Parte Prima
VI
Per un solo, terribile momento, Ilaria pensò di
essersi persa. Tuttavia riuscì a farsi largo tra la
folla che diradava fino a che non si ritrovò vicino
alle mura della scuola dei gladiatori. La piazzetta dove
quella mattina aveva acquistato la tunica era quasi
deserta. C’erano rimasti solo un ortolano intento a
smontare il proprio banco, alcuni giovinastri e un uomo
con la testa coperta da un cappuccio nero. Nessun segno
dell’Ispanico.
Ilaria cercò di non sentirsi troppo delusa. Per
tutto il giorno, anche mentre cercava con lo sguardo l’amica,
l’immagine dei tristi occhi azzurri del suo salvatore
l’aveva ossessionata. Che cosa gli era capitato? Le
aveva detto di non essere sempre stato uno schiavo…e
il suo padrone lo chiamava generale…Che significava?
L’uomo col cappuccio rendeva Ilaria nervosa.
Sembrava che la stesse osservando. Ogni volta che si
guardava alle spalle per sbirciarlo, le sembrava un po’
più vicino.
Avrebbe rischiato, restando lì? In verità, non
aveva nulla da nascondere, ma il nervosismo della
popolazione, e il modo in cui essa reagiva alla vista
dei pretoriani, l’avevano contagiata.
Lui non arrivava.
Il sole stava per tramontare e non c’era nessun
segno del combattente. Non c’e l’aveva fatta a
mantenere la parola data. In fin dei conti, era solo un
prigioniero, ma Ilaria non poteva permettersi di
aspettare ancora. Doveva cercarsi un riparo al più
presto. Non era prudente per le donne rimanere da sole
per strada.
Si mosse per andarsene…
“Ilaria?”
L’italiana quasi urlò per la paura, quando
rischiò di sbattere contro l’uomo incappucciato.
Adesso che era abbastanza vicino, poteva notare che le
voluminose pieghe ombreggiavano la faccia di un giovane
con occhi e capelli scuri. Era molto pallido e le sue
guance smunte erano segnate da profonde cicatrici.
“Ilaria?” disse ancora.
Lei deglutì. ”Sì? Chi sei?”
“Un amico.” Rispose lui velocemente, prendendola
per il gomito. “Il generale mi ha mandato da te”
“Il generale?”
“L’uomo che tu conosci come l’ Ispanico…
Maximus.”
Maximus. Dunque aveva un nome. Un nome forte. Gli si
adattava.
“Ti spiegherò dopo. Adesso dobbiamo andare.”
“Certo, naturalmente.”
Tenendosi la mano, Ilaria e il giovane iniziarono un
altro viaggio lungo le strade che si diramavano dal
Foro.
Dopo un po’ di tempo, giunsero in fine ad insula
buia e dall’aspetto non molto solido. Le gambe di
Ilaria stavano vivacemente protestando. Si sentiva come
se avesse percorso miglia e miglia. Le cinghie di cuoio
dei sandali le avevano scavato solchi profondi nella
pelle sensibile dei piedi e lo stomaco le brontolava per
la fame. Sperò che l’amico di Maximus avesse del cibo
da darle.
Stancamente, si arrampicarono su per le scale, fino a
raggiungere una piccola soffitta, molto in alto.
“Non molto, ho paura.” Si scusò l’uomo,
indicandole la stanza con un gesto della mano.
Lei annuì a malapena, sorridendo con gratitudine
quando lui la invitò a sedersi su un giaciglio steso
sul pavimento e le offrì un pezzo di pane e una ciotola
di lenticchie fredde.
“Adesso… suppongo che ti starai chiedendo chi
sono… Mi chiamo Cicero. Sono il servitore leale del
generale Maximus Decimus Meridius… Il vero sovrano di
Roma.”
*
La cena si stava svolgendo tranquillamente, nella
villa di Quintus. Troppo tranquillamente, secondo l’opinione
di Stephanie. Il suo anfitrione se ne stava quieto e
silenzioso e gli occhi avevano uno sguardo distante.
“Forse è preoccupato a causa del suo lavoro,”
Pensò lei, continuando a mangiare. Ma smise dopo soli
cinque minuti. L’aria strana che tirava, la stava
rendendo nervosa e non avrebbe potuto sopportare ancora
a lungo quel pesante silenzio.
“Che cosa c’è che non va, Quintus?” Domandò.
Egli sembrò risvegliarsi bruscamente da un sogno e
rispose, “E’ tutto a posto, mia signora.”
“Se è così, perché sei tanto silenzioso?”
Quintus la guardò con i suoi occhi acuti, leccandosi
le labbra, e Stephanie capì che non era preoccupato, ma
nervoso.
Il Prefetto guardò piegare la testa di lato e
osservarlo attentamente. Sospirando, egli decise che era
giunto il momento di farle la sua proposta.
“Vorrei chiederti qualcosa…”
“Sì?”
“Ti piace Roma?”
Lei annuì con entusiasmo “Certo!”
“Così tanto da volerci vivere?”
La ragazza si ritrovò spiazzata dalla domanda. “Non
ti capisco…”
Quintus si alzò e le andò vicino. “Mia signora…
Stephanie… Io non conosco le usanze della tua gente in
Britannia e so che tutto questo potrebbe sembrarti
frettoloso e inopportuno ma… Ti amo e vorrei chiederti
se potrei avere l’onore di diventare tuo marito.”
Gli occhi di Stephanie si spalancarono per la
sorpresa. Aveva capito bene? Davvero Quintus le aveva
chiesto di sposarlo? Fu tutto così improvviso ed
inaspettato che lei rimase a fissarlo senza proferire
parola. Non che l’idea le dispiacesse, anzi, il cuore
le galoppava nel petto per l’eccitazione, ma proprio
non avrebbe saputo come comportarsi. Lui scambiò il suo
silenzio per un rifiuto. L’espressione divenne gelida
ed egli s’irrigidì. “Mi dispiace di averti offeso,
signora. Non lo farò più.” Si stava per allontanare
quando sentì una mano sul braccio. “Fermati, Quintus.”
Si voltò nuovamente, fissando Stephanie e restando in
attesa che parlasse.
“Non mi hai offesa. Solo sorpresa. Non mi aspettavo
niente del genere.”
Quintus annuì, incoraggiandola ad andare avanti.
Stephanie si guardò un attimo le mani prima di
aggiungere. “Sono onorata dalla tua proposta, ma è
troppo presto. Ci siamo appena conosciuti e tu non sai
niente di me.”
“Io so quanto è necessario: che sei bella,
intelligente e piena di spirito.”
Stephanie lo guardò un momento. “E’ tutto qui
quanto è necessario tu sappia, Quintus? E se fossi una
campagnola… una sguattera… una schiava?”
Il pretoriano aggrottò la fronte. “E’
impossibile,” disse con convinzione, ma poi sembrò
attendere una conferma da lei. “… vero?”
La ragazza si prese una lunga pausa. “No, non sono
una schiava. Sono… qualcosa d’altro…” Poteva
fidarsi di lui? Lo sperava così tanto. Aveva trascorso
solo un giorno nel suo meraviglioso e fantastico mondo,
ma già sapeva che ne avrebbe voluto fare parte. Sempre.
Tuttavia, la donna moderna e pratica che era dentro di
lei, quella che si domandava se lei avrebbe potuto
accontentarsi d’essere solo una moglie coccolata,
rifiutò di ammetterlo. “Non posso sposarti, Quintus…
Non ancora.”
Nello sguardo di lui brillò di nuovo un barlume di
speranza.
“Per prima cosa, devi conoscere il mio segreto. Io…”
La baciò all’improvviso e lei dimenticò
completamente ciò che avrebbe voluto dirgli… ciò che
avrebbe dovuto dirgli.
*
Ilaria divise il pasto con Cicero in perfetto
silenzio. Avrebbe voluto chiedergli tante cose, ma il
suo stomaco brontolava per la fame. Il cibo era rustico
ma passabile e lei lo divorò con voracità. Finalmente,
quando le ciotole furono svuotate e le loro pance piene,
la ragazza guardò chi la ospitava con aria
interrogativa.
“E allora, questo… Maximus, chi è e perché
vuole aiutarmi?”
Il giovane sorrise tristemente. “E’ stato il più
grande generale che Roma abbia mai avuto… E in quanto
ad aiutarti… lui è semplicemente un brav’uomo. Non
può fare a meno di compiere buone azioni. Mi ha
incaricato di riportarti a Genua da tuo padre e di
rintracciare la tua amica.”
Ilaria annuì, felice di sapere che sarebbe stata
aiutata, ma ansiosa di apprendere di più. “Un
generale? Ma se è uno schiavo.”
“Adesso è uno schiavo. Nel corpo, per lo meno…
ma Commodo non potrà mai piegare il suo spirito.”
Commodo. L’Imperatore. “Mi ha detto che Cesare lo
odia.”
“Ti garantisco che il sentimento è reciproco.”
Ilaria ascoltò, stentando quasi a credere a ciò il
leale servitore le raccontò in merito agli ultimi
giorni passati vicino al padrone: come Maximus avesse
definitivamente sconfitto i Germani in un’ultima,
epica battaglia, e come Marco Aurelio gli avesse offerto
la successione al trono. Udì come il generale avesse
confidato la notizia solo al suo servo e si fosse quindi
ritirato a riposarsi e a meditare, per decidere sul da
farsi.
“Ma non ne ebbe il tempo,” Cicero mormorò
amaramente. “L’imperatore, quello vero, Marco
Aurelio, morì durante la notte, forse assassinato dal
suo stesso figlio, e Maximus fu buttato giù dal letto
dal suo migliore amico e trascinato in mezzo ai boschi
per essere giustiziato, prima che i suoi uomini si
svegliassero e potessero aiutarlo.”
Si trattava di fatti che le cronache ufficiali non
menzionavano, per non offuscare l’immagine dell’imperatore,
ed Ilaria si sentì invadere dall’orrore per quel che
aveva appena sentito.
Cicero concluse la propria storia, dicendole di come
lui stesso avesse creduto il padrone morto, finché non
si era recato a Roma per assistere ai Giochi.
“Non mi meraviglio che sia così triste.”
Sussurrò Ilaria quando il racconto ebbe termine.
“Non desidera altro che morire per ricongiungersi a
sua moglie e a suo figlio…Ma il suo spirito è troppo
forte per arrendersi senza lottare.”
