cognomi originari, come Cosulich, Suvic', Bisiach, Illic', ecc. |
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