Parte Prima
I
“Accidenti!” sospirò Ilaria, “Come
odio che non sia stata messa nessuna indicazione su
queste rovine!”Ed indicò la vasta distesa del colle
Palatino, a Roma.
“Sì,” annuì Stephanie,
guardando nella direzione indicata dall’amica. Erano
circondate dai ruderi maestosi dell’antica Roma ma non
avevano la più pallida idea di cosa potevano essere
stati, nei tempi passati, quei marmi, quelle mura e
quelle colonne.
All’improvviso Ilaria gridò
eccitata, “Guarda là!| Credo di aver capito di che
cosa si tratti! E’un ludus, un luogo dove i
gladiatori si allenavano!”
Stephanie seguì l’amica fino ad un
basso recinto di ferro. Davanti a loro, in un piccolo
avvallamento del terreno, c’era un anello di sabbia,
circondato da pietre che ne delimitavano i confini. La
forma ricordava, in scala molto ridotta, quella del
Colosseo. Naturalmente era solo un rudere, ma la sua
destinazione d’uso appariva chiara.
“Su, dai,” disse ancora Ilaria, “Avviciniamoci
a guardare meglio.”
“Pensi che sia una buona idea? Io
non credo che abbiano messo quella ringhiera di ferro
solo per abbellire il paesaggio!” Rispose Stephanie,
scettica.
“Oh, andiamo! Possiamo provare! Se
qualcuno tenterà di fermarci, diremo che non sapevamo
che l’accesso fosse vietato…Potremmo fingere d’essere
entrambe straniere…”
Ilaria iniziò a scavalcare la
recinzione. Esitante, Stephanie la seguì. Quel che
aveva detto la sua amica era vero, il tramonto era già
iniziato e lei voleva godersi ancora un po’ la
bellezza dell’antica Roma.
Le donne scavalcarono la ringhiera
quindi scesero lungo il lieve pendio, per poi
raggiungere il centro dell’arena. Attorno a loro, c’era
un muro che era stato costruito a ridosso della collina.
In un angolo, c’era una piccola galleria. Ilaria
decise di perlustrarla.
“Ilaria, aspetta!” Gridò
Stephanie quando vide l’amica infilarsi nell’apertura,
seguendola poi lungo un corridoio, finché raggiunsero
uno stretto passaggio chiuso da assi di legno.
“Dove pensi che conduca?” chiese
Ilaria, allungando il collo per sbirciare il piccolo
varco tra due assi…Sembrava stretto, ma se si fosse
sforzata…
“Sicuramente da nessuna parte.” L’amica
americana d’Ilaria si guardò alle spalle, preoccupata
per quanto stavano facendo. Si sentiva imbarazzata. Il
rosa e arancione vivaci della gonna, l’arancione della
camicia che indossava non erano adatti per allontanarsi
dai gruppi di turisti…Presto la guida si sarebbe
accorta della sua mancanza e sarebbe venuta a cercarla.
“I muri sono probabilmente quel che resta di un lavoro
di restauro. Andiamo.” Sospirando, la ragazza italiana
cominciò a seguire l’altra donna, finché, un rumore
in fondo al corridoio catturò la sua attenzione.
“Ascolta!” Esclamò, talmente presa da non
accorgersi di aver parlato in italiano. Notando l’espressione
perplessa dell’amica, indicò il fondo della sala. “Hai
sentito? E’ latino! C’è qualcuno dietro quelle
assi.”
“Una ragione in più per andarcene, ed in fretta
anche.” Stephanie aggrottò la fronte, pensando con
preoccupazione al suo orologio d’oro e ai suoi anelli,
“Se ci trovassimo in pericolo, nessuno potrebbe
aiutarci.”
Ilaria sbuffò. “Un ladro che parla in latino? Non
credo proprio…” Cominciò a tastare la parete di
legno, sorridendo quando essa cedette. “Dai, vieni con
me, diamo un’occhiata…”
“Io non so se…Ilaria?” Stephanie alzò gli
occhi giusto in tempo per vedere i capelli scuri dell’amica
sparire nel buio del tunnel. Titubante ma curiosa,
iniziò a seguirla.
La galleria era molto lunga e, più
vi si addentravano, più la voce diventava chiara.
Ilaria aguzzò le orecchie per sentirla meglio. Aveva
studiato latino per sei anni a scuola, ma era passato
molto tempo dall’ultima volta che si era esercitata.…Forse
per questo motivo le parole che udiva le sembravano
prive di senso. Da quello che era in grado di capire, la
voce stava parlando del pasto serale di un gladiatore,
insistendo su come lui dovesse ricevere un supplemento
poiché il giorno dopo avrebbe dovuto combattere contro
un avversario particolarmente robusto. Pasto serale?
Gladiatore? Combattimento? Ilaria era confusa, ma
curiosa…Si voltò a guardare se Stephanie la stesse
sempre seguendo e per poco non andò a sbattere contro
il muro, anzi, contro una porta di legno. Cominciò a
tastare nervosamente la mano contro di essa perché le
voci, ora molto vicine, sembravano provenire da lì
dietro e quella porta era l’unica barriera tra chi
parlava e le ragazze.
“Che cosa dicono?” Stephanie
chiese curiosa.
“Niente che abbia un senso,”
Ilaria scosse la testa, “No, aspetta un attimo! Ho
capito cosa sta succedendo! Ho letto che spesso il
Colosseo è usato per rappresentare opere teatrali d’autori
greci e latini…Forse abbiamo trovato il posto dove gli
attori fanno le prove!”
Stephanie sorrise e, senza dire
altro, le due ragazze spinsero la porta fino ad aprirla.
Quel che videro, le lasciò ad occhi
sbarrati e bocca spalancata. Era il set cinematografico
più incredibile che avessero mai visto: le celle, i
corridoi, i costumi…era tutto talmente realistico che
le due amiche credettero di essere tornate indietro nel
tempo e di ritrovarsi davvero in un carcere romano.
“Andiamo più vicino…”sussurrò
Ilaria.
Stephanie annuì e le due
procedettero strisciando contro il muro. Il pavimento
del passaggio era umido e un greve lezzo di sudore
sembrava permeare l’aria, ma erano troppo curiose per
tornare indietro.
“EHI!!!”
O meglio, qualcuno emise un suono
avrebbe potuto sembrare un “ehi!”. Uno degli uomini
vestiti da guardie aveva notato le ragazze che fecero un
passo indietro quando lo videro muoversi verso di loro.
“Ci dispiace…” Disse svelta l’americana.
