Russell Crowe sulle riviste italiane... e non

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Dalla rivista "Io Donna" n. 2 del 12 gennaio 2002. Grazie a Kya e Malu' per le scansioni!
Dalla rivista "Io Donna" n. 2 del 12 gennaio 2002. Grazie a Kya e Malu' per le scansioni!

russell crowe

STORIA DI COPERTINA/i Da gladiatore a genio dei numeri. L’ultima metamorfosi dell’attore australiano, nel film A beautiful mind, già profuma di Oscar. E svela nell’uomo qualcosa di più afrodisiaco della sua aria rude: un Ql fuori norma

Non c’è verso di convincerlo a celare i bicipiti. La camicia di pesante flanella scozzese (da tagliaboschi) con le maniche arrotolate sopra il gomito e jeans attillati e consunti (da frequentatore di rodei) fanno Russell Crowe almeno quanto i gonnellini di banane facevano Josephine Baker. E un uomo alle cui cure affideresti il carburatore della tua auto. Un rustico vicino di casa cui chie­deresti aiuto per appendere le menso­le del salotto. Non è certo - almeno alla vista - il sofisticato trasformista per cui sì sono sprecati paragoni con grandi, talvolta grandissimi, duri del passa­to, da Robert Mitchum a Clint Ea­stwood, da James Cagney a Robert De Niro. Lo guardi - barba appena accennata da Indiana Jones, modi sbrigativi da cowboy e non riesci a credere che si tratti dell’attento indagatore di psicologie capace di una performance per cui l’America grida al miracolo (Variety per tutti: “Crowe riesce a fare di un tipo strano e complicato un personaggio comprensibile e affascinante. Siamo di fronte a un attore straordinario”) e non c’è bookmaker che non lo dia già per nominato agli Oscar.

Eppure. Il film, A beautiful mind, regia di Ron Howard, un cast niente male da Jennifer Connelly a Ed Harris, a Christopher Plummer, riprende romanzan­dolo il contenuto del libro omonimo di Sylvia Nasar, accurata biografia del genio matematico John Forbes Nash jr. Autore, negli anni Cinquanta, di una ri­voluzionaria teoria che scaravoltò le dottrine di Adam Smith e degli altri padri della moderna economia, Nash precipitò, proprio mentre si trovava all’ini­zio di una brillante carriera accademica, nel baratro della schizofrenia, attra­versò per quasi un quarantennio il calvario degli ospedali psichiatrici, della perdita del lavoro, dell’ostracismo sociale e - riscatto perfetto per un film hol­lywoodiano - venne tardivamente insi­gnito del Nobel nel 1994. Il gladiatore vola sul nido del cuculo. Un’esperien­za che ha reso l’unico attore di Hollywood in grado di vantare un sedice­simo di sangue Maori, dolce come uno zuccherino. E disponibile a rendere fi­nalmente pubblico un QI che, per la ca­tegoria, risulta abbondantemente al di sopra della media. Come dimostra l’in­tervista che Russell Crowe ha concesso a Io donna.

 

“Le spiace se mi sdraio? E autorizzata a considerarmi uno psicotico, tanto è di questo che dobbiamo parlare” (si accascia tra i cuscini di un prestigioso di­vano d’antiquariato, in una delle suite dell’hotel Dorchester di Londra).

Faccia pure. E’ ancora presto per le diagnosi. E poi non è la prima intervista che faccio a soggetti in postura Paolina Bonaparte.

“Per esempio?”.

Jennifer Lopez.

«Mai sperimentato divano più scomo­do” (si siede in poltrona, composto come un Lord inglese, e ride).

Talento e genio: sono i concetti su cui il film A beautiful mind costringe a riflettere. Ma anche sui rischi inevitabili che tali condizioni comportano.

