La rivincita
Albeggiava. Un'alba serena, dai colori teneri e
limpidi. Il cielo roseo splendeva sull'oceano placido e
silenzioso, azzurro misto di verde, spumoso a riva di
onde candide e tranquille nel loro moto incessante.
Silenzio, rotto qua e là da qualche gabbiano.
La grande casa bianca, distesa su un promontorio in
riva al mare, era ancora immersa nel sonno. I suoi
occupanti stavano ancora dormendo. Non così l'uomo
semisdraiato su una poltrona nella veranda, gli occhi
socchiusi rivolti all'orizzonte lontano.
Li chiuse quando il primo timido e tiepido raggio di
sole gli accarezzò il volto e un cenno di sorriso gli
increspò le labbra. Si lasciò andare alla piacevole
sensazione, ma fu un attimo. Di colpo la sua espressione
cambiò, come se un pensiero fino ad allora represso si
facesse strada con prepotenza nella sua mente.
Il suo aspetto trasandato tradiva una notte insonne,
l'ennesima notte senza il sollievo di un sonno
ristoratore. La barba, di un bel color di miele, era
ispida, incolta; i capelli, che un tempo gli
incorniciavano il bel volto maschio, cadevano sparsi e
opachi sullo schienale della poltrona. Gli occhi, di cui
le donne ammiravano il blu profondo e penetrante, erano
spenti, stanchi, affaticati, gonfi di lacrime soffocate
("un uomo non deve piangere…"). La bocca,
piccola ma sensuale ("col sapore di mille donne
sulle labbra…") , era imbronciata e triste
anch'essa, muta e silenziosa, contratta in una smorfia
di disgusto.
Sul pavimento, bottiglie vuote di birra e
innumerevoli cicche di sigarette lasciavano indovinare
come avesse passato quelle ore.
Da quanto tempo durava? Quando era cominciato?
Il suo sguardo si perse nel vuoto e preferì non
saperlo.
"Russ, RUSS,… ah, sei qui".
"Sono qui", rispose laconico alla donna che
lo aveva chiamato con una certa apprensione nella voce.
"Ti sei alzato presto…. Oppure ….Russ, non
hai chiuso occhio nemmeno stanotte?".
Fece la domanda, ma guardandosi in giro si dette da
sola la risposta.
"Russ - gli si avvicinò con cautela e
dolcemente risoluta - non puoi continuare così. Sono
settimane ormai che non dormi".
"Cosa dovrei fare, eh? - le rispose quasi
sgarbato - Vuoi che prenda qualche sonnifero che mi
faccia rincoglionire?"
Abituata a tali scatti di ira, la donna non si
scompose. Si chinò, in ginocchio di fianco alla
poltrona, gli sorrise e gli sfiorò la fronte con un
lieve bacio: "Certo che no, ma non ci sono solo
sonniferi. Esistono rimedi naturali …".
"… rimedi naturali - ripeté lui con sarcasmo
- rimedi per cosa?", si alzò a sedere di scatto e
si mise le mani fra i capelli, in un gesto così
disperato che le fece salire le lacrime agli occhi. Ma
non poteva piangere, non doveva piangere dinanzi a lui.
"Meg - la chiamò con un filo di voce -
perdonami. Lo sai che non voglio ferirti, ma non riesco
a dominarmi. Perdonami. Ma perché ti ostini a perdere
il tuo tempo con me? Perché? Io non ti merito …",
concluse quasi con un singhiozzo. E si sdraiò di nuovo,
spossato da una gran fatica. Fatica di vivere, fatica ad
orientarsi in una vita che non sentiva più sua, di cui
gli sfuggiva il senso e lo scopo.
Meg stava per rispongergli, quando si accorse che
finalmente si era addormentato e le sembrò giusto
lasciarlo riposare: che avesse il tempo di riprendersi,
di non pensare per qualche ora almeno. Poi, al
risveglio, tutto sarebbe ricominciato: le domande, le
analisi, le mancate risposte, l'ansia di chi non capisce
cosa sta vivendo e perché, e quando ritornerà la
voglia di vivere per qualcosa per cui valga la pena di
affrontare ogni giorno le battaglie della vita.
Gli sfiorò il viso con una carezza e rientrò nella
grande casa a dare le disposizioni per la giornata.
Finalmente si accomodò per il breakfast, i giornali
erano già arrivati e si mise a sfogliare le notizie del
giorno. La solita irrisolta crisi mediorientale, i
postumi difficili della guerra contro Saddam, le borse
"impaurite", e via dicendo. Non si soffermò
su queste se non per i titoli; preferì andare alle
pagine della cultura e degli spettacoli, lì almeno si
parlava del bello e del dilettevole. La sua attenzione
fu attirata da un trafiletto, poco più di venti righe,
ma il titolo era sufficientemente velenoso "La
meteora Russell Crowe: eclissi di una stella".
Avrebbe voluto lasciar perdere, ma non potè fare a
meno di leggere: "Si dice che l'attore
neozelandese, distrutto da alcool e droga, si sia
rifugiato in una clinica svizzera per disintossicarsi.
Non è la prima volta che Hollywood deve fare i conti
con le intemperanze dei suoi divi più illustri, ma
certamente l'ex gladiatore ha sempre fatto ben poco per
attirarsi la simpatia dei tutori dello star-system.
Risse, donne, parolacce e sbornie hanno offuscato il suo
talento (ma era vero talento o non piuttosto le sue
amicizie con Sharon Stone, Tom Cruise e Nicole Kidman
gli hanno aperto la via del successo?). Non è forse
questa la spiegazione del totale fallimento del suo
ultimo film The Cinderella man, le cui riprese sono
state bruscamente interrotte per l'indisposizione del
sig. Crowe ? Forse è ora che le sue fans nel mondo si
rassegnino e si trovino un altro macho da sognare".
L'articolo continuava accennando al presunto
abbandono dei suoi compagni del gruppo musicale, i TOFOG,
stanchi dei suoi modi arroganti e boriosi. Dulcis in
fundo, la sua compagna Danielle, non più prossima
sposa, l'aveva scaricato dopo l'ennesima scappatella con
un'attricetta porno.
Dapprima fu l'indignazione per quel cumulo osceno di
menzogne, di cattiverie fondate sull'astio e l'invidia.
Poi fu presa dal dolore e dalla preoccupazione che
Russell potesse leggere quell'articolo, informarsi sul
giornalista e scatenare un putiferio, così i suoi
detrattori avrebbero avuto ragione ancora una volta.
Doveva assolutamente evitare che lui leggesse quel
giornale. Fece sparire il quotidiano nel sacco della
nettezza e si recò nella veranda. Lui non c'era. Un
inserviente la informò che aveva preso l'auto e se ne
era andato in città.
Delusa e indecisa sul da farsi (seguirlo o lasciarlo
libero?), preferì rimanere ad aspettarlo. Si avviò
verso la riva del mare. Il sole era sorto in tutta la
sua luce, ma la sabbia era ancora umida e fresca, la
brezza marina accompagnava i suoi passi pigri e
pensierosi. Passeggiava, e la sua mente spaziò nei
ricordi del loro incontro, sul set di "Rapimento e
riscatto" . Era stata subito attrazione, scossa
elettrica, passione incontenibile, per entrambi.
Giornali e rotocalchi non li lasciavano in pace, ed
erano costretti a fare follie per stare da soli, lontano
dall'invadenza della notorietà e dello scandalo.