L’uomo si accigliò, come se non avesse capito ciò
che lei aveva detto e non gradisse per niente la cosa…
“Stavamo solo passando da queste
parti e ce ne andremo subito.” Continuò Ilaria in
italiano avendo intuito come l’uomo non capisse l’inglese,
ma ciò nonostante, non fu alcuna indicazione che
facesse pensare che egli avesse compreso. Egli continuò
ad avvicinarsi e i suoi passi si fecero più veloci.
Anche senza parole, le sue intenzioni
erano chiare! Stava per catturarle entrambe! Intorno a
loro, gli altri uomini che occupavano il corridoio, e
che dovevano essere altri attori, incatenati assieme per
un polso e per un piede, stavano cominciando a prestare
attenzione. Alcuni di loro spalancarono gli occhi,
emettendo delle grida nello stesso linguaggio
incomprensibile della guardia.
“Attendite!” (State
attente)
Entrambe le ragazze fuggirono lungo
il corridoio, ma Ilaria esitò per una frazione di
secondo di troppo. La rozza mano della guardia afferrò
bruscamente lo scollo della sua maglia e la spinse sul
pavimento, facendole picchiare le ginocchia contro la
dura pietra. “Vattene!” Gridò all’amica,“Cerca
aiuto.” Stephanie annuì e, sottraendosi a stento alla
cattura, si affrettò a scappare via lungo il corridoio.
*
Ilaria guardò con trepidazione l’amica che
fuggiva. Non aveva la certezza di quel che sarebbe
accaduto. Tuttavia sospettava che, al contrario di
quanto avesse in un primo tempo pensato, quelli non
fossero attori. Ancora non capiva perché parlassero in
latino, ma quella divenne l’ultima delle sue
preoccupazioni allorché la ruvida mano della guardia le
accarezzò la schiena, il fianco e la coscia in maniera
volgare. “Bene, lupacchiotta…” La mente della
ragazza lavorò freneticamente per tradurre quelle
parole, e lei tremò quando rammentò il doppio senso
che quelle parole avevano in latino. “Come hai fatto
ad arrivare qui dentro…E che strani vestiti indossi…”
La mano corse con fare possessivo lungo i suoi pantaloni
e lei gemette, sorpresa e allarmata.
“Lasciala andare.”
Per la prima volta, Ilaria notò che gli uomini in
catene, per quanto svantaggiati dalla loro condizione,
erano molto più numerosi rispetto a chi l’aveva
attaccata. La guardia si mosse un poco, chiaramente
innervosita dal tono di minaccia presente nella voce
dell’uomo che gli si era rivolto.
“No,” rispose, timidamente, ma la sua presa si
allentò un poco. “Qualcuna delle tue ammiratrici,
Generale?”
L’uomo a cui si era rivolto non rispose,
limitandosi a fissare il carceriere con un’espressione
di sfida.
Ilaria osservò la guardia impallidire quindi,
finalmente, lasciarla libera. Solo allora dedicò la sua
attenzione al suo ‘salvatore’.
Malgrado gli indumenti grossolani e le catene
indicassero un chiaro stato d’inferiorità, non c’era
niente nell’atteggiamento di quell’uomo che facesse
pensare alla sottomissione. La sua postura era eretta,
il suo sguardo fiero e i suoi lineamenti così
orgogliosamente belli che Ilaria si sentì arrossire d’imbarazzo
trovandosi alla sua presenza. Che cosa intendeva dire la
guardia? Una sua ammiratrice? Evidentemente, l’uomo
era un attore ed ora pensava che lei avesse fatto
irruzione sul set per incontrarlo…Le orecchie di
Ilaria bruciavano per la vergogna e lei non osò
incrociare lo sguardo con quello di lui.
“Che cosa è questa ressa?” Una
voce tuonò dal fondo del corridoio e lo sguardo di
tutti i presenti si fermò su di un uomo dalla barba
grigia e l’aria minacciosa che si stava avvicinando a
lunghi passi.
*
Stephanie si affrettò lungo i bui corridoi, correndo
col fiato grosso, urtando le gambe contro una pila di
casse che non ricordava di aver notato quando erano
entrate nella galleria. Sembrava che fosse passato tanto
tempo da quel momento! Malgrado fosse abituata a
correre, sentiva i polmoni che le bruciavano.
Sicuramente era andata lontano…Eppure dov’era l’entrata
chiusa dalle assi di legno?
Alla fine, Stephanie vide un pallido balenio di luce
e si affrettò in quella direzione, socchiudendo gli
occhi mentre essi si abituavano alla luce brillante. Era
così disorientata che non notò il cavaliere sbucare
dall’angolo. L’uomo riuscì a malapena a fermare il
cavallo e l’animale reagì impennandosi allo strappo
delle redini. Il cavaliere si aggrappò al collo della
bestia per evitare di cadere e quando questa si calmò,
si guardò attorno per cercare la persona che aveva
causato tutto quel putiferio.
Stephanie guardò il maestoso soldato che le stava di
fronte. Era imponente, tutto vestito di nero e porpora e
con un elmo piumato sulla testa. Lo stava ancora
guardando con aria ebete quando l’uomo smontò di
sella e si diresse verso di lei. Stava brontolando in
tono irritato. Quel suono riportò bruscamente Stephanie
alla realtà e lei provò a scusarsi per l’incidente,
ma la sua conoscenza dell’italiano, pazientemente
appreso studiando con impegno sui libri, sembrava
svanita nel nulla. Resistendo a malapena al desiderio di
contorcersi dall’imbarazzo, chinò la testa in quel
gesto che esprimeva un universale “Sì, hai ragione,
mi vergogno, non lo farò più” e quasi sobbalzò
dallo spavento quando sentì una mano sul braccio. Alzò
lo sguardo e si ritrovò a guardare due occhi azzurri
che la fissavano spietati.
II
Maximus distolse un attimo l’attenzione dalla
prostituta e guardò Proximo. Avrebbe preferito che il lanista
non si trovasse lì. Adesso sarebbero stati guai per la
ragazza. Proximo sorvegliava i suoi gladiatori da vicino
e trovava insensato che, prima della gara, sprecassero
stupidamente le loro migliori energie. Di sicuro avrebbe
pensato che la giovane lupa fosse un “regalino”
da parte di un lanista rivale, fattogli
recapitare in modo che i suoi uomini migliori si
ritrovassero troppo stanchi per vincere i combattimenti
a cui erano destinati il giorno seguente.
“Che cosa significa tutto questo?” Brontolò l’uomo
anziano e corpulento e i muri lì attorno sembrarono
vibrare a causa della sua rabbia.
Maximus vide la ragazza tremante. Indossava le
brache, come un uomo (nessun dubbio che si fosse
conciata in quel modo per poter entrare più facilmente
lì dentro) e lo strano abbigliamento la rendeva ancor
più fragile e indifesa.
