(Se vuoi la pace, prepara la guerra)
di Ilaria Dotti
*****
Il generale aveva atteso pazientemente tutta la sera nascosto in camera
di Rea in attesa che lei mettesse in pratica il suo piano e conducesse la
nipote nella stanza.
Quando infine la porta si era aperta i suoi occhi si erano concentrati
su Lucilla. Una parte di lui non si fidava ancora della giovane donna;
tuttavia lei era l'unica che potesse dargli le informazioni di cui
necessitava. La politica non era mai stata il suo forte e Rea aveva
ragione nell'affermare che avevano bisogno di un alleato potente.
Massimo l'aveva osservata durante la sua conversazione con Rea e aveva
notato il suo viso stanco e tirato e le rughe di preoccupazione sulla sua
fronte. Contro la sua volontà gli erano tornati in mente i momenti
passati insieme, il suono delle sue risate e la gioia che aveva illuminato
il suo sguardo..... Massimo aveva scacciato i ricordi ed era tornato a
concentrarsi sulla conversazione e quando Rea aveva menzionato l'esercito
aveva capito che il momento di uscire allo scoperto sarebbe arrivato
presto. E così era stato.
*****
Lucilla vide Massimo uscire dalle ombre e riuscì a stento a trattenere
un urlo. Si alzò di scatto e gli si avvicinò, allungando una mano verso
il suo viso, come a volersi sincerare che non si trattasse di un fantasma
ma poi si trattenne, incerta sul modo in cui lui avrebbe reagito.
Massimo le andò vicino e la salutò chinando la testa, "Augusta
Lucilla." Il suo tono era neutro ma dentro di lui il suo cuore stava
battendo forte. Aveva sentito l'emozione che aveva pervaso la voce di
Lucilla quando aveva parlato di lui credendolo morto e per il suo spirito
ferito era stato come un balsamo curativo.
"Massimo." rispose semplicemente la giovane donna e i due
rimasero a guardarsi in silenzio per alcuni istanti finché Rea non si
schiarì la gola.
Richiamati al dovere Lucilla tornò a sedersi sulla sedia affianco al
letto mentre Massimo si appoggiò ad una cassapanca vicino al muro, fuori
dal campo visivo della finestra.
Rea prese in mano le redini della conversazione, "Lucilla, quello
che sto per dirti forse ti sorprenderà, ma tuo padre non voleva che
Commodo gli succedesse sul trono, sapeva che non avrebbe potuto essere un
buon sovrano." Lucilla annuì, per nulla sorpresa dalle parole di sua
zia: sapeva bene quanto suo padre fosse stato deluso da Commodo.
Rea continuò, "L'ultima volta che Marco venne a trovarmi, circa
un anno e mezzo fa, lasciò in mia custodia una lettera sigillata con il
compito di consegnarla al generale Massimo Decimo Meridio nel caso egli
fosse morto all'improvviso."
Lucilla si girò curiosa verso Massimo ed egli tirò fuori la lettera
da sotto la tunica e gliela diede senza parlare. La giovane donna lesse
rapidamente i due fogli di papiro e poi rimase in silenzio alcuni minuti
mentre la sua mente lavorava in modo frenetico.
"Ecco il perché della convocazione dei senatori! Lui non voleva
annunciare la successione di Commodo ma quella di Massimo." pensò,
mentre tutti gli eventi accaduti in Germania prendevano un nuovo
significato."Perché mi hai chiamato? Ho bisogno di te per tuo
fratello....Ti vuole bene....e ora avrà bisogno di te più che mai."
Lucilla incontrò la sguardo di Massimo, "E' questo che ti disse
mio padre la mattina che ci incontrammo, vero? Il giorno in cui
morì."
"Esatto."
"E Commodo l' ha ucciso prima che potesse annunciarlo
pubblicamente. Sì, tutto ha senso…. anche troppo." Lucilla
sospirò e restituì i fogli a Massimo. Le loro dita e si sfiorarono per
un istante e un brivido corse lungo le loro schiene. Lucilla si voltò di
scatto e Rea le chiese, "Ti senti bene?"
"Sì zia, sto bene. Quello che mi avete appena detto ha solo
confermato ciò che sospettavo da qualche tempo."
"Tuo padre mi anche lasciato una lettera per te."
"Davvero?" chiese la giovane con voce emozionata.
"Sì, eccola qui."
Lucilla prese la lettera e ruppe i sigilli con delicatezza.
Mia amata figlia,
spero che tu sappia che ti ho sempre amato e sempre lo farò. Tu sei
tutto ciò che un padre desidera in una figlia: obbediente, generosa,
intelligente. Il mio unico rimpianto è che tu non sia nata uomo. Che
grande Cesare saresti stata! E quanti problemi di meno avrei adesso!
Lucilla, tu conosci Commodo, probabilmente meglio di me, e sai che non
può e non deve regnare.
Per regnare con giustizia bisogna essere servi di Roma ma tuo fratello
farebbe di Roma la sua serva.
Tu hai sempre servito bene Roma, Lucilla. So quale sacrificio è stato
per te sposare Lucio Vero e so quanto ti è costato fare da madre ad un
fratello che in cambio ha riversato su di te attenzioni morbose.
No, non negare figlia mia, lo so. Mi dispiace solo di non averti
aiutato in questo frangente. E ora mi ritrovo qui a chiederti di assumere
un altro grave compito. Tuo fratello non deve regnare e Roma deve tornare
ad essere una Repubblica, solo così la corruzione potrà essere
debellata. A questo scopo io appronterò un Protettore di Roma, con il
compito di sovrintendere al passaggio dei poteri dall'imperatore al
Senato. Massimo Decimo Meridio è l'uomo che ho scelto per l'incarico. Tu
lo conosci: è onesto, giusto, leale e forte. Ma non è esperto di
politica: sarà tuo compito aiutarlo in questo campo. Tu conosci come
ragionano i potenti di Roma e sai funzionano certi meccanismi burocratici.
Aiutalo, Lucilla. Aiutalo a realizzare il mio sogno. E perdonami se così
facendo escluderò il piccolo Lucio dalla successione al trono, ma è
necessario per il bene di Roma.
Addio figlia mia, spero che tu possa avere una vita felice.
Che gli dei veglino sempre su di te e il piccolo Lucio,
con amore,
tuo padre,
Marco Aurelio Antonino
Lucilla ripiegò la lettera e alzò lo sguardo sui suoi compagni: era
una figlia di Roma e come tale rispose, "Commodo va eliminato. Ma
prima di agire è necessario che il Senato sia informato delle ultime
disposizioni di mio padre. Se i senatori si schiereranno dalla nostra
parte, il popolo li seguirà; Commodo non è ancora riuscito a
conquistarsi l'amore della folla."
"E se qualcuno spargesse la voce che per pagare i giochi sta
vendendo le scorte di grano della città il malcontento aumenterebbe
ulteriormente." si inserì Rea, dando prova del suo acume politico.
Massimo, fino a quel momento silenzioso, disse "Io ho bisogno di
sapere dove si trova il mio esercito. C'è qualcuno in grado di
dirmelo?"
Lucilla sorrise, "Io lo so. Siamo fortunati, Generale, i tuoi
uomini sono accampati ad Ostia."
Massimo sorrise a sua volta, annuendo: era davvero un colpo di fortuna
che fossero così vicini!
Lucilla continuò, "Prima di mobilitare l'esercito dobbiamo però
informare il Senato."
"Lo so."
