I 5 nUOVI sANTI DELLA cHIESA CATTOLICA
3. JOSEF DAMIAAN DE VEUSTER (PADRE DAMIANO)
5. MARIE DE LA CROIX JEANNE JUGAN
1.
nacque il 1°novembre 1822 a Wojutyn
nella diocesi di Łuck, in provincia di Wołyń (oggi Ucraina),
dalla nobile famiglia di Gerard e di Ewa Wendorff, scrittrice, autrice
dei Diari della vita; fu il settimo di undici figli.
L'atmosfera evangelica della casa familiare gli offrì forti fondamenta
di fede e di moralità. Dai genitori imparò l'amore per Dio,
il sacrificio per la Patria, il rispetto verso l'uomo. Furono quei valori
che lo sostennero dopo la morte di suo padre, dopo la deportazione
di sua madre in Siberia per l'attività patriottica da lei svolta e dopo
la confisca da parte del governo zarista del patrimonio di famiglia.
All'età di 17 anni partì per il mondo con la fede nel cuore e la
fiducia nel sostegno della Provvidenza. La sua unica ricchezza erano:
«cuore innocente, religione ed amore fraterno per i simili ».
Ricevette l'istruzione matematica a Mosca, e quella umanistica a
Parigi. Come sua massima usò il motto: «Essere polacco sulla terra
significa vivere in modo divino e nobile ». Il suo patriottismo è
testimoniato dalla partecipazione all'insurrezione nella regione di
Poznań (1848) e la grandezza del suo spirito dall'amicizia con il vate
nazionale J. Słowacki. A Parigi, avvertendo la chiamata del Cristo,
decise di diventare prete.
Nel 1851 ritornò in patria ed entrò al Seminario di Żytomierz; la
successiva formazione proseguì presso l'Accademia Ecclesiastica di
Pietroburgo, dove fu ordinato sacerdote (1855). Ispirato dallo spirito
di misericordia fondò l'orfanotrofio e la congregazione religiosa
«Famiglia di Maria ». Al tempo stesso svolgeva gli incarichi di padre
spirituale e di professore dell'Accademia. Veniva considerato come
un « apostolo, pieno di umiltà, scienza e cultura », « protettore dei
poveri e degli orfani ».
Nominato il 6 gennaio 1862, dal beato Pio IX, arcivescovo di
Varsavia, governò sulla Vistola per soli 16 mesi, in condizioni parti14
colarmente difficili. Ciò nonostante in quel breve tempo sviluppò
un'attività fruttuosa finalizzata a ravvivare la vita religiosa dell'arcidiocesi.
Quell'«uomo della Provvidenza », segno della « Misericordia
di Dio », fondò nella capitale il Centro di rinascita spirituale;
organizzava le missioni e gli esercizi spirituali nelle chiese, negli
ospedali e nelle carceri; invitava i sacerdoti ad un lavoro zelante, alla
preoccupazione per la sobrietà della popolazione, alla divulgazione
della parola di Dio, alla catechesi, allo sviluppo dell'istruzione.
Propagava il culto del Santissimo Sacramento e della Madre di Dio
e per onorarla diffuse le funzioni di maggio; sosteneva l'ordine
francescano. Fondò l'orfanotrofio e la scuola e li consegnò alle cure
delle suore della Famiglia di Maria.
Perseguì l'unità e la solidarietà dell'episcopato; si impegnò a
creare un collegamento stretto fra i vescovi e il Sommo Pontefice. Si
fece avanti come «Angelo della pace», invitando i fedeli alla
riflessione e al lavoro fruttuoso per il bene del paese. Guidato
dall'esperienza, cercava di trattenere la nazione perché non fosse
travolta da una rivolta sconsiderata. Dopo lo scoppio dell'insurrezione
del gennaio 1863, prese le difese del popolo. Il cambiamento
della politica della Russia nei confronti del Regno di
Polonia fece sì che Feliński fosse diventato scomodo. Chiamato a
Pietroburgo lasciò Varsavia il 14 giugno 1863, sotto scorta militare
come prigioniero di stato.
Condannato all'esilio in Russia, a Jaroslavl sul Volga
passò 20 anni, splendendo per santità di vita. Dedito alla preghiera,
all'apostolato e alle opere di misericordia prese sotto le proprie cure
gli esiliati siberiani, portando loro il conforto spirituale e l'aiuto
materiale. La propria sorte l'aveva deposta nelle mani del Santo
Padre. La memoria del «santo vescovo polacco » rimase viva sul
Volga per lunghi decenni. Dopo 20 anni, a seguito dell'accordo tra il
governo russo e la Santa Sede fu liberato (1883), ma non gli fu
concesso di tornare a Varsavia.
Gli ultimi anni della vita Feliński li passò come Arcivescovo
titolare di Tarso a Dźwiniaczka (diocesi di Leopoli), sotto il dominio
austriaco, dedicandosi al lavoro sacerdotale, sociale ed educativo tra
il popolo contadino. Nell'ambiente di quella campagna portò lo
spirito della rinascita religiosa, della convivenza pacifica dei polacchi
ed ucraini ed anche della collaborazione fruttuosa in nome della
fratellanza evangelica. Il popolo lo considerava padre e tutore,
«santo sacerdote ».
Mons. Feliński morì il 17 settembre 1895 a Cracovia in concetto di
santità. Scrissero di lui: « cessò di battere un gran cuore »; lasciò
come eredità regale «un abito talare, un breviario e tanto amore tra
la gente ». Dopo un solenne funerale a Cracovia le sue spoglie mortali
riposarono per 25 anni al cimitero di Dźwiniaczka, circondate dalla
venerazione dei polacchi ed ucraini. E quando la Polonia riconquistò
l'indipendenza furono portate a Varsavia (1920) e deposte nella
Cattedrale di San Giovanni (1921).
La Congregazione delle Suore Francescane della Famiglia di Maria
come un piccolo granello sparso dal Feliński a Pietroburgo (1857),
crebbe e divenne una grande famiglia. Le suore lavorano
attualmente in Polonia, Brasile, Italia, Bielorussia, Ucraina, nella
Federazione Russa e in Kazakhstan.
La vita di Sigismondo Felice Feliński, dai tempi della giovinezza,
era caratterizzata dall'aspirazione alla santità. Cristo era per lui « Via,
Verità, Vita ». Desiderava raggiungere un tale grado di unione con
Dio per poter dire assieme a San Paolo: « e non vivo più io, ma Cristo
vive in me». Si distingueva per la sua incrollabile fede e per la sua
immensa fiducia nella Provvidenza; poneva al primo posto l'amore
verso Dio e la Chiesa, il sacrificio per la Patria, il rispetto per gli
uomini. Il tratto caratteristico della sua spiritualità stava nell'enorme
onestà, coraggio e giustizia. Accanto a quel tratto spiccava il suo
spirito di sacrificio e di misericordia, avvolto dallo spirito della
serenità, umiltà, semplicità, lavoro e povertà francescani.
La memoria di lui, la fama della santità e numerose guarigioni
contribuirono alla sua fama di santità. Il Card. Stefan Wyszyński,
Primate di Polonia, aveva aperto la sua Causa di beatificazione nel
1965 a Varsavia, che dal 1984 proseguì a Roma.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II lo beatificò il 18 agosto 2002 a Cracovia.
Dalla vita del Feliński possiamo attingere anche per i nostri tempi
lo spirito e il lume che dà senso alla nostra vita. La sua canonizzazione
invita a riflettere sul proprio cammino, sulla famiglia e
sulla sua rinascita, sulla costruzione della casa di tutti — la Patria —
sotto le cure della Provvidenza Divina e di Maria Santissima.
2.
FRANCESCO COLL GUITART, O.P.
fondatore delle Suore Domenicane dell'Annunziata
nacque in Gombrèn, diocesi di Vic nella provincia
di Gerona in Spagna, il 18 maggio 1812. Il 19 dello stesso mese e anno
ricevette il battesimo. Fin dall'infanzia si sentì portato al sacerdozio
ed entrò nel seminario della sua diocesi nel 1823, dove fece gli studi
umanistici e il triennio filosofico. Nel 1830 entrò nell'Ordine dei
Predicatori nel convento dell'Annunciazione di Gerona. Dopo il noviziato
e la professione religiosa fino alla morte, nell'ottobre del
1831, fece gli studi teologici e ricevette gli ordini sacri fino al diaconato.
Nell'agosto del 1835, con i suoi fratelli della comunità, si vide
obbligato ad abbandonare il convento a causa delle leggi persecutorie
contro i religiosi in Spagna. Visse eroicamente la sua consacrazione
religiosa come frate exclaustrato, visto che per tutta la durata
della sua vita non fu possibile riaprire nessun convento di frati
dell'Ordine dei Predicatori nel territorio della Provincia di Aragona
alla quale apparteneva. Ricevette l'ordinazione sacerdotale a Solsona
il 28 maggio 1836 e, avendo la certezza che non si autorizzava la riapertura
dei conventi, in accordo con i superiori, offrì il suo servizio
sacerdotale al Vescovo di Vic. Questi lo inviò come coadiutore alla
parrocchia di Artés, prima e, subito dopo, nel dicembre del 1839,
a quella de Moià.
Sin dall'inizio del suo ministero assunse impegni che andavano
oltre quelli strettamente parrocchiali. Lo zelo che lo divorava lo salvò
dall'inerzia della exclaustrazione. All'inizio fece parte de la « Hermandad
Apostólica » che promosse Sant'Antonio Maria Claret e si
impegnò a predicare esercizi spirituali e missioni popolari. Nel 1848
ricevette il titolo di Missionario Apostolico. Vari prelati lo chiamarono
nelle loro diocesi affinché svolgesse una predicazione
missionaria che fu pacificatrice in tempo di frequenti guerre civili. Il
suo nome divenne popolare e venerato nelle varie regioni della Catalogna.
Con insistenza reclamavano la sua predicazione evangelica
orientata a ravvivare la fede in mezzo al popolo di Dio e a conseguire
il ritorno dei lontani dalle pratiche religiose. Si servì in modo speciale
del Rosario, che propagò tra le genti dei paesi e delle città attraverso
il rinnovamento delle confraternite, fondando il Rosario Perpetuo al
quale si iscrissero migliaia di persone e con istruzioni rivolte ai fedeli
affinché meditassero con frutto i suoi misteri. Sempre per
promuovere il Rosario, pubblicò piccoli libri intitolati La Hermosa
Rosa e La scala del cielo, di cui si stamparono diverse edizioni in
un gran numero di esemplari perché si distribuissero abbondantemente
durante le missioni. Predicava tutti gli anni la quaresima e i
mesi di maggio e di ottobre in onore di Maria in città importanti: Barcellona,
Lérida, Vic, Gerona, Solsona, Manresa, Igualada, Tremp, Agramunt, Balaguer…
Constatando l'ignoranza religiosa e la non corrispondenza alle
norme della vita cristiana da parte dei battezzati fondò il 15 agosto
1856 la Congregazione delle Suore Domenicane dell'Annunziata
per la santificazione dei suoi membri e l’educazione cristiana dell'infanzia
e della gioventù, che vivevano nell'abbandono e nell'ignoranza
religiosa. La Congregazione si estese, non solo in Europa,
ma anche in America, Africa e Asia.
L'impegno e la predicazione, particolarmente per mezzo degli
esercizi spirituali diretti a sacerdoti e religiose, missioni popolari,
quaresimali, novene e altri modi di evangelizzazione, si può ben dire
che durarono fino al termine della sua vita, anche quando negli
ultimi cinque anni si ammalò di apoplessia progressiva che lo rese
cieco. Tale malattia si verificò lo stesso giorno in cui i vescovi del
mondo cattolico si riunivano a Roma per iniziare i lavori del Concilio Vaticano I.
Morì santamente in Vic il 2 aprile 1875. Fu beatificato dal Servo di
Dio Giovanni Paolo II il 29 aprile 1979.
3.
— il futuro Padre Damiano ss.cc. —
nasce a Tremelo, in Belgio, il 3 gennaio 1840, da una famiglia numerosa di
agricoltori-commercianti. Suo fratello maggiore entra nella Congregazione
dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria e, proprio quando suo
padre pensa a Giuseppe per affidargli l’impresa di famiglia, decide
anche lui, senza indugio, di diventare un religioso e, all’inizio del
1859, comincia il suo noviziato a Louvain, nello stesso convento dove
sta anche suo fratello; là prende il nome di Damiano.
Nel 1863 suo fratello, in procinto di partire per le isole Hawaii, si
ammala. Essendo già stato preparato il viaggio, Damiano ottiene dal
Superiore Generale il permesso di partire al posto di suo fratello. Il 19
marzo 1864 sbarca a Honolulu, il 21 maggio 1864 è ordinato sacerdote
e si getta immediatamente anima e corpo nella dura vita di missionario
in due villaggi delle Hawaii, la maggiore delle isole dell’arcipelago.
In quegli anni il governatore delle Hawai, per arginare la
propagazione della lebbra, decide di deportare nella vicina isola di
Molokai tutti quelli che sono colpiti dalla malattia per quei tempi
ancora incurabile. La sorte dei malati preoccupa tutta la missione
cattolica, in particolare il vescovo, Monsignor Louis Maigret, ss.cc.,
che ne parla con i suoi sacerdoti. Il vescovo, però, nonostante il voto
di obbedienza fatto dai suoi sacerdoti, non se la sente di inviare
nessuno a Molokai, perché sa che un simile ordine significherebbe
morte certa per chi va in quel luogo. Tuttavia quattro confratelli si
offrono volontari per andare a turno a visitare ed assistere i lebbrosi
soli con la loro disperazione. Damiano è il primo a partire e il 10
maggio 1873 arriva a Molokai. Su sua richiesta e su quella degli stessi
lebbrosi, ottiene di rimanere definitivamente sull’isola. Contagiato
anche lui dalla lebbra, muore il 15 aprile del 1889. I suoi resti saranno
rimpatriati nel 1936 e depositati nella cripta della chiesa
della Congregazione dei Sacri Cuori a Louvain.