Chissà, si diceva, forse anche questo rumore intorno a
loro era stata una delle cause della fine del loro
amore, ma non poteva essere l'unica.
Ma ora non aveva voglia di indagare troppo, ora c'era
una necessità ben più urgente: Russell, nonostante lui
non lo ammettesse, aveva bisogno di lei in quel momento,
e lei era disposta a dargli tutto il suo appoggio, tutta
la sua pazienza, tutto il suo amore (?), tutto, pur di
aiutarlo a ritornare quel che era pochi mesi prima.
Pochi mesi prima… sì, ricordava tutto di quel
colloquio burrascoso e imprevedibile, l'ultimo, avuto
con Danielle.
Seduto sullo sgabello di fronte al bancone del pub,
l'immagine scolorita riflessa nello specchio, ebbe come
un flash.
La grande festa del loro fidanzamento si era
finalmente conclusa, anche gli ultimi invitati se ne
erano andati. Stanchi ma felici, un po' sovreccitati per
gli avvenimenti degli ultimi giorni (dichiarazioni ai
giornali, l'annuncio dell'imminente matrimonio, ecc..),
adesso potevano stare qualche tempo in pace per pensare
ai preparativi per le nozze. Tra l'altro, anche le
riprese di "The far side of the world" erano
terminate e le agenzie stavano pensando al lancio
pubblicitario del film. Di lì a poco avrebbe iniziato a
lavorare per "The Cinderella man", (una parte
che lo aveva subito entusiasmato prima ancora di aver
letto per intero il copione), ma rimaneva comunque lo
spazio per loro due.
La stanza era incredibilmente disordinata, bottiglie
e cicche dappertutto, ma non ci facevano caso, tanta era
la stanchezza. Abbandonati sull'enorme divano bianco
posto nel mezzo della sala, stavano silenziosi, mano
nella mano. Entrambi guardavano il mare immenso che si
stendeva davanti ai loro occhi, come un quadro naif
incastonato nell'ampia vetrata che dava sulla veranda,
in prossimità della spiaggia.
"Ogni volta è un'emozione", disse l'uomo
quasi parlando a se stesso.
"Cosa dici?", chiese vaga la donna.
"Il mare. Quando guardo il mio mare, l'oceano
australiano, mi sento i brividi addosso, mi emoziono, mi
sento appagato".
"Dopo giorni come questi, l'unica cosa che mi
appaga è un bel bagno seguito da una giornata di
sonno", replicò Danielle, come a voler troncare
una conversazione di cui non aveva voglia. Fece per
alzarsi.
"Aspetta", la pregò Russell, "guarda,
… guarda ora, è l'alba. In nessuna parte del mondo ci
sono albe così belle", concluse estasiato di
fronte allo spettacolo della natura che ogni mattina
celebra la sua rinascita.
"Oh, Russ, che sciocchezze! Non sarà la prima
volta che vedi sorgere il sole".
"No, ma ogni volta è diverso. E poi - le si
avvicinò con l'intenzione di abbracciarla - oggi è
più diverso del solito", finì con un sorriso,
cercando la complicità della donna per un bacio.
"Ti prego, Russ, sono stanca morta. Non mi
interessano né il mare né l'alba, ora. Lasciami
andare", lo respinse infastidita.
Deciso a non arrendersi al suo rifiuto, l'attirò
più vicina a sé e le sussurrò: "Sei proprio
sicura di non voler cedere alle brame del tuo ….
futuro marito?"
Finalmente lo guardò, perplessa.
"Russ, stai bene? Cos'è questa tenerezza? Fare
l'amore adesso non sarà certo diverso da prima".
"Io credo di sì. Ora abbiamo un legame in più,
un patto, un impegno reciproco".
"E da quando dai importanza ai patti e agli
impegni? E cosa cambia nel nostro modo di fare
sesso?", domandò lievemente ironica.
Lui ci restò male, quell'ironia gli parve
inopportuna e fu lui stavolta a guardarla sorpreso. I
begli occhi blu si rabbuiarono e si strinsero nello
sforzo di comprendere il significato di quelle parole.
"Danielle, che intendi dire?"
"Russell - gli si rivolse impaziente come a un
bambino capriccioso che non vuol capire una cosa tanto
ovvia - tu hai avuto tante donne, anche quando stavamo
già insieme, puoi negarlo? E io ogni volta ti ho
perdonato e forse non hai mai saputo quanto mi facevi
soffrire. Non ti sei mai chiesto cosa provavo
nell'apprendere dai giornali, dai pettegoli di
Hollywood, da TUTTI, le tue avventure galanti in giro
per il mondo. Il gladiatore, il nuovo Marlon Brando, il
divo australiano più amato fa strage di cuori
femminili". Aveva parlato via via con più foga e
si fermò per riprendere fiato.
"Hai ragione, non posso negare niente del mio
passato e ho anche il coraggio di non rinnegarlo,
perché ho sempre saputo quel che facevo. Ma ora, ora
Danielle, è diverso, ora è cambiato tutto, IO sono
cambiato. Ora io amo te, ti amo, capisci? Non sei una
scappatella, sei il mio impegno per il futuro. Non è
forse vero che ti ho voluta accanto per condividere con
te non solo i miei successi, ma la mia vita, quella
vera, quella privata? E tutte le donne che mi
attribuiscono … sai bene che i giornali sparlano
volentieri per vendere più copie. Anche tu sei un
personaggio pubblico: è il prezzo da pagare alla
notorietà. E anche se le scappatelle ci sono state, è
chiaro che non voglio quel tipo di donna, io voglio
te".
Le parole gli erano uscite rapide e decise; era
assolutamente convinto di quel che aveva detto e si
aspettò di vedere sul volto della donna un cenno di
assenso, un riscontro alla sua "difesa"
appassionata.
Ma negli occhi di lei non lesse corrispondenza al suo
sentire; gli parve, anzi, di averla irritata ancor di
più. Intanto, quasi per allontanarsi da lui, si alzò.
"Senti, Russ, riprendiamo la discussione
un'altra volta, quando saremo più lucidi e riposati,
oppure un altro giorno, quando gli eccessi di queste
settimane saranno smaltiti", concluse sbrigativa ma
sforzandosi di essere gentile; non voleva ferirlo né
innervosirlo, il suo più ardente desiderio era andare a
dormire, anche senza bagno. Gli si accostò, si chinò
con le labbra sulla fronte per dargli un bacio.
"No."
"No?"
"Non puoi andartene così. Devo capire",
riprese lui in tono risoluto e più distaccato,
guardingo, diffidente addirittura, mentre un sottile ma
crescente disagio gli si insinuava nel cuore e nella
mente.
"Russ, ma cosa c'è da capire …!? -
piagnucolò lei - te l'ho già detto, sono stanca, non
sono in grado di ragionare".
"La stanchezza non c'entra - la voce di lui era
grave e profonda - tu non mi credi. Anzi, non credi IN
me".
Si era alzato dal divano; passeggiando nervosamente
davanti alla vetrata con le mani in tasca, ogni tanto
volgeva lo sguardo al mare, quasi a sperare in un
testimone di quei momenti che, lo sentiva, sarebbero
stati importanti.
Danielle si rese conto che faceva sul serio.
"E va bene. Cosa vuoi sapere?". Si sedette
di nuovo, abbracciò un cuscino e si rassegnò alla
discussione.
Senza voltarsi, le chiese scandendo bene le parole:
"Perché ti sei innamorata di me?"
