La Strada Giusta
Seconda Parte
Non erano ancora le sette quando mi
svegliai. Non ci volle molto ad essere travolta come da un treno in corsa,
da tutti gli avvenimenti della sera precedente. Io e Stefano non avevamo
risolto niente o conclusa nessuna delle nostre discussioni. Avevo gli
occhi ancora gonfi di pianto e avevo bisogno di aria; Stefano dormiva …
‘bene’, pensai, devo starmene un po’ in pace’,
dovevo uscire e fu quello che feci dopo una doccia ed essermi vestita
velocemente cercando di non far rumore perché se Stefano si fosse
svegliato non avrei avuto voglia di dargli spiegazioni. Uscii dalla stanza
e nel chiudere la porta sentii il rumore di un’altra che si apriva, mi
voltai e vidi Russell, il cuore mi saltò nel petto; anche lui mi vide e
mi sorrise dandomi il buongiorno.
“Anche tu mattiniera, vedo”
Che bel sorriso aveva e quei capelli un po’
umidi e selvaggi che gli incorniciavano il viso lo rendevano ancora più
attraente.
Con un cenno della testa indicò la mia
stanza.
“Lui dorme ancora?”
“Sì,…sarà stato l’alcol?”
“O forse non l’hai fatto dormire molto
stanotte…”disse strizzandomi l’occhio con malizia.
Con i nervi che mi sentivo a fior di pelle
non apprezzai la battuta, ‘Ecco,
ci manca solo un uomo che di prima mattina mi fa battute a sfondo
sessuale!’
“No, non credo proprio” dissi con un
sorriso freddo per troncare la discussione. Capii vedendo la sua
espressione cambiare, che si era pentito della battuta appena fatta e io
mi pentii di avergli risposto in quel modo.
“Caffè?”
Non mi aspettavo che il nostro incontro
sarebbe andato al di là del buongiorno ma non esitai ad accettare.
“Sì”, - sorrisi - “buona idea!”
“Ma non qui, usciamo, c’è il castello
qui vicino e nel parco ci sarà sicuramente un posto dove sedersi in pace”.
‘Sto
sognando o Russell mi sta chiedendo di uscire con lui a fare colazione?’
“Non hai paura che ti riconoscano?”
“Chi vuoi che ci sia in giro a quest’ora?”
“Quasi tutte le signore che portano fuori
il cane, per esempio” gli risposi sorridendogli.
“Mi pare di aver notato che qui l’età
media sia tale da permettermi di batterle in velocità in caso di un
assalto di massa” ‘Perché non hai mai visto le tue fans
correre, mio caro’ pensai.
“Andiamo?” disse porgendomi il braccio
e indossando degli orrendi occhiali con delle altrettanto orrende lenti
gialle; li conoscevo bene ‘ecco, quando si dice volersi male, coprire
quei begli occhi è un vero delitto!’ glieli avrei tolti subito , ma
mi stavo concentrando sulle sensazioni che provavo a contatto con la
manica della sua camicia, sentivo il calore della pelle sottostante e il
profumo di un uomo fresco di doccia.
Meno di un quarto d’ora più tardi
eravamo seduti su una panchina del parco del castello, avevamo deciso di
prendere le tazze e stare un po’ più
lontani dal bar dove presto sarebbe arrivata sempre più gente. A dir la
verità aveva deciso Russell per entrambi; tenendo entrambe le tazze mi
aveva detto “ Vieni” e io l’avevo seguito senza preoccuparmi
minimamente di dove stessimo andando. Aveva trovato una panchina in mezzo
ad abeti altissimi e si voltò a guardarmi, lì in piedi davanti a me
senza parlare, come per chiedermi se quel posto mi andasse bene. …Che
strano, mi sembrava di esserci già stata in quel posto, di aver vissuto
quella scena.
Ci sedemmo.
“Mi piace alzarmi presto al mattino e
ascoltare la natura, vedi tante cose che durante il resto della giornata
non hai tempo di notare. “
Era bellissimo quello che aveva appena
detto, mi ritrovavo in ogni parola e sorseggiando il caffè bollente non
riuscivo a smettere di guardarlo.
“Tu e il tuo ragazzo…” fece un pausa
“…siete insieme da tanto tempo?”
‘Tempismo perfetto, tanto per ricordarmi
che in questo momento lo sto tradendo col pensiero!’
“Sette mesi” dissi telegrafica.
“Mm, il periodo dell’idillio” disse
con un bellissimo sorriso negli occhi.
“Non è poi del tutto vero “, non
pensavo che quelle parole sarebbero uscite dalla mia bocca così in
fretta. Distolsi lo sguardo e guardai lontano.
Sentii i suoi occhi su di me ed era una
sensazione bellissima alla quale non mi sarei mai abituata.
“Partirà a Settembre per Madrid, starà
via un anno, l’ ha saputo ieri sera.” Dissi fredda;
“Hm, una storia a distanza, sono
complicate. “
“Lo so bene!” Ribattei altrettanto
fredda.
“Come vi siete conosciuti?”