Se hai una mente come quella di Nash, sei a rischio. E’ inevitabile: i tuoi con­temporanei non sono nè in grado di capirti nè di percepire la realtà come tu la vedi. E questo ti provoca una sacco di problemi, a livello sociale e nel campo degli affetti. Ma Nash si è ribellato all’andazzo corrente, lui voleva raggiun­gere qualcosa di eccelso, di sicuro non è mai stato uno studente disposto ad accontentarsi dei buoni voli agli esami.

E la stretta connessione, decretata dal cinema, tra genio e follia - Shine, Rain Man, Un angelo alla mia tavola, solo per citare qualche titolo - è un dato di realtà oppure fa solo comodo agli sceneggiatori?

Credo sia stato Edgar Allan Poe a dire: “Ancora non sappiamo se la follia sia o non sia la forma più sublime di intelligenza”. Resta il fatto però che nel mondo ci sono un sacco di pazzi che non sono geni e che la maggior parte dei geni non sono pazzi. Le cause della schizofrenia ancora non sono chia­re. Per me la malattia mentale è sem­plicemente parte di te, del tuo destino. lo la interpreto così, romanticamente.

Recitare richiede talento, in rari casi si può persino parlare di genio. Lei dà l’impressione di avere una grande sicurezza di sé. È sempre stato così o rendersi conto che aveva talento ha si­gnificato anche farsi travolgere dalla responsabilità dei risultati da raggiun­gere, delle aspettative da soddisfare?

«La risposta breve a questa domanda e': no.

E la risposta lunga?

“Nash nel film parla della differenza che c’è tra essere geniale e più che genia­le. Sono distinzioni che entrano in gioco quando si parta di teorie rivoluzionarie, di nuovi modelli scientifici che rendono possibili nuove interpretazioni del mon­do, degli avvenimenti e delle relazioni tra gli avvenimenti. Di un attore al massimo si può dire che è bravo o bravissimo. Diamo per scontato che io sia bravo: è un risultato che ho raggiunto facendomi il culo per anni, imparando trucchi. Sperimentando metodi, allenandomi a non avere paura di espormi. E il mio lavoro, essere capace di indagare la natura umana ed esprimere emozioni e debolezze in maniera credibile, toccan­te, cercando di rendere l’essere umano un soggetto interessante. Se ci sono riu­scito forse possiamo addirittura dire che sono bravissimo. Ma non andiamo ol­tre, per favore.

Allora, pensa si tratti solo di esercizio. Non ritiene di aver ricevuto un dono, dalla natura o, se è religioso, da Dio?

«Non conosco nessun uomo che potrebbe seriamente parlare di ciò che Dio gli avrebbe dato senza dire stronzate.

Ecco da dove viene la fama di rude e di maledizione dei giornalisti.

«Sono stato rude? Cerco solo punti di vista alternativi” (ridacchia).

Ron Howard ha messo la sua perfor­mance al livello delle migliori prove di Robert De Niro, sottolinenando però, a differenza di De Niro, la sua estra­neità al metodo dell’Actors’ Studio e, altra differenza, la sua grande affabilità e lo spirito di collaborazione sul set. Si riconosce in questo ritratto?

“Non proprio. Credo che quando Robert De Niro era agli inizi qualcuno gli avrà fatto la stessa domanda paragonandolo a Marlon Brando. lo non sono fedele al Metodo come lui, non preten­do che sul set mi chiamino con il nome del personaggio e non mi isolo come una suora di clausura. Brando probabilmente era persino più ortodosso nelle sue performance. Ma se guardi film co­me Fronte del porto o Toro scatenato, ti rendi conto che, qualunque stranezza abbiano compiuto, qualunque livello di malumore abbiano fatto sopportare alla troupe, se era necessario per raggiungere quel risultato, sicuramente così doveva essere.

Fa parte del suo atteggiamento più rilassato rispetto agli illustri predecessori il non aver voluto incontrare Nash prima delle riprese?