“Sua moglie e suo figlio?”
Ilaria sentì che le lacrime le spuntavano dagli
angoli degli occhi quando udì il resto di quella
terribile storia. Di come gli amati familiari del
generale fossero stati bruciati e crocifissi. Non poteva
credere che si potessero infliggere a qualcuno dei
supplizi tanto barbari e crudeli, a maggior ragione a
delle persone innocenti.
“Tu le somigli. Quando era più giovane, ben
inteso,” disse Cicero, “Mi chiedo se non sia questa
la ragione che lo ha spinto ad aiutarti…”
Ilaria sentì il cuore spezzarsi al pensiero di quell’uomo
dolce e gentile dai malinconici occhi azzurri che aveva
fatto tanto per lei. “Commodo è un mostro!”
Il servo annuì chinando il capo, sebbene
disapprovasse il fatto che lei avesse detto ciò che
pensava a voce alta.
“Non si fermerà, finché Maximus non sarà morto.
Odia il generale perché Marco Aurelio lo aveva
designato come suo unico figlio ed erede.”
“Dobbiamo aiutarlo.”
Cicero annuì. “Certamente…Ma come?”
*
Quintus e Stephanie si baciarono a lungo,
abbandonandosi al fuoco che aveva cominciato a bruciare
nel momento stesso in cui si erano guardati negli occhi
per la prima volta, fino a che la mente pratica della
ragazza non richiese una pausa. Per quanto le piacesse
quello che stavano facendo, la sua identità e vera
provenienza erano particolari troppo importanti per
essere semplicemente ignorati. L’idea di restare a
Roma con Quintus era eccitante, ma che ne sarebbe stato
della sua vita in America? Inoltre…Come metterla con
la vita quotidiana nell’Urbe? Lei era un’autentica
figlia del Ventesimo Secolo, era stata abituata a
gestirsi autonomamente e a servirsi di una lunga lista d’aggeggi
che all’epoca di Quintus non esistevano. Certo, le
cose non fanno la felicità, ma sono anch’esse parte
della tua vita. Lo allontanò con gentilezza.
“Basta, smettila per favore.”
Lui si fermò e vedendo l’espressione seria di lei,
pensò di aver oltrepassato i limiti della creanza. “Stephanie…Mi
dispiace…Non avrei dovuto…”
Lei lo fece tacere posandogli due dita sulle labbra..”Sh…Non
sono in collera con te. Ma quello che ho detto poco fa
è vero. Non posso sposarti adesso. Ci sono molte cose,
sul mio conto, che è necessario tu sappia e…”
Quintus annuì, capendo infine che anche lei era
interessata a lui. Facendo appello ad una vena d’ottimismo
che non credeva di possedere ancora, giunse alla
conclusione che lei volesse solo ponderare meglio la
propria decisione. Pensò anche che, così facendo, la
donna dimostrasse molto buon senso e intelligenza,
considerando anche il lato pratico della faccenda, non
solo quello romantico, come invece aveva fatto Quintus.
Restarono per un po’ in silenzio, finché lui
disse, “Penso sia giunto il momento di ritirarci.
Domani sarà una giornata molto intensa. In mattinata
dovrò ispezionare le caserme molto presto per dare gli
ordini ai miei uomini e mandarli a cercare la tua amica.
Dopodiché tornerò qui e ti accompagnerò ai Giochi…Oh,
sì, a proposito della tua amica, ho visto quanto sei
brava a disegnare…,” sorrise e Stephanie arrossì,
comprendendo che lui alludeva al ritratto che gli aveva
fatto mentre attendeva il suo ritorno, “Perché non
provi a ritrarre la faccia della tua amica, così potrò
mostrarla ai miei uomini?”
Stephanie annuì. Parlare d’Ilaria fu per lei una
specie di doccia fredda. Tutte le cose piacevoli
riguardanti Quintus, il suo possibile matrimonio e la
vita a Roma furono cancellate dalla preoccupazione circa
il ritrovamento dell’amica.
Doveva trovarla.
VII
Ilaria provò a dormire, quella notte. Era molto
stanca, ma non riusciva a scacciare il brutto
presentimento che stesse per accadere qualcosa di
terribile all’Ispanico…A Maximus. E si sentiva in
dovere di fare qualcosa per aiutarlo. Da principio, non
aveva idea di cosa fare…come avrebbe potuto una
straniera, una forestiera, una donna, considerata almeno
in quell’epoca un essere inferiore, fare qualcosa per
mettere al sicuro un uomo così importante? Finalmente,
verso mezzanotte, le venne in mente un’idea.
Avrebbe dovuto ritrovare il tunnel.
Sapeva che Maximus avrebbe dovuto partecipare ai
giochi l’indomani, glielo aveva confermato anche
Cicero. Doveva affrontare un altro combattimento, e ciò
avrebbe potuto causare delle difficoltà, ma se fosse
riuscita a muoversi per tempo…. “Sempre che,
naturalmente, che io riesca a ritrovare il tunnel, e che
esso funzioni ancora,” pensò Ilaria malinconicamente.
La mattina dopo, disse a Cicero che aveva intenzione
di aiutare il Generale.
“Ma, e la tua amica…” cominciò lui, scettico.
Aveva ricevuto due ordini tassativi: trovare l’amica
perduta d’Ilaria e riportare a casa entrambe le
ragazze. Egli era certo che il Generale volesse che le
fosse evitato il barbaro spettacolo dei giochi. Lei non
sembrava certo il tipo di ragazza che avrebbe trovato
piacevole guardare certe cose.
Ilaria deglutì e provò a far valere le proprie
ragioni. “Potrebbe essere là,” Insistette ”E’
lì dove ci siamo perse di vista. A conti fatti, è
proprio il posto da dove dovremmo incominciare le
ricerche.” La ragazza cercò di non tradire la propria
mancanza di convinzione. Erano passate trentasei ore dal
momento in cui lo scherano di Proximo l’aveva
acchiappata. Quindi, trentasei ore dal momento in cui
lei e l’altra ragazza si erano divise. Se fosse
capitato qualcosa di terribile alla sua amica…Ilaria
cercò di non pensarci.
“Per favore, lui è stato così gentile con me…Devo
provarci.”
L’uomo la guardò indeciso, ma infine acconsentì.
Lei aveva ragione. Era il primo posto dove andare a
cercare.
*
Giunsero al Colosseo di prima mattina. Un gruppo
sparuto di spettatori che intendevano occupare i posti
migliori, stava entrando nell’anfiteatro, ma Ilaria
non si mischiò a loro. Si avvicinò invece ai cancelli
presso i quali aveva incontrato Cicero, accanto all’area
dove i gladiatori mangiavano e si allenavano.
Solo un centinaio di passi più in là, Maximus
consumava senza appetito la sua ciotola di zuppa. Non
riusciva concentrarsi sul cibo…Solo sull’imminente
combattimento. E su Ilaria. Cicero era riuscito a
trovarla? Se erano stati in grado di rintracciare l’amica
della ragazza, avrebbero potuto iniziare il loro viaggio
quello stesso giorno. Sorrise al pensiero. In qualche
modo, l’avere aiutato la giovane donna, l’aveva
fatto sentire meno disperato. Somigliava così tanto a
Selene…non tanto nell’aspetto (avevano lo stesso
colorito, ma non la stessa taglia e statura) ma nel
carattere. C’era qualcosa di familiare nella sua
intelligenza, nella sua risolutezza…e in altro ancora.
Il sorriso gli morì sulle labbra: si sentiva in colpa
nell’ammetterlo, ma aveva provato attrazione per la
ragazza. Lei non si era comportata come le altre nei
suoi riguardi. Non lo aveva visto come un eroe di guerra
o, in tempi più recenti, come un eroe dell’arena, ma
solo come un uomo. Desiderò, benché sapesse che era
impossibile, parlare ancora con lei. Tuttavia, in
qualche modo, il saperla al sicuro e sulla via di casa e
la consapevolezza d’averla aiutata a dispetto delle
sue catene, lo fecero sentire meglio, lo fecero tornare
un poco l’uomo che era stato in passato.
“I tuoi ammiratori si svegliano presto,” Maximus
fu scosso dalle sue fantasticherie dalla voce profonda
ed ironica del compagno Haken. Sollevò lo sguardo e
scrutò attraverso le sbarre, sbirciando lo spiazzo
aldilà delle sbarre di ferro dove spesso i romani si
fermavano ad ammirare i loro campioni. Il posto era
deserto, eccezion fatta per solo due piccole figure.
Guardò meglio. Cicero?
E Ilaria!
*
Stephanie si fermò ai piedi del Colosseo e alzò la
testa per ammirarne la facciata. In passato, aveva letto
molte cose a proposito dell’enorme arena, e spesso si
era chiesta se fosse davvero così grande come dicevano.
La sua curiosità adesso era stata soddisfatta. Si
trovava nel cuore di Roma, in compagnia di cinque
schiave di Quintus e di due dei suoi uomini. Tra l’attendere
il suo ritorno nella villa e recarsi ad aspettarlo nel
foro, aveva scelto la seconda ipotesi, così da poter
visitare un po’ la città. Il Prefetto aveva
approvato, pensando che fosse una buona idea. Tra le
altre cose, avrebbe potuto aiutare Stephanie a scegliere
di trascorrere a Roma il resto dei suoi giorni.
Le strade prospicienti la grande arena erano
affollate di gente che voleva assistere agli spettacoli.
Stephanie rabbrividì, malgrado il caldo. Fino a quella
mattina, non aveva ben capito in che cosa consistessero
i giochi di cui Quintus aveva parlato. Aveva immaginato
si sarebbe trattato di corse o altre gare sportive, fino
a che il pretoriano non le aveva detto di attenderlo
vicino all’Anfiteatro Flavio: in un lampo lei aveva
ricordato l’utilizzo, in tempi antichi, di quel
sontuoso edificio e la gola le si era chiusa…Non
riusciva a capire che cosa potesse esserci di divertente
a guardare uomini che ammazzavano altri uomini e sperò
di riuscire a resistere allo spettacolo senza svenire o
vomitare. Era inoltre molto nervosa, perché si sarebbe
seduta nel palco imperiale, proprio vicino al famigerato
imperatore Commodo. Persa nei suoi pensieri, non vide
Quintus avanzare verso di lei, finché non se lo trovò
di fronte.
“Mia signora Stephanie, sei pronta ad assistere ai
giochi?” le chiese.
