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I Segni straordinari del Beato Domenico Savio
Biografie online di S, Domenico Savio
Santo il 12 Giugno 1954 da Pio XII
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Martedì 27 Febbraio 2018 alle ore 20.44
CAPO XXVII
Emulazione per la virtù del Savio: molti si raccomandano a lui per ottenere celesti favori, e sono stati esauditi - Un ricordo per tutti
Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto intorno al giovanetto Savio Domenico, non si meraviglierà che Dio si sia degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di lui in molte guise. Mentre egli ancor viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempi ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla santità della vita, dall’innocenza dei suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli era ancora nella vita mortale. Ma dopo morto crebbe assai verso di lui la confidenza e la venerazione.
Appena giunse tra noi la notizia di sua morte, parecchi suoi compagni lo andavano proclamando per santo. Si radunarono essi per recitare le Litanie per un defunto; ma invece di rispondere ora pro eo, cioè, Santa Maria, pregate pel riposo dell’anima di lui, non pochi rispondevano: ora pro nobis: Santa Maria pregate per noi. — Perché, dicevano, a quest’ora Savio gode già la gloria del Paradiso e non ha più bisogno delle nostre preghiere.
Altri poi soggiungevano: — Se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio, che tenne una vita così pura e cosi santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare? — Onde fin d’allora diversi amici e compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiarono di farselo modello nel bene operare e cominciarono a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.
Quasi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l’anima.
Io ho veduto un giovane che pativa mal di denti che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull’istante, e finora non andò più soggetto a questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono esauditi. Io fui testimonio di uno che istantaneamente ottenne la grazia di essere liberato da una forte febbre.
Ho sott'occhio molte relazioni di persone che espongono celesti favori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbene il carattere e l’autorità delle persone che depongono questi fatti siano per ogni lato degne di fede, tuttavia essendo esse ancor viventi, stimo meglio di ometterli per ora e contentarmi di riferire qui soltanto una grazia speciale ottenuta da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico.
L’anno 1858 questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, assoggettarsi a molte cure e in fin dell’anno non gli fu possibile di subire l’esame.
Gli stava molto a cuore di potersi almeno preparare per l’esame di Tutti i Santi, perciocché in tale guisa avrebbe impedito la perdita di un anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano sempre più scemando. Si recò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora con amici in campagna, e già gli pareva di aver alquanto migliorato nella sanità.
Ma giunto a Torino e postosi per poco tempo a studiare, egli ricadde peggio di prima. «Io ero vicino agli esami, e la mia salute si trovava in deplorevole stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza. Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch’io a lui raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti condiscepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per primeggiare nella nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Ottienimi dunque, ti prego, dal Signore un po’ di salute, affinché io mi possa preparare». Non era ancor compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a fare così notabile e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare, e con insolita facilità imparare le materie prescritte e prendere benissimo l’esame. La grazia poi fu non di un momento, poiché attualmente io mi trovo in uno stato di regolare salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per intercessione di questo mio compagno, mio famigliare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazia fu ottenuta, e la mia sanità continua ad essere la medesima con grande mia consolazione e vantaggio.
Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare più sotto alcuni altri fatti in forma d’appendice, nel modo che sembrano tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacché fosti benevolo di leggere quanto fu scritto di questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, che fu coronata da una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo una doppia caparra di essergli simili nella preziosa morte.
Ma non manchiamo d’imitare il Savio nella frequenza del Sacramento della confessione, che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e con le dovute disposizioni a questo bagno di salute nel corso della vita: ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non manchiamo di volgere un pensiero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben fatte, e se ne scorgiamo il bisogno rimediamo ai difetti che per avventura fossero occorsi. A me sembra che questo sia
il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora colla ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la
sua grande misericordia e condurci, siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità, per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia.
La conclusione del libro, che vorrebbe essere la spiegazione di tutto quello che formò la santità del Savio, cioè la frequente confessione, suggerisce a D. Caviglia l’osservazione seguente: «In questa sintesi, squisitamente spirituale e storicamente vera, D. Bosco nasconde se stesso, ossia la parte che a lui spetta nell’educazione della santità del suo angelico alunno. Noi non possiamo permetterlo. La meravigliosa figura del Savio santo è opera di collaborazione; dopo la grazia di Dio, che vuol sempre essere sottintesa, vi hanno lavorato il fanciullo e il suo Maestro, in perfetta corrispondenza e concordanza, con totale arresa del discepolo ed arte sapiente del Maestro; più ancora: in grazia d’un’affinità di spirito che nell’alunno, fatto per quella scuola, rispecchiò la stessa delicatezza di spirito del Maestro: Savio Domenico fatto per D. Bosco e D. Bosco fatto per lui. L’Educatore di Santi afferma qui che codesta collaborazione si è compiuta essenzialmente nella Confessione, e noi dobbiamo stare alla parola di lui, unico competente per dirlo; ma poiché egli fu, ed egli solo, quegli che lavorò quell’anima nello scambio di quei colloqui sacri e segreti della direzione spirituale, non possiamo non riconoscere che la santità del Savio fu guidata e sostenuta da D. Bosco, ed è cioè frutto dell’opera sua».
Le spoglie del Savio ebbero quattro collocazioni: 1° nel campo comune in una fossa all’aperto (11 marzo 1857); 2° in una fossa presso il muro posteriore della cappella cimiteriale (forse nel 1859-60); 3° in un loculo costrutto dall’esterno sotto l’altare di detta cappella (21 novembre 1866); 4° in un monumentino all’interno della medesima cappella presso l’altare (26 settembre 1907 commemorandosi il cinquantenario della morte).
D. Bosco fin dal 1864 aveva tentato di dare più degna sepoltura al suo santino; ma le pratiche non approdarono. Egli teneva già pronto l’epitaffio da lui composto, che fu poi nel 1903 sostituito da un altro. Quello del Santo, rinvenuto tra le sue carte, è del tenore seguente:
QUI
DORME IN PACE
SAVIO DOMENICO
NATO IN RIVA DI CHIERI IL 2 APRILE 1842 PASSATA NELLA VIRTÙ LA PUERIZIA IN CASTELNUOVO D’ASTI
SERVIVA IDDIO PIