La Strada Giusta
(Prima Parte)
Era buio, ormai camminavo da ore, ma non mi
volevo fermare, era come se una forza mi spingesse ad andare avanti… davanti
a me… solo alberi alti e nient’altro. Poi all’improvviso la sagoma
di un uomo davanti a me, nel buio più nero. Non riuscivo a riconoscere la
persona a cui appartenesse, per quanto mi sforzassi di abituare gli occhi
al buio, ma ne vedevo perfettamente i contorni: prestante e dall’aria
sicura. Non mi spaventava sebbene fossi sola, al buio… come ogni notte.
Avrei potuto sentire i suoi capelli se li avessi toccati, soffici e un po’
mossi. Sentivo il suo respiro quando si avvicinava a me e le sue labbra si
schiudevano sulle mie in un bacio, fino a quando io aprivo gli occhi per
guardare nei suoi e… ’ancora quel sogno’. Era ormai da tempo
che mi tormentava, io lì con questa persona che non riuscivo mai a sapere
chi fosse, ma pur non sapendolo in quel sogno ero felice e per non so
quale certezza sentivo, sapevo che l’uomo del mio sogno non era Stefano.
Da un po’ di tempo stava accadendo
qualcosa ai miei sentimenti nei suoi confronti. Eravamo insieme da nemmeno
un anno, sette mesi per l’esattezza e come ogni volta, puntualmente come
per tutte quelle precedenti, con l’inquietante ripetersi di un ciclo, io
sentivo di dover uscire da quella storia. Era un continuo scontrarsi di
sentimenti dentro di me; “ tu non sei ancora fatta per i legami”
parole sagge quelle della mia migliore amica, che con fredda lucidità
cercava di dare un significato a quel mio continuo desiderio di
rivoluzionare tutto nella mia vita. Eccomi lì, finalmente avevo trovato
un equilibrio: tanti amici con cui divertirsi, confrontarsi, litigare,
fare pace e volersi più bene di prima, la laurea dopo anni di sacrifici,
e poi Stefano, il mio migliore amico e il mio ragazzo. Così, all’improvviso,
in un giorno dei tanti in cui precipitandomi di fretta all’università
ero immersa nei miei pensieri, i soliti, di voler andar lontano, il più
possibile ‘quando ho finito , me ne vado da qui, mene volo in
Australia,… sì, in Australia, il più lontano possibile…e non
lascerò tracce dietro di me!’ Così…lui apparve, o meglio gli
andai a sbattere contro. Come al risvegliarsi di un sogno mi riportò con
i piedi per terra spostando quel desiderio di andarmene in un angolo
recondito del mio cervello da dove però sarebbe tornato, come ogni volta,
prepotentemente a fare sentire la sua voce. Mi ricordo le parole di
Stefano al nostro primo incontro - scontro come se le avesse pronunciate
ieri. Io da una parte ero presa da me stessa e non avevo nemmeno visto o
immaginato che dietro la porta d’entrata ci potesse essere qualcuno, con
il risultato di sbattergliela in faccia quasi rovinosamente.
“Mi dispiace, scusa, sono mortificata,
non ti avevo vista!”
“ Difficile da credere, con quei begli
occhi…ma non credere di potertela cavare con le scuse, ci ho quasi
rimesso il naso!”
Tutto mi sarei aspettato tranne che in una
situazione simile qualcuno potesse ridere o fare battutte ed ero rimasta
colpita dalla schiettezza e simpatia dimostrata anche in una circostanza
imbarazzante come quella; da lì le cose si erano evolute nel più
naturale dei modi. Eravamo diventati amici e poi c’eravamo innamorati
uno dell’altra. Più volte, nel corso dei primi mesi Stefano aveva
ripetuto “benedetto il giorno che ci siamo scontrati” e io ero felice,
tanto.
Poi, a poco a poco una sensazione che
conoscevo bene aveva incominciato a farsi sentire: la paura di essere
legati, la paura di aver scelto la strada sbagliata e il desiderio di
ascoltare una voce che da lontano mi ricordava che avevo un conto in
sospeso con me stessa. Anni passati tra lo studio e il lavoro per poter
mettere da parte, giorno per giorno, quanto bastava per il grande viaggio
della mia vita. Da sempre lo sognavo e da sempre sentivo che dovevo farlo.
E ogni cosa attorno a me aveva cominciato a diventare secondaria, anche
Stefano. Odiavo me stessa perché non riuscivo a capire cosa volessi e nel
mio più cieco egoismo odiavo Stefano, così buono, comprensivo e paziente
nei miei confronti, lui, che non mi dava mai una vera ragione che
giustificasse il mio allontanamento. Ero solo io. Cercavo delle risposte,
ma non sapevo dove trovarle. Ma quanto poteva convenire rischiare di
perdere un equilibrio raggiunto per cercare oltre, nuove sfide, nuove
strade, rischiando magari di restare soli? La vita in fondo non era un
film con il mio destino preconfezionato da un regista. Anche questi erano
pensieri che mi attraversavano la mente nei momenti di maggiore
razionalità. Ed era stato proprio in uno di questi momenti che avevo
deciso di non rifiutare la proposta di Stefano di partire insieme per
festeggiare insieme la laurea. Destinazione: Germania del Nord. Luoghi che
avevo già visto, posti che avevo già amato. Non so se lui percepiva
qualcosa dai miei atteggiamenti a volte troppo lunatici per non essere
notati, o dal mio non cercarlo come prima fisicamente o emotivamente. So
solo che ero lì, e avrei vissuto quell’avventura accettando qualunque
cosa mi avesse lasciato.