"Mi incaricherò di farlo io; credo che il Senatore Gracco ci
aiuterà. Lui detesta Commodo e il suo nome è il primo sulla lista nera
di mio fratello."
"E' una buona idea." commentò Rea, "Gracco è un ottimo
politico ed anche il decano dei Senatori. Però dobbiamo fare in fretta,
Lucilla: sai meglio di me quanto sia difficile mantenere dei segreti in
questa città."
Lucilla annuì poi disse, "Ora è meglio che vada, non voglio che
qualcuno si insospettisca."
Massimo e Rea approvarono e Lucilla si alzò.
"A presto zia." disse baciandola sulla guancia poi si voltò
verso Massimo e lo guardò negli occhi.
Il generale prese una delle sue mani e se la portò alle labbra,
baciandola. La sensazione della sua barba contro la sua pelle scatenò una
tempesta nel cuore di Lucilla e lei non riuscì a trattenersi dal fargli
una carezza sulla guancia. Poi uscì di corsa dalla stanza, senza
aggiungere altro.
*****
Massimo si rigirò nel letto per l'ennesima volta e buttò indietro le
coperte con un grugnito di frustrazione. Era ormai notte fonda e lui era
molto stanco ma nonostante tutto non riusciva a prendere sonno. Continuava
a pensare alla conversazione avuta con Rea e Lucilla e, soprattutto, ai
sentimenti che il rivedere la giovane donna aveva evocato in lui. Non era
stato preparato alle emozioni che il semplice sfiorarsi delle loro dita o
la mano di lei sulla sua guancia avevano suscitato. Massimo aveva provato
piacere e ora si sentiva divorare dalla colpa: come poteva pensare ad
un'altra donna quando la sua amata moglie era morta da solo pochi mesi?
Eppure nonostante tutto non riusciva a scacciare l'immagine di Lucilla
dalla sua mente. Contro il suo volere i ricordi legati alla loro storia
cominciarono ad affiorare e stanco di combattere, Massimo si abbandonò ad
essi.
"In fondo, che male c'è?" chiese a se stesso prima di
addormentarsi, il viso finalmente rilassato.
*
In un'altra stanza da letto, in un altro palazzo, su di un altro colle,
anche Lucilla cercava invano di addormentarsi.
Rivedere Massimo vivo, dopo aver pianto la sua morte, era stato
scioccante ma ancor più sconvolgente era la speranza che la sua presenza
aveva risvegliato in lei. Speranza che l'incubo continuo in cui si era
trasformata la sua esistenza da quando suo padre era morto avesse
finalmente fine. Voleva poter piangere suo padre in pace senza il dover
vivere nel terrore per quello che Commodo avrebbe potuto fare a suo figlio
o a lei stessa.
E poi c'era Massimo.....Lucilla sapeva di amarlo ancora: l'aveva capito
la mattina che si erano incontrati in Germania. Allora quel sentimento era
stato soffocato con rabbia - lui era sposato - ma ora che entrambi erano
vedovi, era forse un delitto sperare che le cose potessero tornare come
erano un tempo? Lei aveva sentito la corrente che era passata tra loro
quando le loro dita si erano toccate ed era sicura che anche Massimo
l'avesse avvertita, l'aveva compreso dal modo in cui lui si era ritratto,
spaventato da tanta intensità.
"E' possibile," si domandò Lucilla, "che lui mi ami
ancora?" Sognare poteva essere pericoloso vista la sua situazione ma
in quel momento era proprio quello di cui aveva bisogno.
Lucilla scivolò nel sonno senza accorgersene, con un piccolo sorriso
sulle labbra.
Parte terza: Protettore di Roma
I
Massimo si fece largo tra la gente che affollava il mercato cercando di
non perdere di vista l'uomo che stava seguendo. La sagoma del Pretoriano
era facile da distinguere ma il generale non voleva correre rischi.
Il soldato camminava con passo deciso ed aveva un vantaggio sul suo
inseguitore: la folla si faceva rispettosamente da parte al suo passaggio,
permettendogli di avanzare senza intoppi mentre Massimo doveva farsi largo
a spintoni e gomitate.
Era il giorno successivo al suo incontro con Lucilla e Massimo aveva
deciso di trascorrerlo esplorando Roma per imprimersi nella memoria il
percorso che avrebbe dovuto fare per raggiungere il Palatino quando
sarebbe arrivato il momento di entrare in città in testa alla sua
legione. Gli dei gli erano venuti in aiuto quella mattina, facendogli un
inaspettato quanto gradito regalo, provocando un forte temporale estivo
che gli aveva permesso di indossare, senza la paura di destare troppa
curiosità, un lungo mantello con cappuccio, che lo proteggeva dalla
pioggia e soprattutto da eventuali sguardi indiscreti.
Era appena arrivato nei pressi del Colosseo quando aveva scorto una
figura familiare avanzare da sola tra la moltitudine di persone riversata
nelle vie.
"Quinto!" aveva pensato pieno di sorpresa, "Che
cosa fa in giro senza scorta?"
Un'idea improvvisa, magari anche folle, si era presentata alla sua
mente: se fosse riuscito a mostrare al suo ex secondo in comando l'atto
con cui Marco Aurelio lo aveva designato come suo successore, forse Quinto
sarebbe passato dalla sua parte e questo avrebbe potuto essere molto utile
per evitare futuri spargimenti di sangue.
"E se invece non volesse credermi?" si chiese Massimo, ma
l'esitazione fu subito scacciata, mentre i lineamenti del suo viso si
indurivano. Sapeva bene quello che avrebbe fatto se Quinto non gli avesse
creduto.....avrebbe fatto ciò che era necessario, non aveva altra scelta.
Il destino di Roma era troppo importante.
*****
Quinto Emilio Leto, comandante della guardia pretoriana, svoltò
l'angolo e varcò i cancelli delle Terme di Traiano con in mente l'idea di
farsi un lungo bagno e trascorrere un po' di tempo lontano dal Palazzo
imperiale e dal suo cupo signore.
Più passavano i giorni e più Quinto si chiedeva come Marco Aurelio
avesse potuto generare un uomo immorale come Commodo e come fosse
possibile che un uomo con la saggezza del defunto imperatore avesse potuto
lasciare che un tale essere gli succedesse sul trono. "Ma forse
Marco Aurelio non voleva che Commodo gli succedesse..." sussurrò
una voce dentro di lui, subito messa a tacere. Quinto era un seguace della
filosofia Stoica che predicava l'accettazione degli eventi che non
potevano essere cambiati e l'obbedienza assoluta agli ordini del suo
imperatore. Questi precetti erano stati facili da seguire quando a sedere
sul trono era stato Marco Aurelio ma ora che Commodo era al potere, per
Quinto fare il proprio dovere era diventato molto difficile. Da quando si
era insediato il nuovo Cesare non aveva fatto altro che uccidere e
sperperare denaro, distruggendo in sostanza tutto il lavoro fatto da suo
padre. E Quinto temeva che quello fosse solo l'inizio e che il peggio
dovesse ancora arrivare.
*
Quinto entrò in un cubicolo e iniziò a spogliarsi mentre un pensiero
pellegrino gli attraversò la mente, "Meno male che non ho
famiglia .....se mai dovessi perdere il favore di Commodo, nessun altro
oltre me ne soffrirà."
Il pretoriano aggrottò la fronte mentre piegava i suoi abiti,
chiedendosi da dove fosse spuntata fuori una tale idea. E poi capì.