“E questa chi è?” Il lanista scattò,
dopo aver messo il dito sotto il mento della ragazza,
osservandola con aria di sufficienza. “Chi ti ha
mandata qui?”
La giovane non rispose e Maximus percepì l’ira
crescente del vecchio. Alla sua maniera, era un uomo
retto, anche se il suo senso di giustizia era del tutto
particolare e non voleva rischiare di mandare a monte i
suoi “investimenti”.
“Bene. Non vuoi parlare. Forse abbiamo il sistema
per farti sputare il rospo. Drusus!”
La ragazza emise un gemito d’orrore e lo stesso
Maximus sentì il proprio cuore mancare un battito
guardando l’espressione malevola stampata sulla faccia
del padrone. Proximo non si trovava nelle migliori
condizioni di spirito…Chiaramente, quella non era
stata la sua unica vessazione. Qualcosa l’aveva già
irritato prima che mettesse piede lì dentro…e non era
giusto che quella povera, ansiosa ragazza ne subisse le
conseguenze.
“Sono io che l’ho fatta chiamare.” Disse
Maximus con fermezza, facendo un passo avanti.
La sorpresa sulla faccia dell’uomo più anziano
divenne evidente.
“Che?!”
“Mi hai sentito.”
Maximus evitò d’incrociare lo
sguardo del lanista. Sapeva anche troppo bene
quello che l’altro stava pensando…Che c’era sotto
qualcosa che lui non riusciva ad afferrare. Aveva
spedito troppe graziose ragazze, e anche qualche bel
giovinetto, nella cella del suo combattente e solo per
vederli cacciati via in malo modo per permettergli ora
di accettare senza pensarci il conforto di una donna.
Ci fu un attimo di silenzio. Quella
bugia sarebbe stata creduta?
I due uomini sembrarono misurarsi l’un
l’altro per un istante. Proximo guardò attentamente
la ragazza, quindi Maximus. Poteva essere vero. Lei non
somigliava alle altre donne che si recavano a chiedere e
ad offrire favori al generale. C’era qualcosa d’insolito,
nei suoi modi…un senso di fiducia in se stessa di
solito perduto dalla maggioranza delle sue colleghe. A
dire il vero, avrebbe dovuto sentirsi sollevato.. L’atteggiamento
ombroso del suo miglior gladiatore rischiava di
pregiudicargli gli affari.
La decisione fu presa. Con un
grugnito, Proximo indicò a Drusus che la ragazza poteva
rimanere. Quindi diede indicazioni affinché a Maximus
fossero tolte le catene. “La stanza ad est,”
borbottò piano. Quindi, sentendo il brusio degli altri
uomini, biascicò severamente, “E che nessuno di
voialtri bastardi provochi altri guai.” Quindi se ne
andò, ancora accigliato.
*
“Chi sei?” Abbaiò nuovamente Quintus Aemilius
Laetus, Prefetto del Pretorio, alla giovane donna che
gli stava di fronte. E ancora una volta ricevette in
risposta solo un confuso balbettio. Delle due l’una: o
la ragazza non aveva capito ciò che le aveva detto, o
era completamente idiota. Egli optò per la prima
ipotesi. Gli occhi della donna erano pieni d’intelligenza…E
di qualcos’altro: paura? Quintus piegò la testa di
lato e la guardò meglio. Sì, doveva trattarsi di paura…Ma
paura di che cosa? Di lui? Non aveva l’aria di una
schiava fuggiasca che temesse di essere riacciuffata…Vestiva
troppo bene per essere una serva, anche presso una
famiglia ricca. Il Prefetto aggrottò la fronte e la
osservò meglio. “Sembra completamente fuori posto,”
pensò. Certo, era proprio così. Doveva trattarsi di
una straniera, decise. Di una gentildonna del Nord.
Provò a dirle un paio di parole nel dialetto germanico
che aveva appreso negli anni in cui prestava servizio
lungo la frontiera, ma anche questa volta lei non diede
segno d’averlo capito. Forse veniva dalla Britannia?
Beh, certamente non poteva lasciarla lì tutta sola.
Stava scendendo il buio, e poteva essere pericoloso, per
una ragazza sola. Con un sospiro, il Prefetto decise di
condurla a casa propria e di ospitarla fino al mattino
successivo. Il giorno dopo, avrebbe incaricato i suoi
uomini di indagare se per caso ci fossero in città
mercanti britanni e se qualcuno di loro avesse perso una
figlia…o forse una moglie? I suoi occhi le percorsero
le mani sottili, ed un sospiro di sollievo uscì dalle
sue labbra quando vide che non portava alcun anello
nuziale. “E adesso, che mi succede?” Si rimproverò
Quintus. Nemmeno la conosceva! E con un altro, lungo,
sospiro, l’uomo si voltò e le indicò di avvicinarsi
al suo cavallo.
*
Ilaria non era riuscita a cogliere che frammenti
della conversazione fra i due uomini, ma si era resa
conto che il pericolo, o almeno quello immediato, era
passato. La scorbutica guardia la stava accompagnando
lungo un altro passaggio e l’uomo che chiamavano
Generale (uno strano soprannome per uno che tutto
sembrava fuorché quello) li precedeva camminando a
passo agile.
Fu condotta in uno stretto cubicolo, simile ad una
cella. Era identico a quelli che aveva visto lungo il
tragitto, con la differenza che la porta era in legno e
non formata da sbarre di ferro arrugginite. Camminò
fino ad un pagliericcio che si trovava in un angolo,
domandandosi che cosa sarebbe successo. Sentì la porta
richiudersi, seguito dal cigolio di una chiave che
girava nella serratura e il suo battito cardiaco
aumentò quando si rese conto di essere in trappola.
“Chi sei?”
Queste parole furono pronunciate lentamente, perché
lei potesse capirle.
“Ilaria,” rispose pacatamente. Provò ad
individuare la sagoma del suo compagno, alla luce che
filtrava dall’alta finestre. “Perché stai parlando
in latino?”
L’uomo la guardò perplesso, quindi aggrottò la
fronte. “Non scherzare. Sei fortunata ad essere ancora
viva.” Avanzò, protendendosi verso di lei. Per un
istante, durante il quale pensò che il suo cuore stesse
per fermarsi, Ilaria credette che l’uomo stesse per
afferrarla e baciarla; invece si limitò ad accarezzarle
il collo con le dita, facendole correre sulla maglia
sottile del girocollo d’oro che lei portava sempre.
Lui emise un brontolio che avrebbe potuto essere segno
di curiosità o disgusto. “La figlia di un senatore,”
mormorò, “Tuo padre sa dove sei andata?’”
“A Roma? Certamente! Gli ho detto che io e
Stephanie…”
“Stephanie?”
“La mia amica, l’altra ragazza.”
“Ah.”