“All’università, sette mesi fa”
risposi con l’aria di una che dice una cosa logica
“Che facevi quando l’hai conosciuto?“
Non capivo il senso di quella domanda.
“In che senso? Stavo preparando la tesi”
“No, intendo dire, eri in biblioteca,
seduta da qualche parte, che facevi? Pensavi, mangiavi, leggevi…”
Improvvisamente mi tornò nitida davanti
agli occhi quella giornata.
“A dir la verità ero un po’ isterica
in quel periodo, stavo entrando di fretta all’università, mentre
meditavo di andarmene via, il più lontano possibile.”
“Dove volevi andare?”
“Australia, non ci crederai, ma ho messo
da parte dei soldi ogni mese per quel viaggio, …ho pensato che dopo l’America
fosse il luogo più lontano e siccome l’America l’avevo già vista…non
so a cosa stessi pensando a quei tempi, forse pensavo che una fuga da dove
mi trovavo mi avrebbe aiutata a capire meglio che cosa fossi o cosa
volessi…” lo guardai per un istante, “Ridicolo, eh?”
“E che è successo? Ci sei andata?”
“No, poi ho conosciuto Stefano e …non
so, tutto è finito lì”
“Non è detto che tu non possa comunque
farlo”
“Non è così semplice … prendere e
andare così, e poi c’è Stefano.”
“Lui quello che vuole fare lo farà, o ti
ha detto che vuole rinunciarci?”
“No”, dissi come se fossi arrivata all’ultimo
passaggio di una deduzione logica.
“Appunto” disse Russell guardandomi con
lo sguardo di una persona che sentivo stare dalla mia parte.
“Che vorresti fare della tua vita? Hai un
desiderio particolare?”
“Ieri sera ti ho detto che…” pensavo
che non mi avesse ascoltata ed ero un po’ delusa.
“No, lo so, intendo dire, a parte il
lavoro, non hai un desiderio? Non ti sei fermata un attimo a pensare a
quello che vorresti per te stessa, quelle cose che dici, ‘un giorno le
avrò’?”
Avevo incominciato a guardarlo
sorridendogli incuriosita come chi guarda un bambino che fa mille domande
e gesticola come se volesse dare forma alle sue parole, una cosa che
adoravo in Russell e mi stava facendo sentire sempre più vicina a lui. Fu
così che gli risposi immaginando di essere una bambina che risponde alla
domanda ‘che vorresti fare da grande’
“ Bè, ho sempre sognato di vivere in una
casa grande, piena di verde… vorrei avere un cavallo … e un cane, un
Terranova…e lo chiamerei Amleto”.
Mi girai a guardarlo, aveva tolto gli
occhiali da sole finalmente, il gomito era puntato sullo schienale della
panchina e la guancia sorretta dal pugno a guardarmi come nessuno mi aveva
mai guardata e ascoltata prima. ‘Dio,
quanto è irresistibile’
“Shakespeare…ti piace Shakespeare…”
- disse con voce calma, calda e profonda.
“Io adoro Shakespeare…” e io stessa
risi al modo trasognato in cui avevo pronunciato quelle parole.
“E a te piace ?”
“Di solito gli attori australiani
crescono a pane e Shakespeare - disse fiero - “spesso si parte dal
teatro e non si passa dal teatro senza conoscere Shakespeare.”
D’improvviso me lo immaginai in tutto il
suo talento ad interpretare personaggi Shakespeariani come il geloso
Otello o il subdolo Iago, il tormentato Amleto o il dolce Romeo, avrebbe
potuto essere chiunque di loro.
“Non sai da quanto desidero conoscerti,
anche questo era un mio grande sogno, lo so ti sto dicendo una cosa banale…”
- diventai improvvisamente incurante di quanto vulnerabile sarei potuta
diventare imbarcandomi in quella conversazione.
Russell rise dolcemente, come uno che ha
sentito quella frase chissà quante volte.
“E sei delusa?” disse abbassando un po’
gli occhi, con il tono di una ragazzo che spera di aver fatto una prima
buona impressione.
Scoppiai a ridere, “Adoro quando fai
quella faccia, come quando hai lo sguardo arrabbiato, ma dietro nascondi
sempre un sorriso.”
Non so cosa dissi di sbagliato, qualunque
cosa me ne pentii subito perché Russell cambiò completamente
espressione; gli occhi profondi diventarono di una freddezza bruciante, il
viso teso e quell’inspirare che mi fece pensare solo ad una persona che
sta per esplodere…non so se sarei stata in grado di controllarla.
Si fece in avanti col corpo verso di me con
aria minacciosa e mi prese il polso, non lo strinse, ma non aveva
intenzione di lasciarmi andare. Indietreggiai, per quanto potevo, e lui mi
diede un leggero strattone per trattenermi, avevo paura e non sapevo cosa
aspettarmi. Mi avrebbe dato un saggio della persona irascibile e rissosa
che spesso era stata? Ma che cosa avevo detto?
Con voce profonda e tutt’altro che calda
mi disse: “Come adesso?”
“Cosa?” chiesi con un fil di voce e lo
guardavo senza capire.