“Che c’è, piccolina?” Stefano mi
stava guardando sorridendo con sguardo interrogativo.
“Cosa?”
“Sei incantata a vedere la vetrina da
dieci minuti, hai visto qualcosa che ti piace?”
“No…io, ero soprappensiero, scusami, mi
ero incantata”
“Ti va un gelato? Dai che mi fai sentire
come parli bene il tedesco!”
“Qui in Germania quasi tutte le gelaterie
sono gestite da italiani…” risposi sorridendo.
“Ok, allora se vuoi ordiniamo una birra…”
“ Spiritoso, alle nove del mattino la
birra te la bevi tu!”
“Dai, comprami un gelato al cioccolato!”
“Se ti comporti bene…”
Giocare a fare il bambino era una cosa che
Stefano adorava perché sapeva che lo trovavo irresistibile.
Dopo aver camminato per ore ed ore,
esplorando ogni minima curiosità e percorrendo quasi tutte le strade,
tornammo in albergo; era quasi ora di cena e avevamo pensato di mangiare
lì perché eravamo troppo stanchi per uscire di nuovo. Nell’atrio c’era
un gran movimento, a dire la verità l’atmosfera era di grande, ma
controllata agitazione. Inservienti che andavano e venivano, strani
personaggi, tutti vestiti di blu parlavano alla radio comunicando con l’esterno.
‘Gente importante’ pensai ‘chissà
che succede…’
“Come mai tutta questa agitazione?”
Chiesi alla reception. La mia curiosità nonché sfacciataggine certe
volte era davvero incontrollabile.
“Stiamo aspettando un ospite di riguardo
e hanno chiesto di fornire uomini della sicurezza.”
“E di chi si tratta?” Proprio non
volevo demordere.
“Mi dispiace, ma non possiamo violare la
privacy dei nostri clienti è contro il regolamento.”
“Capisco, mi scusi, ero solo curiosa”.
“Dai, andiamo di sopra” Stefano mi
richiamò all’ordine.
“Non ti va di vedere chi arriva? Potremmo
sederci sui divanetti dell’atrio e aspettare? Magari è una celebrità
tedesca, potrai dire di averla vista!”
“Sì, l’ispettore Derrick…”
“A parte che l’ispettore Derrick è
morto, ma va bè…”
“ Sinceramente ho solo fame…”
“D’accordo, ti seguo”
Ero stanca anch’io a dir la verità e
volevo solo mangiare e andare a letto presto per svegliarmi poi al mattino
e godermi interamente un’altra giornata.
Quando fummo entrambi pronti per scendere
uscii dalla stanza e sul corridoio vidi un paio di ragazzi, piuttosto
corpulenti, pensai, ‘ ah sì, li ho già visti nell’atrio prima di
salire in camera” poi vidi un altro ragazzo, un uomo in verità, che
ero sicura di avere già visto…che strano, mi pareva di conoscerlo, il
viso era famigliare, ma pensai subito all’assurdità della cosa: ‘Chi
potevo conoscere lì, in Germania in un posto dove ero stata poi solo una
volta?’ Il personaggio in questione guardò verso di me con fare
casuale, mentre parlava con quelle che ormai avevo dedotto essere due
guardie del corpo visto l’abito che avevano uguale nonché la prestanza
fisica; io mi voltai verso la porta aspettando Stefano, una buona scusa
per cercare di non far capire che mi ero fermata a fissarlo per capire chi
fosse. Stefano finalmente arrivò, “scusa, Giulia, ti faccio sempre
aspettare…” mi disse baciandomi sulla guancia e prendendomi per mano.
“Non importa” dissi guadandolo di sfuggita e accennando un sorriso
distratto. ‘Ma dov’è che l’ho visto quello, uffa?’ non
riuscivo a smettere di pensarci.
Arrivammo nella sala del ristorante, non c’era
molta gente, la sala era prevalentemente rossa: o questa era la prima
impressione date le lunghissime tende di velluto rosso alle finestre che
dal soffitto scendevano come il sipario in un grande teatro. L’atmosfera
era calda e accogliente e mi sentivo bene. Io e Stefano sedemmo al nostro
tavolo che si trovava più o meno in una posizione centrale, il cameriere
si avvicinò subito per chiederci cosa volessimo bere, feci da interprete
perché Stefano non sapeva il tedesco e mi divertivo a guardare Stefano
che, pur non capendo una sola parola, dava segno di sincera partecipazione
al mio dialogo con il cameriere. La cena era buona, abbastanza “Europea”
considerando le preferenze culinarie dei tedeschi. Ad un tratto vidi
Stefano cambiare espressione, da seria e tranquilla sembrò aver visto un
fantasma. Aveva portato in avanti la testa e socchiuso leggermente gli
occhi come per aguzzare la vista. Era a dir poco ridicolo. Lo guardai di
sottecchi mentre mangiavo.
“Ma che hai?”
Lui mi guardò e sorrise, non capii e gli
sorrisi anch’io
“Sì…?”