“Sapeva che sarei venuta a Roma…ma
io devo rientrare domani! Devo assolutamente andarmene
da qui!”
III
Stephanie afferrò la criniera del cavallo come se
tutta la sua vita dipendesse da quello. Non era certo
abituata a cavalcare seduta tra le gambe di un antico
romano! Perché quello era un antico romano. La
strabiliante deduzione nasceva dal paesaggio che poteva
vedere tutto attorno a lei: niente più auto,
costruzioni moderne, rovine. Solo bellissimi templi
marmorei, basiliche e monumenti Alla sua sinistra,
poteva vedere il maestoso Colosseo ancora integro, con
le sue coperture di marmo e di travertino che
scintillavano alla luce arancione del sole. Cosa era
successo? Era solo un sogno? Non lo sapeva e non gliene
importava, per il momento. Era troppo sconvolta da tutto
ciò che era accaduto…e dalla strana attrazione che
provava per quel soldato. Stephanie arrossì all’idea.
Il soldato spostò il suo peso allorché il cavallo
imboccò un via in leggera salita, e ciò richiamò l’attenzione
della ragazza americana. Si erano allontanati dal Foro e
si stavano dirigendo verso una zona residenziale dove
sorgevano diverse ville.
Il cavallo si fermò davanti ad un largo portone che
fu aperto ad un segnale. Due uomini si inchinarono
profondamente di fronte al cavaliere e gli dissero, “Bentornato
a casa, domine.”
Il cavallo si mosse ancora e varcò il cancello che
fu subito rinchiuso alle spalle sue e di coloro che gli
sedevano in groppa.
E per la prima volta, Stephanie si rese conto di
essere prigioniera.
*
Maximus percepì come la ragazza fosse sull’orlo di
una crisi isterica, anche se non ne capiva la causa.
Dubitava che il padre di lei sapesse dove l’avevano
condotta i suoi passi e chiunque avesse mandato ad
accompagnarla (sicuramente era venuta con qualcun altro,
oltre alla schiavetta ebrea a cui aveva fatto
riferimento), di certo stava cominciando ad agitarsi per
la preoccupazione.
“E dove avresti bisogno di andare?” domandò lui
con calma.
“G…Genova…Genua,” rispose lei piano, in
italiano, quindi in latino.
Maximus aggrottò la fronte. Se era attesa per l’indomani,
era in già in ritardo. Genua distava da Roma due giorni
a cavallo e ancora più tempo per le signore che
viaggiavano sui carri. Doveva essere stata trattenuta.
Il suo strano abbigliamento colpiva l’attenzione e
di certo i suoi guai erano iniziati ben prima di cadere
nelle mani di Proximo.
“Sta calma,” le sussurrò carezzandole
distrattamente i capelli. Non aveva idea di quanti anni
potesse avere. La pelle liscia e compatta e i denti
bianchi erano quelli di una ragazzina sotto ai vent’anni,
ma la sua determinazione e l’abilità nello spostarsi
da una città all’altra senza la compagnia di suo
padre, facevano pensare ad una donna molto più grande.
Doveva essere una giovane vedova. Una patrizia. Ma se
era sposata, perché portava ancora la bulla?*
Davvero strano.
Maximus fece mente locale per cercare di ricordare se
conosceva qualcuno a Genua. Tutt’al più si era
trattato di conoscenze superficiali. Lui non era un
Italico e in verità non aveva mai viaggiato per la
penisola prima che di esservi condotto in catene.
Conosceva pochissimi autentici romani e nessuno che si
fosse trasferito con le famiglie in città lontane. “Conoscevo
un Caius Illarius…” disse, speranzoso “E’ forse…”
“Non Illarius. Ilaria… Non sono nello spettacolo!
Voglio solo tornarmene a casa!”
“Spettacolo?” Maximus sentì che la testa gli
martellava. Dedicarsi al teatro era considerato
scandaloso per i membri della nobiltà, ma ciò
nonostante, non era infrequente il caso di giovani di
buona famiglia che gettavano nel vento il loro buon nome
per poter recitare. Una spiegazione cominciò a
delinearsi nella sua mente: la ragazza era venuta a Roma
con una governante (quella Stephanie di cui parlava?) a
trovare la famiglia o gli amici. Ammaliata dal teatro,
aveva partecipato ad alcune audizioni ed era stata
ingaggiata per qualcuno degli spettacoli organizzati per
fare da contorno ai giochi… L’attenzione di Maximus
fu attratta da qualcosa di liquido che gli inumidiva il
braccio…La ragazza stava piangendo, nonostante
cercasse di nasconderlo. Era stanca e la pallida luce
che filtrava attraverso le inferriate alle finestre
stava cominciando ad attenuarsi. Il gladiatore le
scostò i capelli dalla fronte, sorridendole gentilmente
per farle capire che non considerava le sue lacrime un
segno di debolezza. “Shh…Andrà tutto bene. Ti
aiuterò.” Spostò un poco il peso del suo corpo in
modo da tenerla tra le sue braccia. E restò sorpreso da
quanto piacevole fosse. Era passato così tanto tempo…
“Shh…” Sussurrò ancora, tentando di dimenticare i
pensieri tristi. “Puoi restare qui, stanotte. Prometto
che sarai al sicuro. Domani troveremo il modo di farti
uscire e di farti tornare a casa.”
“Ma devo prendere il treno!” Ilaria non cercò
nemmeno di rendere il concetto in latino.
“Il treno?”
“O l’aereo…” Perché all’improvviso,
si sentiva così stanca? Era come se non dormisse da
giorni…
“Aereo.”
“Sì, io…” la ragazza sbadigliò, distratta dal
ritmo confortante e regolare del cuore del suo salvatore
…di certo non c’era nulla di male a fare un
sonnellino e in qualche modo sapeva che avrebbe fatto
dei bei sogni!
* Ciondolo “portafortuna” che veniva messo al
collo di tutti i bambini nati liberi e che veniva tolto
solo con il matrimonio (ragazze) o con l’acquisizione
della toga virile (ragazzi).
*
Nella villa sulla collina Stephanie stava fissando a
bocca aperta la magnifica stanza in cui si trovava:
pavimenti di marmo rosa, pareti affrescate, una fontana
zampillante al centro…Proprio il modo in cui si era
sempre raffigurata una villa romana. Era stupefacente.
Sentì una presenza accanto a sé e, voltando la testa,
si accorse che si trattava del suo "rapitore".
Si era tolto l’elmo, rendendo visibili i capelli
chiari, gli zigomi forti e una profonda cicatrice che
gli deturpava la fronte. Non era quel che comunemente si
definirebbe un bell’uomo, ma Stephanie lo trovò più
che passabile.