Improvvisamente quell’espressione cupa e
tesa si sciolse in un magnifico sorriso che mi riscaldò dentro ma che
lasciò spazio a mille perplessità. Lui lo notò.
“L’aria incazzata, intendevi quel tipo
di aria incazzata?…Hey…” il suo sguardo era un po’ preoccupato,
dovevo aver l’aria sconvolta -“Stavo solo scherzando…ci hai creduto
veramente?”
Mi aveva preso in giro e io ci ero cascata
come un pollo; tirai un sospiro di sollievo, risi vergognandomi della mia
ingenuità, mi sembrava di essere stata in apnea per ore. Abbassai gli
occhi e lui cercò il mio sguardo per una qualsiasi reazione.
Ancora non riuscivo a guardarlo.
“Credevo fossi arrabbiato sul serio…”
“Scusa, e il motivo?…”
“Non lo so, per questo sono rimasta un po’
sconvolta!”
“Un po’ tanto, direi,…ti ho
spaventato?” il suo tono era tornato ad essere dolcissimo e
rassicurante, con un dito mi sollevò il mento per guardarmi, nuovamente
con quegli occhi che non avevano bisogno di labbra per sorridere.
“Mi dispiace, piccola…” mi diede un
buffetto sui capelli sorridendo, stavolta non stava recitando e nemmeno
quando si avvicinò per avvolgermi in un abbraccio nel quale mi rifugiai
senza più alcun timore. Con il viso stretta al suo petto sentivo i
battiti del suo cuore e avevo ormai smesso di contare i miei. Volevo che
quell’istante non finisse mai, fossi morta in quel momento sarei stata
felice; sentivo le sue braccia attorno a me e le sue mani sulla schiena
accarezzarmi con estrema dolcezza, con movimenti lenti e circolari, come
per sciogliere la tensione che mi aveva contratto tutti i muscoli, era
come se mi arrivasse a toccare la pelle.
Risi tra le sue braccia, “sei davvero un
grande attore”, credo che pensò che non mi riferissi solo alla scena di
poco prima, ma anche a quel gesto di sincero affetto per questo, forse ,
si staccò dolcemente da me e ne fui tristissima, ma cercai di non darlo a
vedere. Restò vicino a me guardandomi con uno sguardo profondo, ma credo
anche vulnerabile.
“Siamo anche esseri umani” disse
inclinando la testa in un sorriso.
“Cosa?”
“Noi attori … siamo anche esseri umani.”
“Lo so, io intendevo dire …”, ma non
volevo dargli a vedere quanto desiderassi che mi abbracciasse ancora
perché non ero sicura che provasse la stessa cosa.
“Sai” - riprese- “credo che dovresti
farlo…”
‘Fare cosa? Saltarti addosso qui, nel bel
mezzo di un parco?’
“…tutte quelle cose…la casa, il
cavallo, il cane e l’Australia, o ‘il posto più lontano’, dovresti
andarle a cercare. Se le senti così vive dentro di te, vuol dire che
fanno parte del tuo spirito, è come un istinto e non si reprimono gli
istinti…inutile stare qui a parlarne con me!”
“Quindi secondo te dovrei prendere,
lasciare tutto e partire per vedere se trovo tutte queste cose?”
“Se può aiutarti a trovare te stessa…”
Credevo in quello che diceva, ma volevo
essere ragionevole
“ non è così semplice…”
“No, non è mai facile fare delle scelte,
ma se lo vuoi davvero…”
Continuai ad ascoltarlo
“Lo devi a te stessa, sei troppo giovane
per rinunciarci e vivere di rimpianti!”
“Sono solo fantasie infantili”, dissi
cercando di non dare troppa importanza a quanto avevo sempre voluto.
A quelle parole incominciò a guardarmi
come se avesse capito che non credevo in quello che avevo appena detto.
Poi all’improvviso sentii un brivido quando il suo viso si fece più
vicino al mio; con calma disse:
“Una volta ho sentito, non so più dove,
che se affronti le tue fantasie, quelle che più ti tormentano, poi potrai
conviverci meglio e andare avanti per la tua strada.”
A cosa si stava riferendo? Al mio sguardo
nel suo che avrebbe portato ad una sola conclusione o al fatto di lasciare
tutto e partire?
“È quello che vuoi, vero? Ricordi?…’sii
sempre sincera con te stessa’ ”detta quella frase inclinò leggermente
la testa da un lato e piegando gli angoli della bocca in un sorriso
innocente e disse
“…però
questa non è mia”
‘Shakespeare’, pensai, non
bastava che stesse facendo vibrare il mio corpo portando ogni singola
cellula a voler fare l’amore con lui…adesso mi citava pure Shakespeare!
Aveva dell’incredibile ciò che mi stava trasmettendo: quella voce,
piena di quella passione di chi crede in quello che dice, sarei stata ore
ad ascoltarla, come se nessun’altra parola sentita prima, avesse mai
avuto senso prima della sua.