“Sì, Quintus, sono pronta.”
Le offrì il braccio, al quale lei si appoggiò, e
insieme si incamminarono verso il Colosseo.
*
“Che ci fai tu qui?”La voce di Maximus era
adirata, ma lo sguardo dolce, come se fosse stato
davvero felice della sua azione. Non si era di certo
aspettato di rivederla ancora, per quanto ciò gli
avrebbe fatto piacere.
“Cicero?”
L’uomo più giovane si contemplò i piedi, non
volendo incrociare lo sguardo dell’Ispanico.
“Per favore, non prendertela con lui. Sono io che l’ho
convinto a portarmi qui.”
“E a quale scopo? Per vedermi morire? Dovrò
combattere a breve……”
“Per salvarti, Maximus. Tu c’è ragione perché
tu debba morire.”
Ecco. Cicero le aveva rivelato il suo nome, o forse
lo aveva sentito sussurrare per strada. Ma conosceva il
resto della storia? Tra le ombre del primo mattino, l’ovale
sbarazzino del volto di lei gli ricordava in maniera
straziante Selene.
“Salvarmi?” Provò a nascondere l’amarezza
mascherandola con il tono deciso della voce, “E come
ti proponi di farlo?”
Ilaria trattenne il respiro. Era il momento della
verità…Non era sicura che lui avrebbe creduto in quel
che stava per dirgli, ma bisognava provarci… “Quando
ti condurranno nell’arena…tu percorrerai il
corridoio dove cui ci siamo incontrati la prima volta?
“
“L’angolino da cui sei spuntata fuori?”
“Sì.”
“Forse.”
“Devono…Maximus, io non ti ho detto tutta la
verità sul mio conto. Quando ti ho detto che venivo da
Genua era vero, ma non dalla Genua che conosci tu…Io
ero…Io vengo da…” Inghiottì, “Dal futuro, 2000
anni circa. Credo tu possa venire via con me, Maximus…E
penso che potrei salvarti la vita…”
Silenzio.
Maximus strinse gli occhi, come se la stesse
scrutando. Di colpo, diresse lo sguardo su Cicero e
ingiunse, “Ti avevo detto di riportarla a casa sua.
Non si sente bene.”
“Maximus!” La voce di Ilaria espresse un senso di
disperazione, “Posso provartelo. Posso mostrartelo…”
Tuttavia, mentre pronunciava queste parole, la sua mente
correva altrove; come avrebbe fatto a provarglielo?
Aveva gia determinato che la Storia che le era stata
insegnata a scuola era diversa da ciò che era realmente
accaduto, o stava accadendo in quel momento.
“Generale!” La voce tonante del lanista lo
chiamò attraverso il recinto e Maximus sobbalzò. “Ho
un combattimento,” disse, cupo. Provò a scacciare il
pensiero della ragazza bruna, bella anche se un po’
spostata, e a concentrarsi su quel che sarebbe accaduto
di lì a poco.
“Per favore…” lei implorò piano, mentre le
lacrime le bagnavano le guance. “Non devi morire.”
“Forse devo morire.”
“Non così.”
Un altro istante di silenzio.
“Generale!” La voce di Proximo si era fatta più
insistente, ma lo schiavo non scattò al comando.
Continuava a guardare la ragazza. Che male poteva
venirgli, dall’ascoltare le sue fantasticherie? Se non
altro, avrebbe potuto darle conforto. “Torna stanotte,”
mormorò.
Lei annuì, sollevata. Poteva essere sufficiente. “Buona
fortuna,” gli sussurrò, mentre lui si allontanava.
Ne avrebbe avuto bisogno.
VIII
Ilaria seguì Cicero all’interno
del Colosseo, preoccupata per il combattimento che
presto sarebbe iniziato ma, allo stesso tempo,
sentendosi per la prima volta nel corso della giornata,
speranzosa che le sue vicissitudini, così come quelle
del Generale, avessero presto termine.
Seduti sulla gradinata di marmo,
Ilaria fece del suo meglio per ignorare il sanguinario
spettacolo che si svolgeva nell’anello di sabbia,
focalizzando tutta la sua attenzione su come fare a
convincere l’Ispanico che non era una pazza, in modo
da poter veramente tornare al futuro e salvargli così
la vita.
Catalogò mentalmente il contenuto
della propria borsa, cercando soprattutto qualche
oggetto che non appartenesse ai tempi antichi, per
dimostrare a Maximus la sua provenienza dal futuro. Un
pettine non era che un pettine. La macchina fotografica,
senza la possibilità di sviluppare le foto, era solo un
inutile cubo di metallo. Le cartoline…Ecco! Le
cartoline! Si era dimenticata di loro, senza immaginare
che quei sciocchi souvenir, comprati per liberarsi le
tasche dalle monetine, avrebbero potuto tornarle utili.
Tremando d’eccitazione, aprì la borsa e le prese.
Attenta che la folla non notasse quel che stava facendo,
si appoggiò i variopinti pezzi di cartone in grembo.
Erano sei. La fontana di Trevi e la scalinata di piazza
di Spagna poteva anche metterle da parte, ma…Il
Colosseo! C’erano due visioni: una panoramica aerea
dell’edificio in rovina e uno scorcio che mostrava le
arcate mezze distrutte della superba arena. Rabbrividì,
individuando la linea di demarcazione del passaggio che
aveva superato proprio quella mattina.
“Maximus…” Il richiamo sussurrato di Cicero la
riportò bruscamente al presente. Rapida, Ilaria rimise
le cartoline nella borsa.
“Cosa?”
Lui indicò il centro dell’arena con un cenno della
testa e la ragazza italiana sentì lo stomaco chiudersi
quando vide dieci uomini armati di tutto punto di fronte
al generale. Ognuno di loro era equipaggiato in maniera
diversa, a seconda delle scuole gladiatorie di
provenienza. Ciascuno aveva una diversa tecnica di
combattimento. Di solito, ad un grande campione era
richiesto di combattere un uomo alla volta ma, vedendo
gli avversari chiudersi in cerchio intorno a Maximus ed
avvicinarglisi, fu subito chiaro che non sarebbe stato
così.
Cicero l’aveva assicurata che il generale avrebbe
potuto vincere qualsiasi scontro leale. Ma quello non
era uno scontro leale. Quando il combattimento ebbe
iniziò, Ilaria strinse l’orlo della tunica con tanta
forza che le nocche le divennero bianche e non allentò
la stretta finché non fu tutto finito.
Incredibilmente, Maximus si ergeva vincitore al
centro di un cerchio formato dai cadaveri sanguinanti
dei suoi avversari.
Era salvo.
Per il momento.
*
Quando l’editor annunziò la fine di quella
giornata di giochi, Stephanie sospirò sollevata. Grazie
a Dio era finita. Mai in vita sua, aveva visto niente di
più orribile. Quel giorno erano morti tanti uomini che
aveva perso il conto. In un primo momento, aveva cercato
di auto-convincersi che quello fosse un film e che i
gladiatori caduti non fossero realmente morti, finché l’odore
dolciastro del sangue che giungeva fino alle tribune
imperiali non aveva mandato al diavolo tutti i suoi
sforzi. Come se non bastasse il macabro spettacolo dell’arena,
l’atmosfera sulle gradinate era talmente pesante da
poterla tagliare con il coltello. Commodo, un giovane
dallo sguardo folle e crudele che faceva tremare
Stephanie ogni volta che la guardava, sembrava
particolarmente indispettito dal fatto che un
gladiatore, un eroe popolare di nome Maximus, fosse
riuscito a sopravvivere ad un combattimento contro dieci
uomini, cosa che, a giudicare dalle urla entusiaste
della folla, doveva avere dell’incredibile.
Quintus non era stato di grande aiuto, a parte il
fatto che, sedendole direttamente di fronte, le aveva
permesso di nascondere il viso dietro di lui quando lo
spettacolo si era fatto particolarmente cruento.
Durante lo svolgimento dei giochi, il prefetto del
Pretorio era sembrato molto nervoso e Stephanie lo aveva
visto impallidire quando quel tale Maximus era stato
opposto a dieci uomini. Per qualche misteriosa ragione a
lei ignota, Stephanie sospettò che ci fosse qualcosa
tra Quintus, Commodo e il gladiatore che aveva
combattuto nell’arena.
“Ti senti bene?” La voce di Quinto la scosse dal
suo torpore, “Sei molto pallida.”
Stephanie annuì, “Ho solo bisogno d’aria fresca,
non riesco più a sopportare questo odore.”
Il pretoriano sospirò, “Hai ragione. L’Imperatore
è tornato a Palazzo e per questa sera non avrà più
bisogno di me. Vuoi camminare un po’ con me? Possiamo
andare alla caserma dei vigiles e vedere se hanno
ritrovato la tua amica.”
“Si…” Per la prima volta dopo diverse ore,
Stephanie provò l’impulso di sorridere. Quintus le
sorrise di rimando, l’aiutò ad alzarsi e, dandole il
braccio, la condusse fuori dal Colosseo.
*
Ilaria precedette Cicero giù dalle
gradinate e verso il Ludus Magnus. Un gruppo di
altri tifosi sfegatati (in maggioranza giovani donne
formose) si stavano avvicinando al loro eroe, ma Ilaria
aveva notato un passaggio posteriore nel luogo in cui
era stata reclusa e lo usò per superare gli altri.
Cercando di evitare la sorveglianza delle guardie, s’infilò
nell’apertura tra le sbarre d’acciaio(di certo
troppo stretta per permettere la fuga di un uomo, ma
abbastanza larga da far passare una ragazza magrolina) e
si diresse verso la struttura di pietra dove si trovava
la cella di Maximus.
Lo stava aspettando, quando lui
arrivò.
Sembrò un po’ sorpreso e inarcò
il sopracciglio, ma non disse nulla. Si sforzò di
sorriderle. Le parve stanco. No…Lo guardò più da
vicino. Non era solo stanco, era esausto. Perdeva sangue
da alcuni tagli che aveva sull’avambraccio e lo
sguardo sembrava distante.
“Siediti,” sussurrò lei
immergendo un lembo della sua tunica in una ciotola
piena d’acqua. Si chinò verso di lui, quindi gli
passò il panno bagnato sulle ferite. “Shh…” Le
spiegazioni potevano aspettare. Lui aveva bisogno di
riposarsi e di curare le sue ferite.
