Il conforto della certezza è come
una coperta calda in una fredda notte di dicembre, non
ha prezzo. E sapere che, mentre fuori dalla tua finestra
grossi fiocchi candidi si posano silenziosi sui tetti
delle case vicine, la tua pelle nel letto è a contatto
con un lenzuolo profumato e sopra di esso una pura lana
vergine o meglio ancora con un bel piumino d’oca, beh…
fate voi. Come si fa a non godere di tutto questo? Ecco,
essere sicuri di una cosa regala la stessa piacevole
sensazione: che nulla e nessuno riusciranno a strapparvi
dal vostro sacello, nulla e nessuno potranno turbare il
vostro equilibrio mettendo in dubbio quanto già sapete.
Sono criptica? Lo so, mi ci diverto,
che volete fare. Comunque il preambolo era d’obbligo
per farvi capire cosa pensavo della vita fino al
sopraggiungere di quella incredibile estate.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Cominciamo col mettere i puntini
sulle “i”. Non ero mai stata particolarmente
fortunata in amore. Dopo anni di storie travagliate
credevo di aver trovato la stabilità e la serenità con
Andreas, così tanto da arrivare a sposarmi e farci una
figlia (per forza, con l’età che mi ritrovavo, il
tempo era l’unica cosa della quale non disponevo…)
che avevo deciso, perché chissà per quale strano
motivo pensavo che fosse soltanto mia, di chiamare Rita.
Più che esserne sorpresa, ero
dispiaciuta quando quell’inverno, scoprendo una
imbarazzante aridità del cuore, avevo lasciato mio
marito, anzi: l’avevo invitato ad andarsene da quella
che era casa mia, perché sentivo di non amarlo più.
Rita era rimasta con me ed io, dopo qualche annetto di
sacrifici e una sostanziosa sponsorizzazione da parte di
mio padre, ero quasi pronta per partire per le vacanze.
Possiamo ora tornare al tempo
presente, anzi ci metterò tanto di date in modo da
farvi capire esattamente quando tutto questo carosello
sia realmente successo.
26 luglio 2007, giovedì
Io non so chi l’è quel mona che
ha dato le ferie, a quella donna lì…
Questo è il mio capo, Mario Bacca e
parla a voce alta, badando bene di farsi sentire da me.
Io non raccolgo la provocazione e sono in pace con me
stessa. Naturalmente è lui, “quel mona”.
Tornerai bianca anche quest’anno?!
Il mio “dirimpettaio” di
scrivania, Omar Benetti. Bella forza, è appena tornato
da due settimane trascorse in Val Pusteria, è nero come
un tizzo di carbone.
Già… - rispondo io sopra
pensiero - Ma quest’anno ne sarà valsa la pena!
Mi pare una monata portarsi una
putelotta così fino in Canadà…
Christian Fantato, che ho sempre
considerato il più simpatico dei miei colleghi. È l’ultimo
essere sulla faccia della terra che chiama “quella
nazione” ancora col nome francese. E la “putelota”,
la bambina in questione, naturalmente è la Rita, che
essendo un po’ suonata come la mamma, è soltanto
contenta di trascorrere le sue vacanze in Canada.
Ho sognato quel viaggio per sei
anni. Ne ho parlato talmente tanto in casa che perfino
la Rita s’è fatta venir la voglia di andarci. Ho
aspettato abbastanza, Rita ha tre anni, che sono più
che sufficienti per portarla su un aereo.
E a vedere gli orsi bruni. - Max
Musumeci, parole fatte d’acciaio, affilate come
lame. Non poteva mancare d’avere l’ultima parola.
Oh madonna, Max! Non sarà mica “Nata
libera”! Ci sono delle postazioni apposite.
Già, poi però non c’è anche il
rafting in canoa?? - Il Mario incalza contenendo a
stento un accesso di riso.
No, capo, non è “rafting”. È
semplicemente una gita in canoa!
Cercare di difendersi è inutile, il
fuoco di fila delle battute dei miei colleghi e del mio
capo è incessante, implacabile e non perdona. “Canada
naturalistico” è il nome del viaggio che ho scelto
per me e mia figlia, oltretutto ho faticato non poco ad
ottenere il permesso di mio marito a far espatriare la
Rita. Tre settimane, mi costa una fortuna. Riesco anche
a visitare Yellowstone, una deviazioncina di 560 km.
Come può non valerne la pena? Li lascio dire e, detto
tra noi, sbavare un po’ su di un viaggio che certo non
si fa tutti gli anni. Si parte sabato e domani sto a
casa: il momento della preparazione della valigia è
catartico. Quindi, salutati tutti, me ne vengo a casa,
non prima però di essere passata dalla mia ex suocera
che molto carinamente mi tiene la Rita dalle cinque e
mezzo alle sei e mezzo (la colonia estiva mi lascia
questo buco…).
27 luglio 2007, venerdì, ore 10,48
Mami, posso portare Picchi?
La Rita ha buongusto ma poco senso
pratico; Picchi è un orsacchiotto di plastica con le
orecchie di stoffa che era stato mio. Purtroppo il
sentimentalismo (o il famoso buongusto, appunto) mal si
sposano con la gestione dello spazio nelle valigie. Devo
dare una piccola delusione alla mia bambina.
Tesoro… proprio non abbiamo posto
per portarlo con noi. Ma il viaggio è lungo e lui si
stancherebbe troppo. Perché invece non lo lasci qui a
casa a riposarsi e non gli porti una vaschetta di
miele come ricordo della tua visita in Canada?
Non l’ho convinta più di tanto, ma
so che la curiosità che la divora (non ha mai fatto un
viaggio del genere) può aiutarla a superare la mancanza
del suo orsacchiotto.