Sentivo una piacevole tensione salire tra
il mio sguardo e il suo e una forza che non sospettavo di avere, crescermi
dentro. Guardai le sue labbra e lui guardò le mie. Con un gesto lento
stese verso di me il braccio che aveva appoggiato sullo schienale della
panchina e fece scorrere piano le dita tra i miei capelli, mi accarezzò
la guancia con il dorso della mano per poi scivolare sulla nuca
continuando a far scorrere le dita in un delicato massaggio che mi stava
quasi ipnotizzando. Con un gesto portò il mio viso più vicino al suo e,
pur immaginando cosa stesse per succedere mi imposi di smettere di
immaginare, aspettando solo che accadesse.
Toccò le mie labbra con le sue in un bacio
innocente e un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi, risposi a quel
bacio; poi da uno, Russell cominciò a sfiorarmi le labbra con tanti
piccoli, dolcissimi baci che sentivo come tiepida pioggia sul ghiaccio. In
quella crescente e irrefrenabile estasi, senza che smettesse con quel
piacevole tormento, non so per quale strano meccanismo della psiche me ne
uscii con questa frase pronunciata vicinissima alle sue labbra socchiuse.
“Woody Allen…”
“Cosa?” disse un po’ confuso ma senza
smettermi di baciarmi
“Quella cosa che hai detto…sulle
fantasie e … il conviverci…era…in un film… di Woody
Allen”
Con il viso vicino al mio fermò per un
istante quella cascata di baci e socchiudendo gli occhi premette con forte
passione le labbra sulle mie. Incominciò dolcemente a mordicchiarle,
prima una poi l’altra, sfiorandole contemporaneamente con la punta della
lingua. Qualcosa che mi stava facendo perdere il controllo…finalmente
schiusi le labbra dandogli modo di toccare con la sua la mia lingua,
dapprima con dolcezza e quasi un po’ di esitazione, poi, quando io
risposi a quel gesto, con sempre più intensità. Presi il suo viso tra le
mani non volendo che si staccasse da me e per permettergli di invadermi,
quanto desiderasse, la bocca con i movimenti passionali della sua lingua.
Nell’istante in cui eravamo così uniti sentivo il suo respiro caldo
avvolgermi e portarmi in un mondo che non avevo mai visto. Le sue labbra
esperte e le sue braccia, che di donne ne avevano sicuramente strette
tante, in quel momento erano solo mie e non mi chiedevo chi mi stesse
baciando in realtà, se Terry, Alex, Bud, Massimo, Andy o John; c’era
qualcosa di surreale in quello che stavo vivendo, ma la sua bocca, che
sembrava insaziabile, quanto la mia, che sembrava non essere mai stata
toccata da un uomo, era la cosa più vera che avessi mai potuto sentire
sulla mia pelle. “Qualunque cosa tu mi dirai …” - dissi dopo aver
ormai abbattuto tutte le mie difese, persa dentro di lui - “ …io ti
crederò.”
A quelle parole Russell, con gli occhi che
brillavano, mi strinse a sé come aveva fatto prima, e sentii il mio e il
suo respiro affannoso come di chi avesse appena smesso di correre,
calmarsi lentamente. Tutto scomparve lentamente intorno a noi e sentii
solo i battiti dei nostri cuori all’unisono. Non dicemmo nulla, nemmeno
una parola, non c’era niente da dire in più di quello che ci eravamo
già detti. Lasciai che mi cullasse ancora un po’ e chiusi gli occhi
immaginando di essere in paradiso e Stefano non era lì con me…
Tornammo all’albergo, senza che nessuno
di noi dicesse nulla, ascoltammo solo il silenzio che ci circondava.
Arrivati davanti alla porta della sua
stanza pensai, o sperai per un attimo che mi chiedesse di entrare. Ma non
accadde e forse fu meglio così, non avrebbe avuto senso farlo così, non
avrebbe aggiunto niente a quello che c’era già stato e non mi avrebbe
dato più risposte di quelle che avevo già avuto. Ripensai alle parole di
Stefano “credi che gli servirebbe più tempo per vedere se portarti a
letto o no?” Si era sbagliato e ne ero felice…già Stefano, lo avrei
potuto guardare con gli stessi occhi?
Guardai Russell e gli sfiorai il braccio,
avrei voluto dirgli qualcosa di più significativo, ma non mi uscì altro
dalla bocca:
“Vado a vedere se per caso si è
svegliato””
“Sì è meglio”, disse con un sorriso
comprensivo. ‘Meglio di che cosa?’ pensai per un istante, ma
volli scacciare quel pensiero.
Arrivata alla porta sentivo il suo sguardo
su di me e mi girai a guardarlo. Mi sentivo quasi come una giovane donna
che saluta il suo amante dopo l’amore, che però non era stato
consumato, per tornare dall’uomo che non desidera più, così gli
sorrisi ed entrai in camera mia. Varcata quella soglia sentii, invece di
sconforto e dolore, una nuova forza e libertà, la libertà di poter
scegliere e la certezza di sapere cosa fare. Mi guardai attorno nella
stanza, mi sembrava così diversa da quella che avevo lasciato quel
mattino, ma forse ero io ad essere diversa.
