Era curioso. Si sentiva sicuro di
fianco a lei, che aggrediva la strada con rabbia
riuscendo, nonostante tutto, a non preoccuparlo. La sua
libertà, indipendenza, durezza e disperazione lo
affascinavano eccezionalmente; voleva catturarla,
sanarla, renderla felice e non lasciarla andare mai
più. Il mare scorreva velocemente alla loro destra, la
piatta campagna australiana, interrotta decine di
chilometri più all’interno da colline, alla loro
sinistra, mentre si dirigevano verso nord. Dopo un paio
di centinaia di chilometri, raggiunsero una zona dove la
spiaggia era più grande che mai e infinita si stendeva
verso nord e sud a perdita d’occhio. Russell con la
mano le indicò di fermarsi, cosa che lei fece subito.
Scesero e si tolsero i caschi.
- Andiamo verso il mare, vieni.
- disse lui.
Si sedettero sulla sabbia bollente,
Sophie si aprì il giubbotto e slacciò il fazzoletto
dal collo per rilegarlo intorno al polso. Lo guardò e
gli chiese:
- Allora? Cosa vuoi?
- Hai la moto anche a casa?
- No.
- Guidi… bene. Ti piace
correre.
- C’è poco da correre quando
ciò da cui scappi è il tuo passato… o qualcuno
che ti sta seduto dietro al sedere.
- Non… ti lasci andare mai?
- E come potrei? Corro troppi
rischi.
- Non riesci… non riesci
proprio più a fidarti di qualcuno? Non riesci a
fidarti di… me?
Così dicendo, si avvicinò a lei,
regalandole ancora quel sorriso sornione che gli
illuminava anche gli occhi. Sophie si irrigidì. Si
strinse le ginocchia tra le braccia e guardò la sabbia
davanti ai suoi piedi.
- Se sapessi… se tu sapessi
che paura ho. Troppo dolore, troppa rabbia, troppo
odio. Non riesco… non riesco a… liberarmi di
tutto questo, la paura tiene tutte queste emozioni
come ingabbiate dentro di me.
Russell le accarezzò la testa.
- Sophie… prima o poi dovrai
fidarti di qualcuno altro. Perché non provi a
farlo con me?
- Cosa ti fa pensare di essere
particolarmente indicato a quel ruolo?
- Perché… non lo so perché,
credo sia istinto. Ho idea che tu ed io potremmo
andare molto d’accordo.
- Istinto… Non credo, ho un
pessimo carattere.
- Già… - sorrise Russell -
Una… “gran stronza”, giusto?
- L’hai anche provato sulla
tua pelle…
- Io… so che c’è dell’altro
là sotto… Ed è… buono, sa di buono, ne sono
sicuro.
- Posso… farti una domanda un
po’… un po’ cruda?
- Come se fossi stata delicata
come un petalo di rosa, finora… spara.
- Tu… tu vai sempre a scopare
in giro così o… beh, ti prendi certe libertà
perché tu… con tua moglie….
- L’ho amata molto. Fino…
fino a non molto tempo fa. Poi non so… qualcosa
si è incrinato. Non so spiegarmi cosa. A dire il
vero… le tentazioni non mancano. Forse il nostro
rapporto è diventato… datato. Non siamo più
ragazzini e… sai si cambia. Sono cambiate le…
circostanze, insomma, c’è un po’ di
indifferenza. E se mi accorgo delle altre…
donne, io… credo che non sia un buon segno.
Sophie gli sorrise appena.
- Che cosa… femminile.
- Cosa?
- Tutto. Tutta questa
descrizione del tuo… modo di vedere il rapporto
con tua moglie. Il “vedere” le altre donne
perché non ti senti più innamorato come prima. E’
molto femminile.
- Invece il tuo modo di
difenderti è molto maschile. Tante cose… tutto…
il modo di parlare, di vestirti, di fumare… la
moto! Sei un uomo travestito da donna, di’ la
verità…
Sophie sorrise, abbassando lo
sguardo, poi alzandolo nuovamente sull’orizzonte
segnato dal mare, le guance appena arrossate.
- Mi sembrava, almeno da quel
punto di vista, di aver fugato ogni dubbio…
Russell la guardò sornione.
- Penso invece che se qui
qualcuno si è tolto dei dubbi su chi è maschio o
femmina… quella sei tu…
Sophie, gli diede una pacca sul
braccio, sorridendo.
- Porco…
- Cosa ti piace fare? Oltre a
guidare la moto, provocare e insultare gli attori
e… sì, insomma, come ti piace passare il tuo
tempo libero?
- Non lo so… Io non ho tempo
libero, ho… la mia vita. Nient’altro. E’
tutta uguale, niente hobby, pochissimi amici. Oh
beh… sì, a dire il vero… mi piaceva tanto un
attore.
Russell sorrise.
- Ah sì? Chi?
- Tom Cruise… però da quando
si è messo con la Cruz mi è venuto in antipatia…
- gli rispose, restituendogli il sorriso.
- Hai il costume sotto? Ti va
di fare il bagno?
- Nell’oceano…? Dev’essere
surgelato…
- Mate!
Hai sentito che caldo fa?!(4)
- Sì, ma… così grande,
così aperto… sarà freddissimo…
Russell si alzò di scatto, si
liberò dei jeans e della maglietta, e corse verso la
riva; ancora qualche falcata e poi si tuffò nell’acqua.
Sophie lo guardò. Sembrava felice e sincero. Si tolse
lentamente i vestiti e raggiunse la riva finché l’acqua
non le circondò le caviglie; fredda e spumosa.
- Russ! E’ gelata!!
- Vieni, dai!!!
Sophie entrò nell’acqua fredda,
abbracciandosi per proteggere il corpo dalla temperatura
molto fresca. Russell la raggiunse, massiccio e
protettivo e sorridente.
- Ehi, piccola! - l’abbracciò
con sincero affetto. - Stai bene?
- S-… sì…
- No, invece: tremi come una
foglia!! Vieni, ti scaldo un po’… - Russell la
strofinò energicamente.
- Meglio?
- Molto meglio…
- Ok… - le passò una gamba
dietro una caviglia, facendole mancare il terreno
sotto i piedi, Sophie finì sott’acqua.
Quando riemerse sputò l’acqua in
giro e si passò le mani tra i capelli.