28 luglio 2007, sabato, ora non
meglio precisata
“L’autore di “Britannico”…”
Mah. Le parole crociate m’hanno un po’ esaurito.
Quasi quasi aspetto pazientemente una decina di minuti,
tra un po’ inizia il film. La Rita è tutta presa a
stabilire un record planetario con un infernale giochino
elettronico (tipo il “GameBoy”), al quale, onde
evitare di essere scaraventate giù dall’aereo, si
può togliere il suono. Io invece mi annoio… Il fatto
che manchino ancora parecchie ore all’arrivo non mi fa
stare tranquilla, sono insolitamente nervosa per essere
una in viaggio verso destinazioni incantevoli per
trascorrerci un interessante periodo di vacanza. Si vede
che in fondo un po’ ci penso al fatto che la gita è
quella che è e la Rita è un po’ piccina. Le hostess
dell’Alitalia però, a parte parlarti tutte, ma
proprio tutte, con l’accento romanesco, sono premurose
e carine e tutto sommato aiutano a sopportare meglio le
ore di volo. La Rita sta lentamente facendo cadere il
Game Boy sulle gambe, il sonno se la sta portando via.
Ha una tale capacità di cadere repentinamente
addormentata che se non lo facesse soltanto quando l’occasione
lo richiede o lo rende raccomandabile, penserei che mi
soffre di narcolessia… La cuffia, la cuffia!! Inizia
il film.
31 luglio 2007, martedì, ore 8.00 -
Lac Delage
Ho dovuto ingozzarmi come un maiale e
inseguire la Rita per tutto lo spazio adibito alle
colazioni, per convincerla a non prendere quattro volte
di tutte le pietanze che vedeva… Il tempo a
disposizione in questo genere di viaggi è sempre poco e
dare un ritmo alla bambina risulta più difficile del
previsto… Fortunatamente riusciamo a portarci via
soltanto tre brioches, due muffins e due fette di pane
al burro e cannella (!!) e diligentemente ci portiamo
all’esterno, di fronte all’ingresso laterale del
Manoir Lac Delage dove già ci aspetta il nostro pullman
granturismo. Il tour è pieno di gente e la Ritina è l’unica
della sua età. Spero non si annoi… ma altre volte
siamo andate a fare gite (sicuramente meno lunghe e
impegnative di questa) noi due sole e non ci siamo mai
annoiate. La piccola è diventata immediatamente la
mascotte del tour e questo ci ha fatto conquistare il
posto d’onore nella fila immediatamente dietro alla
guida, un giovanotto gay con un italiano stratosferico e
una cultura profonda e raffinata, molto simpatico.
Figurati! Mia figlia ha una disinvoltura nell’avere
culo che mi dà sui nervi a volte…
L’inizio della gita è stato
gradevole anche per la piccola, anche se ancora “non
si sono visti gli orsi”, unico supremo motivo per cui
mia figlia mi ha concesso la sua augusta presenza in
questo viaggio. Montreal è affascinante, la giornata di
ieri e quella prima, dedicate alla città vera e
propria, alle civiltà dei nativi americani di questa
zona e l’esibizione dei boscaioli nella foresta, sono
state interessantissime.
Stamattina ci si sta dirigendo verso
la riserva faunistica dei Laurenziani, dove finalmente
quell’appiccicosa di mia figlia potrà vedere ‘sti
benedetti orsi, da apposite postazioni protette, e pure
i castori, oltreché farsi un giro in canoa. Ho più
pellicola fotografica e della telecamera di Helmut
Newton e Martin Scorsese messi insieme e cerco di
catturare quanti più ricordi possibili per la bimba ma
anche per me. La Rita si guarda in giro senza dire una
parola, insolita caratteristica per lei in verità, e
assorbe tutto come una spugna. Tutto fila per il meglio,
quando, mentre passeggiamo nel bosco, la piccina infila
la più sconcertante serie di starnuti che si sia mai
registrata. Fortuna che è appena cominciata la pausa
“mezz’ora di tempo a disposizione”…!
Ficco la testa nella borsa, alla
disperata ricerca di un fazzoletto, dopo che mi è
giunto all’orecchio il quinto starnuto di mia figlia -
Dio del cielo, ma che razza di piante avranno in ‘sti
boschi, da far scatenare una reazione allergica così
violenta alla Rita? Poiché la scempiaggine della madre
si è naturalmente trasmessa alla figlia, la Rita in un
secondo si volatilizza quando alzo nuovamente lo
sguardo, la vedo che comincia a discutere animatamente
con un bambino poco più grande di lei. Scatto come una
molla verso i due “contendenti”, tentando di
arginare la scarsa diplomazia e il caratteraccio di mia
figlia. L’altro “boxeur” è un bel bambino biondo
con gli occhi azzurrissimi stretti dentro due fessure e
una boccuccia che sembra un bocciolo di rosa. La Rita
deve aver trovato pane per i suoi denti, perché quello
che immagino sia il padre ha avuto lo stesso riflesso da
scattista sui 100 metri per raggiungere prima possibile
il suo vivace pargolo. “Toh. Si vede proprio che è
figlio suo, gli somiglia come una goccia d’acqua”,
penso. Poi, mentre distraggo la Rita cercando di
soffiarle il naso e di renderla edotta sulla gestione
dei rapporti coi paesi stranieri, lo guardo meglio quel
padre. Ammazza, che pezzo di Marcantonio. Ha due spalle
che ci potresti attaccare un TIR e farglielo trainare
modello Overland, i capelli biondo miele lunghi sul
collo spettinati, trattenuti intorno al capo dagli
occhiali da sole che, sollevati sopra la fronte, gli
scoprono due begli occhi chiari stretti in due fessure.