Fortunatamente, si trattava di tagli
superficiali. Ilaria trovò allo stesso tempo terribile
ed eccitante che avesse potuto provocare un’ecatombe
di nemici e uscire dal combattimento pressoché illeso.
Era tutto una contraddizione: gentile e feroce al tempo
stesso.
Dopo che i graffi furono ripuliti,
Ilaria prese un’altra ciotola d’acqua dal tavolo lì
vicino e gliel’accostò alle labbra. Si aspettava che
lui protestasse a quel tentativo di “imboccarlo”,
invece niente. Evidentemente era troppo stanco per
protestare. O, perché no, troppo contento.
IX
Stephanie e Quintus passeggiavano soli per le strade
di Roma. C’era silenzio. Un silenzio confortante.
Entrambi sembravano persi nei loro pensieri ma, al
tempo stesso, felici di stare insieme. Dopo un quarto d’ora,
raggiunsero le caserme dei vigiles, dove Quintus
chiese a che punto fossero le ricerche di Ilaria. Il
comandante dei vigiles disse che, malgrado
fossero stati fatti tutti gli sforzi possibili, con
tutto il caos provocato dai giochi e la marea di gente
venuta da fuori città da controllare, cercarla era
stato inutile. Più il funzionario parlava, più la
faccia di Stephanie impallidiva; aveva tanto sperato di
sentire buone notizie. “Mi dispiace,” il Prefetto le
sfiorò il braccio cercando di confortarla.
Stephanie sorrise tristemente. “Non è colpa tua.”
“Che cosa vuoi fare?”
“Passeggeresti ancora un po’? C’è ancora luce
e la serata è calda…”
“Se lo desideri…”
Prese il suo braccio e uscirono di nuovo.
Quintus lasciò che Stephanie lo guidasse,
avvicinandosi a tutti i monumenti che lei voleva
ammirare da vicino. Dentro di lei, la moderna ragazza
americana voleva paragonare i monumenti che stava
ammirando con i ruderi che aveva visto solo un paio di
giorni prima.
Senza volerlo fare apposta, il loro itinerario
ritornò al Colosseo, quindi vicino al Ludus Magnus.
*
Appena qualche edificio più in là, Ilaria se ne
stava seduta sul sudicio pavimento di pietra della cella
con gli occhi fissi su Maximus. Anche lui era seduto per
terra, la schiena contro il muro e gli occhi chiusi.
Teneva appoggiata in grembo una delle ciotole che lei
gli aveva porto una decina di minuti prima. Ilaria se ne
stava nascosta nell’unico angolo buio della cella,
invisibile alle guardie che andavano e venivano nel
corridoio. Si era recata lì per parlare con Maximus e
spiegargli che non era matta, ma non voleva
intromettersi nel suo momento di riposo. Così restò in
silenzio, guardandolo e ammirando il suo bel viso e
pensando a quel che doveva dirgli.
“Sei ancora qui?” Chiese la voce grave dell’Ispanico.
Ilaria esitò un attimo, poi arrossì; probabilmente
lui si era accorto che lei lo stava fissando perché un
debole sorriso gli si era allargato sulle labbra.
“Umh…Stavo solo pensando…” Ilaria si ricordò
a malapena che doveva parlare in latino e non in
italiano.
“A che cosa?” Voltò la testa verso di lei come
se fosse davvero interessato alla sua risposta. Ilaria
sperò che non lo facesse solo per compassione nei
riguardi di una ragazza che credeva matta.
“Avrei qualcosa da mostrarti…Potresti
avvicinarti? Non voglio essere scoperta dalle guardie.”
Maximus si alzò in piedi con lentezza e si diresse
verso di lei, lasciandosi andare stancamente al suo
fianco.
“Che cos’è?”
Ilaria prese le cartoline dalla borsa
con mano tremante.”Questo è il momento della verità,”
pensò mentre gliele porgeva.
Maximus prese i cartoncini e li guardò, mentre
Ilaria osservava la scena con occhi ansiosi.
Il primo pensiero che si formò nella mente stanca di
lui, fu che l’uomo che le aveva eseguito quei dipinti
era dotato di un enorme talento. Erano talmente
perfetti, particolareggiati…e disegnati su una
superficie tanto piccola! Si trattava di autentici
capolavori. Tuttavia dopo pochi istanti di
contemplazione cominciò a rendersi conto di quale fosse
il reale soggetto dell’immagine e rabbrividì. Un’espressione
stupefatta gli apparve in viso quando vide l’ultima
cartolina: essa illustrava il Colosseo, ma esso era
completamente devastato, un grande pezzo in muratura era
crollato ed era scomparso quasi tutto il rivestimento in
marmo. Ai piedi dell’edificio si potevano vedere
uomini conciati con strani abiti e curiosi carretti con
le ruote ma senza cavalli che li trainassero passare
lungo la strada. Non aveva mai visto niente di simile e
il cuore cominciò a battere all’impazzata.
“Che è successo?” Domandò con voce rauca.
“Il tempo, e i barbari,” rispose gentilmente
Ilaria, sperando che lui finalmente capisse.
“I barbari,” pensò l’ex-generale, accettando
senza rendersene conto, che Ilaria gli aveva detto la
verità, che proveniva davvero dal futuro.” I barbari
hanno distrutto Roma.” Maximus scrutò attentamente un’altra
cartolina e la vista gli si annebbiò quando riconobbe
le rovine dei Fori Imperiali. Chiuse gli occhi, per non
mostrare la pena che provava dentro di sé. Roma, il
gioiello dell’Impero, la luce in un mondo brutale,
oscuro e crudele, ridotta in rovine. Adesso sì che lui
era davvero sconfitto. Ogni cosa che aveva amato nella
vita era andata perduta: la sua famiglia, il suo
imperatore e adesso anche Roma. Il cuore gli si strinse
in una morsa d’angoscia e disperazione.
Ilaria lo vide impallidire ed irrigidirsi al suo
fianco e si preoccupò. Forse aveva fatto male a
raccontargli dei barbari…Avrebbe dovuto dirgli che
Roma esisteva ancora e continuava a prosperare, benché
fosse molto diversa dall’antica città.
“Maximus?” Lo chiamò piano. Il silenzio fu la
sola risposta che le diede. Lo chiamò ancora, gli
sfiorò la spalla. Niente. Sembrava perduto in un mondo
nel quale lei non poteva entrare. Ilaria si morse le
labbra e strinse gli occhi. Doveva pur esserci un modo
per riportarlo alla realtà. Gli guardò attentamente il
viso e senza sapere perché, i suoi occhi si
soffermarono sulla bocca sensuale. Un brivido le corse
giù per la schiena quando decise di far ricorso ad un’altra
tattica. Si sollevò sulle ginocchia, piegò la testa e
lo baciò sulle labbra.
Al primo contatto delle loro bocche, gli occhi di
Maximus si spalancarono e si ritrovò faccia a faccia
con Ilaria. Lei gli sorrise e fece per ritrarsi, ma lui
glielo impedì. Le prese il viso tra le mani e la
schiacciò contro le sue labbra, baciandola prima
gentilmente, poi sempre con maggior ardore, finché
sentì che lei gli rispondeva. Dimenticati i tetri
pensieri, i due si abbandonarono a quelle bellissime
sensazioni…il contatto delle bocche, il calore dei
corpi, l’odore della pelle. E, per la prima volta dopo
mesi, Maximus si sentì di nuovo vivo.
L’Ispanico lasciò andare il viso di Ilaria e la
guardò negli occhi. Si vergognava un po’ di come
aveva agito, ma lei non sembrava affatto offesa…Sembrava
felice. Si schiarì la voce e, indicando le cartoline,
disse, “Vedo…vedo che mi hai detto la verità. Vieni
davvero dal futuro.”
Ilaria annuì, ”Sì. Tu stai guardando ciò che
rimane di Roma antica…Ma se osservi con maggiore
attenzione, potrai notare altri edifici sullo sfondo:
fanno parte di una città moderna.”
“Una città moderna?” Gli occhi di Maximus si
illuminarono e Ilaria sorrise, “Mi stai dicendo che
Roma esiste ancora?”
“Certo, esiste ancora. E’ la capitale dell’attuale
stato italiano ed è molto famosa nel mondo. La chiamano
la Città Eterna.”
L’ex generale sorrise, sollevato che la città che
aveva servito per tutta la vita prosperasse anche nel
lontano futuro, quindi chiese, “Per favore, dimmi quel
che ti è successo.”
Ilaria si sedette appoggiandosi al muro e, con la
faccia rivolta a lui iniziò a raccontare, dicendogli
che tutto era cominciato quando lei e Stephanie avevano
scovato un tunnel che era davvero la porta del futuro.
Maximus l’ascoltò affascinato, dimenticando
perfino la sua stanchezza e quando la ragazza si fermò,
ribatté, “E’ davvero una storia interessante. Ho
visto il tunnel da cui sei sbucata fuori…non viene mai
usato dalle guardie di Proximo. Ho sempre pensato che
fosse impraticabile.”
Ilaria annuì ancora. “Hai ragione, ho dovuto
spingere una porta di legno per giungere fin qui. Ma
credo di non averla chiusa bene, e penso che potremmo
riaprirla facilmente, specie con l’aiuto della tua
forza…”
“La mia forza?” Lui la interruppe.
“Certo. Tu verrai via con me e Stephanie quando ce
ne andremo, così potrai sfuggire a Commodo, e…”
Maximus scosse la testa. “No, Ilaria. Non posso
venire via con te. Il mio posto è qui,” disse pacato.
“Qui? Per restare alla mercé di quel pazzo che
vuole vederti morto? Che, sei pazzo?” Il temperamento
focoso di Ilaria ebbe il sopravvento, al punto che
dimenticò di parlare in latino, tornando al nativo
italiano.
Maximus non si sentì offeso da quella provocazione.
“Non sono pazzo, Ilaria. Ho un dovere da compiere. Tu
conosci la mia storia, Cicero te ne ha parlato.” E si
fermò nell’attesa di un cenno d’assenso da parte di
lei, “Sai che Commodo ha sterminato la mia famiglia e
ucciso suo padre…” Lei annuì ancora una volta, “Io
ho fatto due promesse: ho promesso a mia moglie e a mio
figlio che li avrei vendicati e a Marco Aurelio che
Commodo non avrebbe avuto il potere. E intendo mantenere
i miei voti. Tenterò finché non vi riuscirò o…
“O morirai provandoci.”
“Sì.”