“Giulia, se ti dico chi è entrato in
questo momento…”
Feci per voltarmi…
“No, no, no !”- Disse piano - “non ti
girare adesso!”
“Ma chi è?” Ero curiosa oltre ogni
limite, tra il divertito e il capriccioso. Pensavo mi stesse prendendo in
giro come spesso amava fare.
“Non sono sicuro, ma mi sa che c’è
Russell Crowe…”
L’istinto di girarmi era ora diventato
quasi violento e oppormi a quella violenza troppo doloroso, allo stesso
tempo ero però impietrita, senza contare che , conoscendo quanto gusto
Stefano provasse a prendermi in giro sull’argomento, non volevo dargli
la soddisfazione di esserci cascata subito con tutte le scarpe.
Lo guardai negli occhi fissa, aspettando
una sua reazione, qualunque cosa.
“Ecco, ora si sta sedendo, sì, sì, è
proprio lui…è con un altro tizio”
“Stefano, non mi sto divertendo”
“Giulia, vuoi sederti qui? Così lo vedi…
se vuoi voltarti cerca di non farti vedere.”
Come certe volte le donne sanno farsi
venire in mente la cosa giusta al momento giusto ha dell’incredibile.
‘La borsetta’…avevo la borsetta appesa allo schienale della
sedia e mi sarei dovuta per forza voltare per prendere qualunque cosa mi
fosse servito. Fu quello che feci, con più naturalezza possibile mi
voltai, presi la borsetta e con altrettanta naturalezza sollevai lo
sguardo sperando, nei pochi istanti che avrei avuto, di non dovermi
guardare troppo intorno nella sala. Non ce ne fu bisogno, il tavolo in
questione era dritto sulla traiettoria del mio sguardo… Stava ancora
battendo il mio cuore? Credo che in quel momento smisi di respirare per un
istante. Non credevo a quello che avevo davanti agli occhi: Russell …lì,
davanti a me, seduto nello stesso ristorante in cui ero seduta io, come
avrei sempre voluto vederlo: la barba corta, ordinata, i capelli né
troppo lunghi, né troppo corti, con qualche ricciolo qua e là che gli
incorniciavano un viso che per me era misteriosamente perfetto in tutte le
sue imperfezioni. Aveva una giacca nera e una camicia blu chiaro. Era
bellissimo. Lui era là e io al mio tavolo, cosa potevo fare? Nei due, tre
secondi in cui lo guardai cercando di far credere che fosse di sfuggita,
stava parlando con il tizio che avevo visto poco prima nel corridoio della
nostra stanza e che da tanto cercavo di inserire in un qualche contesto.
Vederlo con Russell mi portò a fare un rapido collegamento mentale. ‘ma
non è l’amico senza il quale Russell non muoveva un passo?’
Pensai. Mi voltai di nuovo verso Stefano che ora mi sorrideva con aria
teneramente divertita. La mia espressione tranquilla e rilassata di mezz’ora
prima era completamente sparita. “È lui, no?” disse senza smettere di
prendermi un po’ in giro. “ Bè, non ti offendere, ma tutte quelle ore
in cui mi hai fatto sorbire i suoi film, mi saranno servite a qualcosa,
almeno a riconoscerlo!” disse strizzandomi l’occhio. “Allora, che
vuoi fare?
“Che vuoi dire?
“Come ‘che voglio dire’? Lo volevi
tanto conoscere e ora che ce l’hai lì vuoi buttare via quest’opportunità?”
“Io non vado da nessuna parte e poi è
lì che mangia e se si avvicina qualcuno magari per giunta si scoccia.”
Ci fu un attimo di silenzio e Stefano
avvicinò il viso verso di me dicendomi con aria provocatoria:
“Vuoi aspettare che torni in camera per
andargli a bussare?” Sentii un brivido di eccitazione all’idea di
quell’assurdità, ma risposi… “ Non mi fai ridere”
“Mi vedi ridere?” Disse calmo e
appoggiandosi nuovamente allo schienale della sedia.
In quell’istante mi ricordai tutte le
volte in cui guardando un suo film mi ero chiesta come sarebbe stato
vederlo e parlargli anche solo per fargli i complimenti per le emozioni
che mi aveva regalato. Quante volte avrei voluto farlo? Mille pensieri in
pochi secondi, ‘il sogno, la realtà, quello che ho, quello che
vorrei’ stavo impazzendo cercando di dominare quel flusso
irrefrenabile. Possibile che tutto si traducesse nel trovare il coraggio o
meno di alzarmi e andare da lui? Ripensai alla prima volta in cui mi ero
innamorata, era accaduto tanti anni prima e io avevo trovato il coraggio
di fare il primo passo e andare da un perfetto sconosciuto, che mi aveva
colpito ormai da settimane, per conoscerlo. Era sempre la stessa porta,
dal sogno alla realtà, ma solo varcando quella soglia sarei riuscita a
scoprire che cosa sarebbe cambiato nella mia vita, che cosa avrei avuto di
più o di meno. Solo percorrendo quei pochi metri che separavano il mio
tavolo dal suo. Volevo rimanere nel mio mondo di sogno e immaginazioni o
renderli reali?
Stefano mi distolse da quei pensieri.
“Ok, ho capito, vado io!”
“Dove, dov’è che vai, tu?”
“Senti, vado lì e gli dico che la mia
ragazza sogna dai secoli dei secoli di conoscerlo e di farsi quattro
chiacchiere con lui e bla bla bla , magari si impietosisce , non ci vorrà
poi molto?”