Ha il viso impanato nella barba. Rimbrotta suo figlio in
un inglese che non sembra “locale”. Mi venisse un
colpo secco. Se non è Russell Crowe, gli assomiglia in
maniera impressionante.
Mi scusi, è un bambino molto
vivace, - mi fa.
Per le brache di Pulcinella, è
proprio lui. Riconoscerei quella voce tra un milione.
Naturalmente, per meglio scusarsi della quasi marachella
perpetrata dal suo bimbo, condisce via questa frase con
un sorriso che mi fa diventare le gambe di gelatina.
Ma le pare… Anche Rita è una
bambina molto vivace…
Forse non sono le occasioni
migliori per portarseli dietro in ferie, questi viaggi
possono essere stancanti per noi, figuriamoci per
loro.
Già… A volte però non abbiamo
scelta. E poi, i bimbi sono degli essere robusti,
recuperano con una bella dormita… Si figuri che lei
ha recuperato il jet lag in una giornata! Beata lei…
Da dove venite?
Dall’Italia. Vacanze estive. -
Gli allungo una disinvolta mano destra, mentre con la
sinistra tengo saldamente il colletto della Rita che
cerca di scapparmi come al solito. - Mi chiamo Lucia.
Debiasi.
Molto lieto. Io sono Russell Crowe.
Oh. - Ma che brava sono a fingermi
sorpresa… voi dovreste vedermi. - Dunque è proprio
lei. Inizialmente pensavo fosse una persona che gli
somigliava molto.
Vado in vacanza anch’io, sebbene
di rado.
Resta a guardarmi a lungo, fisso
negli occhi. Mi sento morire. Lo sguardo di questo Maori
inquinato è davvero ipnotico. Il piccolo diavolo biondo
sfugge nuovamente all’attenzione del suo famoso quanto
affascinante papà e la Rita si concede un accesso di
pianto perché non la lascio andare a farsi gli affari
suoi.
Conor! Goddam you… Come back here!!
Sorrido all’imprecazione masticata
attraverso i denti, e mentre lo osservo che con un nuovo
scatto felino balza sulle bretelle del figlioletto per
“recuperarlo”, mi accoscio di fronte al mio
mucchietto di ossicini per capire cos’è che la
conturba.
Nessuna questione di carattere
sociale: mentre chiacchieravo amabilmente col “Capitano
Aubrey”, una bestiaccia ha punto la coscia scoperta
della mia bambina, presumibilmente un’ape. Questa mezz’ora
d’”aria” prima di riprendere la nostra gita,
rischia di trasformarsi in una piccola tragedia. Guardo
la puntura sulla gamba di Rita, che sta diventando un
ponfo rosso e cerco (invano, credo) di disinfettarla
passandoci sopra un dito bagnato di saliva. Il “Divino”
torna verso di me col suo piccolo clone.
Che succede?
Non so di preciso, ma temo che un
insetto l’abbia punta. Forse un’ape.
Aspetti, - fa lui, accosciandosi
vicino a me e tirando giù lo zaino che tiene sulle
spalle. - Devo avere uno stick all’ammoniaca.
Fruga un po’, poi effettivamente,
tira fuori una specie di grossa matita di platisca alla
quale toglie il cappuccio. Con le mani un po’
cicciotte in verità, scosta delicatamente il calzoncino
di Rita e fa fuoriuscire il liquido, spargendolo poi
bene sul punto “d’impatto”.
Ecco qua piccola… no, non
piangere ora passa tutto, ora passa tutto… - e nel
dir questo soffia sul ponfo. Rita strilla come un’acquila,
mentre le accarezzo la testa e le sussurro parole
dolci all’orecchio, per cercare di confortarla.
Sai che facciamo? Diamo la caccia a
quell’insetto e lo diamo da mangiare agli orsi…
Anzi no. Ho un’idea migliore. Io so dove cercarlo e
che fine fargli fare.
Si allontana, leggermente. Finge di
cercare qualcosa nell’aria. Sul suo volto passano in
dieci secondi almeno un migliaio di diverse
microespressioni. Sì, sì, se l’è proprio meritata
la statuetta. Sta fingendo di cacciare l’ape! Oh
Signore, una perfomance tutta dedicata alla mia
figlioletta! La solita fortunata, l’ho sempre detto
che è molto più fortunata della madre.
Eccoti qui, brutta bestiaccia! -
grida. Il figlio lo guarda con fare interrogativo.
Lui, nel frattempo, tiene tra due dita un’immaginario
nemico alato. - Credevi di farla franca, eh? Credevi
di aggredire la povera Rita senza fare i conti con
me!! Beh, ti sei sbagliato di grosso!!! - Finge di
prendere a pugni l’ape. Vi assicuro che è una scena
imperdibile. Soprattutto perché finge anche d’incassare
qualche cazzotto. Poi l’epilogo. E qui, a momenti,
mi sconquasso dalle risate. - Ah sì? Ah, sì!??!? Ok,
maledetto, l’hai voluto tu!! - Glom. Ha finto di
magiarselo. E come se lo mastica di gusto. Rita ha gli
occhioni verdi sgranati come due nespole e ha smesso
di piangere da un pezzo, sebbene le lacrime le bagnino
ancora le gote. Russell deglutisce rumorosamente, si
lecca le labbra, si allarga in un sorriso mentre,
godendosi lo stupore di Rita, si massaggia lo stomaco
quasi avesse appena terminato di sorbirsi un lauto
pasto. Il figlio ride, dev’essere abituato a questo
genere di pagliacciate. - Visto, piccola? Non devi
più temere nulla, adesso.
La Rita che non parla una parola d’inglese
mi chiede con lo sguardo una traduzione, che prontamente
le fornisco. Mi sorride, poi si volta verso il Divino.