- Traditore…
- Sai… dall’altra parte di
quest’oceano ci sono gli arcipelaghi più belli
del mondo.
- Nuotiamo un po’, si muore
di freddo… - disse Sophie, cominciando a battere
i denti.
Fecero qualche bracciata, poi si
fermarono, ognuno esplorando il proprio “angolo” di
oceano con poche bracciate sott’acqua. Lei, emerse e
si allargò in un sorriso solare.
- Oddio, Russell!! E’
bellissimo!! Freddissimo, ma splendido!!!
- Dove fate il bagno in quel
paese assurdo a forma di stivale, nel bollitore
del the?!
- Australiani! Puah! Far
passare “l’oceano degli oceani” come
qualcosa di normale… è soltanto da voi!!
Fece ancora qualche bracciata.
- Sophie! Ehi, Sophie!! Sai...
fermati!!!!
- Che c’è?
- Sai andare in barca a vela?
- Un pochino.
- Che vuol dire, ci sai andare
o no?
- Ci sono andata tanti anni fa…
qualcosa so fare…
- Andiamo Sophie! Non si può
essere incinta solo un po’!!
- Ok, se mi dici “Cazza il
wang o lasca il fiocco” so che non mi stai
insultando… ti va bene??
- Non rispondermi con quel
tono, sai , tu…. straniera!!
La raggiunse e la spinse neppure
tanto dolcemente sott’acqua. Sotto il pelo dell’oceano,
Sophie si aggrappò ad una gamba di Russell e cercò
disperatamente di fargli perdere l’equilibrio, invano.
La mole massiccia e la fisicità di quell’uomo non
glielo permisero. Mezza affogata riemerse dall’acqua.
- Tu… tu hai un ranch qui
vicino, vero?
- Non proprio - rispose lui,
passandosi le mani sul viso bagnato - Sono a più
di cinquecento chilometri da qui.
- Con la moto si fanno in un
momento. Mi piacerebbe vederlo, mi ci porteresti?
- Volentieri. Usciamo. Così ci
possiamo asciugare un po’.
Tornarono a sedersi sui loro vestiti
asciutti, la sabbia bollente di sole.
- E’… sicuro il tuo ranch?
Voglio dire… lei può tornare da un momento all’altro?
- E’ fuori discussione. Lei
è a Sydney in questo periodo, non ha tempo di
venire a Coffs Harbour. Ci saranno i miei e mio
fratello. Oltre che qualcuno altro che sta sempre
lì a badare alle bestie.
- Dev’essere incantevole.
- Oh, ti piacerà. Ti fermi a
cena?
- Io non credo sia una buona
idea…
- E perché mai no?
- Mah, non so…
- Telefono a casa per far
aggiungere un posto.
- Sono le undici del mattino!
- Meglio preparli…
Si allontanò e tentò di fare tre
cose insieme, telefonare, infilarsi i pantaloni,
infilarsi la camicia. Il risultato era imbarazzante, un
omone che perdeva sovente l’equilibrio mentre
smadonnava perché il cellulare gli scivolava anziché
restare ben incastrato tra la guancia e la spalla.
Sophie si sentiva intenerita, ma sempre pervasa da un
fastidioso senso di paura ed inadeguatezza. Quella cosa
poteva piacerle ma… non poteva essere. Non avrebbe mai
funzionato, lui era sposato, un personaggio pubblico,
lei una superfortunata che aveva finalmente visto
luccicare la luce della sua buona stella. Non sarebbe
durato e lo sapeva benissimo. Quando si volse verso di
lei, sorrideva, le guance biscottate, i capelli bagnati
che si riavviava continuamente, facendolo sembrare
tremendamente avvenente.
- E’ tutto ok, andiamo.
Sophie si vestì e insieme si
avviarono verso la moto. Il viaggio non fu breve, ma il
tragitto fu coperto con la moto in un tempo ragionevole.
Quando la moto si addentrò lungo la strada sterrata che
man mano rivelava la bellezza del ranch, Sophie rimase
stupefatta. All’arrivo sullo slargo antistante l’ingresso,
sulla soglia vide una donna di mezza età, la madre
dedusse. Li salutò con molto trasporto.
- Eccovi finalmente!
Sophie fermò la moto, mentre Russell
scendeva e si toglieva il casco. La madre si sorprese
non poco.
- Oddio, ma sei tu…?! E’
lei che guida?!
Russell consegnò anche a sua madre
uno dei suoi sorrisi sornioni.
- Te l’ho detto che era una
originale…
Sophie mise il cavalletto e si tolse
il casco. I capelli biondi scompigliati le cascarono
davanti alla faccia e cercò di ravviarseli come meglio
potè. Si avvicinò alla donna allungando la mano.
- E’ un piacere conoscerla,
signora, e… mi scusi per l’intrusione, spero
davvero di non arrecare alcun disturbo.
Jocelyne, la madre, le sorrise.
- Il piacere è tutto mio…
Questa è… una cosa un po’ insolita, Russell
mi ha accennato al modo in cui vi siete conosciuti…
Sophie arrossì violentemente “Mi
auguro che nell’accenno non fosse compresa la
parentesi della toilette…” pensò.
- Già… Davvero bizzarro, non
trova?
- Vieni dentro, fa un caldo
terribile oggi…
- Ci siamo rinfrescati…
- Ah sì? - chiese Jocelyne,
entrando in casa.
- Sa, la moto… nonostante le
tute la velocità tiene freschi. E’ il casco che
ti ammazza. Poi abbiamo fatto il bagno.
- Fantastico! Ti è piaciuto l’oceano?
- Un po’ freddo… sa, noi in
Italia siamo abituati a fare il bagno nel
bollitore del the… - guardò maliziosamente
Russell.
Dopo un pranzo leggero si ritrovarono
a parlare sulla veranda, Russell una birra gelata in una
mano e una sigaretta nell’altra, gli altri, parenti e
amici con un bel sorriso sulle labbra.
- Fa impressione questo caldo…
- iniziò Sophie.
- Non mi dirai che non fa caldo
così da voi… - replicò Terry, il fratello di
Russell.
- Oh anche di più forse… ma
molto più umido e soprattutto… non in questa
stagione.
- Giusto! Voi avete… il
Bianco natale… che temperatura fa lassù adesso?
- chiese Russell.
- Sono partita da casa con 3
gradi sotto zero… A Roma faceva già più caldo.
- Sai, ma’… lei vive in
montagna.
- Dev’essere bellissimo…
come si chiamano le vostre montagne?
- Alpi. La zona dove sto io è
poco distante da un gruppo che si chiama Dolomiti.
Diventano rosa al tramonto… è molto pittoresco
lo scenario, in effetti.
- Nevicava quando sei partita?
- chiese Jocelyne
- No… ma la temperatura e il
cielo promettevano bene. Riabituarsi sarà un bel
pasticcio!
Alzandosi, Russell le si avvicinò e
con quella sua voce profonda e sensuale le chiese:
- Bevi una cosa, amore?
Sophie arrossì per la seconda volta
in un lasso di tempo che reputò troppo breve. Alzò lo
sguardo intimidito e rispose.
- Vino. Rosso. Se ce l’hai.
- Certo che ce l’ho.
Fece per allontanarsi, poi tornò sui
suoi passi.
- Sei sicura di non volere una
birra? Fa un caldo…
Sophie gli sorrise.
- Sono sicura.
Russell tornò con qualche bicchiere
e una bottiglia di rosso appena aperta. Ne versò un po’
in un bicchiere che porse a Sophie, lei lo prese in mano
dopo essersi accesa una sigaretta.
- Oh benedetta ragazza! Anche
tu con quel vizio? - fece Jocelyne alzando gli
occhi al cielo.
- Sì, signora… Dovrò
trovare un modo per smettere uno di questi giorni.
- Con Russell ho perso le
speranze… sembra ne faccia un motivo di vanto!
- Mamma… ti prego.
Il modo dolce e cauto di Russell, non
lasciava comunque ammettere repliche. Sua madre cambiò
subito discorso.
- Quanto ti fermi qui?
- Abbastanza per venirci a
trovare ancora - Russell anticipò la risposta di
Sophie - Non è vero?
- Tre settimane probabilmente.
- Ma adesso andiamo a vedere i
cavalli, vieni Sophie?
Russell trascinò via la ragazza
senza aspettare una replica da nessuno. Jocelyne guardò
Alex, il marito, uno sguardo che diceva tutto.
- Pensi anche tu quello che
penso io?
- Eh sì donna… credo proprio
di sì.
- Prevedo guai… Lei ha
telefonato.
- Cercava di lui?
- Dice che dopo il suo rientro,
lei lo era andata a prendere in aeroporto, lui non
si è fatto più vivo.
- Grossi, guai.
Capitolo IV
- Vieni! Vieni più vicino. -
fece Russell con un sorriso.
- So che sono bestie mansuete
ma… sono così grandi. Mi mettono un po’ di
timore.
- Non aver paura, vieni. Vieni
qui.
Russell la spinse vicino ad uno dei
cavalli, un baio con un’aria dolce. Si fece vicino,
lei sentì il suo profumo di salsedine e quello dei
vestiti. Alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri, due
fessure per ripararsi dalla luce, la guardavano con
immensa tenerezza. La prese in braccio con la stessa
facilità con cui avrebbe sollevato un quotidiano e l’aiutò
a salire sul cavallo.
- Oddio! No, mettimi giù!!
Russell ti prego, fammi scendere, ho paura!
- Non c’è nulla di cui aver
paura… stai tranquilla, sennò agiti anche il
cavallo.
Prese le redini in mano e fece
schioccare la lingua tre o quattro volte, molto
rapidamente. Il cavallo mosse dei cauti passi.
- Numi dell’olimpo… come si
sta alti…
- Ti piace? - chiese Russell.
Sophie accarezzava la testa del
cavallo.
- E’ bellissimo…
- Non potevi non provare.
Nel frattempo, a casa, lo scambio di
perplessità tra mamma e papà Crowe continuava.
- Ma tu glielo hai detto di
Danielle? - chiese Alex.
- Certo! - rispose Jocelyne.
- Cos’ha risposto?
- Niente di particolare. Ha
detto che l’avrebbe richiamata.
Jocelyne fece una pausa. Guardò suo
marito con occhi curiosi.
- Ti piace?
- Chi, quella ragazza?
- Sì…
Suo marito guardò l’orizzonte.
Intravide suo figlio con la ragazza, lui con le briglie
in mano lei, un equilibrio precario sul dorso del
cavallo, che ridevano, come se non avessero un solo
problema al mondo.
- E’ carina.
- Non dico esteticamente.
- Lo so che intendi, Jocelyne…
Sì, mi piace. E’ educata, semplice, non
invadente. Però… vivace al punto giusto.
- Esattamente quello che penso
anch’io.
- E allora?
- Niente… - sospirò Jocelyne
- Niente.
- Jocelyne, è sposato, che
diamine. Se deve fare le cose che le faccia bene
almeno per una volta nella vita.
- Non avrebbe dovuto sposarsi e
lo sai meglio di me.
- Non sono d’accordo. L’amava
quando si sono sposati.
- Le cose cambiano.
- Tra noi non lo sono.
- Noi siamo diversi. E
fortunati. Quel mio ragazzo… non trova pace.
- Beh… staremo a vedere che
succede. Ma per favore, Jocelyne, non metterci il
carico. Se deve fare delle scelte non asfissiarlo.
E’ un uomo, maturo o meno che sia, e deve
arrangiarsi da solo.
- Come se avesse mai seguito
uno dei miei consigli…
- Lascialo fare.
Sophie si sentì tutt’un tratto
stremata dalla paura.
- Russell ti prego, fammi
scendere da qui… non mi sento sicura.
- Vieni, fai girare la gamba
sopra il dorso… cooosì! Vieni, ti prendo in
braccio.
Di nuovo, per scendere da cavallo, il
suo corpo si strusciò addosso a quello di lui. Ora lui
era più accaldato di prima, l’odore della birra e
delle sigarette si sentiva anche standogli soltanto
molto vicino. Non riusciva ad associare questo Russell
con quello della toilette dell’aereo, così come non
riusciva a trovare la se stessa dell’aereo, tutto
sembrava così… piacevolmente diverso. Lui così
vicino, la guardò ancora con quella tenera dolcezza
della quale lei pensava non fosse capace, si avvicinò
ancora di più e le baciò le labbra, tenendola stretta
per la vita in modo che aderisse perfettamente a tutto
il suo corpo. Serrava e socchiudeva appena le labbra,
toccando quelle di lei con tanti piccoli dolcissimi
baci. La bocca di lei era morbida e sapeva di vino,
anche lei aveva un lieve odore di salsedine. Si staccò
da lei e la guardò con un sorriso.