“Sì, e tu gli dici tutto questo in che
lingua?”
“Un po’ in inglese … un po’ a gesti…
non è che parla anche francese o spagnolo, per caso?”
“No, solo inglese”, dissi sorridendogli
con ironia.
Stavo quasi per essere convinta dalle sue
parole; Stefano si ricompose, guardò verso il tavolo di nostro interesse
come un soldato che prende la mira.
“ Guardano di qua”
“Cosa guardano?”
Continuando a parlare con me , con le mani
intrecciate davanti alla bocca e i gomiti puntati sul tavolo Stefano
disse:
“L’amico guarda te e dice qualcosa al
‘Gladiatore’…adesso magari è lui che ti ha puntato, così viene qui
lui e mi risparmia la fatica!”
“Forse ha notato che li abbiamo
riconosciuti e a Russell non sempre piace essere riconosciuto”, dissi
tutte quelle parole a raffica, stavo diventando nervosa e non seguivo più
quello che stavo dicendo.
“Dai, io vado”
Non feci in tempo a trattenerlo perché si
era già alzato e io, con la testa abbassata e lo sguardo verso il piatto,
non osavo immaginare in che cosa si sarebbe potuta trasformare quella
serata. Mi voltai lentamente verso il loro tavolo e vidi Stefano
avvicinarsi con aria un po’ intimidita. ‘Sta facendo tutto questo
per me?’ Avevo un vortice dentro di me, Russell e Stefano, il sogno
e la realtà a confronto, ma cosa volevo? Chi volevo?
Lo vidi gesticolare molto, sentivo poco
quello che stava dicendo, o cercando di dire, i gesti appunto, lo stavano
aiutando a trovare probabilmente le parole in una lingua che conosceva
poco. Ogni tanto indicava dalla mia parte. L’amico di Russell guardò
verso di me, mi aspettavo che Russell reagisse in modo brusco, non so il
perché, non avevo mai dato molto peso ai giornali scandalistici che lo
ritraevano spesso come una persona rissosa, senza particolari doti da gentleman,
ma le voci le avevo sentite, e sebbene io ,tra i film visti e il mio
buon senso, avevo imparato a dare peso solo al “mio” Russell, non
potevo credere del tutto che quanto si dicesse fosse solo frutto di
fantagiornalismo. Mi ricordai le parole di mia zia dopo aver visto “A
Beautiful Mind” “ Bellissimo film, quel Russell Crowe è un genio,
come attore parliamoci chiaro, perché per il resto è un losco
individuo”. Forse era più facile pensare che le voci fossero vere…non
avrei avuto spiacevoli sorprese. Invece dovetti ricredermi. Russell
guardava Stefano passandosi la mano sulla barba, non aveva l’aria
scocciata ma attenta e interessata, con quegli occhi dalle mille
espressioni…immaginavo che stesse sforzandosi di capire quella
situazione a dir poco assurda, ma in fondo anche umana. Guardò verso di
me fino a quando disse una cosa che capii perché pronunciata con un tono
della voce più alto.
“ All right, bring her here”
‘Quella ‘her’ ero io?’…che
dovevo fare ora?
Stefano si volto verso di me con l’aria
soddisfatta di chi ha compiuto la sua missione e con un rapido gesto della
mano mi fece segno di avvicinarmi. Io cercai di raccogliere in me tutte le
energie che, non tantissime volte, ma poche efficacissime, mi avevano
fatto sentire la persona più forte del mondo. Un vortice di pensieri
nuovamente nella mia testa…’Oddio,
adesso mi parlerà e io non capirò una sola parola…lo so farò una
figuraccia…respira Giulia, respira e …smetti di parlare con te stessa!’
Mi alzai e mi diressi verso il tavolo di
Russell e dell’amico. Stefano mi passò un braccio intorno alla vita e
quel gesto mi diede maggior sicurezza.
Per non so quale miracolo, improvvisamente
l’inglese che avevo studiato per anni tornò in mio possesso.
Russell si alzò e mi porse la mano per
stringere la mia.
“Ciao, io sono Russell Crowe”
Mi veniva quasi da ridere per il modo in
cui l’aveva detto, come se mi si presentasse un perfetto sconosciuto, c’era
un sorriso sul suo viso …
“…e io sono Giulia!”
“Piacere, lui è Mark” fece un cenno
con la testa alla sua destra.
‘Ecco
chi era, per la miseria! Mark! Per forza mi pareva di conoscerlo, lo avevo
visto con Russell!’
“Ci siamo già visti”, disse lui con un
sorriso.
“Dove?” chiese curioso Russell
“Sì, dove?” aggiunse Stefano
“Nel corridoio di sopra”
“Io ho visto solo camerieri e guardie del
corpo…di’ un po’, vedi belle ragazze e non mi chiami?”
“Sai com’è, non possiamo mica
dividerci anche le donne!”
A vederli sembravano due ragazzi come
tanti, intenti a dare spettacolo come spesso avevo visto fare tanti altri
di fronte ad una ragazza appena conosciuta.
Ritornando serio Russell disse, indicando
me e Stefano con il dito.
“Volete sedervi con noi o avete altri
programmi?”