"Massimo." pensò con dolore. Non era la prima volta che
il ricordo del suo generale e amico per più di dieci anni tornava a
tormentarlo......Quinto cercò di bandire dalla mente la memoria di
quell'ultima notte in Germania e per l'ennesima volta si chiese se avesse
fatto davvero il suo dovere nell'obbedire a Commodo e condannare a morte
Massimo o se invece avesse commesso un colossale errore. Lui aveva giurato
di servire Roma ma Roma non era l'imperatore, come recitava il tatuaggio
che aveva sulla spalla e che fino a poco tempo prima aveva sempre mostrato
con orgoglio. Ma ora...
Quinto imprecò e scacciò con rabbia tali pensieri: piangere sul latte
versato non serviva a niente e lui era venuto alle terme per rilassarsi e
non per tormentarsi con mille "ma", "forse" e
"se."
Prese un telo di lino, se lo mise sul braccio sinistro e fece per uscire
dal cubicolo, ma aveva appena aperto la porta e messo fuori la testa
quando una larga mano si posò sul suo petto e lo spinse rudemente
indietro.
Quinto andò su tutte le furie e urlò, "Che cosa stai facendo?!
Chi sei?!" La figura incappucciata davanti a lui rimase in silenzio,
il volto appena distinguibile nella penombra della piccola stanza.
"Lo sai chi sono io?" tuonò ancora minaccioso il pretoriano
ma ancora una volta non ricevette risposta.
"E sia, " pensò Quinto "l 'hai voluto tu
amico." Con una rapida mossa allungò la mano per afferrare il
gladio che aveva lasciato appoggiato al muro ma non riuscì a terminare il
gesto: uno spostamento d'aria, una ferrea stretta sul polso, un violento
spintone e Quinto si ritrovò con le spalle al muro, la lama di una daga
premuta contro la gola.
"Fossi in te non lo farei, Quinto." ringhiò lo sconosciuto.
Quinto spalancò gli occhi e il respiro gli si mozzò in gola: quella
voce era familiare ma l'uomo a cui apparteneva era morto e non era
possibile.....O forse lo era? Non aveva mai visto il suo cadavere e i suoi
assassini non erano mai rientrati all'accampamento, ufficialmente uccisi
dai barbari in un agguato.
Quinto deglutì sonoramente e bisbigliò esitante, "Massimo?"
La mano con la daga rimase ferma mentre con l'altra il suo aggressore
spinse indietro il cappuccio e Quinto incontrò gli occhi del suo
generale.
Lo sguardo di Massimo era duro, freddo come quello di uno spirito
vendicatore e Quinto credette che il suo momento fosse arrivato. Non
pensò nemmeno a chiedere clemenza o perdono, non dopo avere saputo che
cosa era stato fatto alla famiglia del generale. Quinto pronunciò una
breve preghiera agli dei ed inclinò all'indietro la testa, mettendo a
nudo la gola, quindi chiuse gli occhi ed attese....ed attese, ma quando
infine la lama si mosse non provò alcun dolore.
"Quinto, guardami." ordinò Massimo, ripetendo senza
accorgersene la frase già pronunciata in Germania.
Quinto aprì gli occhi e fissò il suo generale. Massimo aveva
allentato la presa sul suo collo e ora il braccio che reggeva la daga era
disteso al suo fianco.
I due uomini rimasero in silenzio per alcuni minuti, valutandosi a
vicenda e poi Quinto chiese, "Che cosa fai qui, Massimo?" "Non
sei qui per uccidermi, che cosa vuoi?" lasciava sottintendere il
suo tono.
Senza mai staccare gli occhi da quelli del pretoriano Massimo frugò
sotto la propria tunica ed estrasse le lettere di Marco Aurelio, che
portava sempre con se in un sacchetto di cuoio fissato al collo.
"Leggi." intimò mettendo i fogli in mano al suo compagno.
Quinto lo guardò sorpreso ma obbedì. I suoi occhi corsero veloci sui
papiri e il suo volto divenne ancora più pallido. Nella sua mente non
c'era il minimo dubbio che quelle lettere fossero autentiche: non solo
conosceva bene i sigilli e la calligrafia di Marco Aurelio ma sapeva anche
che Massimo non sarebbe mai ricorso all'inganno, era troppo onesto per
fare una cosa del genere.
"Per gli dei," mormorò disperato quando ebbe terminato la
lettura, "che cosa ho fatto?"
"Hai fatto quello che credevi essere il tuo dovere." gli
rispose Massimo riprendendo i fogli e riponendoli al loro posto.
Quinto lo guardò esterrefatto. Era mai possibile che Massimo
archiviasse tutto il male che gli aveva fatto così semplicemente,
attribuendo le sue azioni al dovere?
Il generale chiese, "Che cosa farai ora?"
Il pretoriano lo fissò senza capire e Massimo continuò, "Io
intendo portare a compimento le ultime volontà di Marco Aurelio e
vendicare la mia famiglia. Tu che farai? Mi aiuterai o cercherai di
fermarmi?"
Quinto scattò sull'attenti, "Ti aiuterò."
"E il tuo giuramento?"
"Io ho giurato di servire Roma." disse il pretoriano con
orgoglio, toccando le lettere SPQR impresse sulla sua spalla. "Ho
già commesso un errore, non ne commetterò un altro."
Massimo lo fissò a lungo in silenzio e poi il suo volto si allargò in
un sorriso, "Grazie amico." disse afferrandogli la mano.
Quinto contraccambiò ma una parte di lui ancora non riusciva a credere
che il suo generale potesse perdonarlo così facilmente e così provò di
nuovo a scusarsi. "Massimo, mi dispiace......Io non sapevo...."
"Quinto, per favore, basta. Lo so che stavi eseguendo degli
ordini......come io stavo eseguendo i miei."
"Tu sapevi, quindi? Sapevi che Marco Aurelio aveva scelto
te..."
"Sì, me lo disse la mattina del giorno in cui morì. Per questo
Commodo l'uccise."
"Già." disse Quinto, ormai convinto della colpevolezza del
nuovo Cesare,"Che cosa intendi fare?"
"Farò in modo che il Senato venga a conoscenza delle ultime
disposizioni di Marco Aurelio e poi prenderò il potere." rispose
Massimo deciso.
"La Legione Felix è accampata a Ostia.....se vuoi posso darti una
mano ad uscire dalla città senza che nessuno se ne accorga."
Massimo annuì "Domani sera incontrerò uno dei senatori: se tutto
andrà come previsto entro pochi giorni il piano sarà pronto a
scattare."
"Va bene, allora faremo in modo di incontrarci domani notte. Dove
posso trovarti?"
"Presso la villa di Rea Aurelia Vera, sul Viminale."
Quinto annuì, "L'Augusta Lucilla è stata a cena da lei alcune
sere fa e dovrebbe tornarci domani......Ehi, un momento...Anche lei è a
conoscenza del volere di Marco Aurelio?"
"Sì."
Quinto scoppiò in una breve risata e vedendo Massimo che lo guardava
interrogativamente, spiegò "Commodo vuole che accompagni io Lucilla
a trovare la zia domani sera e quando stamattina lo ha annunciato
all'Augusta lei non sembrava per niente contenta della mia presenza.
Adesso capisco perché."
Massimo sorrise a sua volta e poi disse, "Adesso è meglio che me
ne vada: non vorrei che qualcuno si facesse delle strane idee su noi
due!"
Quinto annuì e poggiandosi il pugno destro sul cuore disse "Forza
e onore."