- Bisogna che impari… -
bisbigliò.
- A far che? - chiese lei.
- A cavalcare. I miei amici
sanno tutti andare a cavallo. E… la mia donna
deve saper andare a cavallo.
Ancora quel potente disagio s’impossessò
di lei prepotentemente. Si allontanò da lui, in modo
leggermente brusco.
- C’è tempo, non credi? -
replicò, con finta indifferenza.
- Può darsi. Ma non vorrei
aspettare troppo. Torniamo in veranda?
- Volentieri. Mi è venuta
sete.
Quella sera, la cena scorse via
piacevolissima e calda. La compagnia era fantastica,
Sophie riuscì a dimenticare, sebbene per poco tempo, il
suo dolore, la sua rabbia il suo odio. Russell era un
uomo straordinario, bizzarro, ma sempre con la
situazione in pugno, un vero e proprio lupo alfa. I suoi
genitori e suo fratello erano persone amabilissime, le
persone che aiutavano al ranch gentili e disponibili. Ad
un tratto squillò il telefono. Jocelyne guardò prima
suo marito, poi Russell.
- Credo sia meglio che tu vada
a rispondere, tesoro.
Russell si alzò e prese il
ricevitore nell’altra stanza. Quando sua madre lo
raggiunse, cinque minuti dopo, il tono della voce di suo
figlio non lasciava spazio a dubbi: stava litigando con
sua moglie. Qualche imprecazione, poi Russell chiuse la
comunicazione. Sua madre lo guardò.
- Che succede?
- Niente.
- Posso chiederti una cosa?
- No.
- Cosa provi per questa
ragazza?
Russell la guardò, gli occhi chiari
così trasparenti da poterci leggere dentro. Non aveva
bisogno di una risposta.
- Se ti piace, - continuò -
allora fa’ quello che devi. Ma fallo bene.
Suo figlio, la guardò, come in cerca
di aiuto.
- No, non mi piace. Credo… di
esserne innamorato.
- Fallo bene. - ripetè sua
madre.
- Ho preparato la stanza degli
ospiti - continuò.
- Non servirà. Dormirà con me
nel trailer.
- Sicuro che a lei vada bene?
- Torniamo dagli altri, ma’…
ti va?
La serata volse al termine di lì a
poco e Sophie lo guardò con aria interrogativa.
- Devo tornare… speriamo
bene, ho bevuto un po’ troppo.
- Ti fermerai a dormire qui.
- Non credo sia il caso. Ci
sono i tuoi, non vorrei disturbare.
- Nessun disturbo, dormirai con
me nel trailer.
Sophie ammutolì.
- Quale trailer?
- Quello che non ho smantellato
da quando hanno fatto i lavori di ampliamento e
ristrutturazione della casa. Vieni?
Sophie lo seguì docilmente.
Entrarono in una roulotte, che sembrava una di quelle
degli artisti del circo. Dentro era bella, spaziosa ma
invasa da una miriade di oggetti che la ingombravano
irrimediabilmente. Contro una delle pareti un
inequivocabile letto matrimoniale. Lui si tolse la
camicia “plaid” che portava aperta su di una t-shirt
bianca. Si avvicinò e portò le labbra vicinissime al
suo orecchio.
- Sentirai la meraviglia del
silenzio di questo posto, interrotto soltanto dal
rumore delle cicale che smettono verso mezzanotte…
Sophie si sentì gelare. Alzò lo
sguardo verso di lui, la luna piena la cui luce inondava
il trailer, che gli illuminava appena gli occhi chiari.
Avrebbe desiderato vivere il resto della sua vita in
quella roulotte, ma aveva parzialmente sentito la
telefonata. Sua moglie doveva essere infuriata e lui
aveva detto cose orribili in modo orribile. Ora però
era lì con lei…
- Russell… - mormorò Sophie.
- Ehi... - rispose lui.
- Tienimi stretta…
Russell l’abbracciò. La baciò sul
collo, cosa che le diede dei brividi impareggiabili. Si
staccò da lei, si tolse la t-shirt e Sophie guardò il
suo torace largo e protettivo. La spinse dolcemente
verso il letto, e cominciò a spogliarla. Sophie lo
aiutava, cercando anche di slacciargli i jeans. Furono
nudi in un secondo, Russell si fermò un momento a
guardarla negli occhi. Il sangue di Sophie divenne di
vetro, e il secondo successivo iniziò a bollire. I baci
di Russell si fecero sempre più languidi per poi
diventare quelli famelici dell’amante appassionato. La
pelle di lui profumava di salsedine e di sole, quando
lei gli dischiuse i misteri della sua femminilità
trovò un uomo dolcemente irruento, generoso e attento.
Gli rimase aggrappata con tutta se stessa, nella
speranza che fosse per sempre, in un inevitabile
doloroso confronto col suo passato. Non c’era paragone…
la dolcezza di quell’uomo, alla pari del suo vigore e
della sua mascolinità non concedevano ai suoi ricordi
il benché minimo margine di salvezza. Riteneva di aver
conosciuto degli uomini che pur dall’alto della loro
stronzaggine erano stati degli ottimi, lei credeva,
insuperabili amanti. Ma quest’uomo li batteva tutti.
Il movimento cadenzato dei suoi fianchi, quando non
affondava la bocca nel collo di lei, era di tanto in
tanto interrotto da qualche gemito lieve, secco; lui
ogni tanto chiudeva gli occhi e la stringeva
progressivamente mentre sentiva le sue mani aggrappate
alla sua schiena, le sue unghie che gli grattavano la
pelle. Gli piaceva che le sue mani scendessero nell’incavo
della sua schiena fino alle natiche, incitando il suo
movimento, gli piaceva il suo profumo, gli piaceva il
modo in cui quella donna era coinvolta in quell’amplesso.
