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Riferimenti storici e geografici Le caratteristiche dell'occupazione italiana dell'Istria in: Gianni Oliva - La resa dei conti. Mondadori, Milano 1999, pp. 138-140
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L'Istria, occupata dalle truppe italiane nell'autunno 1918, entra ufficialmente a far parte del Regno d'Italia con il decreto di annessione del 19 marzo 1920. Il passaggio dall'Austria all'Italia ha ripercussioni profonde sul piano economico-sociale. Il porto di Trieste non è più lo sbocco al mare di un impero vasto e ricco di opportunità come quello asburgico, Pola non è più lo scalo strategico di una grande potenza militare europea, l'agricoltura istriana soffre subito la concorrenza delle più fertili campagne venete e friulane: "Ad applicare i nuovi ordinamenti arrivano migliaia di funzionari statali, che la gente avverte diversi per cultura e tradizione e chiama i regnicoli. Con i contadini croati e sloveni, che in genere capiscono il dialetto istro-veneto, ma non la lingua italiana, l'incomunicabilità si traduce in forme di ostilità, tanto più che il nuovo Stato si presenta anche con il volto, severo e inflessibile, del fisco". La prima conseguenza dell'annessione all'Italia è un regresso economico, che mette in crisi le piccole e medie proprietà rurali: "Moltissime terre andarono all'incanto e passarono in proprietà di alcuni avventurieri politico-finanziari, calati come corvi da altre regioni, di commercianti, di creditori, ma soprattutto di istituti di credito fondiario".
Quando il fascismo (che tra il 1919 e il 1922 si è caratterizzato nella Venezia Giulia per l'aggressività antislava assumendo i tratti ruvidi del "fascismo di frontiera") giunge al potere, in questa regione plurietnica attua la politica dell'"assimilazione" nei confronti della popolazione slava, definita "allogena": dal decreto regio del 1923 che dispone di italianizzare tutta la toponomastica, alla riforma scolastica di Giovanni Gentile che vieta l'insegnamento in lingua straniera entro i confini del regno, al decreto relativo all'italianizzazione dei cognomi del 1928, alle disposizioni draconiane ai prefetti per la chiusura di circoli culturali e ricreativi croati e sloveni, alle denunce e agli arresti per attività antitaliana, alle condanne inflitte dal Tribunale speciale, tutto il Ventennio fascista è caratterizzato dalla durezza con cui si perseguono gli obiettivi della snazionalizzazione della comunità slava, della negazione della sua identità culturale, dell'oppresssione politica, della persecuzione contro gli elementi ritenuti capaci di fungere da coagulo del sentimento nazionale, in primo luogo maestri e sacerdoti. "L'assimilazione nella comunità italiana, che fin dai tempi dell'Austria era stata intesa in una certa misura tra le popolazioni slave della fascia confinaria come una promozione sociale, cominciò ad essere giudicata come un tradimento, una resa al nemico, e fu debito d'onore non solo resistere passivamente, ma anche reagire alle violenze del confino, dei tribunali speciali, del divieto di usare la propria lingua in pubblico".
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