"Forza e onore." replicò il generale prima di uscire dal
cubicolo.
Quinto rimase lì a fissare la porta chiusa per alcuni minuti,
lasciandosi poi andare ad un lungo sospiro. "Dei immortali, io vi
ringrazio. Avete ascoltato le mie preghiere." pensò, prima di
dirigersi alle vasche con un sorriso soddisfatto: per la prima volta in
mesi il futuro non sembrava più così cupo.
II
Il sole era appena tramontato quando Lucilla fece il suo ingresso nella
lussuosa villa sul Viminale, ufficialmente per trascorrere un po' di tempo
con sua zia, ancora convalescente per il malore di pochi giorni prima.
L'Augusta entrò in un piccolo salone accompagnata da Quinto che aveva
detto al resto dei suoi uomini di andare a passare un po' di tempo alla
taverna.
Massimo e Rea andarono incontro ai nuovi arrivati e la padrona di casa
offrì a tutti da bere, in attesa dell'arrivo del Senatore Gracco. Lucilla
e Massimo scambiarono poche parole in maniera formale ma i loro occhi
comunicarono in modo assai diverso.
Pochi minuti dopo si udì bussare alla porta; uno dei servi andò ad
aprire ed introdusse il Senatore Gracco nella sala. Era un uomo sulla
sessantina, ancora piacente, molto distinto coi capelli grigi e una barba
ben curata.
Rea e Lucilla gli andarono incontro, "Grazie di essere venuto,
Senatore."
Gracco replicò a tono mentre il suo sguardo si posava curioso su
Massimo e Quinto. Nel vedere il capo dei pretoriani il politico aggrottò
la fronte ma Rea lo rassicurò con un gesto della mano.
"Senatore," disse Lucilla prendendolo per un braccio,
"Permettimi di presentarti il Generale Massimo Decimo Meridio."
Gracco spalancò gli occhi: non aveva mai incontrato il Generale in
persona ma le sue imprese contro i barbari del nord erano leggendarie.
"Generale."
"Senatore Gracco."
"Perdona la mia sorpresa, Generale, ma credevo che tu fossi
morto."
"Avrei dovuto esserlo."
Ci fu un attimo di silenzioso disagio, mentre gli occupanti della sala
parevano valutarsi a vicenda, rotto infine dalla voce decisa di Massimo.
"Senatore abbiamo bisogno del tuo aiuto per indire una riunione
straordinaria del Senato."
Gracco inarcò le sopracciglia "Potrei sapere perché?"
Massimo rispose consegnandogli l'atto con cui Marco Aurelio lo nominava
Protettore di Roma.
Il senatore lesse velocemente e poi più con più calma il papiro,
dopodiché sollevò lo sguardo sul Generale, "Intendi tenere fede a
questo documento?"
"Sì." rispose secco Massimo.
Gracco si girò a guardare Rea, Lucilla e Quinto e lesse sui loro volti
la medesima determinazione.
"Quali sono i vostri piani?"
"Il Senato deve essere portato a conoscenza dell'esistenza di
questo atto.....Credi che i senatori si schiereranno dalla nostra
parte?"
Gracco annuì, "Sì, ci seguiranno." fece un sorriso amaro e
continuò, "Molti di noi sono già uomini morti se Commodo
continuerà a regnare." Il Senatore prese a passeggiare per la sala,
"Convocherò una riunione straordinaria per il giorno delle None,
cioè tra tre giorni. Va bene?"
Lucilla guardò Massimo ed egli annuì. "Meglio muoversi in
fretta, prima che Commodo possa sospettare qualcosa." disse
l'Augusta.
"E tu, Generale, che cosa farai nel frattempo?"
"Andrò ad Ostia e mi ricongiungerò al mio esercito."
"Cosa?!" scattò l'anziano politico, "A che cosa ti
serve l'esercito?"
Massimo rispose, "A mantenere l'ordine in città e ad evitare che
Commodo possa fuggire."
"E' vero," si intromise Quinto, "abbiamo bisogno della
Legione Felix perché non ho idea di quanti dei miei uomini obbediranno ai
miei ordini e quanti invece rimarranno fedeli a Cesare."
Gracco fissò Massimo negli occhi, chiedendosi inutilmente se l'uomo
davanti a lui non fosse un altro potenziale tiranno, ma poi scartò
l'idea: Marco Aurelio si era fidato di quell'uomo; sua figlia e sua
sorella si fidavano di lui.....non aveva altra scelta che seguire il loro
esempio e fidarsi di lui. "E sia." Disse, "E' tutto
deciso."
Nel salone l'atmosfera si rilassò ora che tutto era stato detto e il
tempo dell'azione si avvicinava.
Rea ruppe l'amichevole silenzio, "Come reagirà il popolo?"
"Ho già iniziato a far spargere la voce che Commodo sta vendendo
le scorte di grano sotto prezzo per pagare i giochi: oggi, nel Colosseo,
è stato accolto da alcuni fischi." disse Lucilla, "Nel momento
in cui Massimo sarà al potere, faremo delle donazioni di grano alla
popolazione e tutto tornerà tranquillo."
Gracco annuì pensieroso, "Sì, certo, però tutto sarebbe più
facile e sicuro se esistesse un qualche legame tra il Generale e Marco
Aurelio."
"Ma non è sufficiente quell'atto?" chiese Quinto.
Gracco sorrise, "La maggior parte del popolo non sa leggere,
comandante, né sa riconoscere i sigilli imperiali. Io sono convinto che
se Marco Aurelio ne avesse avuto il tempo avrebbe adottato il Generale,
facendone suo figlio ed erede naturale."
Massimo lo guardò sorpreso, "Davvero?"
"Certo: è quello che qualunque politico accorto avrebbe fatto e
il defunto Cesare era un ottimo politico."
"Ma Commodo l' ha ucciso prima che potesse farlo....." disse
fredda Lucilla.
Gracco e Rea si scambiarono un'occhiata e il Senatore disse, "A
dir la verità ci sarebbe un modo..."
Massimo, Lucilla e Quinto si voltarono a guardarlo e Gracco sorrise,
domandandosi come mai un’esperta politica come Lucilla non vi avesse
pensato da sola. "Se lui e l'Augusta Lucilla si sposassero, questo
fatto legittimerebbe parecchio la scalata al potere del Generale agli
occhi del popolo."
Massimo e Lucilla spalancarono gli occhi per lo stupore.
"Cosa?" chiese Massimo con un filo di voce.
"Un matrimonio dimostrerebbe inequivocabilmente che l'Augusta è
dalla tua parte, Generale e che appoggia le tue azioni."
Massimo scosse la testa ma anche per un uomo digiuno di politica come
lui, il ragionamento del senatore era molto chiaro. E tuttavia non
riusciva ad accettarlo: aveva giurato di portare a compimento le ultime
volontà di Marco Aurelio ma questo era davvero troppo. Come poteva
tradire la memoria di sua moglie sposando un'altra donna? Sapeva che
sarebbe stata solo una manovra politica ma ciò nonostante..."E
invece no!" disse una voce dentro di lui, "Non mentire a
te stesso, Generale. Se fosse solo una mossa politica lo faresti
senza problemi.....ma non è così, vero? Tu provi ancora qualcosa
per lei ed è questo che ti divora e che non riesci ad accettare."
Massimo chiuse gli occhi mentre la verità gli appariva finalmente
chiara. Lui amava ancora Lucilla, l'aveva sempre amata. Ma aveva amato
anche Selene e finché lei era stata viva quel sentimento aveva offuscato
e attenuato quello che provava per Lucilla. Ma ora Selene non c'era
più....