Non credevo alle mie orecchie, guardai
Stefano con sguardo molto eloquente: “ci ha chiesto se…”
“Sì, ho capito…”disse a bassa voce
sorridendo un po’ imbarazzato. Russell ci guardava sempre sorridente e
in attesa di una risposta.
“Dai, non farti pregare” disse Mark
dando una pacca sulla spalla a Stefano.
Spostarono le sedie per farci posto. Io ero
seduta tra Stefano e Russell: ancora una volta tra realtà e sogno.
“Allora, bevete qualcosa?”
Avevo lo stomaco chiuso, non avevo bisogno
di niente, sentivo di avere già tutto.
“Almeno tu…una birretta?” disse
rivolgendosi a Stefano che accettò.
“Allora che cosa fai di bello, Giulia?
Quando Russell pronunciò il mio nome
sentii il cuore sobbalzarmi dentro: mai in tutta la mia vita avrei pensato
che avrei sentito la sua voce pronunciare proprio quel nome, il
mio. Avevo paura di reggere il suo sguardo, quegli occhi verde - azzurro
così disarmanti nella loro sincerità e schiettezza, ma lo guardai lo
stesso, fingendomi sicura.
“ Ho appena finito l’università”, in
realtà sono qui a festeggiare con lui la nostra laurea”
“Congratulazioni! E poi che farai?”
Non avevo parlato spesso di quello che
ormai da anni era diventato un mio chiodo fisso, preferivo non parlare
troppo dei miei progetti con altri per paura che si potessero tramutare in
bolle di sapone. Ma a chiedermelo era il mio principale idolo, il mio solo
idolo; io lo adoravo, ammiravo tutto ciò che per me rappresentava:
tenacia, determinazione, passione, trasgressione; questo mi trasmetteva
ogni volta che lo avevo visto in un film e , cosa di cui avevo una
piacevole paura, mi stava trasmettendo le stesse sensazioni anche in quel
preciso istante.
“Vorrei tradurre copioni cinematografici,
perché adoro il cinema! Un giorno vorrei vedere il mio nome scorrere tra
i titoli di coda alla voce ‘dialoghi italiani’ ”. Avevo discosto lo
sguardo pronunciando quell’ultima frase guardando verso uno schermo
immaginario che avevo tracciato nell’aria con la mano.
“Ops, lo so, sono un po’ ridicola…”
“No, continua, è affascinante” Russell
aveva ripreso a passarsi lentamente la mano sulla barba e immaginai che
quella mano fosse la mia; non credevo ai miei pensieri: ero lì, da pochi
minuti, con l’uomo che da anni speravo di sognare ogni notte e ci stavo
conversando amabilmente! Mi stava guardando in silenzio aspettando che
continuassi a parlare e io ad aspettare che fosse lui a chiedermi
qualcosa. Quel silenzio era in parte imbarazzante, in parte divertente
fino a che fui io a romperlo.
“Prima io e Stefano ci stavamo chiedendo
chi potesse essere ‘l’ospite di riguardo che stesse arrivando’, ma
non ci hanno voluto dire niente, se avessi saputo che eri tu…”
“Come come? Com’è che mi hanno
chiamato?”
“’Ospite di riguardo?, sì…perché”
“Hai sentito, Mark? Siamo ‘ospiti di
riguardo’
“Seee, se pensi che in certi locali quasi
non ci vogliono più fare entrare!”
“Questo perché tu bevi come un maiale e
poi ti devo salvare il culo dalle tue cazzate” disse Russell a Mark con
evidente ironia e scoppiarono a ridere; sul linguaggio non proprio
signorile anche Stefano era ferrato e si unì al coro. Veniva da ridere
anche a me e guardando Russell pensai ‘È proprio così che me l’ero
sempre immaginato’ E sentii la tensione incominciare a sciogliersi.
Continuavo a guardare Russell, e lui si accorse di questo, ma il mio
sguardo non era più quello iniziale, timido e timoroso, volevo entrargli
dentro, negli occhi, nell’anima, nella sua testa, lasciare il segno.
Prese il bicchiere di birra senza smettere di guardarmi e incominciò a
bere qualche sorso. Le sue labbra appoggiate al bicchiere mi fecero venire
in mente solo una cosa…’Giulia, ma a cosa stai pensando? Con
Stefano seduto accanto a te?’ Mai avevo pensato a qualcun altro
stando con lui, Russell aveva sempre fatto parte della sfera dell’ideale,
pensai che lui non contasse. Ora, però, avevo oltrepassato quella soglia
e sogno e realtà si stavano fondendo in una nuova realtà, una di fronte
all’altra, lì per me. Avevo sempre sognato di trovarmi in quella
situazione, io e Russell seduti ad un tavolo solo a parlare…ora ero lì
e Russell stava risvegliando in me qualcosa che non avrei mai pensato
facesse parte di me.
È incredibile come a volte si abbia l’impressione
di essere sentite anche senza aver detto una parola. Pensavo che questo
guardarsi negli occhi fosse una cosa che solo io avevo notato, ma a quanto
pare, non doveva essere stato così. Mentre Stefano parlava con Mark
sentii la sua mano scivolare sulla mia e portarla sul tavolo, così, in
bella vista, ‘quale subdolo modo di mostrare a chi appartengo!’
pensai…ma perché stavo reagendo così? Era Stefano, il mio ragazzo,
avrei dovuto essere contenta dell’orgoglio che mostrava nell’avermi
accanto, invece io amavo il modo in cui mi stava guardando Russell e amavo
il modo in cui io stavo guardando lui. Anche Russell notò quel gesto…e
come sarebbe potuto essere diversamente? Non era certo un idiota! Ed era
molto più grande di Stefano. Certi gesti potevano solo farlo sorridere.
