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Riferimenti storici e geografici Il processo Gortan da Lavo Cvermelj - Slovenci in Hrvatje pod Italijo, in: Dallo squadrismo fascista alle stragi della Risiera (con il resoconto del processo). Trieste - Istria - Friuli 1919-1945. Ed. Aned, Trieste 1978.
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Il 16 ottobre 1929 s'iniziava il secondo importante processo. In quell'occasione il Tribunale speciale si trasferì da Roma a Pola, poiché nell'atto di accusa era prevista la comminazione di sentenze di morte che avevano lo scopo di terrorizzare la popolazione locale. La causa del processo deve ricercarsi nell'incidente che ebbe luogo in Istria nel corso delle «elezioni plebiscitarie» del 24 marzo 1929 per il rinnovo del parlamento, quando un elettore venne mortalmente ferito da una pallottola di fucile.
I fascisti inscenarono nell'occasione delle elezioni del 1929 un vero e proprio plebiscito che doveva dimostrare al mondo la fedeltà della popolazione al regime. A questo scopo la propaganda e l'agitazione fascista erano specialmente nella Venezia Giulia molto forti. Il sindaco di Pisino Bruno Camus si prodigò in questo senso con speciale fervore. Il 17 marzo radunò presso di sé a Pisino tutti i capivilla ai quali sottolineò con forza che dovevano far venire ai seggi elettorali tutti gli elettori slavi, specialmente quelli di Beram (Vermo) e di Trvizv (Villa Treviso). Ai Croati del comune di Pisino erano rimasti impressi i ricordi delle elezioni precedenti. Nel 1921 si recarono in massa alle urne nella convinzione di poter liberamente esprimere il proprio voto, ma i fascisti li espulsero dalla cittadina con bastoni, sassi e spari cosicché non poterono votare. Un clima ancor peggiore si ebbe nelle elezioni del 1924. In quell'occasione i fascisti attesero gli elettori croati fuori dalla cinta cittadina e impedirono loro l'entrata nell'abitato con la minaccia delle pistole e di una mitragliatrice. Soltanto un piccolo gruppo di elettori di Beram e di Trvizv poté aggirare il cordone di guardia fascista ed avvicinarsi al seggio elettorale. Male gliene incolse. Essi vennero bastonati a sangue ed espulsi prima del voto. A causa di questi precedenti c'era da aspettarsi che gli elettori croati non si sarebbero fatti vedere alle urne. Perciò i fascisti li radunarono con la forza e li incolonnarono verso la cittadina. Le due colonne degli elettori di Beram e di Trvizv s'incamminarono e si incontrarono sotto Beram. Proseguirono assieme verso Pisino. Improvvisamente vennero sparati alcuni colpi di fucile contro di essi. Due elettori vennero feriti. Due giorni dopo uno di essi, Tuhtan, decedette in seguito alle ferite riportate.
Gli elettori si dettero alla fuga ed il previsto plebiscito non venne portato a termine nel circondario di Pisino.
Tuttavia già nella mattinata i fascisti di Pisino e di Pola occuparono Beram. Essi costrinsero il parroco a invitare durante la messa tutti i fedeli a recarsi alle urne. Ma la popolazione non obbedì alle ingiunzioni anche perché i fascisti minacciavano di dare alle fiamme il villaggio. Probabilmente per direttiva dall'alto la minaccia provvisoriamente non venne messa in atto. Cominciò, però l'opera del Tribunale speciale. Gli organi di polizia arrestarono moltissime persone e sei arrestati vennero inviati al carcere «Regina Coeli» di Roma. Dopo diversi mesi di carcere ed inimmaginabili torture gli arrestati confessarono tutto ciò che era stato o non era stato commesso da loro. Cinque dei sei arrestati di «Regina Coeli» comparvero in veste di imputati di fronte al Tribunale speciale. Poiché l'atto di accusa prevedeva l'erogazione di pene capitali, il Tribunale speciale, come s'è detto, si trasferì da Roma a Pola. Il processo si tenne dal 14 al 17 ottobre 1929. In realtà il processo non fu che una commedia inscenata nei minimi particolari. Il tribunale era presieduto dal generale della milizia Cristini.
Quando Cristini, in viaggio per Pola, passò per Trieste disse: «Andiamo a fucilare!».
L'interrogatorio dei testimoni d'accusa ed a discarico (essi ammontavano ad oltre 30) prese solo un'ora di tempo. L'avvocato difensore croato dr. Brajsva, scelto dagli imputati, non poté nemmeno presenziare al dibattito processuale. Tre giorni prima del processo venne fermato dai fascisti e portato alla sede del «fascio», dove venne interrogato in modo che alla fine ricusò la difesa e la lasciò in mano dei difensori nominati «ex offo» dal tribunale stesso. Invano gli imputati durante il processo ritirarono numerose confessioni che erano state loro estorte in carcere con la tortura. Al governo fascista premeva determinare in qualsiasi modo un collegamento degli imputati con la Jugoslavia. Ma l'arma che aveva sparato era di marca italiana. Perciò i giudici gonfiarono a dismisura l'importanza di due biglietti trovati presso il principale imputato, che rappresentavano una lettera di raccomandazione dell'associazione politica «Edinost» di Trieste e di una associazione di beneficienza di Zagabria per un'occupazione.
La sentenza venne emessa il 17 ottobre. Vladimir Gortan che aveva appena compiuto i 25 anni venne condannato a morte, i suoi quattro compagni, come lui giovani contadini di Pisino - Viktor Bacvac, Zvivko Gortan, Dusvan Ladavac e Vjekoslav Ladavac - vennero condannati a 30 anni di carcere. La domanda di grazia non venne nemmeno inoltrata alle autorità superiori dal comandante d'armata di Trieste, poiché la sentenza era stata fissata in precedenza. In base alle disposizioni vigenti Vladimir Gortan venne fucilato il giorno dopo prima del sorger del sole al poligono di tiro nei pressi di Pola. In gran segreto la sua salma venne tumulata al cimitero di Pola. La sua tomba venne scoperta solo nel 1952.
Più tardi si venne a sapere che il fratello di Zvivko Gortan, il dott. Vjekoslav Gortan, abitante a Zagabria, l'ultimo giorno del processo si rivolse al nunzio papale Pelegrinetti di Belgrado perché interferisse presso il papa. Quello spedì all'istante un telegramma in Vaticano e il papa Pio XI interferì immediatamente presso Mussolini. Siccome in quel periodo era stato firmato il Concordato tra il Governo italiano e il Vaticano, Mussolini non volle rifiutare la richiesta del papa; nello stesso tempo però non aveva l'intenzione di desistere dalla decisione di far fucilare almeno uno degli imputati. Perciò spedì un telegramma al Tribunale speciale per la difesa dello Stato a Pola con l'ordine di condannare a morte uno degli imputati.
La proclamazione del verdetto e dell'esecuzione della sentenza di morte nei confronti di Vladimir Gortan venne affissa in tutti i comuni istriani; contro il villaggio di Beram venne nello stesso tempo proclamato il boicotaggio economico e politico. La vittima innocente della campagna elettorale, Tuhtan, venne trasformata in martire fascista, sebbene fosse conosciuto come cosciente croato antifascista. Nel 1932 gli venne dedicato un monumento sul quale erano incise le seguenti parole: «Caduto il 24 marzo 1929 nell'assolvimento del suo dovere di fedele cittadino dell'Italia fascista».
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