Damiano è universalmente riconosciuto per aver liberamente
scelto di condividere la vita con i lebbrosi confinati sulla penisola di
Kalaupapa a Molokai. La sua partenza per l’isola « maledetta »,
l’annuncio della sua malattia nel 1885 e quello della sua morte
colpirono profondamente i suoi contemporanei di tutte le confessioni.
Dopo la sua scomparsa, il mondo lo ha considerato un
modello e un eroe di carità. Identificandosi con i lebbrosi, fino al
punto di dire «noi lebbrosi », ha continuato a ispirare milioni di
credenti e non-credenti, desiderosi di imitarlo e di scoprire la fonte
del suo eroismo.
Testimone e servitore ... senza ritorno
La vita di Padre Damiano ci rivela che la sua generosità lo portava
costantemente a fare sua qualunque iniziativa nella quale si riconoscesse
la mano della Provvidenza. Le molteplici circostanze
della sua vita sono dei segni e degli appelli che egli ha saputo vedere
e cogliere, seguendoli con tutta la sua energia e avendo la coscienza
di compiere la volontà di Dio. «Persuaso che il buon Dio non mi
domanda l’impossibile, affronto ogni cosa in maniera risoluta, senza
sconvolgermi...» (Lettera al Padre Generale, 21.12.1866), come
avviene durante un ritiro spirituale, a Braine-le-Comte, dove studia e
decide di seguire la chiamata di Dio alla vita religiosa, entrando nella
stessa Congregazione dove lo aveva preceduto suo fratello. La
malattia di quest’ultimo gli offre l’occasione di proporsi missionario
al posto suo. Dopo che la sua richiesta è accettata, si imbarca per le
Hawaii, dove il vescovo descrive ai suoi missionari la situazione
disperata dei lebbrosi di Molokai. A quel punto Damiano sente di
doversi offrire volontario per servirli.
Damiano concepisce la sua presenza tra i lebbrosi come quella di
un padre tra i suoi figli, pur sapendo cosa avrebbe significato la
frequentazione quotidiana dei malati. Prendendo tutte le precauzioni
ragionevoli, riesce ad evitare il contagio per più di dieci
anni, ma alla fine la lebbra lo colpisce. Riafferma la sua fiducia in Dio
e dichiara: «Sono felice e contento. E, se mi dessero l’opportunità di
guarire andandomene da qui, risponderei senza esitazione: “Resto
con i miei lebbrosi tutta la mia vita”».
Medico di corpi e anime
Spinto dal desiderio di alleviare la sofferenza dei lebbrosi,
Damiano s’interessa ai progressi della scienza. Sperimenta su di sé
nuovi trattamenti che condivide anche con i malati. Giorno dopo
giorno, cura gli infermi, fascia le loro orribili piaghe, conforta i
moribondi e seppellisce nel cimitero, da lui chiamato «il giardino dei
morti», coloro che terminano il loro calvario.
Cosciente del potente impatto della stampa, incoraggia coloro
che pubblicano libri e articoli sui lebbrosi di Molokai. Da lì nasce un
grande movimento di solidarietà che permette di migliorare ancora
la sorte dei malati. La sua familiarità con la sofferenza e la morte
avevano affinato in lui il senso della vita. La pace e l’armonia che
dimoravano nella sua anima si diffondevano intorno a lui. « Faccio
l’impossibile — dice — per mostrarmi sempre gaio, per rincuorare i
malati ». La sua fede, il suo ottimismo, la sua disponibilità toccano i
cuori. Tutti si sentono invitati a condividere la sua gioia di vivere, a
superare, nella fede, i limiti della miseria e dell’angoscia e allo stesso
tempo quelli dell’esilio nel quale vivono. Chiamati ad incontrare un
Dio che li ama, ne scoprono l’affettuosa vicinanza e quella del loro
caro «Kamiano ».
Costruttore di comunità
«L’inferno di Molokai», fatto di egoismo, di disperazione e
d’immoralità, si trasforma, grazie a Damiano, in una comunità che
sorprende lo stesso governo. Orfanotrofio, chiesa, case, edifici
pubblici: tutto è realizzato con l’aiuto dei più validi. Si amplia
l’ospedale, viene sistemato il porto e le vie di accesso, nello stesso
tempo viene costruita una condotta d’acqua. Damiano apre un
magazzino, dove i malati possono approvvigionarsi gratuitamente e
si prodiga per la coltivazione della terra e dei fiori. Organizza perfino
una banda musicale per allietare il tempo libero dei malati...
Così grazie alla sua presenza e alla sua azione, i lebbrosi
abbandonati al loro destino riscoprirono la gioia di stare insieme. Il
dono di sé, la fedeltà, i valori familiari riacquistano tutto il loro
valore. La vita in comune per necessità o costrizione lascia il posto al
rispetto dovuto a tutti gli esseri umani, anche se orribilmente
sfigurati dalla lebbra. Damiano fa loro scoprire che agli occhi di Dio
ogni essere umano è infinitamente prezioso, perché Dio li ama come
un Padre e, in lui, tutti si riconoscono fratelli e sorelle.