Guardò le nostre mani unite, tamburellando delicatamente e con una calma
quasi sensuale, le dita sul bicchiere, guardò dentro ai miei occhi
mandandomi una scarica di elettricità che mi attraversò da parte a
parte; con lo stesso sguardo intenso e attento socchiuse ad un tratto
leggermente un occhio e quasi accennò un sorriso, come per dirmi
qualcosa. Scostai la mano da quella di Stefano con la scusa di bere l’acqua
che nel frattempo mi ero fatta portare, ma una volta posato il bicchiere
non gli ripresi la mano.
Mark e Stefano probabilmente si erano
piaciuti; chiacchieravano e chiacchieravano tra loro, tra gli sforzi di
Stefano di farsi capire, e quelli di Mark di attenuare il suo forte
accento per non rendergli la vita troppo difficile. Stefano, comunque,
dopo la seconda birra era già abbastanza sciolto. A dir la verità non lo
riconoscevo, ‘ma l’ho mai
visto così?’
“Quindi
uno di questi giorni tradurrai anche uno dei miei film?”
Russell era tornato al discorso iniziale e
riportò me alla realtà.
“Cosa? Ah, sì ..bè, quello sarebbe il
massimo a cui aspirare per un’appassionata di cinema come me…nonché
dei tuoi film.”
“Come avete tradotto in italiano ‘Gladiator’?
Sorrisi, già prevedendo la sua reazione
alla mia risposta:
“Il Gladiatore”
“Tutto qui? Ma allora è facile! Basta
aggiungere una vocale alla fine della parola inglese per avere la parola
italiana…e “A Beautiful Mind” ?”
“Quello lo abbiamo lasciato così”,
risposi stando al gioco.
“Ah, il traduttore forse non aveva voglia
di lavorare…”
“Eh sì, può darsi…”
Ridemmo entrambi e io incominciavo a
sentirmi davvero a mio agio con lui.
Ad un tratto Mark ci interruppe alzandosi
in piedi insieme a Stefano, io li guardai preoccupata, non volevo
andarmene, volevo restare ancora un po’ lì con Russell, magari per
sempre…iniziai ad agitarmi, facendo di tutto per non darlo a vedere.
Russell li guardò con sguardo altrettanto interrogativo. Si era fatto
tardi, o meglio, il ristorante aveva smesso di servire e i camerieri si
erano spostati in un’altra sala per occuparsi del servizio al pub. In
altri casi la sala sarebbe stata fatta sgombrare, ma pensai che stessero
facendo un’eccezione perché c’era Russell Crowe, “l’ospite di
riguardo”.
“State, state! “- disse Mark che in
quel momento adorai- “ io e Stefano andiamo a prenderci un’altra birra
di là al bar, volete qualcosa?”
“Per me niente, grazie!” rispondemmo
con una sola voce e scambiandoci subito dopo uno sguardo e un sorriso un
po’ complice. Non vidi Stefano guardarmi come per dire di seguirlo e
forse io più di tanto quello sguardo non lo cercai.
Fui distolta da quel pensiero quando sentii
una voce vicina all’orecchio. Russell si era leggermente piegato verso
di me portando il viso molto vicino al mio, vedendolo alla distanza di un
bacio da me , con un gesto misto fra timore e attrazione, per uno strano
paradosso, mi ritrassi per ritrovare il mio spazio.
“Mi sa che è un po’ geloso, il tuo
ragazzo” disse dando voce allo sguardo di poco prima alla vista della
mano di Stefano intenta a stringere la mia davanti a lui.
“Non ne ha motivo!” risposi pronta, ‘Che
bugiarda spudorata che sei!’ la mia mente non mi mentiva mai.
Russell ritornò ad appoggiarsi alla sedia stendendo le gambe sotto il
tavolo cercando di trovare una posizione più rilassata e continuava a
guardarmi con quegli occhi…quegli occhi che mi fecero dimenticare dov’ero
e chi fossi. In un lampo mi sentii catapultata in una stanza buia, faceva
freddo, c’era pochissima luce, un uomo davanti a me che mi guardava, io
a lui ‘Ero molto diversa allora?’ e lui ‘Sorridevi di più’
poi un bacio pieno di calore, lui con la barba che pungeva leggermente
sulle labbra facendo salire ancor di più l’eccitazione per quel gesto,
la mano su quel viso…Lucilla e Massimo - Io e Massimo…
“Sì!”, risposi ad una domanda non
sentita.
“Sì, cosa?” Russell mi guardava con un
sorriso interrogativo “ ti ho chiesto per quanto tempo starai qui?”
“Ah, scusa, non avevo capito”
“Parlo troppo veloce?”
“No, figurati…ero…con la testa
altrove”
Russell rise come se mi avesse appena letto
dentro.
“Comunque domani sera partiamo”
“Allora magari ci rivediamo”. Il suo
sguardo era sincero. Non mi sarei mai aspettata che dicesse quelle parole,
ma non volevo prenderlo troppo sul serio, ‘ci vediamo’ è una frase
che spesso si dice senza darle il suo effettivo valore.