Stefano si era appena vestito e nel vedermi
entrare mi guardò negli occhi con aria sinceramente preoccupata; non
aveva l’aria di chi volesse farmi una scenata.
“Sei qui…”
“Sono qui…” lo guardai per un lungo
istante poi ripresi
“Avevo bisogno di schiarirmi le idee”
sperai che non mi facesse altre domande e per fortuna non ne fece.
“Lo so…mi dispiace tanto … per ieri
sera, intendo, le parole che ho detto, ero ubriaco e un po’ geloso, ma
so che tu sei sempre stata sincera con me e non te le meritavi…”
Quelle parole mi colpirono come pugnali
nello stomaco, lui ora così diverso e tranquillo davanti a me e io con l’immagine
incancellabile negli occhi della mente, delle labbra calde di Russell che
avvolgevano le mie in un bacio che non avrei mai dimenticato e di cui non
volevo pentirmi.
“Stamattina mentre eri via ho avuto modo
di riflettere, ti va se parliamo un po’?”
Anch’io avevo tante cose da dirgli ma non
sapevo da dove cominciare o se cominciare.
“Ti va se usciamo? So che sei appena
rientrata, ma non mi va di parlare qui.”
Non so per quale strano disegno del destino
o grottesca coincidenza, finimmo con l’andare a ripercorrere le stesse
strade che avevamo percorso io e Russell quella mattina. Gli stessi
sentieri, il parco del castello, quegli abeti e poi quella panchina…a
guardarla mi sembrava di sentire ancora il profumo della pelle di Russell
avvolgermi.
“Vuoi sederti lì?”
Chiese Stefano pensando che fosse quella la
mia intenzione.
“No, preferisco camminare”
Non mi sarei seduta con nessun altro su
quella panchina.
Stefano mi prese per mano e cominciò a
parlare:
“Forse…questa cosa della Spagna, non lo
so, forse è un segno mandatoci da non so chi per farci capire che
qualcosa…che le nostre strade…”
“Sono diverse…” finii io la frase, ma
stavolta senza alcuna angoscia di quale potesse essere la sua reazione.
“Sì”, mi rispose guardandomi, ma non c’era
tristezza sul suo viso, e nemmeno nel mio cuore.
“Penso che tu debba andare e seguire la
tua strada” gli dissi.
“Lo pensi veramente?”
“Certo, ci siamo appena laureati e
abbiamo un mondo di prospettive di fronte a noi. E una vita intera per
trovare quello che cerchiamo.”
“Tu cosa cerchi, Giulia?” Era dolce il
suo tono, quello sincero di un amico, l’amico che avevo trovato in lui
prima di innamorarmi.
“Chissà…me stessa prima di tutto. In
questi anni immersa tra i libri ho avuto poco tempo per fermarmi a pensare
a quello che sarò, dove andrò…le solite crisi esistenziali insomma!”
Ridemmo entrambi.
“Credo che andrò in Australia a cercarmi
un lavoro, non lo so…starò lì per un periodo e poi chissà … magari
torno, magari no…la vita è sempre piena di sorprese per tutti…ci
sarà qualcosa anche per me.”
“L’Australia … allora avevo ragione a
preoccuparmi degli sguardi invadenti del tuo bovaro?” Disse fingendosi
geloso.
“Primo, sono anni che voglio andare in
Australia, …secondo, non chiamarmelo ‘bovaro’!” e risi facendo
finta di essere offesa; cercavo di parlare di lui come quando i discorsi
erano quelli di una sua fan che parla di un uomo immaginato, cioè senza
prendermi troppo sul serio, ma mi si strinse il cuore al pensiero che di
quello stesso uomo, poche ore prima, avevo visto un lato umano e tutt’altro
che immaginato.
“Erano mesi che non mi guardavi con
quegli occhi”, poi si soffermò a pensare un attimo e disse qualcosa che
mi invase il cuore. “ o forse …sono io che non avrei mai dovuto
smettere di guardarti come ti guardava lui ieri sera. Chissà, forse non
ti saresti allontanata da me”. Sentii le lacrime affiorarmi negli occhi,
non avrei mai voluto far ricadere la colpa di nulla su di lui. Avrei
voluto consolarlo con parole del tipo ‘Russell è solo un attore’,
consolarlo ripetendo le stesse parole che lui aveva detto a me la sera
prima spinto dalla gelosia. Ma non riuscivo a mentirgli, non in quel
momento, non dopo tutto quello che era successo, non mentre le labbra di
Russell erano ancora sulle mie, tanto vivo ne era il ricordo. Mi avrebbe
fatto troppo male mentirgli e dissi solo:
“A volte ci si chiede perché certe cose
accadono, ma non c’è un perché solo. Ce ne sono tanti e quando avrai
trovato quello che più può soddisfarti e farti stare meglio, smetterai
di cercare.”
Stefano mi guardò con occhi seri e lucidi
cercando di riportare la conversazione su un tono più neutro.
“L’Australia? Così lontano volevi
andare? Non me lo avevi mai detto”
“Bè, non me lo avevi mai chiesto” poi
dopo un attimo di silenzio…
“Ci stiamo lasciando, Giulia?”