È facile capire come quest’uomo di comunione dovette soffrire
per l’assenza al suo fianco di un confratello di cui
non smise mai di reclamare la presenza.
Apostolo dei lebbrosi
È nel suo cuore di sacerdote e missionario l’eco della chiamata
per servire i lebbrosi. « I lebbrosi sono orribili a vedersi, ma hanno
un’anima riscattata al prezzo dell’adorato sangue del nostro Divino
Salvatore ». Damiano li beneficerà di tutte le ricchezze del suo
ministero sacerdotale, riconciliandoli con Dio e con loro stessi e
assicurando loro il mezzo per unire le loro sofferenze a quelle di
Cristo, attraverso la comunione con il suo Corpo e il suo Sangue.
Battesimi, matrimoni e sepolture si celebrano con l’intento di
aprire gli spiriti e i cuori alle dimensioni universali della chiesa di
Cristo. Rifiutati dalla società, i lebbrosi di Molokai scoprono che la
loro malattia vale la sollecitudine del cuore di un sacerdote totalmente
devoto a loro. «La mia più grande gioia è di servire il Signore
attraverso i suoi poveri figli malati, respinti dagli altri uomini » (L. 86).
Seminatore d’ecumenismo
Damiano si sente prima di tutto un missionario cattolico,
rimanendo però uomo del suo tempo. Convinto della sua fede,
rispetta tuttavia anche le convinzioni religiose degli altri, accettandoli
come persone da cui ricevere con gioia collaborazione e
aiuto. Con il cuore pienamente aperto alla più abietta delle miserie
umane, non fa alcuna discriminazione nell’avvicinarsi ai lebbrosi per
curarli. Nelle sue attività parrocchiali o caritative c’è posto per tutti.
Tra i suoi amici — e dei migliori — ci sono il luterano Mr. Meyer,
soprintendente dell’ospedale dei lebbrosi, l’anglicano Clifford, pittore,
il libero pensatore Mouritz, medico a Molokai, e il buddista
Goto, leprologo giapponese.
Damiano è stato molto più di un filantropo o l’eroe di un giorno!
Tutti lo riconoscono come il servo di Dio, quale sempre si è mostrato,
e rispettano la sua passione per la salvezza delle anime.
L’uomo dell’Eucaristia
«Il mondo della politica e della stampa possono offrire pochi eroi
come Padre Damiano di Molokai. Varrebbe la pena di cercare la
fonte d’ispirazione di tanto eroismo! ». Ecco come il Mahatma
Gandhi riassumeva gli interrogativi che suscitavano la vita di Padre Damiano.
La risposta la troviamo nella fede che egli ha vissuto come religioso
dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Damiano ha ricevuto la
grazia per contemplare, vivere ed annunciare l’amore misericordioso
di Dio rivelato in Gesù e al quale ci conduce la Vergine Maria.
Per compiere questa missione, la sua esperienza personale, guidata
dalla tradizione della sua Congregazione, gli fa trovare la forza nella
fonte stessa dell’amore e della vita: l’Eucaristia. Gesù, divenuto
pane di vita e presenza viva e confortante dell’amore di Dio.
La sua imitazione di Gesù, vita per affamati e infermi, lo spinge a
identificarsi con il suo povero gregge. Grazie all’amore di «Colui che
non mi abbandona mai», rimane fedele fino alla fine, al di là della
malattia crudele, della penosa solitudine, delle critiche ingiuste e
dell’incomprensione dei suoi...
La sua testimonianza è incontestabile. «Senza la presenza del
nostro divino Maestro nella mia piccola cappella, non avrei mai
potuto legare il mio destino a quello dei lebbrosi di Molokai».
La voce dei senza voce
Una tale presenza fra i reietti del mondo, non poteva non
interrogare le coscienze. Meno di due mesi dopo la morte di
Damiano, viene fondata a Londra il «Leprosy Fund», prima organizzazione
per la lotta contro la lebbra. Nulla può giustificare
l’isolamento e l’abbandono di un essere umano. «Noi lebbrosi » non
è un’espressione retorica, ma la verità di un’identificazione con
coloro che, malgrado la loro malattia, non cessano di avere diritto al
rispetto, alla dignità, all’amore. Condividendo la vita dei lebbrosi,
divenendo alla fine lui stesso un lebbroso, Damiano ha lanciato un
vibrante appello al riconoscimento della dignità di tutti coloro che
rischiano di essere emarginati per una malattia, un handicap o una
disgrazia. Nulla può giustificare l’isolamento o l’abbandono di un
essere umano.