Si stava facendo tardi e sebbene sarei
voluta rimanere tutta la notte a parlare con lui e a lasciarmi accarezzare
dal suo sguardo sicuro e maturo, la persona giudiziosa che era in me
decise di riportarmi con i piedi per terra.
“Forse è meglio che vada a
recuperare Stefano.” ‘Ma
perché devo essere sempre così ragionevole!’
“Sì, hai ragione, si è fatto tardi”.
Russell si alzò in piedi e io dopo di lui; con un gesto che mi lasciò
piacevolmente sorpresa, dato quello che ogni tanto avevo letto di sfuggita
su qualche giornale di poco conto sulle sue maniere non esattamente
signorili, Russell mi fece strada passandomi la mano delicatamente sulla
schiena, mi sentivo così importante per quella piccola cosa, era un uomo
che mi stava trasmettendo, con il grande carisma che scaturiva da ogni suo
gesto, un’enorme senso di protezione.
Trovammo Stefano e Mark al bancone del bar,
visibilmente ubriachi. Stefano mi guardò, uno sguardo che non conoscevo,
che non avevo mai visto prima rivolto a me. Era ubriaco, si vedeva, ma gli
occhi esprimevano quasi disprezzo e mi guardava con aria arrogante come
per dire “Eccola, finalmente!” Di certo Mark sapeva reggere l’alcol
molto meglio di lui.
“Questa signorina vuole andare a dormire!”
Disse Russell con voce profonda, come richiamare i due all’ordine.
Arrivati sul pianerottolo delle nostre
stanze c’erano le solite due guardie del corpo davanti a quella che
dedussi essere la sua stanza. Le guardai e Russell notò quel gesto.
“Loro non mancano mai, mi seguono anche
in bagno…e pensa che le pagano per farlo!” Sorrise di nuovo e risposi
al sorriso.
“Mi ha fatto piacere conoscerti, Giulia,
in bocca al lupo per la tua carriera” , poi rivolgendosi a lui per
accennare un saluto”…Stefano, buona notte, allora…”
Strinse la mano ad entrambi e mi rivolse
uno sguardo, l’ultimo, lo sapevo. Era finita, tra tutti gli alberghi
della terra Russell Crowe, cercato per anni, aveva la stanza a due passi
dalla mia e io non ci sarei potuta entrare! Una forza ribelle si stava
scatenando dentro di me. Chi ero in quel momento, che cosa desideravo
veramente? ‘Voglio che tu mi prenda e mi faccia provare il piacere
che non ho forse nemmeno immaginato possa esistere! Ecco cosa voglio!’
Scacciai quel pensiero come se non ci fosse mai stato ed entrai in camera
con Stefano chiudendo la porta alle mie spalle.
Ero stanca, e tutta la tensione trattenuta
fino a quel momento incominciò a sciogliersi a trasformarsi in tristezza
e malinconia. Portai la mano alla cervicale per sciogliere la tensione,
chiusi gli occhi e rividi Russell davanti a me , ma prima che mi potessi
avvicinare a lui lo squillo del cellulare di Stefano mi riportò nella mia
stanza.
“Ciao mamma! Come mai a quest’ora?…Sì
avevo lasciato il cellulare in camera, siamo tornati adesso, c’è
qualcosa che non va?”
‘La suocera’ pensai, non la
sopportavo per il semplice fatto che non mi sentivo sopportata da lei,
così protettiva e invasiva nella mia vita solo perché entrata in quella
di suo figlio. ‘Ma poi che intenzioni hai, lavorerai qui in Italia o
all’estero? Stefano vorrebbe andare all’estero, ma se poi anche tu
decidi di andare via siete lontani e come fate a vedervi?’ e io ad
ascoltare mille e mille volte quei discorsi, cercando di fare buon viso a
cattivo gioco. La sua carriera era importante, la mia solo se non lo
avesse fatto soffrire.
“Davvero, quando? Non ci credo, sono al
settimo cielo, ma sei sicura?”
Ero incuriosita da quella telefonata, ma
allo stesso tempo troppo stanca per cercare di indovinare.
A telefonata conclusa Stefano era davvero
fuori di sé dalla gioia, con un sorriso che non lasciava spazio a dubbi.
“Belle notizie?
“Altroché, hai presente il curriculum
che ti avevo detto di aver mandato per uno stage di traduzione a Madrid?”
“Sì…” sospettavo quello che stava
per dirmi e non so se avevo voglia di sentirlo.
“Mamma dice che mi hanno preso, ti rendi
conto? C’erano tre posti e hanno scelto me! …Un anno a Madrid, ci
pensi?”
Eccome se ci stavo pensando , e già mi
vedevo, lì ad aspettarlo a casa per dare prova alla ‘cara suocera’
che non sarei andata a cercarmi una vita indipendente da lui…mi odiavo
per gli sforzi che facevo cercando di piacerle. Quanto ero importante per
me stessa?
Finsi. “È meraviglioso, e quando
dovresti partire?”
“Dicono da Settembre, non vedo l’ora di
partire…ma che hai?”
Non riuscivo affatto a nascondere le mie
emozioni per quanto ci provassi, non ci ero mai riuscita; mi voltai
dandogli le spalle e lui notò la mia brusca reazione.