Ilaria annuì e si abbandonò contro il muro. Sapeva
che lui non avrebbe cambiato idea, non importa quello
che lei avrebbe detto o fatto per convincerlo. Un
sorriso amaro le si disegnò sulle labbra: era curioso
come tutte le belle qualità che aveva apprezzato in
lui, la rettitudine, il senso dell’onore e del dovere,
fossero adesso la causa del suo dolore. Lo conosceva
solo da poco tempo, eppure, in fondo al cuore sentiva
che lui era "quello giusto"… Aveva sempre
creduto nell’amore a prima vista. Le lacrime
cominciarono a scendere dagli occhi chiusi e tremò per
lo sforzo di tenerle nascoste.
Subito dopo si sentì circondata dalle braccia forti
dell’uomo e si ritrovò schiacciata contro il suo
petto.
Anche il cuore di Maximus si strinse dentro una morsa
quando abbracciò la ragazza che gli stava accanto.
Ilaria era così carina. Stare con lei era così
semplice, così confortante, così… sbagliato. Come
aveva potuto tradire Selene e Marco in quel modo? Per un
momento, non appena si era reso conto che le storie sul
futuro erano vere, aveva provato la tentazione di
andarsene via con lei, per scoprire insieme la nuova
Roma… Poi si era ricordato della promessa fatta a sua
moglie. Com’era stato doloroso rendersi conto d’averla
dimenticata, seppure solo per un istante. Piccoli
dettagli del suo ricordo stavano iniziando a svanire.
Infatti, se chiudeva gli occhi, non riusciva a più
ricordare l’esatto colore di quelli di lei, dei suoi
capelli… Il suo dolce sorriso, nella sua mente era
stato rimpiazzato da un altro, diverso ma ugualmente
grazioso, quello di Ilaria. Che cosa gli stava
succedendo? Era possibile amare ancora dopo un amore
tanto profondo?
Amore.
Era quello che sentiva per Ilaria? Era passato tanto
tempo da quando si era innamorato di Selene che a
malapena ricordava quelle sensazioni. L’eccitazione
che lo coglieva pensando all’espressione di lei, la
terribile agonia di stare lontani, la disperata,
frenetica energia del tempo passato insieme… Aveva
dimenticato la frastornante dolcezza di un primo bacio,
finché le labbra di Ilaria non gliel’avevano fatta
provare un’altra volta.
Voleva andare via con lei. Ma non poteva. Come
farglielo capire?
Sfiorando appena i capelli della ragazza, allungò il
collo per sbirciare un’altra volta i piccoli dipinti..
Rovine. Pietre spinte giù nella polvere come i muri
che circondavano il suo cuore. La città si era
trasformata. E sopravviveva. Ma lui?
Non volle pensarci ancora. Stava calando la notte.
Doveva mettere Ilaria al sicuro da qualche parte. Doveva
prepararsi per il giorno successivo. Lucilla l’avrebbe
incontrato presto. Da tempo, stavano preparando un piano…Se
tutto fosse andato come doveva, forse avrebbe potuto
seguire Ilaria nel futuro.
Sentendosi ancora una volta deciso disse, “Piccola,
sì è fatto tardi. Devi andartene…”
Ilaria alzò la testa e si asciugò le lacrime,
sorridendo al modo in cui l’aveva chiamata. “Perché
non posso stare qui?”
“Perché sarebbe pericoloso se qualcuno ti
scoprisse qui con me.”
“Ma ho perso di vista Cicero e non conosco Roma
abbastanza bene da ritrovare un’altra volta l’insula…”
“Beh…Forse si potrebbe fare qualcosa…Hai visto
il piccolo magazzino vicino al muro occidentale? Maximus
puntò in direzione del recinto e Ilaria seguì la sua
indicazione.
“Sì, lo vedo.”
“E’ un deposito di granaglie e fieno per le
bestie. L’ho notato qualche giorno fa e ho visto che c’è
un bello strato di paglia sul pavimento. Puoi stare lì
per questa notte e andartene all’alba. Ti darò la mia
coperta.”
Ilaria si voltò a guardarlo. Com’era gentile! Non
avrebbe voluto lasciarlo, ma era stanco e avrebbe avuto
bisogno di riposare bene, senza doversi preoccupare per
lei. “Bene. Starò lì.”
“Perfetto, piccola, ” Si sorrisero l’un l’altra,
poi lui la strinse ancora tra le braccia per un altro,
dolce bacio. Rimasero per qualche istante abbracciati,
quindi lui l’aiutò a passare attraverso le sbarre
della cella.
X
Quintus e Stephanie stavano passeggiando tranquilli
in strada. Il sole era tramontato, ma non avevano paura.
Ci sarebbe voluto un mascalzone dotato di un bel fegato
per osar attaccare il Prefetto del Pretorio e, se
Commodo avesse voluto la sua pelle, non era certo
necessaria un’azione compiuta di nascosto.
Stavano camminando così senza una meta che la
ragazza restò sorpresa nel notare che si trovavano nei
pressi del Ludus Magnus, il posto da cui per la
prima volta lei era entrata nel mondo antico.
“Dici che è qui che hai perso di vista la tua
amica?” Chiese Quintus, curioso.
“Sì,” Stephanie allungò il collo per guardare
attraverso le sbarre. Poté notare una piccola fila di
celle al lato. Accanto al limite della recinzione c’era
una piccola costruzione usata come stalla per gli
animali che trainavano i carri adibiti al trasporto dei
prigionieri.
“E’ difficile che lei possa essere ancora in giro
a quest’ora. Domani incaricherò i miei uomini di
cercarla ancora e più attentamente.”
La donna annuì. Che cosa avrebbe potuto fare?Stava
cominciando a temere che forse Ilaria si fosse persa per
sempre. In quello stesso istante, notò dei movimenti
con la coda dell’occhio. Aguzzò la vista per vedere
meglio quel che stava accadendo nel cortile del Ludus
Magnus. Il cuore cominciò a battere all’impazzata,
non appena riconobbe la piccola sagoma della sua amica.
“Ilaria!”Esclamò correndole incontro.
Quintus trattenne il respiro e guardò Stephanie
correre incontro all’altra ragazza. E proprio come lei
aveva riconosciuto l’amica al primo sguardo, così lui
riconobbe l’uomo in piedi vicino ad Ilaria, separato
da lei dalle sbarre di ferro. Maximus.
Il Prefetto imprecò sotto voce, quindi s’incamminò
verso le due ragazze.
*
Ilaria e Maximus videro la figura
ammantata di viola avvicinarsi e s’irrigidirono
finché lei non si rilassò, riconoscendo l’amica.
“Steph!” Quasi gridò, correndole incontro per
abbracciarla.
Maximus seguì la riunione con gioia, felice che
Ilaria non fosse più sola. La sua amica era vestita con
molta eleganza: forse aveva trovato una maniera migliore
per travestirsi, forse… Il suo pensiero si interruppe
quando vide l’altra figura accanto alle due ragazze: l’uniforme
nera, gli zigomi alti, la cicatrice…
“Quintus,” disse, riuscendo a stento a
controllare la sua rabbia.
“Maximus.”
Erano le prime parole che si scambiavano, dopo quella
notte terribile in Germania.
“Che ci fai qui?” Chiese l’Ispanico e il
Prefetto, per abitudine, stava per rispondergli, quando
Stephanie gli toccò il braccio e disse, “Quintus,
lascia che ti presenti la mia amica Ilaria.”
Ilaria si irrigidì udendo il nome, quindi si voltò
verso Maximus, domandandogli in silenzio se quello fosse
lo stesso Quintus che lo aveva fatto arrestare in
Germania. La rabbia dipinta sulla faccia di lui fu una
risposta più che eloquente.
L’atmosfera si riempì di tensione e Stephanie
guardò da un viso all’altro cercando di capire cosa
stesse succedendo. Quando i suoi occhi si fermarono su
Maximus, essa riconobbe subito il gladiatore che aveva
combattuto nel pomeriggio e ricordò le sue congetture a
proposito di un qualche legame tra Quintus e quell’uomo.
Stephanie percepiva il disagio, ma non riusciva a
comprenderne la causa.
“Dove passerai la notte, Ilaria?” domandò,
preoccupata che l’amica le proponesse di tornare nel
futuro quella stessa notte.
Ilaria scambiò un’occhiata con il suo strano
compagno. Sembrava indecisa su cosa dire.
“La tua amica sarà nostra ospite, naturalmente.”
Quintus s’intromise.
Ilaria fremette sentendo la parola “nostra”…Sembrava
esprimere un senso di possesso. Nelle mani di che genere
d’uomo era caduta Stephanie? Si voltò verso Maximus,
e spalancò gli occhi quando lui chinò la testa in
segno d’approvazione.
“Quintus avrà cura di te, ” disse in tono fermo,
quasi volesse minacciarlo nel caso fosse venuto meno
alle sue promesse.
I due uomini rimasero l’uno di fronte all’altro
per un momento ancora. Quindi il pretoriano si voltò
per andarsene.
“Venite, signore,” disse laconicamente.
Stephanie posò lo sguardo su Ilaria e l’altro
uomo, e i suoi occhi si soffermarono più a lungo sullo
straniero. Quasi esclamò, quando vide con quanta
tenerezza il gladiatore stesse guardando la sua amica. I
suoi occhi erano pieni di desiderio. E di qualcosa di
ancora più profondo, a cui ragazza faticava a credere.
Avrebbe voluto guardarlo ancora, per trovare la conferma
ai propri sospetti, ma una stretta insistente al braccio
distrasse la sua attenzione.
“Signore?”
Stephanie fu sollevata quando Ilaria, dopo aver
guardato un’ultima volta all’uomo dietro le sbarre,
si decise a seguire lei e Quintus.
La luce negli occhi del Prefetto si era incupita. Era
chiaro che l’incontro non gli aveva fatto piacere e
Stephanie non ne capiva il perché. Rimase alcuni passi
indietro rispetto a lui, per poter parlare con la sua
amica.
“Pensi che si conoscano?” le domandò con un
bisbiglio, “Sembrerebbe di sì, anche se…”
“Certo che si conoscono!” sbottò Ilaria, “Tu
stai dividendo la casa con un assassino!”
Gli occhi di Stephanie si spalancarono per lo
sconvolgimento. “Quintus?” La sua espressione
tradiva il convincimento che ciò non fosse possibile.