Me lo fai un’altra volta? - I
giovani d’oggi non sanno mai accontentarsi…
Russell ride di gusto.
Ehi Rita! Giustizia giusta,
dovrebbe essere il motto. Se quella era l’ape che ti
aveva punto, meritava una lezione. Un’altra no.
La mezz’ora d’aria è quasi
finita e Rita ed io dobbiamo tornare sul pullman.
La ringrazio. È evidente che anche
lei sa quanto sia importante distrarli quando si fanno
male.
Non me ne parli. Faccio ancora
fatica a seguirlo da solo. Conor è un bambino
stupendo ma a volte fa qualche capriccio. La madre
riusciva a gestirlo molto meglio, ma….
… vi siete separati. - continuo
io - E da allora ognuno per sé.
Lui sorride.
Già! E… lei?
Faccio un sospiro.
Idem.
Oh. Mi dispiace.
Che vuole farci. Sembra destino che
io non… - sto per buttarmi nel melodrammatico quando
mi rendo conto che potrebbe non fregargliene niente
della mia incapacità cronica di tenermi un uomo.
Quindi decido di glissare. - Senta lei è stato
gentilissimo, ma io devo scappare, altrimenti il
pullman ci lascia qui!
Posso chiederle dove alloggia?
All’Holiday Inn, a Saguenay.
Tace per un attimo che mi sembra
lungo un’eternità. Mi guarda, lo guardo. Nostra
Signora delle Pellicole, è veramente bello. O forse no.
Ma insomma ha un carisma che t’incolla. Finalmente
ritrova il fiato.
Senta io… le… beh, io pensavo…
Le andrebbe di bere una cosa insieme, domani sera?
Beh, fate voi. Il “Gladiatore”
leggermente imbarazzato nell’invitare una donna a bere
una cosa. Una perfetta sconosciuta poi, mica Nicole
Kidman. È fantastico constatare che in fondo… sono
solo uomini. Non vorrei farmi sfuggire un’occasione
così, di potermelo godere un altro poco faccia a
faccia. Così decido di accettare.
La ringrazio, mi farebbe molto
piacere sì.
Domani sera, alle otto e mezza?
Già. Loro bevono nel dopo cena alla
stessa ora in cui noi in Italia, forse ci mettiamo a
tavola…
D’accordo, ma all’Hilton di
Quebec City. Saremo lì domani.
Se devo essere sincera non confido
completamente nel fatto che verrà. Secondo me, ci prova
con una sconosciuta giusto per verificare se è ancora…
“in forma”. Darò la buonanotte alla Rita alle nove
e mezza e mi volterò dall’altra parte del letto come
al solito… Mentre seguo il filo dei miei pensieri,
però, lui mi allunga un foglietto su cui ha
scribacchiato un numero di telefono.
Lo tenga. Mi telefoni. Così…
potrò accorrere tutte le volte che le serve l’ammoniaca.
Oh cacchio. Jack Aubrey, Decimo
Meridio e il dott. Doug Ross tutti insieme… Risalgo
sul pullman e lo guardo dal finestrino mentre si
allontana con Conor in braccio. È un’immagine
fantastica, il vincitore della famigerata statuetta mi
sembra teneramente impacciato con suo figlio, ma gli
accarezza i riccioli biondi e gli regala i sorrisi più
dolci. Non mi accorgo dello sguardo indagatore di Rita
che mi fissa dal sedile di fianco al finestrino.
Mami, chi era quel signore?
Un signore molto gentile, ti ha
guarito la gamba, no?
Non si capisce quando parla.
Parla inglese, tesoro, una lingua
straniera. - Altro che lingua straniera… in realtà
tra me e me penso che, non si capisce comunque un’acca
quando parla, quel suo accento australiano è di
difficile comprensione per me.
Tu però lo capisci.
Sì, tesoro, perché parlo la sua
lingua.
E perché io no?
Perché non l’hai ancora
studiata.
E perché no?
Sei troppo piccola, tesoro, forse
tra qualche anno.
Umpf.
Quando si spazientisce e fa “umpf”
mi fa impazzire. È bellissima! Vorrebbe fare tutto e
sapere tutto e questo ritardo dato dalla sua età la fa
sentire fuori posto.
La mancanza di cultura e la puntura
dell’ape sono presto dimenticate e, come si dice nelle
favole, stanche ma felici, riprendiamo grazie al nostro
autista, John Connelly, la strada dell’albergo.
1 agosto 2007, mercoledì, ore 19.53,
Quebec City
Il bello di questi viaggi è che
comunque si mantiene un livello piuttosto rilassato.
Niente manierismi, niente sofisticatezze. La sera,
specialmente se uno deve passarla a fare una chiacchiera
o una passeggiata nei dintorni dell’albergo, si può
stare in tuta coi capelli arrotolati in una molletta e
la faccia struccata. Che meraviglia… Rita gironzola
per la hall e io passo il tempo con una non più
freschissima coppia di Modena, mentre mi fumo una
sigaretta dietro l’altra (considerato il numero di
posti in cui non si può fumare in questo paese, faccio
il pieno quando posso!). Il viavai degli ospiti è
minimo, c’è gente molto stanca, in fondo il viaggio
è appena cominciato e qualcuno non ha ancora recuperato
il jet lag, mentre qualcun altro ha scelto di cenare
fuori dall’albergo. Fumo avidamente la quinta
sigaretta da quando mi sono seduta, quando noto
sopraggiungere al banco della reception un uomo “spallato”
che parlotta con la receptionist. Questa gli indica un
punto più o meno nella mia direzione, dietro le sue
spalle. Vedo che si gira e, mentre la ringrazia si
avvicina a grandi passi. Mi venisse un colpo. È lui, ed
è venuto! Mai mi sarei sognata che avrebbe tenuto fede
alla sua parola. Mi sembra una scena tratta da: “Gli
ultimi fuochi”, in cui un fascinosissimo Robert De
Niro invita a ballare la sua dama.
