Percorsi di Fede

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BIBBIA: LE DOMANDE SCOMODE

a cura di Mons. Gianfranco Ravasi

Gesù era sposato oppure no?

Un recente successo editoriale ripropone la vexata quaestio del celibato volontario di Gesù. Il polpettone romanzesco "Il codice da Vinci" dell’americano Dan Brown è stato scambiato da molti come frutto di documentate ricerche storiografiche e non, come effettivamente è, una sequenza di libere fantasie. Una delle spezie da lui usate è stata anche quella di riproporre un eventuale amore segreto di Gesù per Maria Maddalena. Vorremmo affrontare la questione da una visuale più seria, pur se il tema non riceve una giustificazione sufficiente di trattazione all’interno della documentazione evangelica. Intendiamo riferirci a un ipotetico matrimonio di Gesù sostenuto da qualche studioso, tenendo conto del contesto sociale e culturale in cui operava Cristo: nell’antico Israele quello matrimoniale era, infatti, lo stato civile normale e il celibato era considerato abnorme e stravagante. All’argomento si è dedicato con insistenza una trentina d’anni fa uno studioso americano, William E. Phipps, con l’opera Was Jesus Married? The Distortion of Sexuality in the Christian Tradition (Gesù era sposato? La distorsione della sessualità nella tradizione cristiana), edito da Harper & Row 1970, New York (lo stesso autore ha ripreso il tema in un secondo volume, The Sexuality of Jesus, pubblicato dal medesimo editore nel 1973). Dirò anche che normalmente il cosiddetto argomento ex silentio, che è appunto scelto da Phipps (il silenzio dei vangeli sul "matrimonio" di Gesù sarebbe una conferma della sua "normalità"), è dagli storici adottato a livello generale con ritrosia ed esitazione. Vorrei far osservare che l’argomentazione potrebbe essere persino un boomerang per chi la usa troppo apoditticamente, come fa lo studioso americano. Il Nuovo Testamento è ben lungi dall’essere silenzioso sui legami familiari di Gesù. Tutti i vangeli ma anche gli Atti degli Apostoli e persino Paolo (allusivamente) parlano della madre Maria, di un padre legale di nome Giuseppe, di quattro "fratelli" (lasciamo stare il grado di parentela sotteso al vocabolo) dei quali vengono elencati i nomi (Giacomo, Ioses, Giuda e Simone) e delle "sorelle" non nominate, per non parlare della parente di Maria, Elisabetta, e del relativo marito Zaccaria col figlio Giovanni. C’è poi un’altra lista di donne che accompagnano Cristo nel ministero pubblico, con qualche traccia parentale ulteriore (Mt 27,55; Mc 15,40; Lc 8,2-3). Data questa sorprendente loquacità del Nuovo Testamento – confermata da altri autori immediatamente posteriori come lo scrittore giudeo-cristiano Egesippo del II secolo che introduce anche uno zio di Gesù di nome Cleopa e un cugino, Simone – il silenzio sulla moglie di Gesù ha un valore storico antitetico rispetto a quello ipotizzato da Phipps: i vangeli non parlano mai di sua moglie per il semplice fatto che non esisteva. Ma andiamo al cuore dell’argomento di Phipps che, tra l’altro, nel suo libro si lascia tentare anche dalla fantasia, riproponendo il solito luogo comune, evocato pure da Brown, di Maria Maddalena sposata a Gesù prima dei vent’anni (sic!). È vero che nel giudaismo lo stato coniugale era la norma, soprattutto per i maestri, e quindi Gesù da buon ebreo avrebbe dovuto osservarla. Ma, a parte il fatto che Cristo non fu così tanto "buon ebreo" osservante (il processo finale del Sinedrio dirà pure qualcosa, come le frequenti contestazioni opposte a lui dall’autorità religiosa giudaica), bisogna notare che anche per l’ebraismo di quel periodo la norma non fu così costante e uniforme. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, il filosofo ebreo della Diaspora Filone e lo storico latino Plinio il Vecchio concordano nel presentarci gli Esseni, cioè la comunità giudaica che aveva una delle sedi anche a Qumran (luogo del ritrovamento dei celebri manoscritti), come celibi. Con motivazioni differenti da quelle che sosterranno il celibato secondo la visione di Gesù, anche il profeta Geremia era stato celibe ed è quasi certo che lo fosse il Battista, che forse aveva avuto qualche contatto, sia pure generico, con gli Esseni. Anzi, con argomentazioni simbolico-rituali, il giudaismo giungerà al punto di presentare come celibe persino Mosè al Sinai. Ma nello stesso ceto dei maestri rabbinici del I secolo si segnala il caso di Simeon ben Azzai, che rimase celibe perché – affermava – «la mia anima è innamorata della Torah e il mondo può essere portato avanti da altri». C’è poi il caso del celibato "vocazionale" di personalità religiose pagane del tempo, come lo stoico Epitteto e il mistico pitagorico Apollonio di Tiana. Per capire la scelta celibataria di Cristo – che risulta, quindi, storicamente parlando, il dato più sicuro – c’è una frase che egli pronunzia in un dibattito sul divorzio e che meriterebbe una lunga analisi. In Mt 19,12 dice: «Vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre e vi sono eunuchi che sono stati resi tali dagli uomini e vi sono eunuchi che si sono resi tali a causa del regno dei cieli». La frase è molto forte, ma illustra nitidamente la finalità di dedizione assoluta che Cristo attribuiva a una scelta che non era stata quindi non meramente anagrafica. 

 

Gianfranco Ravasi

Da 'Vita Pastorale' Aprile 2005

Vedi anche Marco Fasol