Una mano delicata si posò sul suo braccio lo richiamò alla realtà.
Massimo scrollò la testa, come a volersi schiarire le idee, quindi si
guardò intorno, incrociando gli occhi Lucilla.
"Massimo, stai bene?" gli chiese Quinto e il Generale si
accorse di avere su di se lo sguardo di tutti i presenti.
"Scusate, mi sono perso nei miei pensieri."
"E' comprensibile" disse Rea, l'unica persona in quella sala
a sapere veramente che cosa avesse provato Massimo nel trovare la sua
famiglia massacrata.
Lucilla guardò Massimo preoccupata, domandandosi che cosa stesse
pensando. Quando Gracco aveva accennato ad un matrimonio tra loro due, il
suo cuore le aveva fatto le capriole nel petto. Sposare Massimo....Quante
volte aveva sognato una cosa del genere ma..ma..
Il Generale fissò Lucilla e disse, "Vorrei parlarti un attimo in
privato."
Lei annuì ed i due uscirono insieme in giardino.
Dopo alcuni minuti passati a passeggiare Massimo ruppe il silenzio.
"Che cosa ne pensi?"
"Gracco e mia zia hanno ragione, un matrimonio tra noi due
rafforzerebbe molto la tua posizione agli occhi del popolo."
Massimo smise di camminare e Lucilla fece lo stesso.
"E' tutto?" le domandò e la giovane donna ebbe la distinta
impressione che fosse deluso.
Si guardarono fissi negli occhi e all'improvviso l'attrazione che
avevano provato durante il loro precedente incontro tornò a manifestarsi.
Fortissima. Inarrestabile. Incontrollabile.
I loro visi si avvicinarono e le loro labbra si toccarono in un bacio
che ben presto divenne appassionato. Massimo attirò Lucilla tra le sue
braccia e la tenne stretta, respirando il suo profumo e assaporando il suo
calore.
Lucilla gli accarezzò i capelli e mormorò, "Quanto mi sei
mancato, Massimo."
"Anche tu mi sei mancata." rispose lui con sincerità.
Si scostarono un poco l'uno dall'altro guardandosi dolcemente negli
occhi. Massimo allungò un braccio, tracciando i contorni del viso di lei
con un dito e Lucilla lo sorprese prendendo la sua mano e baciandola.
"Allora," gli disse con un misto di speranza e di timore,
"andiamo dentro a dare la buona notizia?"
Massimo sorrise di rimando e, cintole la vita con un braccio, rispose,
"Andiamo."
Quando rientrarono nel salone trovarono Rea, Gracco e Quinto seduti
intorno ad un tavolo, immersi in una tranquilla conversazione. I tre
congiurati si alzarono in piedi non appena li videro e si avvicinarono.
"Allora?" chiese Rea, dando voce alla curiosità di tutti.
"Ci sposeremo." annunciò Massimo solenne, ma il suo braccio
intorno alla vita di Lucilla e il sorriso che increspava le labbra di
entrambi facevano capire che la loro unione non era dettata solo da
esigenze politiche: qualcosa di più profondo e più importante legava il
generale alla principessa.
Gracco approvò con un sorriso, "Bene. Io suggerirei di procedere
subito. Uno dei miei fratelli minori è sacerdote e abita non molto
lontano da qui: potrebbe celebrare lui la cerimonia."
Massimo guardò Lucilla con aria interrogativa e lei annuì: il tempo
era un lusso che non potevano permettersi e poi, perché aspettare se era
quello che entrambi desideravano?
*
Un'ora dopo Massimo Decimo Meridio e Annia Lucilla Vera divennero
marito e moglie. Gracco e Quinto fecero da testimoni e Rea mise a
disposizione gli anelli. La cerimonia fu breve ma molto sentita da tutti i
partecipanti.
Lucilla e Massimo ricevettero le congratulazioni dei presenti ma non ci
fu tempo per altri festeggiamenti: la notte era già calata da tempo e
Lucilla sapeva di dover rientrare a Palazzo prima che il suo paranoico
fratello si insospettisse.
Massimo le accarezzò il volto e mormorò, "Vedrai, andrà tutto
bene: la prossima volta che saremo insieme niente e nessuno potrà
separarci, te lo prometto."
Lucilla sorrise, gli diede un bacio fugace e poi si allontanò.
Quinto fece per seguirla ma Massimo lo trattenne per il gomito,
"Abbi cura di lei e di suo figlio." gli disse.
Il Pretoriano annuì deciso, "Li proteggerò con la mia
vita."
"Grazie amico."
Quinto annuì ancora e se ne andò, raggiungendo Lucilla e il resto dei
suoi accompagnatori.
III
Il cavallo avanzava veloce sulla strada lastricata illuminata dalla
luce lunare.
Massimo non aveva avuto problemi ad uscire da Roma, aiutato come
promesso da Quinto, che al momento del cambio della guardia aveva
ritardato l'arrivo delle nuove sentinelle, facendo sì che la porta est
della città rimanesse incustodita per circa dieci minuti.
Il generale rallentò la sua cavalcatura: era in viaggio da più di
un'ora e poteva le prime costruzioni di Ostia stagliarsi all'orizzonte. Si
guardò intorno e poi guidò l'animale fuori dalla strada e nella
boscaglia, percorrendo la via più breve per raggiungere l'accampamento
della sua legione.
*****
Il giovane uomo si fermò sotto un albero, si lasciò cadere a terra,
poggiando la testa contro il tronco e si abbandonò ad un sospiro: era
stanco morto eppure non riusciva a dormire. Il suo sguardo si posò sulla
ordinata distesa di tende che lo circondava: l'accampamento sembrava
addormentato ma egli sapeva che si trattava solo di calma apparente.
Sarebbe bastato entrare in una qualsiasi delle tende dormitorio per
sentire tensione che aleggiava tra i soldati, una tensione che presto
sarebbe esplosa in qualche rivolta.
Cicero emise un fischio e subito Ares accorse a leccargli il viso
segnato dalle cicatrici. Il giovane accarezzò il lupo e sospirò: da
quando il generale Massimo era stato trascinato via e giustiziato, la sua
vita, come quella degli altri soldati era cambiata e non certo in meglio.
Il nuovo comandante era uno stupido incompetente, il figlio di un senatore
che non aveva mai messo piede fuori dall'agro romano e che non sapeva
trattare con legionari induriti da mille battaglie. Non aveva nemmeno
provato a conquistarsi l'amore o per lo meno il rispetto della truppa ma
si limitava a mantenere la disciplina attraverso la paura di brutali
punizioni, ma Cicero sapeva che non ci sarebbe riuscito ancora a lungo.
All'improvviso Ares drizzò l'orecchie ed annusò l'aria, dopodiché
emise un guaito eccitato e corse via, sparendo tra i cespugli.
Cicero aggrottò la fronte ma non si mosse. "Avrà fiutato
qualche volpe." pensò. Dopo alcuni minuti Cicero decise di
tornare alla sua tenda per provare a dormire e chiamò il lupo ma
l'animale non si fece vedere. L'uomo imprecò sottovoce e decise di
andarlo a cercare, inoltrandosi tra i fitti rovi. Aveva fatto solo pochi
passi nel sottobosco quando scorse Ares, intento a leccare il viso di un
uomo che a sua volta lo stava accarezzando. Cicero si arrestò di scatto:
Ares era addestrato a combattere e non concedeva facilmente la sua
fiducia; le uniche persone che gli avesse mai visto leccare erano lui
stesso e il suo padrone, Massimo, che lo aveva trovato ed allevato fin da
quando era un cucciolo.