“Attenta a te!” esclamòuna vocina dentro di lei,
“Tu sei finita nell’Antica Roma, conosci poco il
latino e non sai che fine ha fatto Ilaria…Non è il
momento di lasciarsi andare a svenevoli fantasticherie!”
Quintus osservò la sua ospite, notando la meraviglia
che provava osservando la sua casa.
La villa dei Laeti era quanto di più prezioso
possedesse e l’ammirazione della giovane britanna lo
riempì d’orgoglio. La guardò e, alla luce delle
lanterne, notò che i suoi vestiti, per quanto strani,
erano di buona qualità. Inoltre portava parecchi
gioielli d’oro con la disinvoltura di una donna nata
per adornarsene. Senz’altro era ricca, ma com’era
possibile che una signora viaggiasse tutta sola e per
giunta senza conoscere una parola di latino? Quintus
scosse la testa e, sentendo su di sé lo sguardo di lei,
provò a parlarle.
“Il mio nome è Quintus Aemilius Laetus.”
Stephanie sorrise, capendo finalmente il significato
del termine “nomen” che era simile alla parola
italiana “nome” e all’inglese “name”. Si
sfiorò il petto e disse, “Stephanie.”
Egli annuì compiaciuto e la invitò a seguirlo.
Quintus condusse Stephanie in quella che sembrava una
biblioteca o uno studio e la invitò ad accomodarsi su
una delle sedie, quindi fece altrettanto. Fatto questo,
incrociò le braccia sul petto e disse, scandendo bene
le parole, “Che cosa stai facendo a Roma?”
Stephanie scosse la testa e si guardò intorno. Dalla
sua conoscenza di italiano, francese e latino, che aveva
studiato per prepararsi alla professione d’avvocato,
aveva più o meno intuito il significato di quella
frase. Il problema era come rispondere…Se solo fosse
stata in grado di trovare il modo di scriverlo…Usare
il suo computer palmare era fuori discussione, ma avendo
un pezzo di carta…Quasi le leggesse nella mente,
Quintus prese un rotolo di papiro e glielo porse.
Stephanie lo ringraziò con un sorriso smagliante che
fece correre il cuore del soldato, prese una penna dalla
borsetta e scrisse, “La sto visitando con un’amica”.
Le parole erano un misto d’italiano, francese e
latino.
Quintus prese il papiro e lo studiò. Il linguaggio
era molto rozzo, infarcito di barbarismi, ma il
significato era chiaro.
“E dov’è la tua amica?” scrisse lui per
risposta.
“Non lo so. L’ho persa vicino al Colosseo…Siamo
entrate per sbaglio nella scuola dei gladiatori.” La
frase era più complicata di quanto non lo fosse stata
la prima e Stephanie sperò che Quintus riuscisse a
capirla. Lo guardò accigliarsi, quindi sorriderle.
“E’ tardi. Domani andremo a cercarla. Per questa
notte potrai restare qui, se ti farà piacere, mia
signora.” Il Prefetto non capiva perché fosse così
ansioso che lei accettasse la sua ospitalità. Di certo,
la ragazza era bella: capelli rossi, scostati dalla
fronte con uno strano nastro, carnagione lattea, occhi
grigi e luminosi, ma lui poteva avere tutte le donne che
voleva. No, in quella c’era un che di diverso…Una
disinvoltura che non aveva mai visto nelle altre
matrone. Ne era affascinato. E avrebbe voluto passare
molto tempo con lei, per conoscerla meglio e lasciare un
po’ da parte i problemi della sua esistenza. Maximus,
Commodo, i pretoriani…Voleva dimenticarsene, almeno
per un po’.
Stephanie lesse il messaggio e annuì. Aveva ragione,
era tardi per andare a cercare la sua amica. Il sole era
tramontato e il buio avrebbe reso impossibile
individuare il luogo dove aveva visto Ilaria per l’ultima
volta. Sperava solo che fosse al sicuro come lei…Sì,
perché lei si sentiva al sicuro, c’era in Quintus
qualcosa che la faceva sentire a casa propria.
“Grazie della tua ospitalità, signore.” scrisse,
ma Quintus intuì la sua risposta prima ancora di
leggerla.
Sorrise e le tese una mano per aiutarla ad alzarsi.
Stephanie la prese e una corrente elettrica
attraversò entrambi. Si guardarono sorpresi, ma nessuno
dei due osò parlare per non interrompere il contatto
dei corpi che li faceva sentire così bene.
IV
Quando Ilaria si svegliò, era ancora buio. Per un
attimo, pensò di trovarsi nell’appartamento di
Stephanie, in via Gatti, ma gli strani rumori e odori
che sentiva le ben presto quell’illusione.
“Dove sono?” gridò, intravedendo, grazie alla
luce fioca che penetrava dall’esterno, una figura
umana che si muoveva verso di lei.
“Va tutto bene. Sei ancora alla scuola.”
“Alla scuola?”
“Sì, quelle dei gladiatori…Non ti ricordi?”
Ilaria scosse la testa, lottando per ricacciare
indietro le lacrime che cominciavano nuovamente a
scenderle dagli occhi. Era decisa a non piangere più.
Non era nel suo carattere e oltretutto sentiva c’era
qualcosa in quello sconosciuto che la faceva sentire al
sicuro.
“Chi sei?”gli domandò infine.
L’uomo la guardò tristemente. ”Un Ispanico,”
rispose dopo una lunga pausa, non volendo rivelarle il
suo vero nome, sollevato che lei non fosse al corrente
dei pettegolezzi che circolavano a proposito di Maximus
Decimus Meridius, il generale divenuto gladiatore.
“Quello non è un nome.”
“Basta e avanza. L’uomo che ero…” La voce gli
si spense e Ilaria poté notare come i suoi pensieri
fossero lontani dai muri di pietra che lo circondavano.
Restò un attimo in silenzio, prima di concentrarsi di
nuovo sulla ragazza, “Tu vieni dalla Gallia.” le
disse infine.
Gallia? Che definizione ridicola. Certamente era un
ottimo attore, la sua era la faccia di chi credeva sul
serio a ciò che diceva…Un brivido freddo corse giù
per la schiena di Ilaria, quando l’ultimo tassello del
puzzle trovò la sua collocazione. Tutto ciò che aveva
pensato dell’uomo e dei suoi compagni, che fingevano
di essere nell’antica Roma, come parte di uno
spettacolo legato al restauro del Colosseo non era vero…o
meglio, lo era anche troppo… Ma era possibile?
“Perché dici questo?” domandò esitante,
sperando di ottenere informazioni tali da riportarla ad
una conclusione più logica e verosimile dell’idea che
le stava passando per la testa in quel momento.
“Le tue parole…L’accento…E’ come se tu non
fossi nativa di Roma. Tu non sei originaria di Genova,
vero?”