“Credo di sì”, non trovai altre parole
e forse nemmeno ce n’erano.
Aveva gli occhi lucidi, e guardò altrove
da me. Poi rise cercando di sdrammatizzare come era suo solito fare. “
Questo è ridicolo…di solito quella che piange sei tu.”
Lo guardai e mi sentii stringere il cuore
al pensiero di tutto quello che avevo fatto. Mi sentivo in colpa e
responsabile perché era quello che volevo e forse il fatto di vedere
Stefano soffrire così tanto era il prezzo da pagare per tutto il male che
sentivo di avergli fatto. Non sapeva nulla di me e Russell, c’era stato
un bacio, un solo bacio di cui non volevo pentirmi, l’avrei rifatto
mille e mille altre volte, …per un attimo ebbi la tentazione di … ma
no, non potevo, non dovevo dirglielo, per cosa, poi? Sentirmi meglio io
per essere stata onesta e sincera fino alla fine? Sarebbe solo servito a
scaricarsi la coscienza e addossargli una responsabilità che era solo
mia.
Ci guardammo intorno ,il parco era ora
molto diverso dal momento in cui lo avevo visto ore prima: c’erano
diverse famiglie con i loro bambini che passeggiavano e altre persone che
portavano a spasso il cane.”
“È strano … eravamo partiti per questo
viaggio con intenzioni diverse da questa”, disse lui “è incredibile
come le cose spesso si trasformino nel contrario di quello che ti
aspetteresti. Credi che resteremo amici?”
“Abbiamo cominciato da amici, e questo
non cambierà mai”.
Per tornare in albergo ripercorremmo quella
stessa strada che avevo percorso al mattino con Russell e pensai a come
potevano apparire diverse le stesse cose che si guardano in momenti e con
umori diversi. Arrivati in camera incominciammo a fare le valigie. Ogni
tanto ci guardavamo, scherzavamo anche tra noi, su quanta roba inutile
avessi portato io, o quanto poco abituato fosse lui a farsi la valigia da
solo.
Quando ero sicura di non essere vista lo
guardavo e mi chiedevo perché ogni tanto capita di smettere di amare
qualcuno così all’improvviso come si comincia a farlo, sarei mai
riuscita a trovare la stabilità che cercavo? Sarei mai riuscita a
sentirmi davvero completa? Poi mi venne in mente lui, Russell, non volevo
andare via senza salutarlo, non potevo non ringraziarlo prima di tornare a
casa.
“Torno subito, ok?”
“Dove vai?”
“Non ci metto molto…”
Non sapevo cosa aspettarmi, come iniziare
il discorso, cosa dire, non sapevo niente perciò decisi di affidarmi all’istinto.
Uscii dalla mia stanza e percorsi il corridoio fino ad arrivare alla porta
della sua. Era strano, le due guardie del corpo non c’erano più e un
atroce sospetto si trasformò presto in certezza ‘non
c’è più nessuno’.
“La stanza è vuota, signorina, se cerca
il Gladiatore è andato via” disse una cameriera con aria divertita e
insopportabile, che passava di lì e che mi aveva visto sul punto di
bussare.
“Come ‘andato via’? Quando?” Non mi
interessava di essere presa per la solita fanatica…di nuovo mille
pensieri in pochi secondi ‘se n’è andato via senza salutarmi, non
gli importa niente di me, e io che lo sto andando a cercare!’ volevo
solo piangere.
“Non da molto, la stanza deve ancora
essere sistemata e …”
Non ascoltai più e mi precipitai giù per
le scale arrivando come una furia nell’atrio dell’albergo. Incurante
delle altre persone in attesa mi rivolsi all’addetto, lo stesso che all’inizio
mi aveva negato qualunque informazione a proposito ‘dell’ospite
illustre’
“Mi scusi, so che è contro le regole, ma
io devo assolutamente sapere da quanto tempo il signor Crowe ha lasciato
la stanza e dov’è andato, la prego, devo assolutamente parlargli, io…”
“Ha lasciato la stanza poco fa, la
macchina uscirà dal retro dell’albergo, forse fa in tempo a vederlo”
Fui sorpresa della sua gentilezza, dovevo averlo proprio impietosito e
correndo via gli gridai il più sincero dei grazie.
“Aspetti signorina, qui c’è …”
Arrivai in un lampo, di corsa giù per le
scale, nel garage enorme dell’albergo. Ogni cosa mi sembrava uguale, le
macchine, le colonne di cemento armato e non sapevo nemmeno se, una volta
finita quell’assurda avventura, avrei ritrovato l’uscita. ‘ ma
cosa cavolo sto facendo?’
Sentii l’eco di voce lontane e una
speranza risvegliarsi in me, le seguii con attenzione e mi ritrovai in una
parte del parcheggio davanti ad una macchina blu scuro con quattro uomini
vestiti tutti uguali; ‘le guardie del corpo di Russell’, ma lui
dov’era? Una di loro, probabilmente sentendo il rumore dei tacchi venire
da quella parte, si era voltata verso di me pronta a fare il suo dovere.