"Russ, che razza di domanda è?"
"Rispondimi, per favore", il tono era
gentile, ma sentì una stretta in fondo al cuore.
"Sai che non è facile razionalizzare un
sentimento come l'amore… Ti amo perché… perché sei
forte e tenero come Maximus, aggressivo e dolce come Bud,
genialoide come Nash. Hai le qualità di ognuno di
loro", concluse con un sorriso (lui infatti ora la
stava guardando, come a soppesare le sue parole),
confidando di convincerlo velocemente.
Lui, invece, non rimase persuaso da quella risposta,
che gli pareva costruita e forzata. Si accorse anzi che
gli aveva fatto male, ma non lo dette a vedere. La
guardò a lungo, in silenzio, pensieroso, finché
commentò: "Questi non sono io. Io sono Russell e
credevo di essere io la persona, non il personaggio, che
ti ha fatto innamorare …". La voce era bassa e
roca, il ritmo delle parole era lento, parole che ora
gli uscivano a fatica, ad incontrare una realtà ben
diversa da come l'aveva vista fino ad ora.
Danielle notò lo sforzo del suo uomo, ne rimase
colpita, ma non riusciva a capire il senso di quel
turbamento.
"Russell, ma certo che sei tu, tu che in ogni
personaggio metti qualcosa di te stesso. Non è questo
ciò che fa l'attore? Non è questo il gioco bello ed
intrigante, affascinante, divertente, dell'attore? Chi
recita presta un po' di sé al suo personaggio e questi,
a sua volta, gli regala qualcosa, lo arricchisce".
"Senti, non siamo qui a fare della psicologia
spicciola sul mestiere dell'attore e sulla sua capacità
di liberarsi poi dai personaggi che interpreta! Ti ho
chiesto un'altra cosa, per me fondamentale, ora più che
mai. Rispondi a QUESTA domanda: sei sicura di essere
innamorata di ME, di Russell Crowe?", ora il tono
era perentorio, e aveva alzato la voce, quasi
spazientito.
"Non ti capisco, francamente non so che ti
succede così, all'improvviso. Mi addolora questo tuo
indagare, mi stupisce. Sono mesi che stiamo sempre
insieme: abbiamo viaggiato, ci siamo visti sul set,
abbiamo annunciato il nostro imminente matrimonio …
Non sei tu, forse, a non essere sicuro di sposarmi? Da
cosa nasce il tuo sospetto? Perché non ho apprezzato la
tua alba? Perché ora non ho voglia di fare l'amore?
Spiega anche a me, per favore!"
Danielle adesso, in piedi di fronte a lui, lo
guardava con aria di sfida.
Una vampata di calore percorse il corpo dell'uomo,
sentiva montare la rabbia, ma si trattenne, deciso ad
affrontare con lucidità quella discussione che si stava
rivelando sempre più complicata. Si impose di essere
pacato.
"Avrei voluto sentirti rispondere che mi ami
perché, anche se è passato qualche anno, ritrovi in me
il ragazzo, o l'uomo se preferisci, che conoscevi quando
non ero nessuno, quando non ero famoso. Vorrei sentirmi
dire che per gli altri sono un bravo attore, sì, ma per
te, per la MIA donna, io sono il TUO uomo, non il divo
celebre e decorato dall'Oscar!"
"Cosa vorresti intendere? Che sto con te perché
mi fa comodo? E' questo che pensi di me? Quindi io sarei
rimasta ad aspettarti solo perché voglio portarti in
giro come un trofeo da esibire al mondo?"
"Io non ho mai pensato niente del genere e mi
stupisce che TU lo dica di te stessa!"
"Un momento, Russ! La discussione così non ci
porterà a nulla. Ragioniamo con calma".
"Non chiedo di meglio!" L'espressione era
dura, quasi cattiva, gli occhi brillavano di dolore
rabbioso, tutta la sua persona diceva di un indicibile e
inaspettato travaglio interiore.
Danielle ne fu impaurita. Tanto più si sforzava di
calmarlo e spiegarsi, quanto più le uscivano parole
sbagliate. Abbandonato l'atteggiamento di sfida di
poc'anzi, lo prese dolcemente per le mani e lo fece
sedere. Lui si lasciò fare, ma non smise di guardarla
con fare indagatorio.
"Russell caro, non puoi dubitare del mio amore
per te. Bene, hai ricordato il nostro passato insieme,
quando avevamo i nostri sogni giovanili da realizzare.
Quanto a lungo ne abbiamo parlato! E ora, dopo una
parentesi di separazione, eccoci di nuovo accanto,
adulti e appagati, almeno in parte. Stiamo per sposarci,
e il sogno sarà completamente realizzato… non è
così?", chiese infine con trepidazione, fissandolo
tenera e ansiosa negli occhi.
Ancora oggi ricordava perfettamente l'espressione di
Danielle; chiedeva un'altra possibilità, un appello. Vi
si leggeva il rincrescimento (a prima vista sincero) per
quello che aveva detto con una certa improntitudine,
forse davvero condizionata dalla stanchezza … Ma
poteva essere altrimenti, il momento della verità più
profonda.
Bevve con rabbia un altro whisky e continuò a vedere
nello specchio le immagini di quella sera.
Era incerto ora, non sapeva cosa dire. Sospirando si
appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. Avrebbe
voluto dormire, ritornare indietro, non insistere con
l'alba e con le brame da promesso sposo, non avere mai
cominciato quella tremenda discussione. Sentiva che
Danielle stava aspettando le sue parole, che nemmeno si
muoveva per non disturbarlo. Perché si sforzava di
capirlo ADESSO che lo aveva visto inquieto? Perché lo
addolciva ORA, mentre poco prima gli rinfacciava di non
saper tenere gli impegni? Perché solo pochi minuti
prima non si fidava di lui e ora gli ricordava gli anni
della loro gioventù?
Sospirò di nuovo e si decise a rompere quel silenzio
carico di attesa. Mentre parlava non la guardava,
fissava il mare cercando di trovare in un punto lontano
da loro un'argomentazione forse non risolutiva, ma che
lasciava intravedere una possibilità:
"Io credo, Danielle, che dobbiamo prenderci una
pausa di riflessione, per capire meglio di noi stessi,
per valutare se il passo che abbiamo programmato nasce
dalle stesse motivazioni. Forse tutto questo agitarsi
dei mass-media intorno a noi ha stordito te più di me,
e non riesci a comprendere in fondo te stessa nei miei
confronti. Io per te voglio essere IO, non un fantasma
delle mie interpretazioni. Prima probabilmente ho
esagerato e ti ho ferita, ma devo essere sicuro che mi
vuoi per me stesso".
Ci fu ancora silenzio. La donna lo guardava
stupefatta e impietrita. Ma quando riuscì a realizzare
il senso di quel che aveva sentito, la sua reazione fu
rabbiosa e incontrollata, sull'orlo della crisi
isterica:
"Vuoi dare a me lo stesso benservito che hai
dato a Meg Ryan? Credi che io sia così ingenua da
crederci? Qual è la verità VERA, eh, mio caro Russell
Crowe? Mi hai imbambolato con un anello da 200.000
dollari ma intanto hai già un'altra lupacchiotta fra le
grinfie? Credi proprio che a te tutto sia concesso e
perdonato perché sei una star? Non ti sei accorto che
non hai vinto l'Oscar per la seconda volta perché ti
hanno voluto punire? La mia presenza accanto a te forse
può farti accettare meglio, non ci hai pensato? Pausa
di riflessione, valutare, i mass-media …. Balle! Tu mi
vuoi scaricare, semplicemente. Ma siccome non hai il
coraggio, come tutti gli uomini del resto, di dirlo
apertamente, inventi la storia del mare, dell'alba e
degli amplessi romantici da marito e moglie!!"