Sicuro. Aveva parlato in italiano senza nemmeno
accorgersene. Lui doveva aver riconosciuto l’imbastardimento
del latino e dedotto che lei provenisse dalle province.
Lei arrossì. “Esatto,” mentì.
L’uomo annuì, soddisfatto del
chiarimento. Malgrado cercasse di sorridere amabilmente,
il cuore di Ilaria batteva forte. Se era davvero finita
nell’antica Roma, che ne sarebbe stato di lei? Grazie
al cielo conosceva il latino abbastanza da cavarsela, ma
come avrebbe fatto a mangiare? Dove sarebbe andata? E
come avrebbe fatto a tornare a casa?
“La colazione!”
Ilaria e l’Ispanico voltarono di scatto la testa al
suono di una chiave che girava nella serratura. La porta
della cella si aprì ed un piccolo involto contenente
due tozzi di pane raffermo spalmati con qualche crema
furono gettati con indifferenza sul pavimento. Quasi
come dessert, una lucida mela fu quindi offerta al
gladiatore.
“Bada a recuperare le tue forze.” La guardia fece
una smorfia, “Domani si combatte.”
L’Ispanico annuì stancamente.
La porta si chiuse.
“Dobbiamo pensare ad un piano.” Il gladiatore
disse, allorché furono di nuovo soli, guardandosi
riflesso sulla buccia lucida della mela. “Non ti
permetteranno di rimanere qui ancora per molto. Devo
allenarmi.”
“Per il combattimento?” Ilaria provò un forte
senso di smarrimento quando vide l’uomo annuire
solennemente. Certo, sapeva dei grandi ludi gladiatori
solo per averlo letto, ma erano storie abbastanza
truculente da impressionarla. Tuttavia qualcosa non
quadrava. Quell’uomo le sembrava così gentile e
cortese. Possibile che fosse un brutale assassino?
“Contro chi devi combattere?”
Il suo compagno scosse le spalle. “Non lo so. Non
ha importanza…” Un sospiro amaro. “Commodo non si
fermerà finché non sarò morto.”
Ilaria si stupì. “L’imperatore?” Fino a quel
momento non si era domandata in quale periodo storico
fosse capitata. L’informazione era importante. Nell’antica
Roma, una parola imprudente d’elogio o di biasimo nei
riguardi dell’imperatore sbagliato poteva costare la
vita. Poteva solo sperare che il regno del folle sovrano
fosse vicino alla fine…O che le sue azioni fossero
ancora mitigate dall’associazione al comando con suo
padre, Marco Aurelio.
“Com’è possibile?” disse quasi senza
riflettere, “Voglio dire, lui è l’imperatore,
mentre tu sei solo…” La voce le si spense.
“Uno schiavo?”
Ilaria chinò il capo. Non aveva intenzione d’insultarlo.
Ancora una volta, la curiosità era stata più forte di
lei.
“Non sono stato sempre uno schiavo.”
No. Certo che no. Quello era evidente in ogni suo
gesto.
“E allora che cosa…”
Non fece in tempo a finire la frase che la pesante
porta si aprì nuovamente e il vecchio, l’impresario
dei gladiatori visto la sera precedente, apparve sulla
soglia.
“Generale. Spero che tu abbia "dormito"
bene.”
Il gladiatore non fece alcun segno d’assenso.
“In quanto a te,” e Proximo indicò Ilaria con la
punta della scarpa, “fuori di qui. Ci penserà la
guardia a pagarti il dovuto.”
La giovane italiana provò un attimo di panico.
Andare? Era felice di aver ritrovato la libertà, ma che
cosa avrebbe fatto, adesso?
“Trovati vicino ai cancelli al tramonto,” le
bisbigliò l’Ispanico, “Lungo la parete occidentale.
Proverò ad aiutarti.”
Ilaria fece appena in tempo ad annuire prima che due
rozze mani la prendessero per le spalle e la
trascinassero via.
*
Stephanie fu svegliata da un raggio di sole filtrato
attraverso la finestra socchiusa. Senza aprire gli occhi
borbottò, “Ilaria, spegni la luce? Ho ancora sonno…”
Si trattava della sua consueta protesta mattutina, ma
questa volta non ottenne risposta dall’amica. Aprendo
gli occhi, Stephanie chiamò, “Ilaria?” Silenzio.
Svegliandosi finalmente del tutto, si sedette sul letto
e si guardò intorno. Non era nel suo appartamento o in
una camera d’albergo, ma in una stanza da letto
splendidamente arredata che non riconobbe. In un attimo
gli eventi del giorno precedente le tornarono alla
memoria: lei e Ilaria che visitando le rovine del Colle
Palatino, l’esplorazione del tunnel misterioso, il
carcere, la sua fuga, l’incontro con Quintus….Un
lento sorriso le si disegnò sulle labbra al pensiero di
chi la ospitava. Le sembrava l’uomo più cortese che
avesse mai conosciuto. Andò indietro col pensiero alla
cena che avevano consumato insieme la sera prima. Era
stata deliziosa (soprattutto per merito del suo
compagno) e aveva mangiato parecchio, dimenticandosi
perfino di fare la schizzinosa riguardo al cibo.
Ripensò anche alla loro “conversazione” avvenuta
tramite lo scambio di bigliettini. Il soldato le aveva
posto diverse domande sulla sua famiglia, a cui lei
aveva risposto facendo in modo da non tradirsi rivelando
che proveniva dal futuro, ed in cambio lui le aveva
raccontato di se stesso. Così lei aveva appreso che non
era sposato e che aveva quattro fratelli. Sentiva come
fosse attratto da lei e altrettanto lei da lui ma,
essendo un gentiluomo, da quando lei era entrata in
quella casa, non si era spinto oltre lo sfiorarle un
gomito. E Stephanie apprezzò questo: non sopportava i
tipi della serie “ho in mente qualcosa e non è di
certo fare quattro chiacchiere con te”, perciò le
cortesie all’antica di Quintus, come inchinarsi di
fronte a lei o farle il baciamano per augurarle la
buonanotte, erano benvenute.
Un leggero bussare la riportò alla realtà, “Sì?”disse
in italiano.
La porta si aprì e apparve una ragazza, “Ho un
messaggio del padrone per te, mia signora.”
“Oh?” Stephanie chiese alla ragazza di
avvicinarsi e questa, inchinandosi, le porse un foglio
di papiro piegato, che lei aprì.
“Mia signora Stephanie, sono stato chiamato a
palazzo. L’Imperatore ha bisogno di me. Non so per
quanto tempo starò fuori, ma ti garantisco che farò di
tutto per mantenere la mia promessa: ti aiuterò a
ritrovare la tua amica. Nel frattempo, sarei onorato se
tu restassi mia ospite. La mia casa e i miei servi sono
a tua completa disposizione. Mi sono preso la libertà
di farti portare dei vestiti, perché tu possa cambiarti
e indossare qualcosa di più adeguato al tuo rango.