De Niro lo avrebbe torchiato per giorni. Ma a me non sarebbe servito a granché: Nash è un uomo che ha saputo dominare la malattia, non so se si pos­sa dire che è guarito, ma dopo 35 an­ni di elettroshock e psicofarmaci non offre grandi spunti a un attore che deve interpretare uno schizofrenico dai 20 ai 65 anni. Se il materiale su Nash scar­seggia, non avendo mai condotto vita sociale e avendo passato buona parte della sua esistenza negli ospedali, la do­cumentazione sulla malattia è però ab­bondantissima. Ho visto decine di do­cumentari sulla schizofrenia, ho preso familiarità con i segnali esteriori del disagio, ho cercato di capire quale po­trebbe essere l’immaginario di un mala­to mentale, un sentiero lungo cui il film accompagna lo spettatore, facendolo entrare nella mente di Nash”.

Eppure il film ha un approccio molto ottimistico alla malattia, lascia credere che se ne possa guarire.

“Non è vero. Racconta come un uomo geniale, proprio grazie alla sua straordinaria intelligenza, abbia saputo dominare razionalmente i suoi incubi, i suoi fantasmi. Probabilmente in qualche modo ha imparato a conviverci pacificamente, il che lo ha reso socialmente accettabile. E degno del Nobel.

Per un attore la malattia mentale eser­cita un’attrazione fatale ed è un’ipoteca sugli Oscar. È per questo che ha deciso, dopo aver lavorato con regi­sti brillanti e imprevedibili, come Michael Mann e Ridley Scott, di imbarcarsi in un film commerciale con un regista buonista come Ron Howard?

“Ron Howard sarà anche buonista quando fa Una sirena a Manhattan, ma credo che nessuno immagini quello che è in grado di fare quando lavora a una storia sulla schizofrenia. E un grande regista, sicuro di sé. ma desideroso di collaborare con le persone che lavorano con lui; intelligente e complicato, ma ca­pace di semplificare all’occorrenza. Avrebbe potuto riposare sugli allori e in­vece è andato in cerca di un progetto difficile. Vi ricrederete su di lui. E per quanto riguarda l’Oscar, non si è ac­corta che l’ho preso l’anno scorso?”.

E quest’anno molti australiani saranno nominati, Nicole Kidman in testa. I suoi conterranei che lavorano in America aumentano. Ridley Scott dichiarò che per Il gladiatore aveva bisogno di un attore feroce, ma di grande dignità.. E che nessun americano aveva queste caratteristiche. Che cosa c’è di irresi­stibile in voi australiani?

“Non ho mai approfondito troppo la questione, ma ho il sospetto che ci con­sidenno alla stregua degli attori inglesi con, in più, un tocco esotico. A un at­tore l’Australia offre poco, il mercato è limitato, le infrastrutture sono arretrate, per questo quasi tutti si formano nel tea­tro. Così che, come i britannici, siamo in grado di offrire disciplina, professionalità e dedizione. Anche l’attore più scalcinato in Australia ha letto le Brònte, Molière e Shakespeare. io ho letto persino Piccole donne”.

Una rarità.

“Quando lo dico, gli americani scop­piano a ridere. Noi degli antipodi go­diamo tutti i vantaggi di essere alla fine del mondo e di poter osservare da un punto dì vista privilegiata quello che ac­cade nel cuore dell’impero. Decidendo se e quando prendervi parte. Per que­sto, credo che il pendolarismo tra la mia fattoria e gli studios sia la soluzione ideale. E se poi diventi il re dei Frequent Flyer supertop tanto meglio”.

ANNA QUADRI

 

Dalla rivista "Io Donna" n. 2 del 12 gennaio 2002. Grazie a Kya per la trascrizione!
 