“Una volta erano amici. Grandi amici. Quintus era
agli ordini di Maximus, a Vindobona… Lo tradì, quando
Marco Aurelio morì.”
Stephanie sbuffò in risposta. Era ridicolo. Chi
aveva convinto Ilaria a credere in tutte quelle bugie?
Era vero che la posizione di Laetus lo costringeva ad
occuparsi di faccende poco piacevoli… Ma tradire un
amico? No, era impossibile.
“Sono sicura che ti troveremo una buona
sistemazione. E del cibo caldo.” Replicò Stephanie
freddamente, turbata da quelle accuse. “Forse potrei
procurarti qualcosa di più decente da metterti addosso.
Sono sicura che scoprirai presto che tutto ciò che
quello… schiavo… ti abbia detto riguardo al Prefetto
è falso.”
Ilaria la fissò interdetta. Quanto era cieca la sua
amica! Non fosse stata sollevata dal pensiero di averla
ritrovata finalmente, le avrebbe fatto una scenata.
Il gruppo si separò all’ingresso della villa.
Ilaria fu presa in consegna dai domestici, che le fecero
avere del cibo e un bagno caldo, mentre Stephanie e
Quintus si attardarono nel piccolo cortile. I servi
accesero le torce e l’odore penetrante della pece si
mischiò all’aroma dei fiori che profumavano l’aria
notturna. Il Prefetto e la giovane donna si sedettero su
di una bassa panchina di marmo, persi nei propri
pensieri.
C’era tanta pace, il solo rumore era il gorgogliare
dell’acqua che scaturiva dalla statua di una ninfa al
centro della fontana. Si trattava di una pausa benvenuta
dell’incertezza che aveva dominato la giornata appena
trascorsa. Solo lì con Stephanie, Quintus riusciva a
rendersi conto del perché aveva lottato tanto per
rimanere vivo.
“Ci sono le stelle,” commentò la giovane a bassa
voce. Posò la testa sul petto del Pretoriano, che
gliela prese tra le mani, passandole i polpastrelli tra
i soffici riccioli delle tempie e liberandoli dalle
forcine che li imprigionavano. “E’ così difficile
vederle, in città…”
Lui rise alle sue parole. Perché diceva così? Le
stelle non si vedevano dappertutto, di notte? Lei
riusciva ad essere così strana… “Sì, sono
bellissime, ” sussurrò, "Ma non belle come…”
Si interruppe, per spiare la reazione di lei. Dal
momento del primo rifiuto, lui non aveva fatto altri
tentativi, ma al momento sembrava che lei volesse
concedergli un’altra possibilità. Poteva rischiare un’altra
proposta?
Leggendo nei suoi pensieri, Stephanie divenne seria,
si ricompose, si voltò verso di lui, mostrandogli i
graziosi lineamenti ben disegnati e un’espressione
triste.
“Non posso sposarti, Quintus. Non voglio.” Egli
ammiccò, sorpreso da quella dichiarazione decisa, con
le mascelle che si contraevano per contenere il tumulto
di emozioni scatenato da quelle parole. “Ne sei
sicura?” chiese alla fine.
Lei annuì, masticandosi il labbro. “Mi piace
questo posto, Quintus. Mi piaci…”Si fermò, scotendo
la testa come per concentrarsi su quel che doveva
dirgli, “Tu non mi conosci. E se fossi…”
“Non c’è niente nel tuo passato che io non
potrei far sparire…”
“Lo credi, Quintus? Quanti anni mi dai?”
“Diciotto, diciannove.”
“Venticinque.” Lei arrossì, “Non sono un’innocente
verginella.”
Lo guardò prendere coscienza di quel fatto. La sua
pelle, protetta dal sole più di quanto non lo fosse
quella delle sue antiche sorelle e la sua figura meglio
alimentata, la facevano sembrare molto più giovane ai
suoi occhi. Nell’attesa che lo sconvolgimento
passasse, Stephanie ritornò al discorso precedente.
“E se fossi una schiava fuggiasca? O un’assassina?
O…”
“Tu non sei niente di tutto questo. E anche se lo
fossi, potrei perdonarti. Potrei perdonare il tuo
passato. Anch’io ho i miei segreti.” Deglutì,
pensando a Maximus solo nella sua cella. Una vittima,
tradita dall’amico di cui si fidava. “Anch’io ho i
miei segreti…” ripeté. I suoi occhi chiari
cercarono nell’espressione di lei un lampo di
dolcezza, ma non trovarono nulla. “E allora? Vuoi
lasciarmi? Dove vuoi andartene?”
“Non voglio andarmene, Quintus,” Rispose lei
guardandosi i piedi.
“Non ti capisco.”
Gli prese la mano tra le sue e faticò a reggere il
suo sguardo. Erano tristi e distanti, qualsiasi barlume
di speranza era quasi bruciato. Lei provò a
riaccenderlo posandogli un piccolo bacio sulla mano. “Io…
Io starei qui con te, Quintus. Non ho famiglia, né
padre, né denaro, né passato. Non posso essere tua
moglie, ma potrei…”
“Essere la mia amante?”
La chiarezza di quelle parole le fece correre i
brividi lungo la schiena ma il desiderio in fondo ai
suoi occhi esigeva una risposta più circostanziata. Era
adirato, questo poteva vederlo. Lui stava lottando
dentro sé stesso per trovare il coraggio di negarglielo…
Per domandarle come mai lo avrebbe accettato solo a
quelle condizioni. Solo lei avrebbe potuto por fine a
quel tormento. Sfidando il destino, lei si allungò
verso di lui, facendo in modo che le loro labbra si
incontrassero e lo coinvolse in un bacio appassionato.
Quello non era il casto abbraccio di una ragazzina
ingenua, ma la carezza intima di una donna matura, piena
di desideri che voleva disperatamente comunicare al suo
compagno.
Quando infine lei si scostò, i due erano senza
respiro. Lei poteva leggere negli occhi di Quintus che
la sua indecisione si era spezzata, ma i dubbi
permanevano.
“Non voglio che sia così…”
Protestò timidamente ma, mentre stava tra le sue
braccia, lei poté sentire anche parole che lui non
aveva pronunciato: “ma è questo che voglio”.
*
Ilaria si sentì molto meglio con lo stomaco pieno e
dei vestiti puliti addosso. Aveva apprezzato l’ospitalità
del servo di Maximus, ma la presente sistemazione era
molto più confortevole e molto più familiare ad una
persona abituata agli agi del Ventesimo Secolo. Dopo
aver chiuso le tende alle finestre per ripararsi dalla
brezza che soffiava dal cortile, si accomodò sul
soffice letto. Sbadigliò e poiché era stanca morta,
sperò di addormentarsi in fretta. Ma il sonno non si
decise ad arrivare. Aveva troppi pensieri per la testa.
Il ricordo del bacio ardente di Maximus la turbava
ancora al punto tale, che era come se sentisse ancore le
labbra dell’uomo sulle proprie e il cuore le batteva
forte come quando i loro corpi si erano sfiorati. Si era
innamorata di lui, ed era troppo tardi per venirne
fuori. Aveva notato i sintomi fin dal primo momento in
cui aveva sentito la sua voce calda ordinare alla
guardia di lasciarla stare, e poi la storia della sua
famiglia, i suoi eroici combattimenti, il modo in cui si
era prodigato per aiutarla, non avevano fatto altro che
rafforzare i suoi sentimenti. Come convincerlo a lasciar
perdere i suoi folli propositi di vendetta e a mettersi
in salvo con lei? Ma c’erano anche altri pensieri
nella sua testa. Era al sicuro in quella casa?
Apparentemente, ad una prima occhiata, sembrava proprio
che la sua amica si fosse messa con il Pretoriano. Forse
si era lasciata incantare dal potere, o dalla splendida
casa di lui? O forse c’era qualcosa di più profondo?
Era possibile amare un mostro come quello? Oppure… Era
possibile che lei e Maximus si fossero sbagliati sui
sentimenti del Pretoriano? C’erano così tante domande
e così poche risposte. Aveva bisogno di tempo per
venirne fuori del tutto… Ma per Maximus, il tempo era
giunto quasi alla fine.
XI
Stephanie si svegliò la mattina successiva all’alba.
Era sola. Anche se il cuscino accanto a lei era
abbastanza schiacciato da tradire i momenti di passione
che aveva diviso con Quintus la notte prima.
Quintus.
Si avvolse il lenzuolo intorno alle spalle, fremendo
al solo pensiero delle carezze di lui. Era stata una
notte memorabile. Si era dimostrato un amante generoso,
ma possessivo e affamato. Ma adesso lui se n’era
andato.
Un timido bussare alla porta la distrasse.
“Steph, sei sveglia?” chiamò piano Ilaria.
“Sì.”
“Posso entrare?”
“Aspetta un attimo.”
Stephanie si alzò dal letto, infilò un vestito, si
sistemò alla meglio i capelli e andò ad aprire.
“Ciao,” disse Ilaria, sorridendo all’amica,
anche se gli occhi non le ridevano. Si guardarono l’una
con l’altra, vedendo nelle rispettive facce i segni di
una notte quasi insonne, anche se per ragioni
completamente diverse.
Ilaria osservò la stanza e, benché avesse
indovinato quel che era capitato durante la notte, non
ne fece menzione. Chiese solo, “Dov’è andato
Quinto?”
Stephanie scosse la testa. “Non lo so. Forse è nel
suo studio, o sta dando ordini ai servi.”
“No, non è in casa. L’ho visto uscire un’ora
fa. Alcuni Pretoriani sono venuti qui alla villa e lui
li ha seguiti in gran fretta. Sembrava preoccupato…
Speravo tu potessi spiegarmi cosa sta succedendo…”
“Non so niente… Non l’ho neppure sentito
lasciare questa stanza.”
Ilaria fece una smorfia, “Splendido,” commentò
ironica alla fine, “Adesso vado a mangiare qualcosa…
Perché non vieni con me? Ci sarebbe da parlare del
nostro ritorno al futuro.
Stephanie impallidì a quelle parole, ma annuì. “Dammi
un minuto per prepararmi, poi ti raggiungo.”
L’amica annuì nuovamente, prima di lasciare la
stanza.
*
Venti minuti più tardi, le due ragazze si stavano
godendo un’abbondante colazione nel triclinio della
villa. Se il loro cervello non fosse stato pieno di
preoccupazioni, si sarebbero potute godere l’esperienza
di mangiare sdraiate su soffici divani, ma non era
così.