Messaggero di speranza
La vita e la morte di Damiano sono dei fatti profetici. Non solo
sono una denuncia contro atteggiamenti contrari al rispetto dei
diritti dell’uomo, ma sono anche un appello alla speranza.
Oggi come allora, nel mondo ci sono emarginati di ogni tipo:
malati incurabili (colpiti da AIDS e tanti altri), bambini e anziani
abbandonati, giovani disorientati, donne abusate, minoranze oppresse...
Per tutti vale l’appello di Padre Damiano che ricorda
l’amore infinito di Dio fatto di compassione, fiducia, speranza e che
denuncia le ingiustizie. In Damiano tutti possono trovare l’araldo
dalla Buona Novella. Come il Buon Samaritano, si è accostato a tutti
coloro che la malattia aveva relegato ai margini del sentiero della
vita. Per questo Damiano è un esempio per ogni uomo e ogni donna
che desideri impegnarsi nella lotta per un mondo più giusto, più
umano, più conforme al cuore di Dio.
Servitore di Dio, Damiano è e resterà per tutti il servitore
dell’uomo che più che vivere ha bisogno di ragioni per vivere.
Ecco il Damiano che oggi ancora ci sfida.
4.
nacque a Burgos (Spagna) il 9 aprile 1911
da una famiglia di elevato livello sociale e profondamente cristiana.
A Burgos fu battezzato e cresimato e iniziò i suoi studi nel Collegio dei
Padri Gesuiti, dove nel 1919 fu ammesso alla Prima Comunione.
Proprio in quegli anni ricevette la prima visita della malattia: delle
persistenti febbri colibacillari lo obbligarono a interrompere gli studi.
Una volta guarito, suo padre, in ringraziamento per quello che
considerò un intervento speciale della Santissima Vergine, alla fine
dell'estate del 1921, lo condusse a Saragozza e qui lo consacrò alla
Vergine del Pilar, fatto che non mancò di segnare profondamente
l'animo di Raffaele.
Quando la famiglia si trasferì a Oviedo, egli proseguì gli studi
secondari nel locale Collegio dei Padri Gesuiti, ottenendo la maturità
scientifica e iscrivendosi alla Scuola Superiore di Architettura di
Madrid, dove seppe armonizzare lo studio con una
fervorosa e costante vita di pietà.
D'ingegno brillante e versatile, Raffaele si distingueva anche per
uno spiccato senso dell'amicizia e per finezza di tratto. Dotato di un
carattere allegro e gioviale, sportivo, ricco di talento per il disegno e
per la pittura, amava la musica e il teatro. Ma man mano che
cresceva in età e sviluppava la sua personalità, cresceva anche nella
sua esperienza spirituale di vita cristiana.
A Madrid, durante gli studi universitari di architettura, nel suo
programma di studio e di vita molto ordinato ed impegnativo, aveva
introdotto una lunga visita quotidiana al Santissimo Sacramento (il
«Padrone ») nella Cappella del « Caballero de Gracia » ed era fedelissimo
nella partecipazione ai suoi turni di adorazione, come
membro dell'Associazione per l'Adorazione Notturna.
Nel suo cuore, ben disposto all'ascolto, Dio volle suscitare l'invito
ad una consacrazione speciale nella vita contemplativa. Preso
contatto con la Trappa di San Isidro de Dueñas, Raffaele si sentì
fortemente attratto verso quello che gli apparve come il luogo che
meglio corrispondeva ai suoi desideri più intimi. Nel dicembre 1933
egli interruppe improvvisamente i suoi corsi universitari e il 16
gennaio 1934 entrò nel monastero di San Isidro.
Dopo i primi mesi di noviziato e la prima Quaresima vissuti con
entusiasmo, abbracciando le dure austerità della Trappa, Dio volle
misteriosamente provarlo con una repentina e penosa infermità: una
forma gravissima di diabete mellito, che lo obbligò ad abbandonare
in tutta fretta il monastero e ritornare in famiglia, per essere curato
in modo adeguato dai suoi genitori.
Rientrò alla Trappa appena ristabilito, ma la malattia lo costrinse
più volte ad abbandonare il monastero. Ma altrettante volte egli volle
rientrarvi, nell'imperativo interiore di una risposta generosa e fedele
a quella che sentiva essere la chiamata di Dio.
Santificatosi nella gioiosa ed eroica fedeltà alla sua vocazione,
nell'amorosa accettazione dei disegni divini e del mistero della
Croce, nella ricerca appassionata del Volto di Dio, affascinato dalla
contemplazione dell'Assoluto, nella tenera e filiale devozione alla
Vergine Maria — « la Signora », come amava chiamarla — consumò
la sua vita all'alba del 26 aprile 1938, a 27 anni appena compiuti, e fu
sepolto nel cimitero del monastero e, in seguito, nella chiesa abbaziale.