In quella toilette era stato un’idiota, non avrebbe
mai potuto nemmeno lontanamente immaginare quanto
sarebbe stato dolce e travolgente fare l’amore con
lei. Dopo che lei si fu abbandonata a prendere tutto
quello che il piacere poteva donarle, gli accarezzò i
capelli, e lo guardò, invitandolo dolcemente a fare
altrettanto. Lui ammutolì e aumentando lievemente il
ritmo si lasciò andare dopo poco, gemendo sottovoce
vicino al suo orecchio. Rimase immobile, la bocca vicino
al collo di lei, sudato e stanco, la fronte appoggiata
al cuscino. Ansimava leggermente, lei poteva sentire il
suo petto che la pressava e l’alleggeriva ritmicamente
seguendo il respiro affannato che gradualmente tornava
alla normalità.
- Ti peso…? - mormorò
Russell dopo un po’.
- Per niente.
- Sophie… - sussurrò ancora.
- Che c’è?
- Dove sei stata tutti questi
anni?
Sophie gli lasciò un lieve bacio
sulla guancia.
- Shhh… - fece piano - Non
dire nulla… fammi sentire il silenzio della
notte interrotto dal canto delle cicale… e dal
tuo respiro.
Rimasero abbracciati ancora un poco,
poi lui uscì da lei e si sdraiò sulla schiena. Lei,
sofferente da qualche anno di mal di schiena, si girò
su un fianco, guardando il suo profilo contro la
penombra. Persino il naso era bello, non ci aveva mai
fatto caso. Lui allungò una mano sul davanzale della
finestra dietro il letto, prese due sigarette, le accese
entrambe poi ne passò una a Sophie. Si mise un
portacenere sul diaframma, poi piegò un braccio sotto
il capo per sorreggerselo.
- Questo trailer è un ottimo
rifugio. E’ l’unico vero posto dove posso
stare per conto mio. Pensa! Dopo tanti anni di
lavoro, dopo tanti… bei cachet milionari, eccomi
qui, a trovare la mia intimità in una roulotte! -
rise di gusto in modo un po’ scemo.
- Comprati una casa dove non
portare nessuno….
- Non è questo il punto. E’
che… questo posto è mio ed è qui a Nana Glen.
Anche se nel ranch un’ala è mia… non so. Qui
posso segregarmi come Dio comanda.
- Allora goditi i cachet
milionari… e l’intimità del tuo trailer!
- Non sarà mai più lo stesso…
- si voltò a guardarla. - Ora che ci sono stato
con te.
Rimasero un po’ in silenzio. Lui,
fumatore più accanito, spense la sigaretta tutta
consumata quasi subito, lei, la sigaretta tra le dita,
aveva la mano appoggiata al suo ventre.
- Una volta devi portarmi nelle
tue montagne… - riprese lui - sono curioso, non
sono mai stato da quelle parti.
Sophie non rispose.
- Che c’è, - chiese lui
ancora - non mi ci vuoi portare?
Sophie continuò a non rispondere.
Lui si voltò e la vide addormentata, il respiro
delicato e regolare. Le prese la sigaretta dalle dita e
la spense, poi mise via il portacenere e la baciò sulla
fronte.
- Buonanotte anche a te.
La guardò nella penombra, i capelli
scarmigliati, il corpo che aveva dialogato col suo fino
ad una mezz’ora prima, abbandonato all’abbraccio del
sonno. Si sentiva bene, ancora un volta al sicuro, come
se nulla di brutto sarebbe potuto accadergli se lei
avesse accettato di essere sua. Le guardò ancora il
viso.
- Ti amo, Sophie - mormorò.
Chiuse gli occhi e si abbandonò anch’egli
al sonno.
Capitolo V
La luce del sole filtrò da dietro le
veneziane della finestra dietro il letto. Sophie aprì
gli occhi. Nonostante la posizione il letto le aveva
ammazzato la schiena. Fece la gobba come i gatti, poi si
stiracchiò cercando di rigenerare la spina dorsale. Si
liberò dolcemente dell’abbraccio di Russell e si mise
a sedere sul letto. Si guardò attorno. Una roulotte.
Dove c’era un casino inenarrabile. Scatoloni con
dentro chissà mai cosa, libri e copioni in giro su un
tavolino, una cassetta di lattine di birra, qualche
lattina vuota in giro, delle foto attaccate al muro con
dello scotch. E poi, un paio di camicie stropicciate
buttate su di una sedia incastrata a forza sotto il
tavolino, un portacenere pieno all’inverosimile, un
altro sulla sporgenza della finestra dietro il letto.
Attraverso i vetri si vedeva a malapena. C’era un
piccolo frigorifero, Sophie si alzò lo raggiunse e l’aprì.
Altre lattine di birra, una bottiglia di latte scaduto
sei mesi prima. Una mela. Gesù, sembrava la casa di uno
scapolo. Era questo che Russell voleva essere? Non si
spiegava quel rifugio, quello stereotipo. Quando aveva
sposato Danielle, l’amava. Cosa si era incrinato, cosa
era andato perduto, cosa gli faceva preferire stare in
una roulotte sudicia e incasinata? Lei sapeva bene che
le coppie si sfasciano per colpa di due persone e non
per una soltanto. Cosa aveva fatto o non fatto lei che a
lui non era andato bene, come e cosa era cambiato in lui
così tanto da farlo fuggire da quella donna amata in
gioventù e alla quale tutto sommato era rimasto legato
per tutta la vita, seppur tra una avventura e l’altra?
Forse era diventato un uomo. Forse l’avvicinarsi così
rapido della soglia dei quarant’anni lo spaventava,
forse cercava qualcosa che sentiva, sapeva che lei non
poteva dargli. Chissà che voleva. Tranquillità?
Sicurezza? Dei figli? O la libertà di poter continuare
a fare i comodi suoi come e quando meglio gli pareva?
Aveva la sensazione che non sarebbe mai riuscita a
saperlo. Ecco che nuovamente si sentiva a disagio,
ancora una volta, dopo aver fatto l’amore con un uomo
aveva quella spiacevole sensazione di aver tradito il
suo antico compagno, quello che così profondamente l’aveva
ferita. Non apparteneva a quella realtà, il suo posto
era in un monolocale ammobiliato dall’altra parte del
mondo, unici compagni di “viaggio”, del viaggio
della sua vita erano la tristezza, la rabbia, l’odio.
Non aveva tempo per l’amore, non aveva tempo per
rischiare di trovarlo. Soprattutto non aveva il coraggio
e il tempo di rischiare di perderlo. Doveva tornare alla
sua realtà e presto, altrimenti si sarebbe fatta
coinvolgere e sarebbe stato molto più difficile tornare
indietro. “Smetti di prenderti in giro, Sophie… Non
sarà mai tuo, non può, non potrà mai essere tuo.