Ilaria era preoccupata per Maximus. Lo aveva sognato,
quella notte, e desiderava tornare da lui appena
possibile. Doveva trovare il modo di salvarlo da Commodo.
Anche Stephanie era tormentata dall’idea di dover
tornare nel futuro. Aveva appena scoperto d’amare
Quintus, ma non era sicura di voler rimanere a vivere
nel passato… E poi, perché non avrebbe potuto essere
lui a seguirla nel XXI secolo? Non gli aveva detto chi
era… Come avrebbe potuto? Stephanie sollevò la testa
dal proprio piatto guardò Ilaria. La sua amica aveva
uno sguardo distante, come se fosse a miglia di distanza
da lì, con lo spirito se non con il corpo. L’americana
osservò la sua espressione per alcuni momenti, poi le
chiese, piano, “Lo ami?”
Ilaria sbatté le palpebre, tornando alla realtà,
“Cosa?”
“Il gladiatore, Maximus. Lo ami?”
“Sì, lo amo. Io… Lui, beh… ha tutte quelle
qualità che ho sempre cercato in un uomo senza mai
trovarle. Ma lo perderò molto presto se non riuscirò a
convincerlo a seguirci nel futuro.”
“Potresti spiegarmi che cosa gli è accaduto?”
Ilaria le raccontò la storia che Cicero le aveva
detto, aggiungendo che Maximus non aveva mai pronunciato
parola contro Quintus, anche se era evidente come tra i
due uomini non corresse buon sangue.
Stephanie rifletté su quelle parole. Odiava
ammetterlo, ma se la storia era vera, Quintus aveva
tradito il suo amico. Tuttavia la propria mente d’avvocato
le diceva che un uomo è innocente, fino alla
dimostrazione della sua colpevolezza. C’era un solo
modo per saperlo: chiederglielo. Per lei. E per Ilaria..
*
Un’ora dopo, vestita con una tunica rosa e una palla
bianca sotto le quali indossava i pantaloni e la
maglietta, Ilaria aprì i cancelli della villa di
Quintus, diretta al Ludus Magnus, da Maximus.
Tuttavia, non fece tempo a muovere un passo che un
braccio robusto l’afferrò e la riportò indietro.
Il suo temperamento ardente prese il sopravvento ed
Ilaria gridò, “All’inferno! Che stai facendo?”
Quintus la guardò, meravigliato dalla sua irruenza;
non aveva mai visto una ragazza gridare contro di lui in
quel modo, di solito erano troppo spaventate dalla sua
uniforme. Ma quella non era impaurita… era furibonda.
“Non puoi uscire: è troppo pericoloso.”
“Troppo pericoloso? Ho trascorso due giorni tutta
sola in questa città e sono in grado di badare a me
stessa... Voglio vedere Maximus. O debbo ritenermi tua
prigioniera?”
Quintus sospirò, “Non sei mia prigioniera ma, come
persona a cui Stephanie tiene molto, non posso farti
lasciare questa casa: la città è sotto legge marziale
e sarebbe pericoloso se te ne andassi in giro da sola.”
Ilaria si calmò un poco, “Legge marziale? Che è
successo? E’ per questo che sei uscito da casa all’alba?”
“Sì. L’altra notte c’è stata una rivolta
contro l’Imperatore… Molti dei suoi oppositori sono
stati uccisi, arrestati e…”
Quintus distolse lo sguardo e Ilaria sentì un
brivido alla schiena.
“Si tratta di Maximus, vero? E’ stato ucciso?”
La voce si spezzò e le lacrime cominciarono a scendere.
“No, è ancora vivo ma… Ma non so per quanto
ancora. Ha provato ad evadere ed è stato arrestato.
Adesso è imprigionato nel Colosseo. Nessuno può
avvicinarlo.”
La ragazza inghiottì a fatica, “Che cosa gli
faranno?”
Quintus cercò di attutire il colpo; aveva notato
come il suo ex comandante e Ilaria si guardavano. “Cesare
vuole combattere contro di lui al Colosseo, di fronte
alla folla e sono sicuro che farà di tutto per
assicurarsi la vittoria.”
Aveva parlato con delicatezza, ma l’italiana capì
tutto subito. Incapace di restare lì un minuto di più,
si scusò e corse via, con gli occhi accecati dal
pianto.
*
Quintus osservò la ragazza correre via con un’espressione
solenne stampata sopra la faccia. Dalla terribile notte
in cui Marco Aurelio era morto, la tristezza sembrava
permeare tutto quel che lui toccava. Ci sarebbe stato il
modo di cancellare quella maledizione, adesso?
Sospirando e sentendosi terribilmente stanco, entrò
dentro casa. Suppose che Stephanie fosse sveglia. Almeno
avrebbe potuto passare con lei qualche momento
piacevole, prima di tornare all’arena ed assistere
alla morte quasi certa del suo vecchio amico.
Lei lo guardò avvicinarsi. La sua bocca era muta, ma
sembrò lieta di vederlo. Poté vedere nei suoi occhi
che Ilaria l’aveva informata ciò che era capitato a
Maximus e del ruolo che lui aveva avuto in quella brutta
storia.
Adesso lo odiava? Era disgustata da quel che era
successo la notte prima? Stringendosi le mani
nervosamente, si avvicinò alla sedia.
“Stephanie.”
“Domine,” una risposta molto formale. Di
certo ce l’aveva con lui.
“Mi scuso per averti lasciata, stamattina…Ero…molto
impegnato…” Lei annuì. “Non volevo lasciarti,”
Ancora nessuna risposta. Lui sospirò gravemente, “Vuoi
che me ne vada? Vuoi che ti lasci sola?”
“No, Quintus. Resta.” Sforzandosi di sorridere,
gli prese la mano, “Non mi rammarico di quel che è
capitato la notte scorsa… E non voglio che tu te ne
vada… Sono semplicemente… molto confusa.”
“Ilaria ti ha detto del gladiatore.”
“Maximus. Sì.” I loro sguardi s’incontrarono,
“Quintus, è tutto vero?”
Lui sperò che lei distogliesse lo sguardo. I suoi
occhi profondi, lucidi di lacrime erano così belli, ed
esprimevano la speranza che quello che le era stato
detto fosse sbagliato. Ma le sue speranze vennero ben
presto disattese. “Sì, è vero. Sono stato io ad
ordinare che Maximus fosse messo a morte e sempre io
ordinai che la sua famiglia fosse sterminata.”
“Perché?” Gli occhi azzurri si chiusero ed egli
poté sentire il fremito del suo corpo attraverso le
mani serrate.
“Non credevo che avrei potuto fare altrimenti.
Pensavo semplicemente che Commodo avrebbe eliminato
tutti gli ufficiali d’alto rango finché non ne avesse
trovato uno che lo che gli avrebbe obbedito. Speravo che
Maximus si fosse sbagliato, a proposito della morte dell’imperatore
e io…” Guardò le loro dita intrecciate, “Forse ho
avuto paura di morire…Un conto è la morte in
battaglia…un altro, morire da traditore…”
Lei annuì. Ciò che aveva fatto era terribile, ma
dall’espressione della sua faccia, si capiva che la
scelta non era stata facile e che egli provava rimorso
per quel che era capitato al suo amico, ma era troppo
prigioniero delle circostanze per lottare e riuscire a
liberarsi.
“E adesso che farai, Quintus?”
Lui tremò, completamente indifeso, “Guarderò il
mio amico morire. Poi aspetterò finché Commodo si
sarà stancato di me o il popolo di Commodo. Comunque
vada, sono un uomo morto. Hai ragione a non volermi
sposare.” Che lei avesse già visto il suo destino?
“Tu rischi di fare la stessa fine di Selene…
Resterai qui al sicuro stanotte… poi domani cercherò
di riportarti a casa.”
Stephanie sollevò lo sguardo al suo viso. “Vieni
con me,” gli sussurrò piano, “Saremmo salvi…e
felici.”
Lui rise amaramente. “Non voglio trascorrere
fuggendo la mia vita. Voglio affrontare il mio destino
guardandolo in faccia, come facevo in Germania. E non c’è
posto, signora, dove Commodo non possa scovarmi, se lo
vuole.”
“Non è vero.” Un’idea le era balenata nel
cervello. Era possibile che Quintus la seguisse nel
futuro. Sarebbe stato difficile, forse per lui sarebbe
stato complicato adattarsi, ma almeno si sarebbe
salvato. “Nella mia epoca…”
Quintus non ebbe tempo di domandarle spiegazioni in
merito a quell’ultima frase. Stephanie aveva appena
cominciato a parlare che una profonda voce risuonò
dietro di loro.
“Prefetto.”
Si voltarono e videro due pretoriani fermi accanto a
loro con le nere piume dell’elmo che svolazzavano al
vento. “E’ ora.” Quinto annuì cupamente. Baciò
la mano di Stephanie e s’inchinò davanti alla panca.
“Aspettami qui.”
“No, protestò lei, andremo via insieme.”
“Non è una buona idea,” replicò lui
stancamente, “Per favore, segui il mio consiglio e
resta qui.”
Si sentì quindi la voce di Ilaria annunciare, “Noi
verremo.” Ed era una voce che non ammetteva repliche.
XII
Il Colosseo era già gremito quando Quintus,
Stephanie ed Ilaria vi giunsero. Non appena entrarono,
il Prefetto ordinò a due dei suoi uomini di scortare le
ragazze alla tribuna imperiale, quindi scomparve nel
lungo corridoio che collegava l’arena alle celle dei
gladiatori.
Ilaria e Stephanie seguirono i pretoriani e si
accomodarono dov’era stato loro indicato. Nella
tribuna c’erano altre donne, altri soldati e un
bambino di otto, nove anni. Sembravano tutti tristi e
preoccupati, specialmente la più elegante tra le
matrone, che era pallidissima e aveva gli occhi gonfi,
come se avesse pianto a lungo. Il bimbo le stava vicino
e, dalla somiglianza dei loro visi, le amiche intuirono
che fossero madre e figlio.
L’atmosfera era così cupa e carica di tensione che
nessuno osava parlare e Ilaria e Stephanie iniziarono a
guardare in avanti, in direzione del centro dell’arena,
dove alcuni fanciulli stavano gettando petali di rose;
in direzione degli spalti gremiti di folla, in direzione
del Tevere, ovunque potessero guardare. Cercavano così
di estraniarsi dal terribile spettacolo che stava per
cominciare, ma il peso delle loro emozioni era troppo
grave per far sì che potessero distrarsi a lungo.