“No, mi scusi signorina, ma lei non
dovrebbe stare qui”
“Lo so, io cercavo…” dissi
rivolgendomi a lui ma cercando con gli occhi Russell… sentii una voce
famigliare…
“ Lascia stare, la conosco”
“Ciao Russell!” ero così felice di
averlo trovato ed emozionata come la prima volta. Avevo ancora il fiatone
per tutto il correre che avevo fatto.
“Ti volevo salutare … ma tu non c’eri,
non sapevo che dovessi partire così presto, non me lo avevi detto…”
“ Lo so, sono passato a salutarti ma non
c’era nessuno in camera e così ti ho lasciato un biglietto, ma non te l’ha
detto quello della reception?”
Doveva essere passato dalla mia camera
quando io ero fuori a parlare con Stefano.
“No, non lo so…”
“Ma che cazzo…”
“Non fa niente ci salutiamo adesso, no?”
Gli porsi la mano per stringergliela,
pensando di non poter aver nulla di più e che altro potevo desiderare,
poi? Mi prese la mano con una dolcezza infinita e allo stesso tempo una
forza rassicurante.
“Ho parlato con Stefano … prima, quando
non hai trovato nessuno .”
“Avete fatto la pace?” Mi chiese con un
sorriso luminoso e un po’ protettivo.
“Ognuno di noi ha bisogno dei suoi spazi
e forse questa vacanza è servita a farcelo capire.”
“Che vuoi dire?…” Chiese con sguardo
preoccupato.
“Ci prendiamo un pausa, diciamo così…
lui partirà per la Spagna e io … forse a Ottobre andrò in Australia,
mi sa che ho deciso.”
Vidi il suo volto illuminarsi di un sorriso
che ho ancora stampato nel mio cuore.
“Sul serio? Hai deciso così, all’improvviso?”
“Bè, non ho proprio fatto tutto da sola…devo
andarci, io credo…”…sentii come un fuoco salirmi dal cuore agli
occhi che all’improvviso si velarono di lacrime, distolsi lo sguardo
cercando di trattenerle, disperata nel mio tentativo di trovare le parole,
quelle giuste, quelle per fargli capire quanto fosse stato importante per
me incontrarlo. Poi le trovai, mi avvicinai a lui e lo abbracciai
aggrappandomi a lui con tutta me stessa e mi sentii avvolgere nuovamente
da quelle stesse braccia, forti e calde, che non avrei mai dimenticato.
“…credo…di aver bisogno di credere
che qualcosa di straordinario sia possibile!” Dissi tra il riso e il
pianto, e nel pronunciare quelle parole sentii le sue braccia stringermi
ancora più forte.
“Troverai quello che cerchi, vedrai… e
se non lo trovi lì non smettere mai di cercare, mi hai sentito?” mi
disse senza staccarsi da me. Cercando di nascondere il dolore che sentivo
per il distacco imminente dissi:
“Magari ti verrò a trovare…ci
prendiamo un tè…”
“Guarda che ci conto!”
“Abbi cura di te, ok Russell? Che noi ci
teniamo a te…”
“Anche tu, abbi cura di te.”
“Grazie di tutto, davvero, grazie per
quello che sei!”
Quell’abbraccio si sciolse lentamente
mentre io asciugavo le mie lacrime cercando di ricompormi e lui mi
sfiorava delicatamente lo zigomo con un dito come per aiutarmi ad
asciugare le lacrime. Sorrise, sollevando leggermente gli angoli della
bocca e guardandomi con gli occhi che gli brillavano, come in un
affettuoso rimprovero disse:
“Questi bellissimi occhi … non vanno
rovinati con le lacrime.”
Mi sforzai di non piangere di più e gli
sorrisi anch’io chiedendogli:
“Russell…posso dirti una cosa un po’
banale?”
“Come no!” Rispose con prontezza e un
guizzo di curiosità nello sguardo.
“Anche tu hai degli occhi bellissimi”
Sorrise, …inclinando la testa da un lato
e abbassando leggermente lo sguardo disse senza guardarmi…
” Credimi, a certe ‘banalità’ non ci
si abitua mai!”
“Mr. Crowe, è ora, dobbiamo andare”
“Ok…”
“Ciao Giulia, è stato un piacere” Mark,
che fino a quel momento era rimasto in disparte con discrezione, si
avvicinò per salutarmi. Un abbraccio veloce e amichevole.
“Fai la brava, mi raccomando e ricordati
che gli Australiani sono tipi poco raccomandabili!” disse strizzandomi l’occhio.
“Lo terrò a mente” dissi sorridendo.
Salirono in macchina e partirono all’istante.