Era una vera e propria raffica che lo assalì, un
temporale di cattiverie ed equivoci. L'uomo si sentì
letteralmente travolgere, gli sembrò di andare in
caduta libera verso una realtà buia e tetra, un tunnel
senza fine. La voce gli rimase strozzata in gola e
guardava il viso sconvolto della SUA donna vedendovi
qualcosa che lo spaventò, quel "vizio" tanto
diffuso nel genere umano che odiava più di ogni altro:
l'ipocrisia!
Fra le tante cose che aveva sentito, lo addolorò
profondamente il riferimento a Meg. Era il suo punto
debole: dopo la fine della loro storia, infatti, si era
reso conto di averle fatto male, molto male. Purtroppo
non l'aveva capita, allora, e gli era rimasto il rimorso
e il rimpianto di non poter rimediare. Oltre tutto, Meg
gli era rimasta amica e ogni tanto si sentivano. E
durante quei colloqui lui era sempre molto tenero e
disponibile verso di lei.
Assorbito in qualche modo il colpo, si alzò
lentamente, avanzò di qualche passo verso Danielle
fissandola con quegli occhi che sapevano parlare più
della bocca; stringeva i pugni per scaricare la tensione
eccessiva ed evitare di metterle le mani addosso. Alto e
imponente sopra di lei, seppe tuttavia esprimersi
misurando parola per parola, in apparenza calmo e
controllato. La voce era poco più di un sussurro:
"Esci immediatamente da questa casa e dalla mia
vita! Non hai capito niente di me. Non t'importa niente
di ME. Non voglio il tuo "sacrificio" per
rendermi "accettabile" agli occhi degli
ipocriti benpensanti. Vai pure da loro, ti ci troverai a
meraviglia!"
Le voltò le spalle e senza darle il tempo di
replicare si recò nella veranda. Si buttò sulla
poltrona, con gli occhi velati di lacrime fissò lo
sguardo al mare. La creatura d'acqua sembrava quasi
partecipe del suo stato d'animo: in pochi minuti le onde
si agitarono in uno spasimo che faceva eco al suo dolore
impotente.
Rimase così per un tempo incalcolabile, del cui
trascorrere si accorse solo quando il sole stava per
tramontare.
Anche ora, vedendosi riflesso allo specchio dietro il
bancone bar, non avrebbe saputo dire da quante ore si
trovava lì.
Con un immenso sforzo decise di tornarsene a casa. In
auto gli apparve il volto dolce e rassicurante di Meg:
probabilmente stava in pensiero per lui, ma sapeva che
non gli avrebbe chiesto niente e lo avrebbe accolto con
un sorriso. L'immagine gli scaldò il cuore e, giunto a
casa, si sentiva piuttosto tranquillo.
La trovò davanti al computer. Prima di farsi vedere,
si soffermò a guardarla. I capelli biondi di media
lunghezza le davano l'aria di eterna ragazzina; magra e
sottile, slanciata, era adorabile per gli occhi grandi e
chiari, luminosi, svegli e vivi, intelligenti; la bocca,
piccola e ben disegnata, sembrava imbronciata, ma quando
sorrideva, tutto il volto irradiava una luce spontanea,
sincera, fresca.
In quel momento era assorta; ogni tanto si illuminava
come davanti ad una meraviglia e gli occhi le brillavano
più che mai.
Si fece avanti senza far rumore e quando lo vide,
ebbe un sussulto, ma lui si accorse che si sentiva
sollevata.
"Russell, sei tu … mi hai quasi
spaventata!"
"Mi sono fermato a guardarti …", le disse
con un cenno di sorriso. Non vide il lieve rossore sul
volto di lei. "Cosa stai guardando con tanto
interesse?"
"Sto navigando, in Internet - aggiunse quando
lui fece un'aria stupita -. Ci sono un sacco di cose
interessanti".
"Ah sì? Per esempio? Lo sai che non mi piace
quell'arnese. Pieno di roba, ma sei solo davanti .. a
chi? Non guardi in faccia nessuno, e nessuno guarda
te".
"Sì, può esser vero, ma tu sei troppo
prevenuto. Basta usarlo con criterio e non farci
condizionare troppo".
"E che stai vedendo adesso?"
"Guarda tu stesso, avvicinati", rispose con
aria misteriosa, e gli fece posto accanto a lei.
Russell si mise davanti allo schermo. Dapprima con
diffidenza e poi con stupore, vide decine e decine di
immagini. Le SUE immagini, era LUI: tratte dai suoi
films, dalle riviste, della sua vita privata. E parole,
un fiume di parole su di lui: l'uomo, l'attore, il
cantante, il rissoso, il play-boy, e tante, tante,
tantissime altre.
"La gente non ha proprio niente di meglio da
fare che spiare nella vita degli altri?", chiese
con rabbia, parlando più a se stesso che a Meg.
"La gente ti ama, Russ", gli si rivolse lei
con un tono che esprimeva tutto il suo affetto
preoccupato per lui.
"Mi ama? E che ne sa di me? Quello che ne dicono
i giornali, i pettegolezzi, le chiacchiere
insulse!"
"No, almeno non solo. Molte donne, per esempio,
ti vedono come il loro ideale di uomo, come
l'incarnazione dei loro intimi desideri, dei loro sogni
più inconfessabili, come ….". Non la lasciò
finire:
"Non hanno i LORO uomini, queste donne? Sono
frustrate nella loro vita? Che c'entro io? E poi, queste
donne così pronte a sognare di un altro uomo, non
vedono ME, vedono Maximus, Bud, Hando, John, Jack! Non
capisci? Anche loro non amano ME, amano i miei dannati
personaggi!!"
Lui stesso rimase sconvolto da quel che aveva appena
detto: gli tornarono subito alla mente le parole di
Danielle.
Meg non sapeva cosa dire, si sentiva in colpa per
avergli fatto vedere quel sito che a lei era sembrato
così bello e interessante. Chi lo teneva in rete lo
faceva per diletto, per sognare, senza chiedere niente
in cambio; e le sembrava che avrebbe potuto aiutare
Russell a ritrovare la fiducia in se stesso, nella vita
e nella professione.
Quel mestiere di attore che per lui era sempre stato
il suo modo naturale di esprimersi, ora Russell lo
viveva come una maledizione, come un incubo che lo aveva
reso immobile e inespressivo di fronte alla macchina da
presa.
Dopo l'addio a Danielle e il successo mondiale di
"The far side of the world" (simile a "Il
gladiatore"), il set cinematografico lo angosciava,
lo bloccava, lo impauriva. Ron Howard, che lo aveva
chiamato per "The Cinderella man", convinto di
ripetere la fama di "ABM", era rimasto colpito
dal cambiamento radicale di Crowe: insicuro, impacciato,
arrivava spesso in ritardo, non sapeva le battute né
riusciva ad improvvisare, cosa che invece in passato gli
era naturalissima. L'ultima volta che si presentò sul
set, durante una scena sul ring, dovette intervenire
aiutato da due comparse: stava letteralmente massacrando
di pugni il suo sfortunato avversario.
Da allora, nessun regista lo aveva più cercato.