In quel preciso momento il lupo fiutò la sua presenza e si voltò
nella sua direzione, imitato dall'uomo che era con lui: il suo viso
illuminato dalla luna divenne visibile e Cicero trattenne a stento un
grido di gioia quando lo riconobbe.
"Generale!" esclamò correndogli incontro.
"Cicero, amico mio!" rispose Massimo abbracciandolo.
"Credevo fossi morto!"
"Quasi."
"Sei venuto a riprenderci, Generale?"
"Sì. Come sono gli uomini?"
"Grassi, molto annoiati e non sopportano quell'idiota che li
comanda." rispose Cicero.
"Valerio è sempre in servizio?"
"S', per fortuna. Quando si è sparsa la notizia che la tua
"improvvisa chiamata a casa" non era che una frottola per
giustificare la tua sparizione e che in realtà Commodo ti aveva fatto
uccidere, aveva deciso di chiedere il congedo ma poi è rimasto a tenere
calmi gli uomini e ad evitare uno scontro con i Pretoriani. Mi ha anche
salvato la vita, prendendomi come suo attendente e proteggendomi da
Commodo."
Massimo annuì: conosceva bene il senso del dovere che animava il
comandante della fanteria.
"Puoi portarmi da lui?"
"Certo."
*
Attraversare l'accampamento senza farsi notare risultò per Massimo
un'impresa impossibile, la sua sagoma era così familiare che ben presto
il generale si ritrovò circondato dai suoi uomini, riuscendo a stento a
frenare il loro entusiasmo e farli stare zitti: c'era troppa gioia
nell'aria e nei cuori di tutti i presenti.
Quando Massimo raggiunse infine la tenda di Valerio, trovò il robusto
ufficiale già sveglio e vestito. I due uomini si scambiarono un forte
abbraccio e poi Valerio disse, "Siamo ai tuoi ordini, Generale, devi
solo dirci cosa vuoi che facciamo."
Massimo annuì e raccontò Valerio e agli altri ufficiali radunatesi
nella tenda ciò che era successo quella tragica notte in Germania,
concludendo con, "Dobbiamo entrare a Roma e prenderne il controllo.
Marco Aurelio non voleva che Commodo gli succedesse e io farò in modo che
la sua volontà sia rispettata."
Tutti i legionari approvarono senza riserve: sapevano del grande amore
e reciproco rispetto che avevano legato il defunto Cesare al loro Generale
e desideravano far pagare a Commodo l'uccisione dell'augusto genitore e il
tentato assassinio di Massimo.
Nel giro di pochi minuti furono organizzate delle squadre con il
compito di isolare ed imprigionare il comandante della legione e i pochi
uomini a lui fedeli. Una volta che questi furono al sicuro, Massimo riunì
ancora i suoi ufficiali ed illustrò il suo piano. "Il Senatore
Gracco ha indetto per domani pomeriggio una riunione straordinaria del
Senato a cui parteciperà anche Commodo. Ad eccezione di Gracco e
dell'Augusta Lucilla, nessuno sa che il motivo della convocazione è di
dare pubblica lettura del testamento di Marco Aurelio, in cui egli
annunciava la sua volontà di trasformare Roma di nuovo in una repubblica,
sotto la mia supervisione. Sarà nostro compito evitare che Commodo possa
fuggire e potremmo anche essere costretti a dover mantenere l'ordine in
città."
"Ci sarà anche da combattere contro i pretoriani."
intervenne Valerio, che come molti legionari non aveva simpatia per le
guardie imperiali.
"Spero di no," gli rispose Massimo, "Quinto è dalla
nostra parte e mi ha assicurato che gran parte dei suoi uomini seguirà i
suoi ordini. A quanto pare il nuovo Cesare non è amato nemmeno dagli
uomini che dovrebbero proteggerlo." Massimo fece una smorfia
significativa. "Ora andate a riposarvi. Ci metteremo in marcia
all'alba."
I vari ufficiali annuirono, salutarono ed uscirono dalla tenda. Massimo
rimase in compagnia di Valerio e di Cicero che gli disse "Generale,
vieni da questa parte: ti faccio vedere dove ti ho preparato un
letto."
Massimo sorrise, salutò Valerio e seguì il suo attendente in un'altra
tenda.
"Amico mio, sei impagabile." gli disse ammirando il suo
alloggio.
Cicero sorrise, quindi prese la mano di Massimo, gli mise qualcosa tra
le dita, e si allontanò in tutta fretta, sentendo che il Generale avrebbe
voluto restare da solo nei momenti che sarebbero seguiti.
Massimo lo osservò uscire dalla tenda e posò lo sguardo sull'oggetto
nel palmo della sua mano. Quando vide di cosa si trattasse, la stanza
iniziò a girare su se stessa e lui crollò sulla sedia più vicina.
Massimo strinse il pugno e poi lo riaprì, estraendo dal piccolo sacchetto
di cuoio le statuine di Selene e Marco.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime mentre guardava ed accarezzava
quei piccoli visi con la punta delle dita. "Presto, miei amati."
sussurrò, "Presto la vostra morte sarà vendicata e voi potrete
vivere in pace nei Campi Elisi. E anche se io non potrò raggiungervi
subito, state certi che vi avrò sempre vicino, nel mio cuore e nella mia
mente."
Massimo baciò entrambe le statuine e si sdraiò sul letto,
addormentandosi con le due figurine strette al petto.
IV
"Per gli dei!" la voce furiosa di Commodo riecheggiò nel
palazzo imperiale. "Giuro che questa è l'ultima volta che quel
vecchio borioso si permette di darmi degli ordini!"
"Stai calmo, fratello." Cercò di ammansirlo Lucilla che in
realtà era più nervosa di lui.
"Ah no, sorella. Questa volta Gracco ha passato ogni limite:
convocare una riunione del Senato così all'improvviso e pretendere che io
vi partecipi!"
"E' un suo diritto come decano dei senatori, Commodo."
"Ancora per poco. Ho deciso Lucilla, è tempo di sciogliere il
Senato. Il popolo mi ama e mi seguirà." Commodo sorrise crudelmente,
"Sarà interessante vedere come reagiranno quei vecchi ammuffiti a
vedersi togliere tutti i loro bei privilegi: niente più posti riservati e
gratuiti a teatro o ai giochi, tasse più salate....Sono sicuro che per
molti di loro questo sarà più sconvolgente che il non ricoprire più la
carica." L'imperatore parve riacquistare il buon umore e si avvicinò
a sua sorella, posandole un braccio sulle spalle e sussurrandole
all'orecchio, "Vedrai come ce la caveremo bene, io e te, da soli alla
testa dell'impero."
Lucilla fece un sorriso di circostanza, "Sarà così, Commodo."
Suo fratello annuì e domandò, "Dov'è Lucio?"
"E' andato a passare un giorno con la zia Rea. L'altra sera aveva
espresso il desiderio di stare un po' di tempo con lui."
"Ah sì, me lo avevi detto. Quella donna sta diventando troppo
noiosa."
"Via, Commodo, è solo una povera anziana malata e sola. E'
naturale che cerchi il conforto della sua famiglia."
"Hai ragione. E' solo che mi dispiace non averlo affianco a me a
vedere i giochi: gli piacciono così tanto!"