“Non sei contenta?”
Mi veniva da piangere, ma non lo feci e
trasformai le lacrime in rabbia isterica.
“E noi due?”
“Noi due cosa?”
Capii l’antifona e con un gesto delle
mani lasciai cadere la conversazione. “Lascia perdere.”
“Se intendi dire che la distanza sarà un
problema la Spagna non è dall’altra parte del mondo, ci potremo vedere,
telefonare, scrivere, non è impossibile!”
“Per chi? Eh? Per te che sei lì a fare
quello che ti piace, o per me che sono qui ad aspettarti?” Ero furiosa,
capricciosa ed egoista, ma non mi importava.
“Vuoi che non vada?” disse con l’intento
di farmi sentire in colpa.
“No”, dissi tra le lacrime, “ non
voglio proprio niente!” Di nuovo mille pensieri mi si avventarono
contro; pensai a Russell, ai suoi occhi e alla sensazione che avevo
provato guardandoli e sentendomi guardata, come se mezz’ora con uno
sconosciuto mi avessero fatta sentire più me stessa di sette mesi con la
persona che amavo; pensai a Stefano, io …loro due…mi stava crollando
il mondo addosso e non avevo più il controllo di nulla, volevo andarmene,
il più lontano possibile, di nuovo. Cercai un appiglio, qualcosa in cui
credere, ricordai le volte in cui mi aveva detto “ benedetto il giorno
in cui ci siamo scontrati”, come un fiume in piena quelle parole mi
ritornavano prepotentemente alla memoria. Dovevo calmarmi, reagire, avevo
solo me stessa su cui contare. E mentre sentivo un parte di me morire, una
nuova , più forte me stessa rinasceva, ritornava in me come se l’avessi
repressa per tanto tempo.
Vidi Stefano avvicinarsi verso di me, ma io
non ero pronta ad accoglierlo.
“Facciamo la pace, dai…” disse
guardandomi con uno sguardo che mesi prima mi avrebbe fatto impazzire. Mi
accarezzò il viso, fece per baciarmi, ma quando sentii la suo mano
scivolarmi sotto la camicetta e sfiorarmi la pelle mi irrigidii al suo
contatto e lo allontanai da me.
“Immaginati che io sia Russell!” C’era
un ghigno stupido e provocatorio stampato sul suo volto. Lo guardai come
se avessi voluto pugnalarlo con lo sguardo; se c’era una cosa che non
sopportavo era di essere presa in giro, non su quel fronte, e di certo non
in quelle circostanze.
“Avanti, gli hai parlato tutta la sera,
credi che gli sarebbe servito più tempo per decidersi se portarti a letto
oppure no?” Il suo tono si era alzato all’improvviso e nel pronunciare
quelle parole aveva preso la mia borsetta per poi lanciarla con violenza
contro il muro. Io rimasi lì, spaventata, ma lucida e fredda, stava
trasformando il tutto in una patetica scena di gelosia o stava sfogando
quello che a lungo si era tenuto dentro?
“Tu non sei normale…e sei anche
ubriaco!” E mi allontanai senza ancora credere a quello che stavo
vivendo.
“Sono attori, bella, svegliati! Bravi a
trasformarsi in quello che vuoi per mestiere! Figurati se poi trovano una
che gli sbava dietro!”
Capii che quella soglia da sogno a realtà
non l’avevo varcata solo io. Avvicinarsi a Russell per conoscerlo poteva
essere partito come un bel gioco, Stefano non poteva però prevedere che ,
io, la sua ragazza, sarei stata guardata da un altro uomo, per giunta ‘quell’uomo’,
in modo che sapevo Stefano aveva notato . Perché ora Russell Crowe non
era solo il mio idolo visto dietro a uno schermo, quello di cui avevo
studiato ogni più piccola espressione col ferma - immagine o che potevo
far vivere solo andando al cinema o ascoltando la sua musica; era
diventato qualcosa di più, anche se solo per pochi istanti, un possibile
rivale, perché Stefano sapeva che io lo avevo sempre voluto.
Quella notte, come la precedente, io e
Stefano dormimmo fianco a fianco, ma non ci sfiorammo neppure. Piansi a
lungo in silenzio, le lacrime che mi solcavano il viso come tagli che
bruciavano. Ripensai alle volte in cui alla finestra avevo guardato le
stelle facendomi mille domande, senza trovare risposte. Guardavo il
soffitto e davanti a me scorsero tante immagini: i mesi insieme, io prima
di conoscere Stefano, io mentre stringevo per la prima volta la mano a
Russell, mai in tutta la vita avrei pensato che sarebbe potuto accadere.
Pensai a lui sdraiato nel suo letto, ovviamente ignaro di qualunque cosa
fosse accaduta tra me e Stefano una volta chiusa la porta della nostra
stanza. Pensai a lui addormentato, al suo petto che si alzava e abbassava
ad ogni respiro e seguendone l’immaginario ritmo, mi addormentai tra
quei pensieri. Quella notte feci lo stesso sogno: di nuovo ero in mezzo a
tanti alberi alti, di fronte a me la sagoma dello stesso uomo di sempre,
cercavo di vederlo meglio, ma era buio e non ci riuscii (Fine Prima Parte)
1.
Ho riportato le parole esatte della mia vera zia. (NDA)
2.
“Va bene, falla venire qui”
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