L’istante dopo Russell se n’era andato. Io rimasi lì, non so per
quanto, secondi … minuti … istanti interminabili in cui l’unica
sensazione era di un enorme vuoto dentro, come se mi avessero strappato
qualcosa da dentro. Quel sotterraneo mi sembrava ancora più inquietante
della prima volta in cui ci avevo messo piede. Cercai la stessa porta da
cui ero entrata, che mi avrebbe portato di nuovo all’albergo, sentivo
solo il rumore dei miei passi fare eco in quello spazio enorme. Avevo lo
sguardo perso nel vuoto e non pensavo a niente. Arrivata alla porta che
cercavo mi appoggiai alla maniglia come per sorreggermi perché sentivo
che stavo per cadere, sentii le ginocchia piegarsi…sempre tenendomi alla
maniglia mi sedetti per terra ‘ è solo la tensione, Giulia, adesso
passa’ cercai di rassicurarmi, appoggiata alla porta e ormai a terra
staccai la mano dalla maniglia e mi raggomitolai stringendomi le
ginocchia, nascosi il viso e incominciai a piangere, lasciai che le
lacrime uscissero, in silenzio, com’era giusto che fosse. Piansi fino a
quando, come per magia, ritrovai la forza che mi era improvvisamente
mancata. Stavolta senza usare le scale ma l’ascensore tornai su, da
quell’immenso garage sotterraneo, al corridoio della mia camera. Di
proposito mi imposi di non voltarmi verso quella che era stata di Russell.
Per tutto il viaggio di ritorno a casa
guardai fuori dal finestrino. Stefano ogni tanto mi guardava, ma non mi
chiese nulla. Io ero persa nei miei pensieri e in quello che quell’incontro
mi aveva lasciato. Ripensando a quegli intensi momenti con Russell sentivo
le lacrime riaffiorare, più loro tentavano di uscire, più io cercavo di
trattenerle e guardavo fuori, sulla strada che scorreva sotto di noi
velocemente. Aprii la borsetta, tirai fuori una busta e sorrisi
abbandonandomi ad un piacevole ricordo.
Scendendo nell’atrio per restituire la
chiave della stanza, l’addetto alla reception, che ormai mi conosceva
bene, mi aveva sorriso, forse perché ero il ritratto di una tragedia e si
era impietosito, avevo pensato. “È stato un piacere ospitarvi e spero
tornerete a trovarci”
“Sicuramente”, erano le solite frasi di
rito, pensai.
“Vado a prendere la macchina, Giulia,
aspetto fuori, va bene?”
“Va bene, arrivo subito”
L’addetto mi porse il registro per
firmare.
“Ecco, basta una firma qui…”
Mentre presi la penna, d’istinto, cercai
con lo sguardo dove poteva aver firmato Russell, come per avere un segno
che tutto quello che c’era stato non lo avessi solo immaginato, ma
pensai che probabilmente doveva aver fatto firmare qualcun altro per lui.
Forse a volte certe persone riescono
davvero a leggere dentro di te; l’addetto alla reception mi guardò,
come se avesse capito cosa stessi cercando…
“ Ah, dimenticavo, qui c’è qualcosa
per lei, signorina. Un nostro ospite mi ha detto di consegnargliela
personalmente…gliel’avrei data prima, ma è scappata via come una
matta…ha poi trovato quello che cercava?” C’era un sorriso dolce e
comprensivo sul volto di quell’uomo e gli fui grata per quelle parole….’Il
biglietto’…presa dalla disperazione non mi ero neanche
ricordata di passare a prenderlo. “Grazie, grazie infinite!”
Lo tenevo stretta fra le mani come un
gioiello al quale non sarebbe stato possibile attribuire un valore. Lo
aprii lentamente, sulla busta c’era scritto solo il mio nome “Giulia
“
Cara Giulia, sono passato
per salutarti, ma non c’eri. È stato bello conoscerti, sei una persona
piena di energie e passione, non permettere a nessuno di portare via lo
spirito libero che c’è in te.
Ah, la prossima volta che
andrai a vedere un mio film la prima inquadratura la dedico a te.
PS Grazie per quel bacio da
Oscar
Russell
E mentre l’asfalto
correva sotto le ruote della macchina guardai verso il cielo, c’era un
aereo e volli immaginare che fosse il suo…sorrisi e pensai ‘No,
grazie a te’.
“AleNash” (2002)
A tutte le ciccine della
messaggeria Cris, Halle, Lalla, Kya, Anto… nessuna esclusa, dedico il
“mio” Russell perché dentro al proprio cuore ognuno ha il suo :-)
Dedico questo racconto
anche a tutti quelli che ancora stanno cercando qualcosa per sentirsi
davvero completi.
Un mio pensiero particolare
va ad Ely che pur non conoscendo di persona, sento molto vicina.
Grazie a Lampe per la
pazienza e passione che mette in questo sito meraviglioso.
Grazie a Russell Crowe che
con il suo talento riesce sempre ad ispirarci.
Nello scrivere questo racconto, pur pensando ad un’ambientazione precisa
e ispirandomi a luoghi che ho visitato, ho preferito non specificare il
nome di nessun luogo in particolare per dare spazio e libertà
all’immaginazione di chi legge.
Per chi non fosse mai stato in Germania: in certi bar oltre alla
consumazione si paga anche una cosiddetta ”cauzione” per la tazza che
viene restituita al cliente una volta riportatala.
William Shakespeare, “Hamlet”, Atto primo – scena Terza
“Tutti dicono I love You” 1997
|