Ciao! Scusa per il ritardo, ho
avuto qualche difficoltà a piazzare Conor con la
tata. - Mi guarda con fare un po’ perplesso. - Sei
pronta?
I coniugi modenesi girano il loro
sguardo più sornione da lui a me e i loro visi s’illuminano
di un gran sorriso.
Pronta? Oh beh, io… io…
Lucia stava giusto salendo a
prepararsi… - incalza Lorenza, la simpatica
cinquantaquattrenne emiliana. - Sbrigati cara, non
vorrai far aspettare questo bel giovane?
“Questo bel giovane”… Questo
bel giovane mica è uno qualunque, ma lei, non se n’è
accorta… Beata ingenuità! All’improvviso mi ricordo
di un elemento totalmente marginale della mia vita di
madre single… La Rita! Se esco a far la spiritosa col
Divino mica posso portarmela dietro né tantomeno
lasciarla in camera da sola. La prima soluzione, per
quanto fastidiosa mi possa sembrare, è comunque l’unica
a cui possa pensare.
Rita dov’è finita? Deve
cambiarsi anche lei… - la Rita in questione, nel
frattempo, passa il tempo strisciando le mani sporche
di zucchero (s’è appena sbafata una frittella
dolce) lungo la vetrina di esposizione del buffet
della colazione.
Tesoro, non preoccuparti per Rita,
ci pensiamo noi. Stasera busserai alla nostra porta
per riprendertela, qualsiasi ora sia. Vai pure a
cambiarti, ora.
L’impazienza di trascorrere un’oretta
con quella specie di Adone è davvero tanta, quindi
bacio frettolosamente mia figlia sulla guancia,
spiegandole le cose e fuggo in camera ad infilarmi un
jeans e una camicia. La Rita mi pianta un po’ il muso,
ma so che domani le sarà passato e con un piccolo senso
di colpa nel cuore, raggiungo il mio cavaliere nella
hall quindici minuti dopo. Lo trovo seduto sul divanetto
che firma un paio di autografi ad altrettante addette al
ricevimento degli ospiti dell’albergo. Lorenza mi si
avvicina con aria complice.
Complimenti, Lucia, davvero un tipo
avvenente. Ma dev’essere uno conosciuto, sta
firmando autografi… Si può sapere chi è?
Oh, nessuno… Probabilmente un
deejay locale.
Divertiti e… fa’ attenzione.
Sorrido alle raccomandazioni che
sarebbe giunte identiche da mia madre. Mi avvicino al
divanetto mentre lui si sta alzando e cerco di scacciare
via un po’ di imbarazzo.
Scusa se ti ho fatto aspettare ma…
… non pensavi che sarei venuto.
Abbasso lo sguardo, colpevole.
A dire il vero, no.
È bello per uno come me, rendersi
conto di riuscire ancora a sorprendere una donna. Hai
sistemato Rita?
Sì, Lorenza l’ha presa con sé.
Ti fidi di lei? - mi chiede serio.
Beh, sì. La conosco da poco, dall’inizio
di questo viaggio ma non mi sembra una che vende i
bambini.
Non preferiresti portarla con noi?
Gli uomini che fanno troppo i padri
finiscono per innervosirmi.
E tu cosa preferiresti? - gli
domando.
La replica è educata ma secca e lui
capisce di dover abbandonare l’argomento.
Ho la macchina qua fuori.
Mentre mi tiene lo sportello aperto,
poso le chiappe inguainate nel jeans sul sedile di un
Mercedes CL 55 nero ossidiana. Per le amanti del genere,
siccome ho studiato, vi posso dire che questo signore si
tratta piuttosto bene. 500 cavalli, un motore Kompressor
a 8 valvole 5500 di cilindrata, da 0 a 100 in 4,8
secondi, che fa i 250 orari. Il tutto a partire da
139.000€. Mica male, eh? Sembra di entrare in un’astronave.
Mi hanno raccomandato un posto
carino vicino a Frotenac. È lì che siamo diretti.
Benissimo.
Uno che ti fa il bollettino del
traffico. Beh, carino, in fondo. Avrà capito che sono
leggermente preoccupata. Non siamo molto lontani dal
centro e quindi dal castello in questione (Frontenac,
appunto), oltrettuto al Divino piace pestare sull’acceleratore
e al massimo del comfort e del silenzio (pardon, della
silenziosità dell’auto) giungiamo a destinazione.
Il locale è immerso nella penombra,
è di tipo abbastanza rustico, ma tutto ricorda le
locande della Normandia. Il Divino mi tira delicatamente
verso il tavolo più appartato del locale e agguanta la
lista.
Pensiamo alle consumazioni prima.
Così poi potremo parlare in santa pace.
Chiama la cameriera con un gesto
della mano, la quale si avvicina al nostro tavolo prima
con una certa indolenza, poi, riconoscendo il suo
avventore, s’illumina tutta, e fremendo come una
verginella la sera del ballo di fine anno, fa di tutto
per essere esauriente ed efficiente. Il Divino si
spazientisce e, una volta conquistate le sue due birre
(già, io non ho avuto la possibilità di scegliere il
mio beveraggio…) la manda via senza tanti complimenti.
Mentre la cameriera borbotta qualche insulto in
francese, il Mio torna a rivolgermi il più dolce dei
suoi sorrisi.