La donna si alzò, gli prese il viso fra le mani, lo
appoggiò al seno con fare materno e lo accarezzò,
proprio come un bambino. Anche lui l'abbracciò, si
aggrappò a lei come a un'ancora di salvezza e
finalmente ebbe il coraggio di sfogare nel pianto tutto
il suo dolore, l'orgoglio, il tormento di mesi,
l'affanno che lo soffocava. Lei accolse in silenzio quel
virile pianto liberatorio e gli fu grata per averla
fatta partecipe di una tale confidenza.
Le braccia forti e maschie di Russell intorno ai suoi
fianchi la fecero fremere: ebbe sulla pelle il ricordo
di ben altri abbracci. Ne fu turbata, ma non si mosse,
mentre una calda ondata di piacere le attraversava il
corpo. Non era il momento di tali fantasie, lo sapeva
bene, ma non poteva impedirsi di riandare indietro nel
tempo, quando lui era suo.
L'uomo si staccò da lei. Gli occhi bassi, pareva
vergognarsi per essersi lasciato andare, ma nello stesso
tempo aveva bisogno di parlare, di dire tutto quello che
gli si agitava dentro.
"Io non so più chi sono - iniziò con un filo
di voce - Non so cosa pensare. Mi sento strano,
smarrito, … sfiduciato, deluso".
Meg avrebbe voluto replicare subito, ma capiva che
doveva lasciarlo parlare.
"Ho amato il mio lavoro e oggi mi sembra un
incubo. I personaggi che ho interpretato mi schiacciano,
vivono al posto mio. E se avessi sbagliato tutto? Se
avessi recitato sempre? Perché altrimenti la gente mi
confonderebbe con loro?"
Alzò gli occhi verso Meg, con la muta richiesta di
dargli, se possibile, una risposta. Lei aveva gli occhi
lucidi, non sopportava di vederlo soffrire così e
dentro di sé provava un rancore profondo verso la donna
che, secondo lei, era stata determinante per la crisi di
Russell. Tuttavia, tenne nascosto questo sentimento
negativo, e gli parlò con tutta la dolcezza di cui era
capace (soprattutto con lui):
"Ti sbagli, Russ. Non hai sbagliato niente. Il
tuo è un talento naturale, che pochi attori possiedono
in modo così … così evidente, semplice. Tu stesso
hai affermato più di una volta che noi attori facciamo
qualcosa di importante per gli altri: incarniamo storie,
spesso verosimili, di cui la gente ha bisogno per
sognare, per evadere dalla realtà almeno per due ore,
per riflettere, … per tanti altri motivi".
"Allora - commentò sarcastico - o siamo
assistenti sociali o dei grandi imbroglioni che vendono
illusioni, e ci facciamo su dei bei milioni di dollari,
oltre tutto!"
"Prima non la pensavi così".
"Sbagliavo!"
"E se stessi sbagliando adesso …?"
Russell si alzò di scatto, fece due o tre passi
avanti e indietro, nervoso, un leone in gabbia. Poi si
fermò in mezzo alla stanza. Il suo sguardo si posò sul
computer.
"Prima mi hai fatto vedere le mie foto su un
sito. Chi sono quelle foto, eh? Non sono IO, sono LORO,
e chi le vede, e chi le prepara, vede LORO, non
ME!"
"Non prendertela con il sito, cerca piuttosto di
capire PERCHE' ce l'hai tanto con te stesso. Non lo
vedi? Sei tu il bersaglio di te stesso! E' te che vuoi
punire, … ma perché? Di che cosa?"
Sconsolato e confuso, le andò vicino e la fissò in
uno strano modo, come se solo ora si rendesse conto che
da alcuni mesi (quanti?) Meg stava nella sua casa come
un angelo custode, presente ma discreta, vigile ma
rispettosa della sua libertà. Non riusciva a ricordare
come mai era capitata lì.
"Meg, come sei arrivata qui? Ti ho chiamata io?
Perdonami, non lo ricordo …"
La bocca della donna, deliziosamente imbronciata, si
aprì in un indulgente sorriso che le fece brillare gli
occhi. Lui la trovò meravigliosa.
"No, non mi hai cercata tu. Mi ha chiamata tuo
fratello, preoccupato per te. Mi ha chiesto se ero
libera e …. eccomi qui!"
"Ma tu hai degli impegni, hai un figlio, … lo
stai trascurando per colpa mia …."
"Non ti preoccupare, è al campeggio con la
scuola per qualche mese. Il resto … può
aspettare", concluse sbrigativa, e gli sorrise di
nuovo.
Russell le si avvicinò di più, le accarezzò una
guancia: la sentì calda e morbida. Avrebbe voluto
baciarla, ma non lo fece, forse non era il caso.
Meg provò un leggero capogiro, emozionata come una
ragazza al suo primo appuntamento, ma si sforzò, ancora
una volta, di non darlo a vedere; forse non era il caso
…, non ancora.
Non riusciva a staccare gli occhi da quelli di lei,
grandi, azzurri, limpidi e sereni come il cielo
australiano che in quei giorni contemplava spesso, a
cercare oblio e riposo dai suoi pensieri. Si sentì
rassicurato: nello sguardo di Meg si sentiva amato per
se stesso, accettato senza contestazioni, apprezzato per
quello che era. Lei, lo intuiva bene (il passato insieme
a lei non era stato cancellato), non vedeva in lui il
divo, l’interprete, ma l’uomo, la persona spogliata
del personaggio.
In un impeto di riconoscenza l’abbracciò stretta
stretta, con gli occhi chiusi ad assaporare meglio quel
caldo contatto umano che forse avrebbe cominciato a
sciogliere il gelo interiore che lo aveva accompagnato
per tanti, troppi giorni.
E quando sentì che lei rispondeva al suo slancio,
tutto il suo essere fu attraversato da un turbamento
nuovo e antico, e anche lui riconobbe nelle braccia e
nel corpo della donna che gli si donava, il sapore di un
amore finito troppo presto, incompiuto.
Ne fu sollevato e impaurito: non voleva sbagliare
ancora, non con Meg.
La allontanò dolcemente da sé: “Si è fatto molto
tardi. Meglio andare a riposare”.
“…sì, …. Dormirai stanotte?”, gli chiese
ansiosamente.
“Sì, credo di sì ….. almeno ci provo…”; le
sorrise di nuovo mentre si avviava verso la porta, senza
smettere di guardarla.
Nella sua stanza, seduta sul letto con le mani in
mano, Meg rifletteva. Suo malgrado, una tenue speranza
si faceva strada nel suo cuore, ma non voleva cedere
troppo a quelle sensazioni, non per il momento.
Il mattino seguente Meg cercò subito di Russell. Non
lo trovò nella veranda. Chiese di lui, ma nessuno lo
aveva visto. Cominciava a preoccuparsi, quando si sentì
chiamare :
“Meg, sono qui. Buon giorno”.
“… buon giorno…”, rispose sorpresa e lo
osservò attentamente. La barba rasata di fresco, curata
nei contorni del viso; i capelli lunghi e ondulati
brillavano al sole mattutino; la camicia bianca e fresca
di bucato, appena aperta sull’ampio petto nudo; i
jeans finalmente puliti, disegnavano la sua figura
atletica anche se robusta, ne risaltavano la prestanza
fisica dell'uomo nel pieno del suo vigore. Sembrava un
altro, o meglio, il Russell che lei conosceva e amava (?