Russell Crowe

From gladiator to math genius. The latest metamorphosis by the Australian actor, in the film A Beautiful Mind, is already stirring Oscar buzz. And it also reveals about the man something which is even more aphrodisiac than his rugged appearance: an extraordinary IQ.

by Anna Quadri, from the italian magazine "Io Donna", 2002/01/12 - translation by luis

 

There’s no way of getting him to hide his biceps. A heavy flannel working shirt (lumberjack style), sleeves rolled above his elbows, and tight and threadbare jeans suit Russell Crowe at least as much as bananas skirts suited Josephine Baker. He is the kind of man you would turn to to have your car carburettor repaired. A rustic neighbour you would call for help in hanging shelves on your living-room wall. For sure - on a first glance at least - he doesn’t look like the sophisticated performer often compared to extraordinary tough guys of the past, from Robert Mitchum to Clint Eastwood, from James Cagney to Robert De Niro. You look at him - a two-day’s beard, in a sort of Indiana Jones’s style, and sharp cowboy’s manners - and you just can’t believe he is the subtle inquirer of human psychologies able to deliver a performance which made America cry out in wonder (Variety for one: “Crowe turns a strange and complicated guy into a sympathetic and compelling character. We are witnessing an amazing actor”). And there is not a single bookmaker who doesn’t regard his nomination to this year’s Oscars as locked.

And yet.

The film, A Beautiful Mind, directed by Ron Howard, with an excellent cast from Jennifer Connelly to Ed Harris, to Christopher Plummer, is based on the novel with the same title written by Sylvia Nasar, an accurate biography of the math genius John Forbes Nash Jr.

In the Fifties, Nash was the author of a revolutionary theory which turned the ideas of Adam Smith and of other fathers of modern Economics upside down. While he was at the very beginning of a brilliant academic career, Nash fell into the abyss of schizophrenia; for almost forty years he faced stints in psychiatric hospitals, the loss of his job, social ostracism and - a perfect redemption for a Hollywood movie - he was belatedly awarded the Nobel Prize in 1994. The gladiator flies over the cuckoo’s nest. An experience which has made the only actor in Hollywood who can claim Maori ancestry as sweet as a sugar candy and willing to finally disclose an IQ which, in the business, is highly above the average. As revealed in this interview Russell Crowe did for Io donna.

RC: Do you mind if I lie down? You may regard me as a psychotic, after all this is what we are going to discuss.

He lies back on the cushions of an elegant antique sofa, in one of the suites of the Dorchester Hotel in London.

ID: Go ahead. It’s still early for a diagnosis. And then it is not the first interview I have done with people lying in a Paolina Bonaparte pose.

RC: For example?

ID: Jennifer Lopez.

RC: Never tried a more uncomfortable sofa.

He sits in an armchair, as properly as an English Lord, and laughs.

ID: Talent and genius: these are notions the film A Beautiful Mind makes you think through. But it also makes you consider the inevitable risks such conditions imply.

RC: If you possess a mind as Nash’s, you are at risk. It is inevitable: your contemporaries cannot understand you, nor see reality the way you do. And that gives you many problems both socially and emotionally. But Nash fought the trend, he wanted to reach something outstanding, for sure he was never a student who would stick to good marks.

ID: Is the close link, between genius and madness, decreed by the silver screen - Shine, Rain Man, An Angel at My Table, to name just some - a reality or it is just a commodity to screenwriters?

RC: I think it was Edgar Allan Poe who said: “We still don’t know whether madness is the higher form of intelligence”. The fact is, though, that there are a lot of mad people around who are not geniuses and most of the geniuses are not mad. The causes of schizophrenia are not clear yet. In my opinion, mental illness is simply a part of yourself, of your destiny. I see it that way, romantically.

ID: Acting requires talent, in rare cases we can even say genius. You look very self-assured. Have you always been like that or realizing that you were talented has also meant being overwhelmed by the responsibility of goals to reach, of expectations to meet?

RC: The short answer is no.

ID: And the long answer?

RC: In the film Nash talks about the difference between being a genius and being more than a genius. These are distinctions you make when you talk about revolutionary theories, new scientific models which allow new interpretations of the world, of events and of their relations. Of an actor the most you can say is that he is good or very good. Let’s say I am good: it is a result I have achieved slogging my guts out, learning tricks, trying ways, training to be confident in revealing myself. It is my job, being able to inquire into human nature and to express emotions and weaknesses in a credible, moving way, trying to make the human being an interesting subject. If I delivered, we can even say that I am very good. But please, don’t go further.