Ben presto la fama della sua santità si diffuse al di là delle mura del
monastero. Insieme alla fragranza della sua vita, i suoi numerosi
scritti spirituali continuano a diffondersi e ad essere ricercati con
grande profitto per quanti entrano in contatto con lui. È stato definito
uno dei più grandi mistici del XX secolo.
Il 19 agosto 1989 il Santo Padre Giovanni Paolo II, in occasione
della Giornata Mondiale della Gioventù a Santiago de Compostela, lo
propose come modello per i giovani del nostro tempo e
il 27 settembre 1992 lo proclamò Beato.
Con la Canonizzazione il Papa Benedetto XVI lo offre come
amico, esempio e intercessore a tutti i fedeli, ma soprattutto ai giovani.
5.
MARIE DE LA CROIX JEANNE JUGAN
nasce in Bretagna, a Cancale (Francia), il 25 ottobre 1792
in piena tormenta rivoluzionaria, sesta di una famiglia di
otto figli di cui quattro moriranno in tenera età. Suo padre, marinaio
e pescatore, scompare in mare mentre lei ha solamente quattro anni.
Sua madre, crescerà da sola i suoi quattro bambini.
Da sua madre, dalla sua terra natale, Jeanne eredita una fede viva
e profonda, un carattere fermo, una forza d'animo che nessuna
difficoltà riuscirà a scuotere. Ecco cosa è stato scritto a proposito
della fede dei cancalesi: «Malgrado la persecuzione, il popolo
cancalese aveva conservato la fede. Nella notte profonda, in una
soffitta o un fienile, o anche in mezzo alla campagna, i fedeli si
riunivano, e là, nel silenzio della notte, il sacerdote offriva il santo
sacrificio e battezzava i bambini. Ma questa gioia era rara, c'erano
tanti pericoli» (cfr. Abbé BOULEUX, Registre des classes pp. 28, 30-31;
citato nella Positio p. 9)
A causa del clima politico e delle difficoltà economiche,
Jeanne non può andare a scuola. Impara a leggere e a scrivere
mentre apprendeva il catechismo, grazie alle terziarie eudiste
molto diffuse nella regione.
Jeanne appartiene a questo mondo dei poveri e dei piccoli dove,
ben presto, si conosce la legge del lavoro. Ancora bambina, pregando
il rosario, custodisce il gregge sulla collina che domina la baia di
Cancale, in un luogo meraviglioso che eleva e dilata la sua anima.
Di ritorno a casa, aiuta sua madre nelle faccende domestiche.
A 15 anni, va a lavorare a 5 km da Cancale, in una casa borghese
dove, con la proprietaria, andrà incontro ai bisognosi. Povera lei
stessa, ha potuto percepire un po' dell'umiliazione che si prova
nell'essere assistiti. Viene anche messa in contatto con
un ambiente sociale diverso dal suo.
Il 1801 segna una tappa importante per la Chiesa di Francia.
Firmando il Concordato, il 16 luglio, Bonaparte autorizza di nuovo la
libertà di culto. È un vero risveglio spirituale. Nel 1803, a St Servan,
(comune di St Malo), il vescovo di Rennes amministra il Sacramento
della Confermazione a più di 1.500 persone. Vengono fatte molte
missioni simili a quelle predicate nei secoli precedenti da San
Vincenzo De Paoli, San Giovanni Eudes o San Luigi Maria Grignion
de Montfort, per aiutare la rinascita religiosa. Una missione ha luogo
a Cancale nel 1816, un'altra a St Servan nel 1817. L'eloquenza dei
sacerdoti era «così forte, così pressante, così persuasiva che ben
presto, dalle 5 del mattino e tutte le sere fino alle 7, le nostre chiese
si dimostravano troppo piccole».
È in questo clima di fervore che Jeanne sente la chiamata del
Signore. Al giovane che la chiede in matrimonio, risponde: «Dio mi
vuole per sé. Egli mi riserva per un'opera che non è ancora
conosciuta, per un'opera che non è ancora fondata». E rispondendo
prontamente, fa due parti dei suoi vestiti, lascia quelli più belli alle
sorelle e parte per St Servan dove, per 6 anni, il suo lavoro di aiuto
infermiera la metterà in contatto con la miseria fisica e morale.
Chiede anche di appartenere al Terz'Ordine eudista. In esso scoprirà
un cristianesimo del cuore: «Avere una sola vita, un sol cuore, una
sola anima, una sola volontà con Gesù». Farà al tempo stesso
l'esperienza di una vita attiva e contemplativa centrata su Gesù. Da
questo momento in poi, non avrà più che un solo desiderio: «essere
umile come lo è stato Gesù». È il suo stile personale, un dono che la
caratterizza e a cui risponderà con tutto il cuore.
Dopo una prova di salute, Jeanne deve lasciare l'ospedale ed è
accolta da un'amica terziaria, la Signorina Lecoq, che servirà per
12 anni, fino alla sua morte nel 1835.