) (o aveva amato tanto tempo prima?). Ma era
l'espressione del viso ad attrarla: improvvisamente
sereno dopo tanti giorni cupi, lo sguardo aperto e
fiducioso dopo tanta avvilente tristezza. E il suo
sorriso: intrigante e affascinante più che mai, da
farle venire le lacrime agli occhi. Non avrebbe smesso
di contemplarlo, e nello stesso tempo temeva fosse una
visione destinata a scomparire.
Russell, invece, si era avvicinato a lei e le aveva
sfiorato la guancia, tenero e dolce come un bambino che
vuol farsi perdonare un capriccio.
Meg si scosse dai suoi pensieri: "Ti trovo bene,
questa mattina".
"E' vero. Sto bene come, …. come se fossi
rinato. Credo sia anche merito tuo…"
"Se lo è, tu hai però…. collaborato."
"Che programmi hai per oggi?"
"Niente di particolare. A dir la verità non ci
ho ancora pensato. E tu?"
"Ti va di stare insieme? Pensavo di prendere la
jeep e andare, così, in giro, senza una meta precisa.
In città …. No - si rabbuiò improvvisamente - non ho
voglia di vedere gente. Andiamo lungo il mare…
vuoi?"
"Va bene, ci sto."
Si fecero servire la colazione in veranda. L'alba era
sorta da un pezzo. I colori del mare e del cielo erano
luminosi e vivaci, ispiravano ottimismo e buon umore. Ad
un certo punto entrambi si erano voltati verso il sole,
stringendo gli occhi per la troppa luce. Meg si accorse
della sintonia dei gesti e volle pensare ad un auspicio,
ad un segno positivo inviato dal destino, un segno buono
per loro due… Si mise inavvertitamente la mano sul
cuore e chiuse del tutto gli occhi, quasi ad esprimere
un desiderio.
Poco dopo erano in auto, finestrini aperti per
sentire il vento sulla faccia, la musica dei Tofog …
"Russ, era da tempo che non ascoltavi questa
musica", gli disse piacevolmente sorpresa.
Lui si limitò a sorridere e come risposta alzò il
volume del CD.
Viaggiarono per circa un'ora. Si fermarono in una
insenatura nascosta dalla vegetazione, sconosciuta ai
più. Non c'era proprio nessuno. Era quello che lui
voleva.
Scesero e si incamminarono lentamente verso la
spiaggia, fino a toccare l'acqua, fresca e spumeggiante.
Per un po' non parlarono. Poi lui invitò Meg a
sedersi e furono di fronte al grande oceano. Il sole non
era troppo caldo e soffiava una leggera e piacevole
brezza marina.
"Ti stai annoiando?", le chiese con
gentilezza.
"No, affatto. Mi piace essere qui, di fronte al
mare infinito, ascoltarne la voce, osservare le onde. E'
come sentirne il respiro vitale, il tutto da cui nasce
la vita … E' una sensazione inebriante." Aveva
parlato come rapita dalle sue sensazioni e portata
altrove.
"Sai, quando cercavo di … di dire a Danielle -
si fermò un attimo, pensando se era giusto parlare di
lei, ma ormai il discorso era avviato - sì, insomma,
ogni volta che cercavo di farla partecipe delle mie
emozioni, lei si allontanava da me, come se le
sembrassero sciocchezze", concluse con un velo di
tristezza nella voce.
Meg lo ascoltava attenta, senza intervenire.
"E ora, quando ti ho sentita descrivere quello
che anch'io provo di fronte al mare, mi sono ricordato
di quell'ultimo incontro con lei. Ma mi fa meno male…".
Continuava a guardare il mare, con gli occhi offuscati
di malinconia.
Riprese a parlare, ne sentiva l'urgenza dopo mesi e
mesi di ostinato e cupo silenzio, un silenzio che lo
teneva oppresso, schiacciato dal ricordo di un'alba che
aveva segnato la fine …. di un amore? Di un'illusione?
E chi si era più illuso tra lui e Danielle? Chi aveva
veramente amato l'altro?
Raccontò tutto. Alla fine era riuscito a liberarsi
il cuore, l'anima e la mente.
Parlò per ore e ore, ripercorse come in un
flash-back tutte le ansie, i dubbi, le paure, i sogni
perduti, gli insuccessi, l'isolamento in cui si era
lasciato andare, in cui si era voluto rinchiudere per
difendersi dal dolore, dal panico di aver fallito la sua
vita.
Meg lo ascoltò fino in fondo, ora commossa ora
indignata verso quella donna che non le era mai piaciuta
(era gelosia?), ma cercando di non far trapelare ciò
che le parole di lui le suscitavano nell'intimo. Si
arrese all'evidenza e ammise a se stessa, solo a se
stessa, di essere ancora profondamente e
irrimediabilmente innamorata di lui. Ora che ne
conosceva la fragilità, lo amava ancora di più e lo
stimava per il coraggio di mostrarsi nella sua
debolezza.
"L'ultima cosa che mi ha fatto molto male è
aver trovato nel posacenere l'anello di fidanzamento che
le avevo regalato …". Così interruppe la sua
lunga "confessione".
Stettero in silenzio, ognuno assorto nei propri
pensieri. Infine Meg si decise a parlare:
"Stai meglio?"
"Devo ammetterlo, sì, mi sento leggero, libero
di respirare…e … sono di nuovo Russell Crowe,
interprete famoso di personaggi memorabili!", finì
la frase simulando ostentata vanità.
Risero entrambi alla battuta spiritosa.
Tuttavia quelle ultime parole rimasero nell'aria come
una scia, pronunciate forse per caso oppure dettate
dall'inconscio. L'uomo ne fu vagamente infastidito, ma
per il momento non le volle soppesare.
"Meg! E' quasi l'una! Andiamo a mangiare
qualcosa?"
"Dove?"
"Lo vedrai".
Si alzò di scatto, la prese per mano quasi
sollevandola e correndo come due ragazzini furono alla
jeep.
Il ristorante era poco distante dall'insenatura.
Vista sul mare, pochi clienti e discreti, discreto pure
il personale, che conosceva benissimo l'attore e
riconobbe la donna, ma senza darlo a vedere, rispettoso
e riservato della loro presenza.
Il pranzo era squisito, i cibi semplici e prelibati,
il vino frizzante: un'atmosfera leggera e serena, una
complicità rinnovata fra loro, che fece trascorrere il
tempo in fretta, sebbene si fossero attardati fin quasi
al tramonto.
Sulla via del ritorno, Meg fu vinta dal sonno: il
vino, il cibo e le emozioni di quella giornata
inaspettatamente gioiosa l'avevano stremata; aveva
bisogno di una pausa senza pensieri. Russell, invece, si
sentiva pieno di energia, vivo e cosciente come non era
da tempo. Mentre guidava, si scopriva ogni tanto a
spiare il volto addormentato della donna che aveva
accanto. Provava per lei tenerezza, affetto,
riconoscenza, profonda amicizia. Però, si accorse, il
corpo di lei abbandonato languidamente sul sedile, e la
testa che a ogni scossa dell'auto si avvicinava alla sua
spalla, lo attraevano e lo emozionavano. Una volta erano
stati amanti, chissà quanto consapevoli, forse lei più
di lui, perché le donne, si diceva, danno sempre più
degli uomini. Non è sempre vero, si scoprì a pensare,
non tutte le donne sono come Meg.