Spero ti piacciano. Con devozione. Quintus Aemilius
Laetus.
Stephanie rilesse la lettera un paio di volte per
essere sicura di non sbagliarsi. Quintus aveva cercato
di scrivere in maniera più semplice possibile, ma aveva
a che fare con una persona che di latino ne capiva
davvero poco. Dopo pochi minuti, Stephanie alzò gli
occhi dalla lettera per posarli sulla giovane serva.
“Desideri fare colazione, domina? O
preferisci un bagno?”
“Un bagno, per favore…E dopo la colazione.”
La giovane annuì e se ne andò, lasciando Stephanie
a meditare sulla sua situazione. Le piaceva l’idea di
trascorrere un’altra giornata nella villa (le belle
case le erano sempre piaciute e quella era davvero
spettacolare) ma d’altro canto era preoccupata per
Ilaria…Dove si trovava?Che faceva? Era sana e salva?
V
Gli istanti successivi trascorsero così veloci che
Ilaria riuscì a stento a capire cosa le stesse
accadendo. In un primo momento, si era vista sbattere
fuori dal tunnel che portava alla scuola dei gladiatori.
In seguito, aveva sentito il peso freddo delle monete
che le erano state messe in mano e infine si era
ritrovata all’aperta, mezza accecata dalla luce del
sole.
“E adesso, gira alla larga da qui!” aveva gridato
una voce rauca, prima che la porta si richiudesse alle
sue spalle.
Si fermò un attimo, cercando di fare mente locale.
Adesso che gli occhi si erano abituati alla luce, il
sole era meno fastidioso. Notò la direzione in cui era
sorto in alto nel cielo, quindi come sembrava girare
intorno alla costruzione, perciò dedusse che quello
doveva essere il muro occidentale.
Non aveva alcuna, reale ragione di fidarsi dell’Ispanico,
se non quella che lui non le aveva fatto del male, ma
era l’unica persona, in quel luogo così strano che
fosse stata gentile con lei e non voleva rischiare di
perderlo. Le aveva detto di tornare al tramonto, e lei
avrebbe obbedito. Facendo attenzione a memorizzare l’ubicazione
del luogo, cominciò camminare, allontanandosi.
Fortunatamente, lo studio della Storia le aveva fornito
un’adeguata conoscenza della pianta della città.
Sapeva che la scuola dei gladiatori era adiacente al
Colosseo, che confinava con il Foro. Questo era il
centro, geografico e spirituale, di tutta la città.
Negli ampi spazi aperti, la vita della metropoli pulsava
frenetica. Con attenzione, Ilaria attraversò la
confusione del primo mattino e si diresse verso quello
che doveva essere il limite della piazza del mercato.
La prima cosa da fare, era procurarsi dei vestiti
nuovi. Non aveva idea dell’ammontare del denaro con
cui l’avevano pagata per i suoi “servizi”, ma
sperò che fosse abbastanza. Diversamente, se i soldi
non fossero bastati, avrebbe provato ad offrire in
cambio qualcuno dei suoi gioielli. Non le serviva niente
di particolarmente elegante, meglio evitare di attirare
l’attenzione, cosa che, tra l’altro, non le era mai
piaciuta. Si avvicinò ad una bancarella, palpeggiò un
paio di tuniche che una vecchia sdentata aveva messo in
vendita. AD Ilaria sembrava roba usata. Alcune erano
tinte, altre sembravano in cattivo stato. Beh, potevano
andare. Ne scelse una marrone chiaro e se la drappeggiò
sui fianchi. Non era del tutto sicura di come andasse
indossata.
“Cerchi qualcosa di speciale?” La vecchia era
sospettosa. Perché quella cliente era strana e si
guardava intorno con fare ambiguo.
“Io.. ehm…sì…Quanto costa?” Ilaria
gesticolò in direzione della veste e intanto si sentiva
sudare la fronte per la paura di farsi scoprire.
“10 assi.” Ilaria annuì. Benissimo. Ma a quanto
ammontavano i soldi che aveva? Ignorava completamente il
valore dei quattrini che aveva in tasca. Contrariamente
a quelle moderne, che avevano impresso sopra il loro
valore, quelle monete non recavano nulla stampato sul
metallo. Per lei, forestiera, altro non erano se non
pezzi rotondeggianti di bronzo o rame con dei profili
stampigliati sulle loro facce. Volle rischiare. Si
frugò in tasca, trovò le monete. Ne scelse una e la
tirò fuori.
La mano della donna restò distesa.
Un’altra moneta.
Un’altra ancora.
Infine, la vecchia annuì. “Grazie. Ti serve dell’altro?
Delle calzature, una cintura?”
Ilaria era felice di aver indossato i sandali prima
che la sua avventura avesse inizio. Certamente, nell’antica
Roma sarebbero stati considerati tutt’altro che
eleganti: massicci, con grosse cinghie e suole spesse,
ma almeno non sembravano troppo fuori posto. Potevano
anche andare. Come poteva andare la cintura dei suoi
pantaloni. Adesso, tutto quello di cui aveva bisogno era
un posto per potersi cambiare. Nascondendosi dietro un
angolo e facendo ben attenzione a non essere vista, s’infilò
la tunica con un solo, rapido movimento quindi si tolse
maglietta e pantaloni da sotto. Li avvolse in un piccolo
pacco che si mise sotto il braccio dopo essersi
allacciata in vita la cintura.
Non c’era uno specchio, questo no, ma era certa di
essersi sistemata decentemente. Gli altri romani,
infatti non la fissavano più come prima mentre
vagabondava per strada.
Il prossimo compito era cercare qualcosa da mangiare.
Usando lo stesso sistema di cui si era servita per
comprare la tunica (mostrare le monete finché il
venditore non sembrava soddisfatto) Ilaria acquistò una
pagnotta e della frutta. La rabbia di essere stata
scambiata per una prostituta si era attenuata, grazie al
gruzzolo che l’equivoco le aveva consentito di
procurarsi: evidentemente pensavano che i suoi servigi
fossero costosi.