ID: Then you think it’s all about practice. Don’t you think you have been given a gift by nature or, if you are religious, by God?

RC: I don’t know a single person who could seriously talk about what God had given him without uttering bullshit.

ID: Here’s where the sourly fame and the media curse comes from

RC: Have I been sour? I am just trying different perspectives (giggles)

ID: Ron Howard compared your performance to the best ones by Robert De Niro, underlining though that, unlike De Niro, you are alien to the Actor’s Studio method and, another difference, you are very friendly and collaborative on the set. Can you see yourself in that picture?

RC: Not exactly. I think that when Robert De Niro began, someone must have asked him that same question, comparing him to Marlon Brando. I don’t follow the Method as he does, I don’t make people on the set call me with my character’s name and I don’t cloister myself. Probably Brando was even stricter in his performances. But if you watch such films as On the Waterfront or Raging Bull, you realize that, no matter what kind of weirdness they did or what mood they inflicted on the crew, if that was necessary to achieve that result, than certainly that was the way it had to be done.

ID: You didn’t want to meet Nash before filming, is this part of your more relaxed attitude compared with those of your famous forerunners?

RC: De Niro would have grilled him for days. But that wouldn’t have been of any use to me: Nash battled his disease, I don’t know if we can say he has recovered from it, but after 35 years of electroshocks and medications he cannot give many clues to an actor who is going to play a schizophrenic ageing from 20 to 65. Material on Nash is really not much, since he has never had a social life and since he spent a large part of his life in hospitals, but there’s plenty of documents on the disease. I watched dozens of documentaries on it, I have become familiar with its external manifestations, I have tried to understand the way a schizophrenic sees reality, a path the audience gets to walk along in the course the film, getting inside Nash’s mind.

ID: Yet the film has a very optimistic approach to the disease, making us believe you can recover from it.

RC: That is not true. It deals with the way a brilliant man was able to rationally control his nightmares, his obsessions, through his brain. He has probably learnt to live with them somehow, which has made him socially acceptable. And worthy of the Nobel Prize.

ID: For an actor mental illness is a fatal attraction and a sure Oscar bait. Is this the reason why, after working with brilliant and unpredictable directors such as Michael Mann and Ridley Scott, you decided to work in a blockbuster movie with a conciliatory director as Ron Howard?

RC: Ron Howard might be conciliatory in Splash, but I think no one can imagine what he is able to do when working on a story about schizophrenia. He is a great director, who is in command of the medium, but willing to collaborate with the people he is working with; he is brilliant and complex, but he is able to simplify things when needed. He could be resting on his laurels, instead he searched for a difficult project. You will change your mind about him. And as far as the Oscar is concerned, didn’t you notice I got it last year?

ID: And this year many Australians will be among the nominees, Nicole Kidman for one. The number of your fellow-citizens working in America is increasing. Ridley Scott said that for Gladiator he needed an intense actor, but also someone full of dignity. And added that no American possessed such qualities. What is it that’s so irresistible about you Australians?

RC: I’ve never examined the issue closely, but I have the feeling that we are regarded as British actors with an exotic touch. Australia doesn’t offer much to an actor, the market is small, the facilities are old, so almost everyone works and learns on the theatre stage. Thus, as the British, we are disciplined, professional and focused. Even a second-rate actor in Australia has read the Brönte, Molière and Shakespeare. I have even read Little Women.

ID: A rarity.

RC: When I say so, the Americans start to laugh. We antipodeans have all the advantages of being Down Under and being able to look at what happens in the heart of the empire from a privileged perspective, deciding if and when we want to take part in it. For this reason I believe that flying to and fro between my farm and the studios is the ideal solution. And then, if you become the king of the frequent flyers supertop, the better.

 

un enorme grazie a luis per la traduzione dell'articolo!
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