L'arrivo di Quinto impedì a Lucilla di fare ulteriori commenti.
"Cesare, il Senato è riunito e ti attende." disse Quinto
dopo essersi inchinato.
Commodo annuì e si allontanò a grandi passi, senza accorgersi
dell'occhiata d'intesa tra il Pretoriano e Lucilla.
*
Commondo entrò nell'aula del Senato zittendo all'istante il clamore
che vi regnava. I senatori si inchinarono e l'imperatore avanzò fino al
centro della sala dove era collocata la sua sedia. Lucilla e Quinto lo
seguivano da vicino.
"Allora Gracco," esordì Commodo con tono sprezzante,
"che cosa c'è di così importante da dover convocare una seduta
straordinaria?"
Nessuno rispose.
"Dove sei Gracco, giochi a nasconderti?"
Il senatore Gaio si fece avanti e disse, "Cesare, il senatore
Gracco deve ancora arrivare."
"E' in ritardo? Come osa essere in ritardo?! Pensa che io abbia
tempo da perdere?" Commodo era furibondo ma la sua sfuriata fu
interrotta dall'arrivo improvviso di un pretoriano.
"Cesare!" esclamò ansimando, "Un esercito ha varcato le
porte della città e procede in questa direzione!"
"Cosa?!" esplose Commodo mentre i senatori si abbandonavano
al caos.
"Sono dei barbari?" chiese Gaio al giovane soldato.
"No, signore. E' una delle nostre legioni, la Felix per essere
precisi."
Commodo iniziò a sudare freddo nel sentire il nome della legione.
Erano gli uomini di Massimo e lui sapeva che essi non credevano alla voce
fatta circolare che il loro Generale fosse tornato in Hispania da privato
cittadino. La loro presenza in città non era di buon auspicio.
"Quinto!" urlò Commodo, mentre in lontananza si udì il
rumore di decine di cavalli che percorrevano al trotto le strade di Roma.
"Cesare?"
"Ordina ai tuoi uomini di prepararsi ad un eventuale attacco e poi
informati su che cosa vogliono quei legionari."
Il Pretoriano annuì e corse fuori dall'aula del Senato.
"Sorella," disse ancora l'imperatore, "stammi
vicina."
Lucilla gli si avvicinò e gli prese la mano, mentre il suo corpo
rimaneva teso, pronto allo scatto: se fosse stato necessario sapeva di
doversi divincolare anche con la forza.
Ben presto il ritmico rumore causato dagli zoccoli sul selciato si fece
più forte e più vicino finché all'improvviso non tacque.
Tutti i presenti nell'aula del Senato si guardarono l'unaltro,
scambiandosi occhiate interrogative e spaventate.
Fu in quel preciso momento che il Senatore Gracco fece il suo ingresso
nel salone.
"Cesare, Augusta Lucilla, illustri colleghi, scusate il mio
ritardo."
"Gracco!" ruggì Commodo "Hai qualcosa a che fare con la
presenza dell'esercito in città?"
"In verità sì, Cesare." rispose tranquillo il Senatore.
Commodo lasciò andare Lucilla - che si allontanò velocemente - e si
avvicinò all'anziano politico.
"Spero per te che tu abbia una spiegazione valida per tutto
questo."
"Ce l' ho, Cesare."
"Bene, mi augurò per te che sia molto buona, altrimenti non
uscirai vivo da qui."
Gracco annuì. "Sei stato molto chiaro, Cesare. Ora, se per favore
posso avere un po' di silenzio, ho qualcosa da leggere."
Commodo fece un ironico gesto con la mano e tornò a sedersi.
Gracco si portò al centro della sala e disse, "Padri coscritti,
vi prego di ascoltare attentamente poiché quelle che sto per leggere sono
le ultime volontà del nostro defunto Cesare, Marco Aurelio."
Commodo impallidì nel sentire il nome di suo padre ma prima che
potesse dire o fare qualcosa, Gracco diede inizio alla lettura. Nella sala
calò il più assoluto silenzio e la voce del senatore riecheggiò chiara
e precisa:
"Io Marco Aurelio Antonino Augusto, Cesare ed Imperatore di Roma,
Padre della patria,.......
.......ordino che alla mia morte il posto alla guida dell’Impero sia
preso da Massimo Decimo Meridio, comandante dell’Esercito del Nord e
Generale delle Legioni Felix.
Ad egli io conferisco con questo documento il titolo di Protettore di
Roma che egli potrà conservare a tempo indeterminato. Ad egli spetterà
il compito di trasformare Roma da in impero a repubblica............"
Quando ebbe finito Commodo, che era riuscito a stento a controllarsi
durante la lettura dell'atto, esplose, "Quel documento è un
falso!" urlò con una voce in cui era possibile individuare una
crescente paura.
"No, Cesare, "gli rispose secco Gracco, "è autentico.
Tua zia, l'Augusta Rea Aurelia Vera giura di aver visto Marco Aurelio
scriverlo davanti a lei e io stesso ne ho esaminato ed autenticato i
sigilli."
"E allora? E' autentico. E con questo? A che cosa serve? Il
Generale Massimo è morto e tu farai presto la stessa fine. Tu e tutti
coloro che oseranno opporsi a me."
"Io non ne sarei così sicuro, principe." disse una
voce profonda alle sue spalle.
Commodo ruotò su se stesso e si ritrovò faccia a faccia con il
Generale Massimo Decimo Meridio.
L'imperatore cercò di parlare ma la sorpresa e la paura gli tolsero la
voce. Le sue labbra si mossero a vuoto mentre prendeva nota della presenza
dell'odiato nemico da lui creduto morto.
Nell'aula del Senato era caduto un innaturale silenzio mentre gli occhi
di tutti i presenti erano puntati sui due avversari.
Massimo fissava Commodo negli occhi senza alcun timore, caricando il
suo sguardo con tutto l'odio e la rabbia che provava nei confronti
dell'uomo di fronte a lui. Dentro di sé si sentiva calmo e concentrato,
mentre con la mano accarezzava l'elsa della sua spada.
Commodo parve riacquistare il controllo di sé e urlò, "Guardie,
arrestatelo! E' un traditore!"
Nessuno si mosse.
"Quinto!" urlò ancora Commodo.
Il Pretoriano si mise al fianco di Massimo e disse
"Principe?"
"Ci sei dentro anche tu, eh? Una volta traditore, sempre
traditore. Mi stupisco che il nostro Generale si fidi ancora di te."
disse velenosamente Commodo, ma Quinto non reagì.
L'imperatore si allontanò da Massimo e si mise a camminare su e giù
per la sala, agitando le braccia, mentre il Generale non lo perdeva di
vista un solo secondo.
"Non crederai di riuscire a prendere il potere vero? Tu non sai
niente di politica. Questi serpenti ti si rivolteranno contro subito e poi
il popolo non ti accetterà mai. Vedrai, fratello, presto avrai tra le
mani una bella rivolta!" Gli occhi di Commodo luccicarono in modo
malato.
"Io non credo, Cesare, che il popolo ti ami poi così tanto, non
dopo essere stato informato sui mezzi con cui ti stai procurando il denaro
per finanziare i tuoi 'giochi'. " Intervenne Gracco, "Inoltre,
quando il popolo saprà che il Generale e l'Augusta Lucilla sono sposati
accetterà senza problemi la sua salita al potere."
Commodo impallidì e si voltò verso Lucilla,
"Sorella....tu...dimmi che non è vero..."
Lucilla lo guardò dritto negli occhi, "Mi dispiace Commodo, ma tu
mi ci hai costretto."