Ho avuto l’impressione che una
madre single come te non potesse non amare la birra…
Detto questo mi porge il boccale.
Numi, mi par d’essere all’Oktoberfest.
Beh sì, devo ammettere che la
birra mi piace…
… ma? - fa lui, percependo il
tono leggermente sospesivo della mia frase.
A volte a quest’ora mi piace bere
altro. La birra la gusto molto di più in compagnia di
una pizza.
Birra e pizza. Già, un’italiana.
Avrei dovuto immaginarlo. Aspetta, ti faccio portare
un’altra cosa…
Fa per richiamare la cameriera che lo
guarda in cagnesco da ormai dieci minuti, quando penso
che è meglio fermarlo.
Lascia stare, non ha nessuna
importanza.
Per sottolineare la risolutezza della
mia decisione gli sfioro la mano. Credo che ne rimanga
molto colpito, perché il suo sguardo va velocemente
proprio dalla sua mano ai miei occhi. Ritiro la mano,
capendo di aver esagerato e mi avvolgo nel mio
imbarazzo.
È un viaggio molto lungo per una
bambina così piccola. Quanti anni ha Rita, tre,
quattro?
Ne compie tre a settembre.
Non avevi nessuno a cui lasciarla?
Da quando siamo passati dal lei al
tu?
Non volevo lasciarla. Volevo
venisse con me a fare questo viaggio. E poi credimi,
ha più fibra di me.
Dov’è suo padre?
In Trentino, una regione nel
nordest d’Italia. Da dove veniamo anche noi.
Non ha funzionato?
Non ha funzionato.
Dopo quanto tempo vi siete
lasciati?
L’inverno passato. Qualcosa… si
era spento.
Capisco cosa intendi. Vi
conoscevate da molto?
No… quattro anni. Ci siamo
sposati quasi subito.
È un buon padre?
Decisamente sì.
Questo è fantastico.
Già. E nonostante le nostre sorti
ci abbiano portato a percorrere strade separate non c’è
rancore tra noi, lui mi tratta sempre con molta
tenerezza.
Beh, davvero fantastico. Ma credo
che queste circostanze si verifichino soltanto quando
non c’è di mezzo una terza persona.
Sì, credo tu abbia ragione.
E più è grande l’amore che hai
provato per una persona, maggiore è il livore che
provi nei suoi confronti se lei ti tradisce.
Capisco che sta parlando del suo
matrimonio. Ma dai. Quella specie di ornitorinco con un
ciuffo (mal acconciato) di paglia in testa che aveva per
moglie, s’era pure trovata l’amante? Cose da pazzi,
è proprio vero che certe donne non sanno la fortuna che
hanno.
So di che stai parlando. È
successo anche a me.
Sai, oggi al parco ho avuto la
sensazione che stessi cercando qualcosa.
Beh, effettivamente sì. Non so che
piante nel bosco hanno scatenato una reazione
allergica della Rita che non ha m-…
No, intendevo per te. Non dai l’impressione
di essere qui soltanto per passare del tempo libero.
Stai aspettando che qualcosa ti accada.
A dire il vero io non…
Questa non me l’aspettavo. La
separazione, il lavoro, la Rita… Avevo smesso di
aspettare che qualcosa mi accadesse da un bel pezzo. Ma
probabilmente soltanto scentemente; una parte di me
seguitava ad aspettare e questo evidentemente aveva
colpito l’attenzione del Gladiatore.
Sono tanti mesi ormai che non mi
aspetto più che qualcosa mi accada. Essere una madre
single mi tiene piuttosto occupata.
Non hai nessuno che ti aiuti?
Cerco di fare da me. Se ho dei
ritagli di tempo in cui non so proprio chi possa
tenermi la Rita, lo fa mia ex suocera, se non
addirittura Andreas.
Se vuoi la verità, mi sorprende
che tu sia rimasta sola.
Strano modo di fare i complimenti,
davvero. Arrossisco lievemente e abbasso lo sguardo, che
ho tenuto fino a quel momento piantato nei suoi occhi:
con la mia età e le esperienze che ho vissuto non ho
timore di nessuno, nemmeno di un attorone come quello.
Ti ringrazio, ma… la mia
visibilità è stata piuttosto ridotta, ultimamente.
Non parlo di autosponsorizzazione.
Io ti ho notato in mezzo ad un parco, visto? Non sei
una persona che passa inosservata.
Ora esageri. Se mi lusinghi come
fossi Linda Evangelista, finirò col non crederti.
Non parlo di bellezza esteriore. C’è
qualcosa nelle tue movenze, nel modo in cui parli e ti
comporti con tua figlia, il modo in cui ti guardi
intorno, qualcosa che va al di là dell’aspetto
puramente fisico, che colpisce molto. E fa venir
voglia di conoscerti. La gente dovrebbe fermarti per
strada.
Scoppiai a ridere.
Credo che tu veda il mondo
irrimediabilmente attraverso le lenti dei tuoi
occhiali di persona celebre!
Mi guarda molto serio.
Io però sono qui.
Credimi, lo apprezzo molto.
Qui dentro si soffoca. Ti va di
fare due passi?
Mi alzo abbastanza rapidamente, il
Divino ha doti telepatiche e mi ha letto nel pensiero.
La notte canadese è tiepida e profumata. Ci
incamminiamo lungo le stradine semiaffollate della
Citadelle, parlando e sorridendo come due adolescenti.
Io ho le mani dietro la schiena, proprio come mio nonno
paterno, e lui gesticola mentre parla, alla stregua di
un pizzaiolo napoletano. Incredibile… Ci avviamo verso
la Place Royale che fiancheggia il castello e si
affaccia su uno dei punti più belli del fiume San
Lorenzo. Qui l’affluenza è decisamente più magra.