Sveglia, e torna a far crescere quel livore che tanto
brava sei stata a coltivare”. Tornò verso il letto,
si mise qualcosa addosso, poi si sedette sulla sponda e
guardò Russell che continuava a dormire, il respiro
leggero e regolare, il viso disteso. Il lenzuolo lo
copriva a malapena dall’inguine in giù. Era “gibboso”
anche nel relax del sonno, le spalle arrotondate dai
muscoli che le fasciavano, i bicipiti e gli avambracci
torniti, questi coperti da una non troppo pronunciata
peluria. L’addome non era piatto e a “tartaruga”
ma era tonico e tutto il busto risultava massiccio e ben
costruito. Sorrise tra sé, quando alzò il lenzuolo per
guardare tutto il resto che c’era sotto. Aveva anche
delle belle gambe. Robuste, muscolose quanto bastava. E
il resto… beh, a riposo, ma… Madre Natura o mamma
Jocelyne, lo aveva bene ben dotato. Lo ricoprì, si
sentì leggermente in colpa a osservarlo così
morbosamente mentre dormiva. Tornò verso il viso,
parzialmente coperto dalla barba. Non le erano mai
piaciuti particolarmente gli uomini con la barba. In
alcuni trovava molto sexy il pizzetto, ma quasi mai la
barba intera. Russell stava meglio con la barba che
rasato. Che curiosa eccezione. I capelli arruffati gli
cadevano ovunque, i riflessi color miele gli addolcivano
il volto che poteva diventare duro e impenetrabile. Il
naso perfetto, quasi troppo delicato per un uomo e le
labbra, quelle sicuramente troppo delicate per un uomo,
appena socchiuse, Sophie avrebbe potuto adorare ogni
millimetro cubo di quell’uomo, con ogni sua singola
cellula. Ma non poteva, non voleva. Russell aprì gli
occhi, li strizzò, li sbattè investiti da un raggio di
sole.
- Ehi… - mormorò - Già
sveglia?
- Il tuo materasso mi ha
demolito la schiena. E poi devo partire.
Russell si strofinò la faccia. Si
stirò come un gatto poi si tirò su puntandosi sui
gomiti.
- Di già… che ore sono?
- Non so. Dev’essere presto
comunque. Il sole non è sorto da molto.
- Perché scappi? Aspetta…
Sophie si alzò rapidamente, troppo
denso e consistente il timore di non riuscire più ad
andar via da quel posto.
- Magari… ci sentiamo, ok?
- Tanto so dove trovarti.
Ricordatelo.
- Sì. Lo so.
Sophie finì di vestirsi di corsa,
poi uscì dal trailer, risalì sulla moto e partì a
gran velocità. Durante tutto il tragitto non fece che
pensare ancora a quello che le era venuto alla mente
mentre era nel trailer. In più giunse ad una
conclusione. Non avrebbe mai dovuto entrare nella vita
di quell’uomo, non avrebbe mai dovuto permettergli di
entrare nella sua. Era votata a qualcos’altro, doveva
pagare un prezzo non ancora completato. Quando giunse a
metà pomeriggio al suo albergo si sentì meglio, più
al sicuro. Scese dalla moto, le diede una lunga
occhiata. Un Ducati. Bella, lucente, una moto italiana.
Non avrebbe potuto desiderare di meglio. Salì in
camera, posò lo zaino, si spogliò lasciando i vestiti
in giro dappertutto. Poi si sedette al tavolino,
estrasse un foglio di carta da lettera e scrisse
qualcosa. Poi entrò nel bagno e cominciò a far
scorrere l’acqua nella vasca.
Russell s’infilò i pantaloni poi
cercò la maglietta. Sotto di essa trovò la bandana di
Sophie. La prese tra le mani e sorrise quando se la
premette contro il naso, annusando a fondo il profumo
del quale era impregnata. Era lo stesso che era sul
collo di Sophie, sul suo decolté, sul suo seno.
Raccattò la camicia e uscì rapidamente dal trailer.
Prese un’altra auto (il pick up era rimasto a Sydney,
avrebbe dovuto trovare un modo per andarlo a riprendere)
e percorse la strada verso Sydney a gran velocità. Dall’auto
chiamò sua madre.
- Ehi ma’…
- Russell! Che c’è?
- Sto andando da Sophie, sono
uscito verso ora di pranzo e... beh, insomma
volevo avvisarti.
- Hai fatto bene… stavo per
venire a chiedervi se volevate la colazione o il
pranzo… Ma Sophie è già andata via?
- Sì, sì… aveva da fare.
- Tutto bene figliolo?
- Sì ma’… senti io…
- Cosa?
- Io vorrei sposarla.
- Non devi fare qualcos’altro
prima?
- Sì, ma poi voglio sposarla.
- Non ti ho mai visto così,
Russell.
- Lo so, ma’.
Jocelyne sorrise al telefono.
- Fa’ quel che devi,
figliolo. Che Dio ti benedica.
Russell riattaccò. Quando giunse a
Sydney era tardo pomeriggio. Per fortuna… era giusto
in orario, poco prima che i negozi chiudessero. Entrò
nella prima profumeria che trovò e suscitò la solita
sorpresa quando si appropinquò al bancone e venne
avvicinato da una commessa.
- Buonasera… Signor Crowe,
posso aiutarla?
Russel tirò fuori la bandana.
- Sì. Saprebbe dirmi che
profumo è questo?
La commessa annusò il fazzoletto.
- Certo signore. E’ un
profumo di Chanel, si chiama Coco Mademoiselle.
- Ne vorrei una bottiglia per
favore.
- Da 50 ml, spray va bene? Eau
de parfum?
- Perfetto.
Russell pagò poi usci rapidamente
dal negozio. Raggiunse il DeVere più in fretta che
potè, rallentato dal traffico dell’ora di punta.
Quando arrivò all’albergo, era in preda ad una smania
irrefrenabile, non vedeva l’ora di parlare con Sophie
e dirle tutto quello che provava per lei, tutto quello
che era riuscita in quattro giorni a risvegliare in lui,
che non voleva più trascorrere un solo minuto della sua
vita senza di lei. Di fronte all’albergo fu sorpreso
di trovare numerose macchine della polizia, i
lampeggianti che gettavano riflessi drammatici sulla
facciata fino ai primi due piani. Chiuse la macchina e
un po’ stranito si avviò verso la reception.
