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Riferimenti storici e geografici La crisi postbellica a cura di Bruno Steffè, in: Dallo squadrismo fascista alle stragi della Risiera (con il resoconto del processo). Trieste - Istria - Friuli 1919-1945. Ed. Aned, Trieste 1978, 3ª ed. Cap. I, pagg. 9-10.
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L'Italia con l'annessione di Trento e Trieste, portò a compimento la sua auspicata unità nazionale. Ma sulla cresta dell'onda esaltatrice della vittoria, non riuscì a comprimere le vocazioni espansionistiche né a impedire la nascita e lo sviluppo del fascismo.
Per Trieste e per la cosiddetta Venezia Giulia, territori già austriaci e incorporati nel Regno d'Italia, il nuovo assetto geopolitico significò tante cose:
-- l'elisione degli interessi economici centro-danubiani gravitanti su Trieste;
-- la confluenza nell'ambito statuale italiano delle minoranze slovena e croata, che si unirono alla minoranza slovena già esistente, nelle valli del Natisone, entro i confini prebellici e accentuarono il carattere plurinazionale delle province orientali;
-- il passaggio dalla burocrazia statale austriaca (forse la migliore d'Europa) snella, precisa, concettualmente al servizio del cittadino, alla pesante amministrazione italiana, largamente intaccata dai costumi borbonici, concettualmente al servizio del feudo e per esso al subentrato apparato statale nazionale;
-- la convergenza del capitalismo locale, in ricerca di un nuovo polo di interessi economici, con il militarismo, ispiratore di una politica espansionistica verso l'Europa danubiana, e con la oligarchia irredentista nazional-liberale, trionfante nella sua linea agitatoria patriottica antiaustriaca, antislava e antisocialista.
Per riportare le nuove provincie così traumatizzate in un alveo di tranquilla ripresa economica e sociale, sarebbe stata neessaria tanta oculatezza amministrativa e tanta collaborazione democratica.
La fiumana dei decreti e di ordinanze del governatore, la istituzione dei tribunali militari ai quali i cittadini venivano deferiti per qualsiasi infrazione, l'odiosa arroganza dei poliziotti e dei carabinieri, dettero l'impronta di occupazione militare alla sospirata «redenzione», fecero arricciare il naso anche a coloro che avevano salutato con gioia l'annessione all'Italia.
Le classi lavoratrici, impoverite dalla crisi postbellica, incomprese dal nuovo apparato burocratico-poliziesco, osteggiate da sempre dai liberal-conservatori, cercarono di difendersi rinserrando le file attorno alle loro organizzazioni operaie e sociali chiedendo, attraverso una serie di dimostrazioni e di scioperi, la realizzazione delle promesse fatte ai combattenti e al popolo durante la guerra e a sostegno di essa.
Gli obiettivi del capitalismo locale, e cioè stroncare su piano interno l'opposizione operaia ai licenziamenti e alla riduzione dei salari, e assicurarsi su piano estero l'influenza economica nell'Europa balcanica dove le società assicuratrici avevano grossi interessi, trovarono concordanza d'intenti con quelli del capitalismo nazionale il quale all'interno voleva assolutamente impedire le leggi di tassazione dei profitti di guerra e la nazionalizzazione del ramo vita assicurativo prospettate dal governo Giolitti, e all'esterno ambiva accappararsi una sua area espansionistica. Da tali affinità derivò un largo e immediato appoggio da parte del capitalismo locale al neo costituito partito fascista, propugnatore di un associamento reazionario fra nazionalisti, militaristi e antisocialisti per abbattere il governo Giolitti, conquistare il potere e attuare uno stato forte, con intenti imperialisti.
Già il 3 aprile 1919, a pochi giorni di distanza dalla fondazione dei fasci in piazza S. Sepolcro a Milano (23 marzo 1919), il fascio veniva costituito a Trieste.
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