È la prima volta che vieni in
Canada?
Non da questa parte. Il viaggio
continuerà sulla costa occidentale, quella non l’ho
mai vista. Ho trovato il Quebec splendido anche la
prima volta che l’ho visitato. Mi piacerebbe venirci
in pieno inverno una volta…
So che hanno delle precipitazioni
medie nevose davvero preoccupanti…
Lì sta il bello…
Ci giunge da poco lontano la risata
leggermente soffocata di due giovani. Sono abbracciati e
si sbaciucchiano, mentre si sussurrano qualche
sciocchezza sentimentale. Dopo averli guardati, ci
rivoltiamo allo stesso tempo uno verso l’altra. Vedo i
suoi occhi scintillare al buio, poiché riflettono le
luci lontane del centro. Mi parla piano, con quella voce
profonda e appiccicosa.
Chissà cosa cambia di quei momenti
tra quando si è adolescenti e quando si è adulti.
Non penso si tratti soltanto di una questione
spirituale. Però i giovani sembrano sempre più
contenti quando sono in coppia.
Non c’è da preoccuparsi… gli
passa quando si ritrovano il mutuo da pagare.
Il Divino soffoca a stento una
risata.
Hai il potere di sbriciolare
qualsiasi romanticismo con una “delicatezza”
sorprendente!
Ho imparato ad essere dissacratoria
quando la situazione si fa… un po’ troppo spessa.
Qualsiasi situazione, romantica, drammatica o
spaventosa che sia. Aiuta a stemperare lo stress.
Se ti dicessi che, stavolta, non
sei riuscita del tutto a stemperare lo stress?
Oh cacchio, si avvicina. Oh cacchio,
mi ha messo una mano intorno alla vita. Oh cacchio,
com'è vicino. Profuma di buono. E di sigarette. E
quando mi bacia ha ancora la bocca lievemente fresca
della birra che s’è appena bevuto. Lentamente sento
che mi stringe anche con l’altro braccio. Come? Cosa
sto facendo io? Al posto mio voi che fareste? In fondo
è divino. In fondo la Rita dorme insieme a Lorenza e
Armando. In fondo sono una donna libera. O quasi.
Rispondo, rispondo, non preoccupatevi. Gli accarezzo la
nuca, passandogli le dita tra i capelli che sono
sorprendentemene morbidi. Anche la barba è morbida, un
po’ come quella di Andreas. Mi piacciono gli uomini
con la barba. Le mie mani scendono dal collo lungo le
spalle. Per tutti i santi protettori delle palestre,
questo qui c’ha due spalle che sembra un quattro
stagioni. E poi stringe. E poi… ehi, giù le mani dal
mio sedere! Mi vergogno troppo del mio sedere, non mi
piace che lo si tocchi. Insiste. E non smette di
baciarmi. Fortuna che non sono raffreddata, altrimenti a
‘sto punto sarei diventata blu. Dopo un po’ sembra
stancarsi, si stacca e mi fa:
Vieni, torniamo alla macchina.
Numi dell’Olimpo, speriamo non
abbia cattive intenzioni. Vedo che riprende la strada
dell’hotel, parcheggia l’auto perbene e poi, una
volta sceso, gira intorno ad essa per venire ad aprirmi
la portiera, cosa che peraltro avevo già cominciato a
fare io (perdindirindina, non sono mica una che viene
dal ballo delle debuttanti, tanta cavalleria mi
frastorna).
Ti accompagno alla tua camera.
Prego?! Questo tizio ha serie
intenzioni bellicose! Dai, chi vuoi che mi salti addosso
in un corridoio di un grande albergo?? Non si può
quindi prendere come scusa il fatto che voglia
accompagnare una donna sola fin sotto il portone di
casa.
I due minuti di ascensore sembrano un’eternità,
finalmente le porte si aprono e io mi butto fuori come
un proiettile.
Davanti alla porta della camera mi
agguanta con un po’ più di decisione, il bacio è
decisamente più focoso. Mi stacco non senza fatica da
lui, lo guardo. È un po’ arrapato, i capelli
arruffati, ma sempre bellissimo. Misericordia, che
pensieracci mi stanno balenando in testa. In fondo,
però mi dico, perché buttare all’aria un’occasione
così?
Vuoi entrare un momento? Vediamo
quali lussi alcoolici possiamo concederci col minibar…
Sì… soltanto una cosa Lucia.
Lo guardo stranita.
Che c’è?
Puoi aspettare un momento a
riprenderti Rita?
Gli sorrido. Questa correttezza tutta
anglosassone mi fa impazzire.
E chi ci pensava? - faccio, aprendo
la porta della camera.
Entro, accendo soltanto un abat-jour,
apro il minibar mentre lui si dirige verso la finestra,
scosta le tende, guarda fuori.
Whiskey, gin, vodka? Non c’è
altro.
Tu cosa prendi?
Adesso me lo chiede, ora che la
scelta è più che limitata.
Bevo molto volentieri il whiskey.
Va bene anche per me, se ce ne sono
due. Altrimenti la vodka andrà benissimo.
Ce ne sono due.
Verso in due bicchieri dalle due
bottigliette, gli do il suo e facciamo un ridicolo,
plasticato cin-cin. Bevo tutto d’un fiato, e lui…
beh, lui mi guarda e sorride.
Nervosa?
Leggermente. Ma è il fatto che sia
una stanza per non fumatori. Troppo tempo da far
passare tra l’ultima della sera e la prima del
mattino.
Non mi dirai che ti alzi di notte
per fumare?!
Se mi capita di non dormire, non è
inusuale che mi piazzi sul divano in salotto con un
libro e il pacchetto delle sigarette ad aspettare che
il sonno ritorni.
