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LEONE LEONE NON CI STO
PIU’ CON LA TESTA
racconto di Vittorio
Baccelli - diritti riservati all'autore
Non sappiamo cos’è dio – dio stesso non
sa cos’è perché è nulla – dio letteralmente non
è, poiché trascende l’essere.
(Giovanni Scoto Eurigene)
Le
sta davanti. Il suo cuore è intrappolato
in una ragnatela d’ossessioni e spettri. Viottoli di morti
e lordura infestano i
giardini delle sue malinconie. È secca la sua mente,
ha fame il suo corpo. E dai pensieri trasudano speranze intorpidite.
Le mani strette gli bloccano il sangue. Sta pensando a cosa
ha mai fatto in questi anni. Persone venute nella sua casa,
persone partite dalla
sua casa, sogni andati a male, propositi azzardati,
qualche parola scritta. Il fuoco in lontananza sembra un’illusione.
E bugia è nel fumo nero dei suoi illeciti. Vorrebbe parlare
ma non ne ha la
forza. Il volto di lei è nascosto, ma lui lo conosce bene
e lo riporta al presente. Dalla terra fuoriescono radici rigonfie
che lo trattengono
nei passi aggressivi. E nel labirintico suono del suo
respiro intravede il pericolo. Tutti sembrano ridere ma nessuno si
diverte. Ha dato
fuoco ai suoi scritti per porre fine ad un legame. Ora da
lontano le grida s’affievoliscono, l’abbandono si fa più dolce. Ed è
più facile perdonare
chi con l’inganno mise la parola fine a tanto amore.
E il vento porta lontano ogni pensiero, ogni ambascia: il vento
del deserto che sta
soffiando sempre più forte. La terra riarsa ormai mutata
in sabbia, polvere e ciottoli, s’innalza in piccoli, ma foschi
mulinelli grigi. Ogni
tanto un cespuglio rotolante attraversa il sentiero
che sempre più difficilmente si scorge, mentre il vento
prosegue col suo
monotono, continuo sibilo. Lui lentamente avanza coi suoi
abiti a brandelli, col volto di lei ancora davanti agli occhi,
mentre stancamente si
va domandando: “Perché? Ma cosa è accaduto veramente?
I figli?”. Ma la sua mente non ha risposte coerenti da
offrire e si rifiuta
di funzionare correttamente, e gli invia solo dei lampi
di memoria: due bambini che giocano, un coltello sporco di
sangue, il sangue di
chi? Una ragnatela d’ossessioni e spettri l’intrappola
paralizzando i suoi pensieri: due bambini, una donna, un
coltello sporco di
sangue, un polveroso deserto ove assurdi cespugli sferici
rotolano spinti dal vento che sibila…dal vento che mormora…che
mormora una
filastrocca che si fa più udibile mentre i volti sempre più
si confondono. Leone,
leone, non
ci sto più con
la testa! Riuscirò a rimettere
tutto in ordine, si dice, anzi se lo pone come domanda; è
questa comunque la
speranza che trasuda dai suoi pensieri sempre più
intorpiditi e incoerenti.
Leone leone
Non ci sto più
Con la testa!
È una nenia, una nenia nel
vento e un passo dopo l’altro cerca di
rimettere a fuoco una vita, la
sua vita, pensieri e persone che vengono
e vanno, volti senza più un
nome, tutto è sbiadito come in un monotono
vecchio film in bianco e nero.
Ora i volti sono tutti proprio uguali.
Una casa, ma anche la casa è
anonima, dovrebbe forse dirgli qualcosa?
Le fiamme, un passo stanco
dopo l’altro, le fiamme rivede: ha bruciato
tutti i suoi scritti, il
lavoro d’una intera esistenza. Buttare tutto
nelle fiamme, gli occorse una
intera notte, bruciare i suoi affluenti
fu come bruciare se stesso, ma
aveva perdonato tutti, ora voleva essere
perdonato lui stesso. Ma chi
aveva perdonato? Da cosa doveva essere
perdonato? La donna, il volto
della donna che prima appariva ossessivo
è adesso sbiadito, i bambini,
i due bambini, suoi figli o un’immagine
della pubblicità? Il vento,
il deserto, i cespugli che rotolano: la
notte incombe, lui si ferma e
si siede su una roccia, tenta di
scacciare la filastrocca dalla
sua testa, ma è il deserto col vento che
canta rimbalzando il suo
pensiero ossessivo:
Leone leone
Non ci sto
più
Con la testa!
Il fuoco, gli scritti, ha
bruciato gli scritti e
con loro è scomparsa la sua
vita, come se anch’essa si fosse dissolta
nel camino. Gli unici ricordi
che mantengono un minimo di nitidezza
riguardano le fiamme e il
coltello insanguinato. Anche il volto di lei
sta scomparendo. È calata la
notte, il vento prosegue col suo sibilo
che si trasforma nella
martellante nenia, le stelle appaiono opache, c’è vita attorno a lui nella
notte del deserto.Non ci sta più con la testa, ha ragione il vento. Il
fuoco, gli scritti, ha bruciato gli
scritti e con loro è bruciata
tutta la sua vita.