Commodo si gettò su Massimo con rabbia, ma Quinto lo trattenne.
"Tu, maledetto! Non ti è bastato soppiantarmi nel cuore di mio
padre: dovevi portarmi via anche mia sorella!"
Commodo crollò sulla sua sedia, apparentemente senza più forze,
schiacciato da un peso troppo grande da sopportare. Quinto ordinò a due
pretoriani di tenerlo d'occhio.
Alcuni senatori, credendo che lo spettacolo fosse finito, iniziarono a
parlare tra di loro, a muoversi qua e là e ad avvicinarsi a Massimo, già
intenti a perorare le proprie cause con il nuovo signore di Roma.
A Massimo tutta quella confusione non piaceva: non era certo che
Commodo fosse sconfitto e quello che accadde nei secondi successivi gli
diede ragione.
Con una mossa fulminea Commodo afferrò uno dei pretoriani e lo sgozzò
con un pugnale che aveva tenuto celato nella manica e poi si avventò su
Lucilla, premendole la lama alla gola, "Fatemi uscire di qua o giuro
che l'ammazzo." gridò con voce spiritata.
Lucilla guardò Massimo terrorizzata e il Generale si fece avanti,
"Lasciala andare, non è lei che vuoi. Sono io. Tu vuoi batterti con
me, vero? Vuoi farmela pagare per tutto quello che ti ho fatto. Beh allora
fallo: io sono qui."
Commodo lo fissò e spinse violentemente Lucilla, facendola cadere a
terra ai piedi di Massimo. Il generale attese che sua moglie si rimettesse
in piedi e si allontanasse e poi ordinò, "Quinto, dagli la tua
spada."
Quinto spalancò gli occhi, "Ne sei sicuro?"
Massimo annuì: era così che doveva andare a finire. I suoi cari e
Marco Aurelio dovevano essere vendicati e non ci sarebbe mai stata pace
per lui, per Lucilla o per Roma finché Commodo fosse vissuto.
Commodo prese la spada e cominciò a girare intorno al suo avversario
mentre attorno a loro si creava il vuoto. Massimo sguainò il gladio e
attese. Commodo si lanciò all'assalto e il duello iniziò.
Le spade si incontrarono più volte sprigionando scintille mentre i due
avversari si muovevano per tutta la sala.
L'imperatore sapeva che se voleva vincere doveva indurre Massimo a
commettere qualche errore e così cercò di provocarlo, sperando di
costringerlo ad una mossa avventata.
"Mi hanno detto che tuo figlio strillava come una femminuccia
mentre lo inchiodavano alla croce, " gli disse con ferocia, "E
che tua moglie gemeva come una puttana mentre la
violentavano.....ancora..e ancora.. e ancora...."
Gli occhi di Massimo si riempirono di lacrime al pensiero della
sofferenza provata dai suoi cari ma il suo addestramento militare fu più
forte della rabbia ed egli resistette alla provocazione. Commodo fece una
smorfia delusa e tornò all'attacco.
All'improvviso Massimo scivolò sul marmo e Commodo lo ferì ad un
polpaccio.
Il Generale strinse i denti nel sentire l'improvviso dolore e Commodo
gli sorrise crudelmente, "Che c'è, Massimo, stai diventando vecchio?
Mia sorella ha fatto un pessimo affare a lasciarmi per te, ma io le
dimostrerò di che pasta è fatto un vero uomo!"
Massimo si limitò a fissarlo e a raddoppiare i suo sforzi. La gamba
gli faceva male ma questo, unito alla visione di Lucilla nelle grinfie del
suo pazzo fratello, non fece che aumentare la sua determinazione. Una
tempesta di colpi si abbatté su Commodo e alla fine il suo braccio non
resse più: un colpo di gladio lo tranciò praticamente in due e lo uccise
sul colpo.
Massimo guardò a lungo il corpo crollato ai suoi piedi, quindi
abbassò il braccio e chinò la testa, respirando affannosamente. Era
finita.
Nella sala cadde un innaturale silenzio che fu rotto dalla voce decisa
del Senatore Gracco, "Ave, Massimo, Protettore di Roma."
Massimo sollevò la testa mentre tutti gli altri senatori ripetevano le
stesse parole e chinavano la testa in segno di rispetto.
Un mano fresca gli sfiorò la guancia e i suoi occhi incontrarono
quelli pieni di lacrime di gioia di Lucilla. Massimo l'attirò a sé e
l'abbracciò forte. Probabilmente non era il comportamento più consono
alla sua nuova carica ma in quel momento non gliene importava nulla. Aveva
vendicato i suoi cari. Aveva vendicato Marco Aurelio. Lucilla, Rea e Lucio
erano salvi. Tutto il resto era aria e polvere e niente di più.
EPILOGO
Massimo Decimo Meridio era nel mausoleo di Marco Aurelio, in piedi
vicino alla tomba del grande imperatore. Quel giorno cadeva il secondo
anniversario della sua morte.
"Padre," mormorò Massimo con voce carica di emozione,
"il tuo sogno sta per realizzarsi. Se tutto andrà come previsto
entro la fine dell'anno Roma tornerà ad essere un repubblica."
Massimo sorrise immaginando il viso compiaciuto di Marco Aurelio.
Quanto a lui, il Protettore di Roma non vedeva l'ora di lasciare il suo
incarico per tornare finalmente ad occuparsi delle sue terre, dei
possedimenti di Lucilla e dei latifondi che il Senato aveva deciso di
assegnargli quale ricompensa per il suo operato. Avrebbe avuto molto da
fare e Massimo non vedeva l'ora di cominciare.
Sentì dei passi alle sue spalle e il suo sorriso divenne ancora più
ampio: sapeva già di chi si trattava, prima ancora che un braccio
delicato gli cingesse la vita.
"Allora, gli hai detto che tutto sta andando per il meglio?"
gli chiese Lucilla, dandogli un bacio sulla guancia.
"Sì." rispose lui semplicemente, mettendole un braccio sulle
spalle ed attirandola a sé.
"E gli hai detto anche che presto avrà un altro nipotino?"
"No, pensavo volessi dirglielo tu."
Lucilla sorrise nel vedere il volto felice di suo marito e poi si
staccò dal suo abbraccio, avvicinandosi alla tomba e sfiorando il marmo
con le dita, in una gentile carezza.
"Riposa in pace, mio amato padre. Anch'io sono in pace adesso.
Non ho più paura né per me né per mio figlio e presto smetterò di
occuparmi di politica per fare solo la moglie e la madre....Per questo io
ti ringrazio, padre: è merito tuo, della tua previdenza, se ora posso
vivere così serenamente." Lucilla chinò la testa e Massimo
tornò accanto a lei, abbracciandola di nuovo.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, contemplando il volto di marmo
di Marco Aurelio, finché Quinto non mise dentro la testa e schiarendosi
la gola disse, "Massimo, mi dispiace disturbarti, ma il Senatore
Gracco ti sta cercando."
Massimo scosse la testa e rivolse un sorriso esasperato a sua moglie:
mai che si riuscisse a stare tranquilli per più di dieci minuti..Ma,
ringraziando gli dei, presto sarebbe tutto finito.
Porse la mano a Lucilla che la prese, stringendogli le dita come a
dire, "Forza e coraggio, andiamo a sentire cosa vuole Gracco,"
ed insieme uscirono dal mausoleo, pronti ad affrontare qualsiasi problema
o questione si fosse loro presentata.
FINE