Ilaria sapeva anche troppo bene che avrebbe
probabilmente assistito alla morte di Maximus e il solo
il pensiero le causava un dolore insopportabile. Prima
di allora, non aveva mai perso un parente prossimo o un
caro amico e non era preparata a ciò che stava
provando.
Il dolore di Stephanie era invece causato dalla
prospettiva di perdere l’uomo che amava, se non a
causa della morte, a causa del tempo, perché lei voleva
tornare a casa. Ma in lei permaneva una scintilla di
speranza, se fosse riuscita a convincere Quintus a
seguirla…
L’attenzione delle ragazze fu bruscamente
richiamata attratta da ciò che stava avvenendo nell’arena.
Una piattaforma stava apparendo in superficie dai
sotterranei del Colosseo. Dapprima videro solo una
testuggine, la tipica formazione dell’esercito romano
creata dagli scudi di molti pretoriani. Quindi lo
schieramento si ruppe e i soldati corsero a formare un
grande cerchio, circondando tre uomini: Quintus, Maximus
e Commodo.
Gli occhi di Ilaria andarono subito all’ex generale
e notarono come non sembrasse molto fermo sulle gambe.
Gettando al vento la cautela, la ragazza tirò fuori
dalla borsa gli occhiali, li inforcò e ciò le permise
di vedere una chiazza scura allargarsi sulla tunica
azzurra di Maximus. Un conato di nausea la colse quando
si rese conto di cos’era. Sangue. Lui era già stato
ferito, allo scopo di indebolirlo.
Ilaria vide l’Ispanico chinarsi la fatica, e
raccogliere un pugno di terra. Era lo stesso gesto che
gli aveva visto fare il giorno prima, quando aveva
combattuto e vinto dieci uomini.
Ilaria sapeva che il combattimento stava per iniziare
e, per la prima volta dopo tanti anni, sentì la
necessità di pregare…Scivolò sulle ginocchia nella
tribuna imperiale, chiuse gli occhi, chinò la testa e
cominciò a implorare Dio di salvare Maximus.
*
Stephanie non notò il gesto disperato dell’amica,
intenta com’era ad osservare ciò che avveniva al
centro dell’arena. Per quanto terribile fosse quella
vista, non riusciva a distoglierne lo sguardo. Vide
così Commodo e Maximus danzare al centro dell’anello
delimitato dai pretoriani; vide altresì Commodo colpire
Maximus alla gamba, restando però egli stesso ferito ad
un braccio e perdendo la spada. Quindi vide e sentì
Commodo chiedere un’altra spada a Quintus. Il cuore le
balzò in gola quando comprese che il prefetto non aveva
alcuna intenzione di ubbidirgli e si sentì orgogliosa
di lui quando lo sentì ordinare ai suoi uomini di non
dare le loro spade a Cesare. Era come se Quintus avesse
rialzato la testa e deciso che il bene di Roma fosse
più importante della sua stessa vita.
Stephanie fece per sfiorare con la mano la spalla di
Ilaria, per farle sapere che Maximus stava vincendo il
duello, quando vide il gladiatore lasciar cadere la
spada per terra. Commodo gli fu subito addosso, con un
micidiale stiletto stretto in pugno ma Maximus fu in
grado di sopraffarlo e di cacciare la lama nella gola
dell’uomo più giovane, uccidendolo.
Era finita.
Stephanie crollò sul pavimento e scosse le spalle di
Ilaria, “Ilaria! Commodo è morto! Maximus ha vinto!”
Vide l’amica sollevare la testa, asciugarsi le
lacrime e guardarla, accennando un sorriso tra le
lacrime, che adesso erano di sollievo. Tuttavia la gioia
fu breve perché, alzandosi e guardando verso l’arena,
entrambe videro Maximus crollare pesantemente a terra.
“NOO!” Urlò Ilaria, prima di voltarsi e uscire
correndo dalla tribuna. Le guardie rimasero troppo
stupite per fermare lei o Stephanie e le due ragazze
scesero al piano inferiore. Provarono ad entrare nell’arena,
ma i pretoriani le bloccarono. “Cosa credete di fare?”
“Lasciatemi andare!” gridarono all’unisono le
due amiche e quell’urlo giunse alle orecchie di
Quintus. Si voltò, le vide. “Lasciatele passare!”
ordinò ai suoi uomini e i soldati ubbidirono.
Appena libere, le ragazze si precipitarono verso
Maximus, a fianco del quale stava inginocchiata la
signora triste del palco imperiale.
“Noi possiamo aiutarlo,” le disse Ilaria,
sperando che fosse vero. La matrona si voltò a guardare
Quintus e lui fece un cenno d’assenso. La donna si
alzò in piedi e si allontanò di qualche passo. Ilaria
si avvicinò molto cautamente e sfiorò il collo di
Maximus. Un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra
quando si accorse che il cuore batteva ancora, ma pur
con le sue povere conoscenze mediche, si rese conto dell’estrema
gravità delle sue condizioni, del suo probabile stato
di shock. Una strana calma s’impadronì di lei e,
benedendo le lezioni di pronto soccorso seguite anni
prima, disse piano a Stephanie, “Per favore, aiutami a
togliergli l’armatura.”
Stephanie ubbidì e in pochi istanti il corpo di
Maximus fu spogliato. Con delicatezza, Ilaria palpò il
suo fianco sinistro e quando ritrasse la mano notò che
era coperta di sangue.
Senza fare domande, Stephanie si tolse la palla
e la porse ad Ilaria, che la usò come bendaggio.
“Penso che sia stato trafitto ad un rene o qualcosa
del genere,” disse l’italiana, “Ha una grave
emorragia. Morirà se non gli faranno subito una
trasfusione.” La sua voce era disperata.
I pretoriani e gli altri gladiatori lì attorno
ascoltavano con attenzione, anche se non capivano nulla
(le ragazze stavano parlando in inglese) ma si rendevano
conto che le condizioni di Maximus erano molto gravi e
che aveva bisogno di urgenti cure mediche. Alcuni di
loro, avvicinatisi all’uomo caduto, dissero, “lo
porteremo noi. Diteci solo dove.”
Mentre Massimo veniva caricato sulle loro spalle,
Ilaria lanciò un’occhiata ansiosa a Stephanie. L’unico
sistema per salvargli la vita era portarlo nel tunnel
del tempo e sperare che funzionasse. E per questo
occorreva l’aiuto di Quintus.
Stephanie annuì e corse in direzione dell’uomo in
nero che apriva il corteo, raggiungendolo.
“Quintus…” gli sussurrò piano.
Lui la guardò, gli occhi chiari che tradivano orrore
per ciò che avevano visto.
“Ti fidi di me?” Cercò di restare calma; era
giunto il momento che tanto aveva temuto, da quando
aveva varcato i cancelli della villa di Quintus: il
momento in cui sarebbe tornata alla sua vecchia vita.
Lui l’avrebbe seguita?
“Sì,” rispose lui dopo una lunga pausa. Le
spalle si erano afflosciate, quasi a indicare la sua
sconfitta. Erano domande da farsi, in un momento come
quello? L’imperatore era morto. La legione Felix
poteva già essere in marcia verso Roma. Presto, il suo
rango di Prefetto del Pretorio avrebbe avuto termine, e
con esso la sua vita.
“Allora vieni con me,” esclamò Stephanie
prendendogli la mano. ”Vieni con noi!
A pochi passi di distanza, Ilaria stava seguendo gli
uomini che trasportavano il corpo di Massimo dall’arena
alle stanze del Ludus Magnus…Avrebbe voluto
lasciarseli indietro quel tanto che bastava da non far
loro capire dove stesse andando, ma lei e Stephanie non
erano in condizioni di spostare il corpo da sole.
Finalmente oltrepassarono la porta e lei accennò all’amica:
“Ci seguirà?”
Il Prefetto si accigliò, non comprendendo il
significato delle loro parole. Seguirle dove? Avrebbero
lasciato la città?
“Quintus?” Stephanie lo guardò con aria
interrogativa.
Lui inghiottì, annuendo secco. Non aveva nulla da
perdere seguendo il suo cuore.
“Bene.”
Ilaria lanciò uno sguardo all’amica. La brunetta
non riusciva ancora a fidarsi del Prefetto. Sapeva che
la sua amica stava progettando e non era certa di
approvarlo. Tuttavia non poteva agire diversamente.
“Dì loro di lasciare qui Maximus.”
Quintus parlò velocemente agli uomini che lo avevano
seguito. Ci fu qualche mormorio di disapprovazione ma
infine ubbidirono.
Quando se ne furono andati, Ilaria indicò un
passaggio che il pretoriano non aveva notato prima. Era
mezzo chiuso dai mattoni.
“Svelti!” li incitò la ragazza, usando tutta la
sua forza per sollevare Maximus steso sul pavimento.
Stephanie afferrò l’altra spalla, ma la forma che
giaceva non si mosse finché Quintus non contribuì con
i suoi muscoli.
“Nel passaggio,”ordinò Ilaria.
Sebbene non fosse convinto, il Prefetto ubbidì.
Camminarono per alcuni minuti nella più totale
oscurità e quando finalmente emersero all’aperto, la
luce del sole li avvolse in tutto il suo fulgore.
Quintus strizzò gli occhi e si guardò in torno
disorientato, mentre vicino a lui Stephanie chiese, “Ha
funzionato?”
“Sì!” Gridò Ilaria, staccandosi dal gruppo,
prima di strillare ancora “Aiuto! Per favore qualcuno
ci aiuti!!”
Il Prefetto del Pretorio la seguì con gli occhi
correre lungo un percorso ben definito. Si trovavano in
un luogo piuttosto strano. Le pietre erano sparse sull’erba
accanto a tre esili colonne, certo i resti di un tempio
bellissimo, che un tempo sorgeva ai piedi della collina.
“Dove siamo?” domandò aggrottando la fronte. Non
gli era sembrato che si fossero potuti spingere così
lontano.
Stephanie gli posò la mano sull’avambraccio. Non c’era
niente d’insolito in quel gesto, tuttavia egli sentì
rizzarglisi i peli sul collo.
“Sei a Roma.” Mormorò Stephanie,
e quindi, notando che il suo turbamento non si placava,
aggiunse piano, “1800 anni avanti nel futuro.”
FINE PRIMA PARTE