- Sophie Scotti. Può per
favore dirle che sono qua?
La receptionist lo guardò un po’
stravolta. Ci impiegò qualche minuto a realizzare chi
aveva davanti e cosa avrebbe dovuto rispondergli.
- Mi… dispiace, Signor Crowe…
- la ragazza si commosse, Russell notò che gli
occhi le divennero lucidi.
- Cosa c’è?
Una voce dal fondo della hall lo
chiamò.
- Signor Crowe? Russell Crowe?
Un agente di polizia gli si fece
incontro.
- Che c’è, che cazzo c’è??
Che succede??
- Venga con me, per favore.
Russell, più incredulo che
arrabbiato si fece condurre al settimo piano dov’era
la stanza di Sophie. Un drappello di persone, per lo
più agenti, si trovava di fronte alla porta aperta di
una stanza. Un uomo in borghese si fece incontro ai due.
- Grazie, Grant, può andare.
Signor Crowe, lei conosceva una certa Sophie
Scotti?
- Sì, certo la conosco! Si
può sapere che cazzo s-… ‘Conoscevo’?
- La prego, mi segua.
Il tenente di polizia lo condusse
nella stanza. Nel piccolo ingresso si fermò e gli porse
un foglio di carta da lettera in un sacchetto di
plastica.
- La… signorina Scotti si è
tolta la vita due ore fa. Questa è indirizzata a
lei.
Russell sbiancò. Sentì una tremenda
botta di nausea salirgli dallo stomaco, le gambe gli
divennero molli. Con un filo di voce, chiese:
- Cos’è successo… cosa ha
fatto?
- Si è tagliata le vene con
una lametta da barba.
Russell deglutì, gli occhi
iniziarono a diventargli umidi.
- Dov’è? Vorrei vederla.
- Signore io non credo che…
- Voglio vederla!! - urlò.
Il tenente serrò la mascella.
- Va bene. Ma tenga presente
che… non è uno dei set su cui lavora lei. Non
sono mai belle scene.
Russell deglutì ancora, mentre
diventava sempre più pallido. Entrò nel bagno dove un
coroner stava facendo delle foto e un altro poliziotto
stava rilevando delle prove. Gli sembrò di percorrere
un corridoio lungo chilometri, i suoni gli giungevano da
lontano mentre la folla di agenti si apriva per farlo
passare. La scena gli si dischiuse lentamente davanti
agli occhi. Sophie, bianca e molle, giaceva nella vasca.
Il sangue era colato copioso lungo le pareti esterne
della vasca e anche nell’acqua che la riempiva. Aveva
gli occhi aperti, quasi stupiti di fronte alla morte che
finalmente veniva a prenderla, la bocca socchiusa ma un’espressione
distesa, come se avesse smesso di soffrire. Russell si
chinò sulla vasca. Aveva il viso asciutto, due piccole
striature sulle gote, le lacrime che aveva versato e che
erano divenute piccole tracce salate e opache, i capelli
umidi ancora appiccicati alle tempie. Russell si sentì
morire. Gli occhi gli si velarono di lacrime che non
riuscì più a trattenere e che versò senza ritegno. I
pugni gli si chiusero, chiuse gli occhi, poi li riaprì.
Allungò una mano verso il suo viso. Scostò una ciocca
di capelli umidi e la portò dietro l’orecchio,
appoggiò lievemente il dorso delle dita sulla sua gota.
Era già fredda. Iniziò piano a dire “no”, a
scuotere la testa, a chiedere “perché l’hai fatto?
Dio, perché gliel’hai fatto fare?” e il volume
della sua voce crebbe fino a diventare un grido.
Singhiozzò come un bambino accovacciato accanto alla
vasca e il tenente venne a portarlo via. Pensò anche
lui che era strano vedere un uomo di quella stazza, con
quell’immagine di supereroe che si era costruito
tramite i personaggi che aveva interpretato, buttar
fuori tutta la sua disperazione in quel modo. Lo aiutò
a sedersi su uno dei due letti nella stanza e lo lasciò
momentaneamente da solo. Russell, gli occhi gonfi e
ancora pieni di lacrime, lesse la lettera:
“Russell,
niente potrà mai eguagliare la gioia
che mi ha dato incontrarti. Sei un uomo meraviglioso e
non c’è altro da aggiungere. Ma io non posso… darti
quello che ti aspetti da me, ormai è stato tutto
corrotto dall’odio, dalla rabbia e dalla disperazione
e io non riesco a trovare la forza di vincere la paura
che provo nei confronti della felicità che potresti
darmi, sicuramente nei confronti del rischio di
perderla. Odio troppo un altro uomo per riuscire a
trovare la capacità di amarne un altro. Non voglio
soffrire più così, mai più.
Sophie
P.S.: Ho ragione di credere che gli
uomini siano tutti uguali. Ma ho altresì ragione di
credere che… tu abbia ragione. Tu non sei come tutti
gli altri. Tu sei come nessun altro.”
Russell chinò il capo sulla lettera.
Se la portò alla fronte, le lacrime bagnarono la busta
di plastica. Tirò fuori dalla tasca del giubbotto
leggero la bandana e la scatoletta con dentro il
profumo. Strinse la bandana come se dovesse stritolarla,
e sentì allo stesso modo stringerglisi il cuore. Se
avesse avuto quell’uomo davanti in quel momento era
certo che avrebbe potuto ammazzarlo.
Il tenente lo avvicinò.
- Amici di vecchia data?
- L’avevo conosciuta in aereo
quattro giorni fa.
- Avevate litigato?
- No…
- Nessuno screzio, niente che
potesse portarla a compiere un gesto tanto grave?
- No.
- Dov’era lei due ore fa?
- In macchina. Stavo venendo da
lei, dalla mia tenuta. Volevo dirle… dirle…
- Cosa?
- Di non partire. Volevo che
restasse sempre qui. Con me.
- E’ arrivata presto. Faceva
i 220 sull’autostrada, ha persino seminato una
pattuglia. In realtà è per questo che siamo
venuti qui. In prima battuta, certo. Poi quando
abbiamo chiesto di lei e lei non ha risposto…
abbiamo chiesto alla direzione dell’albergo, che
l’aveva vista rientrare un’ora prima, di
aprirci la porta.