È ora assorto nel
tentativo di recuperare i suoi
pensieri che tendono a svanire sempre
più velocemente. Il coltello
insanguinato e i cespugli che rotolano
sono le due cose che riesce a
mettere a fuoco prima che il sonno lo
colga.
Nella notte un animale gli si
avvicina furtivo, strisciando,
altri ancor più cauti
lungamente l’annusano, insetti stanno
pazientemente esplorando il
suo corpo.
Da giorni non beve, da giorni
più non si ciba: il mattino
lo vede immobile scompostamente disposto
per terra a faccia in giù.
Dal nulla appaiono due neri uccelli che
stanno volando in cerchio
sopra di lui.
Alcune ore prima dell’alba
ha
avuto un ultimo pensiero
cosciente, ma il ritornello ossessivo l’ha
riportato in un baratro di
follia nel quale sta scivolando o è già
scivolato.
Leone leone
Non ci sto più
Con la testa!
Sembra ormai
morto, coperto dalla polvere
con gli insetti che divenuti più audaci
iniziano ad esplorare le sue
fessure.
Apre prima un occhio con
estrema
sofferenza, poi l’altro.
Mettere un minimo a fuoco la vista risulta
essere un’impresa non di
poco conto. Riesce ad intravedere, poco
distante, una roccia con un
portale intagliato nella pietra, sui lati
due serpi scolpite s’intrecciano
ondulanti fino a congiungere le loro
teste nella parte più alta
dell’arco.
Ora la vista è a fuoco, la
nenia
è lontana, l’antro con il
suo portale scolpito e i due rettili che
sembrano fissarlo l’hanno
come ipnotizzato, lo stanno chiamando e al
contempo gli donano nuove
forze.
A fatica riesce a trascinarsi
nella polvere strisciando con le
mani e coi piedi. Il lento movimento del suo corpo in avvicinamento lascia
un solco nella terra e le pietre aguzzeche feriscono le sue carni
ormai insensibili, lacerano ulteriormente gli ultimi brandelli di stoffa
che ancora ha indosso. Ancora pochi
metri all’imbocco
del portale, ma il tempo che viene impiegato è
lunghissimo e il solco che
lascia è macchiato dagli ultimi liquidi
organici di un fisico ormai
disidratato e da alcuni vermi bianchicci
che sono usciti dal suo corpo.
Ma l’ipnosi indotta dai due
rettili in
pietra lo sospinge in avanti e
ora anche una dolce melodia proveniente
dall’antro lo invita. Sente
che la vita gli sta sfuggendo e con le
ultime forze rimaste con
estrema lentezza si fa sempre più vicino alla
soglia.
Giunge infine all’ingresso,
poi lentamente si sospinge verso l’interno e un nero totale l’avvolge
mentre gli ultimi residui della sua
coscienza svaniscono in
dissolvenze lente e frammentate. Sente forme
sinuose avvolgerlo a
proteggerlo, si sente come ingoiare dall’insieme
di esse e vive non un’abominazione,
ma una rinascita inaspettata e
improvvisa.
Infine sono il silenzio e la
pace ad avvolgerlo mentre il
tempo s’incasina e trascorre
in maniera disuguale e senza un senso
logico. Ritrova infine la
pienezza del sé e scivola negli anfratti
della caverna con movimento
sinusoidale.
Esce poi all’aperto e la
potenza della sua muscolatura
lo riempie di gioia. Alza la testa e si
guarda attorno: vede ogni
piccola cosa fin nei più minuti dettagli, le
sfumature di colore ora sono
infinite. Le sua narici s’allargano e i
sensi affinati distinguono
ogni variazione olfattiva e la trasformano
organizzandola in un set ove
le posizioni degli animali e delle piante
sono note e si sovrappongono
al set visivo. Fa allora sibilare la sua
lingua e le vibrazioni degli
animali, delle piante e anche quelle delle
cose sono ora a lui note.
Sazio della sua potenza s’appoggia alla terra
facendosi riscaldare dal sole.
Solo a tratti la sua lingua bifide
saetta sibilando e con essa
mantiene il controllo della pianura.
I due
serpenti di pietra che
istoriavano l’arco, senza apparente fatica si
districano dal portale e
discendono sul terreno per giungere fino a lui
che possente assorbe i raggi
del sole e si nutre delle vibrazioni della
terra. Si fermano disponendosi
ai suoi lati pronti a proteggerlo da
ogni aggressione: questo è il
loro compito.
Più tardi lui s’avvia con
onde lente e maestose verso un
lontano ruscello e gli altri due più piccoli rettili in pietra, con
rispetto lo seguono.
Nel pianoro
intanto il vento prosegue
imperturbabile con la sua nenia:
Leone leone
Non ci sto più
Con la testa!
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