Trascorse il resto della mattinata girovagando per i
banchi del mercato, guardando le mercanzie esposte e
cercando di divertirsi calandosi in quell’atmosfera,
piuttosto che stare ad arrovellarsi su quel che ne
sarebbe stato di lei. La storica dentro di lei era
affascinata dai piccoli dettagli della vita quotidiana
che scopriva camminando lungo le strade. C’era un
maggior numero d’attività rispetto a quelle
registrate dai reperti archeologici, e bastava sedersi
in prossimità di un tempio per osservarne tante! Aveva
visto una Vestale uscire dal tempio e ripulire i gradini
con una delle scope sacre, un gruppo di senatori che si
recavano all’assemblea, un mercato di schiavi nudi…Tuttavia
le sue esplorazioni non si limitavano a guardarsi
intorno con aria stranita. Stava cercando Stephanie,
malgrado non avesse la più pallida idea di dove potesse
trovarla. Benché in epoca antica, Roma aveva già un
milione di abitanti e Ilaria sapeva bene che non avrebbe
potuto controllarli tutti.
E poi c’era un altro cruccio che la
assillava. Poteva essere che Stephanie non fosse più
lì? Si era messa a correre lungo il passaggio…E se
fosse tornata al futuro? Era possibile che quello fosse
semplicemente un sogno magnifico dal quale non poteva
risvegliarsi? Ilaria si perse così tanto nei propri
pensieri che inciampò in un sasso, perdendo l’equilibrio
e andando a sbattere contro un soldato vestito di nero.
L’uomo, che aveva sguardo cupo ed era armato di tutto
punto, la osservò con aria minacciosa ma non le balzò
addosso come si sarebbe immaginata. In giro per strada c’erano
più soldati, anzi, si corresse, pretoriani di quel che
si sarebbe aspettata. Tutti i cittadini ne sembravano
circondati. E anche questo fu un motivo che indusse
Ilaria ad affrettare il passo verso la scuola dei
gladiatori, per vedere se l’Ispanico era stato di
parola e aveva organizzato qualcosa.
*
Stephanie stava passeggiando nel peristilio della
villa di Quintus ammirando fiori e fontane. Di tanto in
tanto, si fermava a guardare la sua immagine riflessa
nell’acqua. Stava cercando di abituarsi ai bellissimi
ma inusuali abiti che indossava. Il Prefetto aveva
scelto per lei una tunica color lavanda, senza maniche e
con una profonda scollatura fermata su entrambe le
spalle da spille d’argento a forma d’ape e
trattenuta appena sotto il seno da un nastro anch’esso
d’argento. Aveva anche una palla celeste
drappeggiata sulle spalle. Gli abiti erano della seta
più fine e la vestivano davvero bene. Quintus aveva
molto buon gusto ed era evidente che non aveva badato a
spese.
Stephanie non vedeva l’ora di rivederlo, ma nessuno
alla villa sapeva quando sarebbe tornato. I servi le
dissero che spesso l’Imperatore richiedeva la sua
presenza per diverse ore. Ascoltando i loro discorsi,
aveva desiderato chiedere loro a quale imperatore si
stessero riferendo, ma il timore di essere giudicata
troppo ignorante, perfino per una straniera, l’avevano
fatta recedere dal suo proposito.
*
Era il tardo pomeriggio quando Quintus rientrò a
casa e si recò dalla sua ospite. La trovò nello
studio, china sullo scrittoio. Sembrava intenta a
scrivere qualcosa e lui si schiarì la gola per
attirarne l’attenzione.
Stephanie voltò la testa in sua direzione e lo
salutò con un caldo sorriso.
Gli occhi del pretoriano si spalancarono, come la
vide. Era una visione, una dea, una Venere capitata
nella sua casa. Gli abiti che aveva scelto le andavano
alla perfezione… Sembrava nata per indossarli… per
essere una matrona romana… per essere la signora di
quella casa. Scosse la testa, si avvicinò a lei, quindi
le prese la mano e gliela baciò.
“Mia signora, sono lusingato di vedere che hai
apprezzato i miei doni.”
“Signore, questi sono gli abiti più belli che
abbia mai posseduto…Ti ringrazio dal profondo del
cuore.”
Quintus sorrise, “Come hai passato la giornata? Mi
dispiace di essere stato via così a lungo, ma sono
stato davvero impegnato.”
“La mia giornata è stata piacevole, ma sono
preoccupata per la mia amica… E’ sola in una città
che non conosce e chissà che cosa potrebbe capitarle…”
Il soldato annuì, “Domani manderò i miei uomini
migliori a cercarla nei paraggi di dove ti ho trovata e
ad interrogare gli abitanti del luogo.”
“I tuoi uomini?” Stephanie rimase un po’
contrariata quando seppe che non l’avrebbe fatto
personalmente, ma poi rammentò che era il capo dei
Pretoriani, e di certo era troppo occupato per potersi
permettere di giocare al detective.
Quintus annuì, “Domani dovrò scortare Cesare ai
giochi e sarò occupatissimo tutto il giorno. Ma non
preoccuparti, i miei uomini sono molto abili nello
scovare le persone.” Le ultime parole furono
pronunciate con tono amareggiato, ma Stephanie non ci
fece caso. Il suo disappunto alla notizia che avrebbe
dovuto trascorrere un'altra giornata da sola fu così
marcato che lei non fu in grado di nasconderlo.
Quintus lo capì subito. “Potresti venire con me…”
disse piano, sperando in una risposta affermativa. L’indomani
sarebbe stata una giornataccia. C’erano forti
probabilità di trovarsi costretto ad assistere alla
morte di uno dei suoi migliori amici e avrebbe voluto
avere vicino qualcuno che lo aiutasse in un momento
tanto difficile.
Ma la sua preoccupazione non durò a lungo perché
Stephanie, con aria radiosa, gli rispose, “Davvero?!”
“Certamente!”
“Oh, Quintus, desideravo tanto stare con te!” E
si fermò, rendendosi conto d’averlo chiamato per
nome. Era educato farlo, nell’antica Roma? No, non lo
era, ma Quintus sorrise e replicò, “Sarò onorato di
averti al mio fianco, Stephanie, mia signora.”
Si guardarono l’un l’altra, cercando di dirsi
quel che le parole non dicevano quando giunse uno dei
servi ad annunciare che la cena era pronta. L’incanto
fu spezzato e, balbettando, Stephanie si scusò e tornò
nella propria stanza per sistemarsi il trucco, mentre
Quintus decise di cambiarsi l’uniforme. Mentre stava
per lasciare lo studio, egli notò il papiro che aveva
visto nelle mani della ragazza quando era entrato e,
incuriosito, vi gettò un’occhiata. Quel che vide lo
lasciò senza parole. Era un ritratto, un semplice,
meraviglioso ritratto di lui, disegnato con mano
esperta. Vi fece scorrere sopra le dita con delicatezza,
quindi se ne andò a prepararsi per la cena. Sarebbe
potuta essere la cena più importante della sua vita,
perché Quintus Aemilius Laetus, noto per la sua calma,
ponderatezza e mente fredda, aveva appena deciso di
chiedere a Stephanie di sposarlo.