Approfittando di una scossa più forte, Russ fece
passare il suo braccio intorno alla testa di lei e se la
tenne stretta al petto. Diminuì la velocità, per
prolungare il piacere del contatto e ogni tanto le
sfiorava i capelli e la fronte con un bacio. Voleva
proteggerla come lei aveva protetto e curato lui in quei
lunghi mesi di oblio da se stesso.
Quando arrivarono a casa, il sole era tramontato e
sulla superficie del mare cominciavano a brillare le
prime stelle. Affascinato dalle tremule luci lontane,
Russell si attardava sull'auto, ormai ferma. Meg aprì
gli occhi. Ebbe bisogno di una manciata di secondi per
riaversi pienamente, e in quegli istanti troppo brevi
eppure così intensi, si lasciava cullare dal ritmo del
respiro dell'uomo sul cui petto stava beatamente
appoggiata. Anche questo non abbiamo saputo vivere,
allora: la lentezza rassicurante del tempo; il suo
pensiero era stato più veloce della sua capacità di
organizzarlo e si staccò con gesto repentino da lui.
"Siamo arrivati… ma è così tardi?",
realizzò completamente che la giornata era trascorsa,
troppo breve, troppo veloce.
"Già", le rispose lui di rimando,
anch'egli dispiaciuto della fine di quel giorno.
Scesero insieme, improvvisamente a disagio,
imbarazzati, timorosi di guardarsi negli occhi, ma con
il prepotente desiderio di farlo.
"Vado a rinfrescarmi - disse lei in fretta, ad
evitare ulteriori discorsi - ci vediamo dopo, magari …"
"D'accordo, anch'io ho bisogno di una doccia. A
dopo".
In qualche modo si erano dati appuntamento.
Parlare con Meg gli aveva fatto bene. Si sentiva
addosso, però, la spossatezza tipica della
convalescenza. Comunque un passo era stato fatto e
vedeva più chiaro in se stesso: Danielle era stato il
suo fallimento, ne aveva sofferto, forse ne soffriva
ancora, ma con meno asprezza. Al volto di Danielle si
sovrapponeva quello di Meg.
Sdraiato sul letto ad occhi chiusi, con le mani
incrociate dietro la testa, desiderò rivederla, parlare
ancora con lei.
La trovò davanti al computer e, come la sera prima,
si fermò ad osservarla prima di rivelare la sua
presenza, ma stavolta lei lo precedette:
“Ti ho sentito arrivare…”.
L’imbarazzo di prima sembrava svanito.
“Anche stasera stai navigando? E qual è la meta?”
“Promettimi prima di non arrabbiarti.”
“Lo giuro!”, rispose lui alzando la mano destra
sul cuore.
Stava per aprire bocca ad esprimere il suo dissenso,
ma ancora lei lo anticipò:
“Ho trovato un sito italiano, su di te, tutto
dedicato a te. Guarda!”
“Mi sembra simile all’altro”, rispose
strascicato e infastidito, ma cercò di reprimere il suo
disappunto.
“No, guarda meglio. Ci sono le foto, i files video
e audio, gli articoli su di te, è vero. Ma qui a
sinistra …Cosa leggi?”
“Chat, links, me..ss..a non capisco l’italiano..”
“Messaggeria, e …? Leggi…”
“Uff…. fanfiction. Cioè? Perché dovrebbe
interessarmi questa roba?”, disse stavolta decisamente
contrariato.
“Hai giurato di non arrabbiarti!”
Si tolse gli occhiali e lo guardò fissa negli occhi,
con l’entusiasmo di chi ha fatto una scoperta
importante.
"Russ, per favore, ascolta. Questo sito è stato
creato da donne normali, con una vita normale, molte
sono sposate e hanno figli, lavorano, studiano, ce ne
sono di tutte le età. Si ritrovano quotidianamente per
TE, parlano di TE, sognano di TE, scrivono di TE e su di
TE! Lo capisci che vuol dire? Passano parte del loro
tempo anche con te e per te. Tu le hai ispirate a
scrivere racconti e poesie, a dipingere tuoi ritratti.
Le fai sognare, ti seguono nella carriera, ma anche
nella vita privata. Tu dai volto ai loro ideali, ai loro
desideri più intimi. Non amano di meno i loro uomini o
la loro famiglia, ma quando dedicano tempo a se stesse,
è te che cercano. Non ti sembra straordinario? E non è
vero che vedono solo i tuoi personaggi,… certo ti
hanno conosciuto tramite le tue interpretazioni, ma non
si sono fermate a quel che leggono dalle riviste.
Dovresti leggere come sono rimaste deluse dal mancato
Oscar per ABM! e quanto hanno gioito per i successi del
Gladiatore! Pensaci, Russ, queste donne ti amano per
quello che sei, non per quello che appari! Anche le loro
opere possono aiutarti a ritrovare te stesso, …"
Aveva accompagnato il suo ragionamento accorato con
una tale passione che l'uomo rimase per un po’
interdetto, incapace di orientarsi in quel profluvio di
parole, pensieroso e accigliato. Dentro di sé faceva
ancora resistenza, combattuto tra la voglia di lasciarsi
andare e la diffidenza verso quello che Meg aveva
descritto con tanta vivace determinazione. Era chiaro
che voleva convincerlo, ma la corazza di cinismo che
aveva indossato per difendersi lo teneva ancora
prigioniero.
La donna fece tesoro dell'incertezza che leggeva
negli occhi di lui per aggiungere:
"Russell, non puoi continuare a rifiutare di vivere
la tua vita, la vita che TU hai deciso e voluto. Non si
sconfigge la vita, va avanti nostro malgrado, e tu non
sei il tipo, non lo sei MAI stato, che subisce gli
eventi senza lottare . Accogli la forza che ti offrono
queste donne. Non sai chi sono, loro però conoscono te
e credono in te. In un certo senso, hai un obbligo verso
di loro, se non altro per ricompensarle. Non farle
dubitare di perdere il loro tempo per qualcuno che non
lo merita".
"Da quanto tempo hai scoperto questo sito? Forse
da quando hai cominciato a nascondermi i giornali che
sparlavano di me?"
La domanda così diretta la lasciò senza fiato per
un attimo, e lui riprese:
"Perché lo hai fatto? Pensavi che non avrei
retto a quelle menzogne? Che mi sarei disperato ancora
di più?"
Era visibilmente arrabbiato, ma di una rabbia
indolente, quasi passiva.
Meg non voleva stare al suo gioco e cercò di
minimizzare:
"Leggere quella roba era perfettamente inutile,
non dannoso. Non è di quegli articoli che hai
bisogno".
"E di che cosa ho bisogno, secondo te?"
Il tono della domanda era sarcastico, indisponente e
fece reagire la donna. Si alzò all'improvviso e lo
aggredì:
"Adesso basta! Smettila di piangerti addosso! Tu
hai bisogno di te stesso … Un proverbio cinese dice il
mondo può andare avanti senza di te, ma tu non puoi
andare avanti senza te stesso, … quindi …"
"Perché fai tutto questo, Meg?", non la
lasciò finire.
" E tu perché fai queste domande nei momenti
difficili?"
"Rispondi, ti prego".
Si sedette di nuovo, si rimise gli occhiali e dal
cassetto della scrivania trasse un pacco di fogli
rilegati in un fascicolo piuttosto voluminoso. Glielo
porse:
"Leggi questi e lo saprai".
Lui lo prese per niente convinto e stava per
replicare, ma la donna fermò subito quel tentativo:
"E' la traduzione in inglese di tutte le
fanfiction del sito italiano. Quando le avrai lette,
risponderò alla tua domanda".