Nel 1839, ha 47 anni e condivide due piccole camere con due
amiche: Fanchon, 75 anni, e Virginie Trédaniel, una giovane orfana
di 17 anni. A St Servan, la situazione economica è pessima. Su 10.000
abitanti, 4.000 vivono di mendicità. Un ufficio di beneficenza è
fondato dall'amministrazione locale. Potranno usufruirne solo i
poveri del comune, a condizione di portare appeso al collo un cartello
che riporta la scritta «Povero di St Servan». Jeanne si situerà nelle
profondità di questa miseria. Dio l'ha aspettata nel povero, lei lo
incontrerà nel povero. Una sera d'inverno del 1839, Jeanne, commossa,
incontra una povera donna, anziana, cieca ed inferma, che
ha perso da poco il suo unico appoggio. Jeanne non esita un secondo.
La prende tra le sue braccia, le dà il suo letto e se ne va a dormire in
soffitta. È la scintilla iniziale di un grande fuoco di carità. D'ora in poi
nulla più la fermerà. Nel 1841, affitta una grande stanza dove
accoglie 12 persone anziane. Alcune giovani si uniscono a lei. Nel
1842, acquista - pur non avendo denaro - un vecchio convento in
rovina dove ben presto saranno ospitati 40 anziani. Per far fronte al
problema finanziario ed incoraggiata da un Fratello di San Giovanni
di Dio, Jeanne si lancia sulle strade, cesto al braccio. Si fa mendicante
per i poveri e fonda la sua opera sull'abbandono alla Provvidenza.
Nel 1845, le viene conferito il Premio Montyon che ogni anno ricompensava
«un francese povero che durante l'anno aveva compiuto
l'azione più virtuosa ». Seguono le fondazioni di Rennes e di Dinan
nel 1846, quella di Tours nel 1847, di Angers nel 1850. Qui menzioniamo
solo le fondazioni alle quali Jeanne ha partecipato, poiché
molto rapidamente la Congregazione si estenderà in Europa,
in America, in Africa del nord, poi poco tempo dopo la sua morte
in Asia ed in Australia.
Ma questa fecondità è il frutto di uno spogliamento totale,
radicale. Nel 1843, mentre Jeanne era appena stata rieletta superiora,
inaspettatamente e di sua sola autorità, l'abate Le Pailleur,
consigliere degli inizi, annulla l'elezione e nomina Marie Jamet (21
anni) al suo posto. Jeanne vede in ciò la volontà di Dio e si sottomette.
D'ora innanzi e fino al 1852, è attraverso la questua che sosterrà la
sua opera, andando da una casa all'altra, incoraggiando con il suo
esempio le giovani sorelle ancora inesperte, ottenendo le autorizzazioni
ufficiali necessarie alla sopravvivenza dell'Istituto.
Nel 1852, il vescovo di Rennes riconosce ufficialmente la Congregazione
e nomina l'abate Le Pailleur superiore generale del94
l'Istituto. Il primo gesto di quest'ultimo sarà quello di richiamare
definitivamente Jeanne Jugan alla Casa madre per un ritiro che
durerà 27 lunghi anni. Mistero di nascondimento. Alla fine della sua
vita, le giovani sorelle non sapranno neanche più che lei è la
fondatrice. Ma Jeanne, vivendo in mezzo alle novizie e postulanti
sempre più numerose a causa dell'estensione della Congregazione,
trasmetterà con la sua serenità, la sua saggezza ed i suoi consigli il
carisma che la abita e che ha ricevuto dal Signore. E questo, in un
costante spirito di lode. In verità poteva dire: «Siate piccole, piccole,
piccole»; «È così bello essere poveri, non avere niente, attendere
tutto dal buon Dio»; «Amate il buon Dio, è così buono. Affidiamoci
a lui»; «Non dimenticate mai che il Povero è nostro Signore»; «Non
rifiutate niente al buon Dio»; «Guardate il Povero con compassione
e Gesù vi guarderà con bontà».
Il 29 agosto 1879, si addormenta serenamente nel Signore dopo
aver pronunciato queste ultime parole: «Padre eterno, aprite le
vostre porte oggi alla più misera delle vostre figlie, che ha però tanto
desiderio di vedervi!... O Maria, mia madre buona, venite a me.
Sapete che vi amo e desidero tanto di vedervi».
La Congregazione all'epoca contava 2400 Piccole Sorelle diffuse
in 177 case in tre continenti. «Se il chicco di grano caduto in terra non
muore, rimane solo, se invece muore, porta molto frutto ».
Il 13 luglio 1979, Giovanni Paolo II riconosce l'eroicità delle sue
virtù e la beatifica nella Basilica di San Pietro, a Roma,
il 3 ottobre 1982.