- Che succederà ora?
- Credo che una volta
parzialmente ricomposta, la salma sarà
rimpatriata.
- Posso prendere qualcuna delle
sue cose?
- Io non ho sentito…
- Grazie, tenente. Ah, senta…
- Dica.
- E’ necessario farla
rientrare in Italia?
- Se ha dei parenti in vita
laggiù, sì.
- Le dispiacerebbe se mi
occupassi io di questa cosa?
- Non posso proprio, mi
dispiace.
Russell si strinse le mani nelle
mani, le spalle gli divennero piccole.
- Per favore…
Il tenente lo guardò, ancora una
volta stupito nel vedere la metamorfosi di quell’uomo.
- Ok… abbiamo trovato dei
recapiti telefonici tra le sue cose. Faccia quello
che deve fare. Dopo i rilevamenti del caso, anche
se credo un’inchiesta non sia necessaria, il
corpo sarà portato all’obitorio del distretto.
Darò disposizioni perché lei possa…
occuparsene dopo.
- Grazie.
Capitolo VI
Poco distante dalla sua roulotte, c’era
un grande albero, che gettava una fresca ombra tutt’intorno.
Non era molto abituato a sentire quello che diceva un
prete cattolico. In verità non ci stava facendo molto
caso. Le uniche persone presenti erano i suoi genitori e
suoi fratello. Sua madre, più sbigottita che
addolorata, lo guardava con grande apprensione. Quando
la terra più scura ebbe lasciato una traccia
rettangolare sul terreno sotto l’albero, i suoi
parenti e il prete si allontanarono. Russell si
accosciò e tirò fuori da una tasca la bandana e la
scatola del profumo e li appoggiò sulla terra.
- Spero solo… ma non credo…
che tu stia meglio là dove sei.
Si alzò e s’incamminò verso il
suo trailer, vi entrò.
Suo padre restò a guardare sulla
soglia di casa, Jocelyne era al suo fianco.
- Dio, Alex, non l’ho mai
visto così…
Alex fece una strana smorfia.
- E’ un uomo molto forte, si
riprenderà.
- Come diavolo avrà fatto a…
a… innamorarsi in quel modo…
Alex la guardò un po’ sorpreso.
- Donna..! Evidentemente la
ragazza era speciale. Davvero.
Russell nel trailer potè sfogare
ancora tutte le lacrime che aveva da versare. Appoggiò
una mano sul suo casco, nero, lucido. Guardò i suoi
occhiali da sole, i vestiti che aveva preso dalla stanza
d’albergo e che aveva messo sopra i suoi sulla sedia.
Non aveva rifatto il letto da quando Sophie aveva
dormito con lui. Non sapeva se essere più arrabbiato o
più svuotato, quella storia lo aveva fatto a pezzi. Sei
giorni prima era su di un aereo con lei. Non ci poteva
credere. Si sdraiò sul letto disfatto, la faccia
rivolta verso il suo cuscino, si accovacciò in
posizione fetale. La federa mandava ancora il suo
profumo. Chiuse gli occhi mentre le lacrime bagnavano il
suo cuscino. Lentamente si addormentò. Sognò di lei,
sulla spiaggia, sul cavallo, in moto, a cena, nel
trailer.
Sette giorni più tardi percorreva
con una macchina a noleggio una strada che portava
dritto verso le montagne. Era una giornata splendida, il
cielo di un azzurro intenso contrastava le cime delle
montagne spolverate di neve. La valle si stringeva
sempre di più, e l’autostrada diventava leggermente
più tortuosa man mano che si procedeva verso nord.
Riconobbe l’uscita e infilò la rampa. Chiese al
casellante dove trovare l’indirizzo che aveva segnato
su di un foglietto. Percorse ancora poche centinaia di
metri e giunse ad una casa vecchia ma completamente
ristrutturata, di fianco alla piazza della chiesa.
Entrò nell’appartamento con le chiavi. Il mobilio era
nuovo, semplice chiaro, un poster con la sua immagine
vestito da antico romano sulla sinistra, sotto il vetro
c’era anche una sua foto con uno scarabocchio che
somigliava solo lontanamente ad un suo autografo. Il
computer sul mobile basso sotto la finestra era acceso,
lo screen saver proponeva soltanto immagini sue. Chiuse
la porta e si accorse che dietro c’era appeso un
calendario con la sua faccia. Trovò un portacenere
colmo di cicche di sigarette, notò il telo sul divano
stropicciato come se ci fosse stato seduto qualcuno fino
a due minuti prima. Entrò nella camera da letto sulla
destra, il letto era disfatto proprio come il suo nel
trailer, sembrava che Sophie dovesse rientrare in quella
casa da un momento all’altro. Tornando nel soggiorno,
notò una bottiglia di vino aperta sul mobile e una di
whiskey sul tavolo, di fianco un bicchiere usato. Entrò
nel bagno e aprì la finestra. Da lì si godeva del
panorama più incantevole, la piazza della chiesa, che
sembrava un presepe e il corollario delle montagne
innevate dietro. L’aria sapeva di pulito. Chiuse gli
occhi e lasciò che l’immagine gli rimanesse così
impressa e per sempre nella memoria.
Sei mesi dopo, Jocelyne vide un
familiare polverone alzarsi dalla strada sterrata che
portava al ranch.
- Alex! E’ arrivato Russell!
Aprì la porta.
- Ehi! Tutto bene?
Russell scese dal pick up e salutò
da lontano sua madre. Jocelyne lo vide avviarsi verso l’albero
sotto il quale giaceva Sophie. Lo vide mettere un mazzo
di fiori sulla terra che ormai era stata coperta dal
prato, una piccola pietra tombale, con soltanto il suo
nome, segnava il punto dov’era sepolta e accanto ad
essa la bandana, ormai scolorita e il pacchetto del
profumo, dal cartoncino quasi completamente marcito.
Vide che si accovacciava e mormorava qualcosa, poteva
dedurlo dal fatto che scuoteva il capo come se stesse
parlando con qualcuno. Poi Russell si alzò e a grandi
passi si avviò verso la casa, incontro a sua madre,
salutandola con un sorriso amaro.
FINE