"Mi tratti come uno scolaretto …", cercò
di replicare, inaspettatamente divertito della
situazione che Meg era riuscita a sdrammatizzare.
"Te lo meriti, e anche di peggio ..", gli
disse di rimando, sollevata per la tensione ormai
svanita. Tra loro era ritornata una certa familiarità
cameratesca che aveva caratterizzato quella lunga
giornata.
"Ho capito, … buona notte!"
"Buona lettura".
Rimasta sola, raggiunse la sua stanza a passi lenti,
assorta. Cadde sul letto, si sentiva esausta, sfibrata.
Nell'ultima ora Russell aveva messo a dura prova la sua
pazienza e ad un certo punto aveva seriamente temuto
l'inutilità dei suoi sforzi. Eppure era riuscita a
"farlo cedere". Scivolò nel sonno così, con
un lieve sorriso di compiacimento sulle labbra.
Si risvegliò quasi alle otto. Il primo pensiero fu
per Russell: il desiderio di vederlo per capire la sua
reazione era forte, ma nello stesso tempo la temeva. Non
sapeva proprio capire se la lettura di quei testi lo
avrebbe scosso o inasprito ancor di più.
Non tardò molto a scoprirlo. Un discreto bussare
alla porta e lui entrò. Aveva gli occhi arrossati, la
faccia stanca per la notte insonne, l'espressione
indefinita. Le si strinse il cuore, ma non ebbe il tempo
di aprir bocca che l'uomo le si sedette accanto:
"Sono rimasto sveglio tutta la notte - il tono
della voce era basso, quasi un sussurro, e tradiva una
certa emozione - e le ho lette tutte, dalla prima
all'ultima pagina".
La guardava come a cercare assenso per quello sforzo.
Lo lasciò continuare:
"Sono straordinarie! Da quelle della serie
Massimo l'immortale alle altre, alle poesie
….. sono diverse, sono toccanti, mi hanno
emozionato, mi hanno fatto sorridere, …. Mi hanno
fatto riflettere…", abbassò gli occhi, si
sentiva in colpa per averle liquidate qualche giorno
prima, quasi fossero carta straccia.
"Avevi ragione, Meg. Quelle donne mi amano e io
… sono in debito con loro…"
La donna si sentì sollevata, ce l'aveva fatta, la
sua caparbietà aveva avuto ragione della resistenza
coriacea di lui, un lui che pian piano ricominciava a
vedere le cose accogliendo un'altra prospettiva, un lui
che le stava di fronte, ancora incredulo per la
ricchezza di sentimenti trovata nelle pagine di donne
sconosciute, lontane, che si accontentavano di poter
sognare e fantasticare su di lui.
"Meg, che devo fare? Anzi - la scrutò sornione
- io ho fatto il mio compito, ora tu rispondi alla mia
domanda …. Perché fai tutto questo per me?"
"Perché … ti voglio bene, lo sai".
"Dopo quello che ti ho fatto?"
"E' passato ormai, altrimenti non sarei qui, ti
pare?"
Gli sembrava che non avesse detto tutto, la sentiva
reticente, ma non sapeva se insistere o meno.
"Meg, non so se ti rendi conto del debito che ho
con te. Per mesi, e non so nemmeno quanti, hai
trascurato la tua vita per me, il tuo lavoro, tuo
figlio, il … tuo fidanzato,…."
"Non c'è nessun fidanzato. Ti sono amica, lo sai,
e gli amici si aiutano. Tu avresti fatto lo stesso per
me".
Non era ancora convinto. Ricordava l'improvviso
imbarazzo fra loro della sera prima, il piacere di
averla appoggiata al suo petto nella jeep. Ma anche lui
non sapeva interpretare bene quei segni. Se lei,
saggiamente, era prudente nello svelare appieno i suoi
reali sentimenti, lui pure sarebbe stato cauto. Si erano
scottati una volta, non era il caso di ripetere.
"Va bene, cara amica. Che facciamo adesso?"
"Una telefonata". La guardò interrogativo,
mentre lei pareva gongolare per la sua sorpresa.
"Telefoniamo a Ron".
"A Ron? Ron … quel Ron?"
"Certo, Ron Howard".
"Non capisco. Spiegati, per favore. Che dobbiamo
dire a Ron?"
"Ti sta aspettando … sul set", disse
lentamente, per farsi intendere bene, perché lui avesse
il tempo di comprendere il senso delle parole. "E'
il momento di lavorare, non puoi lasciare le cose a
metà".
Stava per replicare, ma la donna non gliene dette il
tempo e lo costrinse ad ascoltare :
"Sono d'accordo con Ron da mesi. Lui aveva
saputo che ero qui con te. Ci siamo sentiti
regolarmente, voleva essere informato sui tuoi …
progressi. Non ha mai perso la fiducia in te e ha
convinto il produttore e il distributore del film ad
aspettarti. Il set è ancora lì. Manchi solo tu".
Gli aveva parlato con dolcezza, ma con decisione, a
far capire che non erano ammesse repliche, che ormai
Russell poteva farcela. L'espressione del volto
dell'uomo cambiava via via che Meg spiegava la
situazione: dallo stupore all'incredulità, dallo
smarrimento alla consapevolezza, del tutto inaspettata,
che i suoi migliori amici non lo avevano mai perso di
vista in questo periodo, alla profonda e commossa
gratitudine per il loro sostegno incondizionato, donato
senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
Rimase qualche minuto ancora silenzioso, incapace di
dire una parola, mentre non riusciva a staccare gli
occhi dal bel volto radioso di quella donna che gli
rivelava un affetto - o era amore? Se lo chiese in un
lampo e una fitta al cuore lo stordì - straordinario.
Mai come in quei giorni orrendi era stato solo, eppure
mai si era sentito amato come in quel momento. In un
istante comprese come doveva essere stato
insopportabile, forse crudele, certo egoista, perché
vedeva solo il suo dolore e si lasciava andare
compiaciuto alla deriva.
Ora sentiva acuto il senso di colpa, non poteva più
aspettare: c'erano troppe persone che non poteva, che
non voleva più deludere; Meg per prima, Ron, e
sicuramente le donne del sito italiano che gli avevano
dedicato un po' di se stesse.
Quando finalmente concluse i suoi turbinosi pensieri,
la voce gli uscì incerta, umile:
"Va bene, ho capito. Quando si parte? Perché tu…
verrai con me, vero?".
“Mi piacerebbe, ma, come hai detto, ho trascurato
alcune faccende che ora devo riprendere in mano. Ti
seguirò lo stesso, staremo in contatto, c’è il
telefono, c’è… il computer. Sarò comunque con te,
a sorvegliarti…”.
Voleva essere spiritosa e rassicurante, ma a stento
tratteneva le lacrime. Quel distacco, che prima o poi
sapeva sarebbe avvenuto, era più doloroso di quanto
immaginasse. Era felice per lui, non desiderava altro
che vederlo di nuovo in pace con se stesso, ma non
poteva impedirsi di provare un senso di vuoto. In quei
giorni aveva vissuto in funzione di lui, dimenticando se
stessa. Le giornate erano trascorse con sofferenza, ma
piene del pensiero di lui e per lui. Era stato giusto?
Si aspettava qualcosa dalla sua dedizione?
Lo guardava, lo aveva di fronte e ormai erano
lontani, di nuovo separati.
fine prima parte
(segue) |