Non credo che stavolta avrai tempo
o modo di innervosirti perché, essendo sveglia non
puoi fumare.
Mi toglie il bicchiere dalle mani,
dopo aver bevuto il suo, e mi sbottona la camicia. Sì,
me la sbottona! Ed è qui che smetterò di descrivere la
serata, tanto potete benissimo immaginare come va a
finire. Va a finire proprio in quel modo lì, e io
soddisfatta e nuda nel mio letto, non ho nessuna voglia
di andare a prendere Rita in camera dei modenesi. Lui
nudo è quasi meglio che vestito e qualsiasi sensazione
piacevole arriviate ad immaginare di poter provare con
un uomo, beh… lui ve la può dare. È bello tonico, ha
un gran bel sedere, torace e spalle ben piazzate. Anche
“lì”, tutto omologato. Si rigira nelle lenzuola,
vedo che allunga una mano nei pantaloni e tira fuori le
sigarette.
Ah no! Se non fumo io, non lo fai
nemmeno tu. Poi la bambina deve dormire qui.
Dannazione… - sussurra. - Hai
ragione. Mi vesto e me ne vado.
Aspetta… mi vesto, vado a
prendere Rita, la porto a letto e poi scendo a fumare
anch’io una sigaretta in strada.
Ti aspetto giù.
Quando lo raggiungo è appoggiato col
sedere al finestrino della sua costosissima Mercedes. Ha
già acceso. Maledizione, detesto arrivare a sigaretta
iniziata, l’ho sempre odiato. Ma il Divino sembra
ancora una volta leggermi nel pensiero.
Non resistevo più… ma sta’
tranquilla, ne fumerò un’altra mentre tu finisci la
tua…
Sono le quattro ormai e tra due ore
dovrei alzarmi, la prossima tappa è Ottawa. Sono
sfinita, eppure so che riuscirò ad addormentarmi
soltanto domani, sul pullman. Mi accendo la sigaretta.
Quando rientri in Italia?
Un po’ più di due settimane.
Dove andate domani?
A Ottawa. Ci restiamo un giorno.
Sono a Los Angeles per lavoro.
Perché non mi chiami quando siete a Calgary?
Perché… anche se mi piacerebbe
molto non reputo sia una buona idea.
Ci terrei molto. Potrei farvi
venire a prendere con un aereo privato, potreste
saltare due giorni di gita. Los Angeles potrebbe
piacere ugualmente alla piccola. E la tata non avrebbe
problemi a tenerne due. Ti prego, pensaci.
Lo guardo sospirando. “Ti prego”?!
A me?! Ma chi vuol farsi pregare!!! Io ci andrei pure a
cento all’ora da lui. Ma come potevo fare con la Rita,
la gita e tutto il resto?
Ci penserò. - Butto la cicca in
terra e la schiaccio col tallone. - Ora devo andare.
Mi abbraccia, mi bacia
affettuosamente le labbra.
Fai buon viaggio.
E dopo esser salito sulla sua auto
scompare nella bella notte canadese.
4 agosto 2007, sabato, ore 15.23,
Niagara
Mia figlia, infagottata in un
impermeabile fatto di sacchetto di plastica ma blu e con
la scritta “Maid of the Mist”, mi guarda col sorriso
più largo che le abbia mai visto fare. È bagnata dalla
testa ai piedi (come me, del resto) e mi fa le facce
quando le dico di guardare nell’obiettivo per
fotografarla. Corey, la nostra guida, si offre di farci
qualche scatto e di filmarci insieme per qualche minuto.
Niagara-on-the-lake poi è incantevole, non ricordavo di
averla visitata. L’escursione all’interno della
cittadina risalente al XVIII secolo è stancante e
fortunatamente, visto che la Rita cominciava un po’ a
rognare, verso le quattro e mezza- cinque rientriamo
verso l’albergo.
5 agosto 2007, domenica
È da quando ho messo piede sull’aereo
che non ho smesso di pensarci un momento. Ben più di
una volta la mia mano è corsa nella tasca del giubbotto
a maneggiare quel pezzetto di carta col numero di
telefono del Divino. Chiamarlo, non chiamarlo, chi lo
sa. Sono le nostre due giornate di libertà, le due che
avevo pensato di dedicare alla visita del parco dello
Yellowstone. Rita mi ammazzerebbe. E non torneremo tanto
presto per poterlo visitare un’altra volta, non
dovremmo proprio perderlo. Però, rivedere Russell Crowe…
Anche quello è un monumento che non si vede tutti gli
anni. Decido di parlare con la Rita in modo chiaro.
Rita, tesoro, la mamma deve
chiederti una cosa.
Il suo visino si rivolge verso il
mio.
Invece di andare a vedere gli orsi,
ti piacerebbe se andassimo a trovare quel bimbino
biondo che hai conosciuto alla riserva dei Laurenziani?
Il suo papà ci ha invitato a Los Angeles, una città
tanto grande, dove lui è in questo momento.
E gli altri orsi? Ci andiamo dopo a
vedere gli altri orsi?
Non avremmo più tempo dopo. Ma ne
abbiamo già visti di orsi, non ti ricordi? Andiamo a
visitare la città del cinema, dove fanno i cartoni.
I cartoni?
I cartoni.
Beh non so…
Dovremmo fare un altro viaggetto in
aereo… Non ti piacerebbe fare un altro giro in
aereo?
Sì, quello mi piacerebbe.
Allora, lo diciamo a quel bimbo
biondo che lo andiamo a trovare?
Sì…
Non è molto convinta e io mi sento
una cacca secca. Ma dopo aver composto il numero e aver
sentito la voce calda di Russell, la sensazione mi passa
all’istante.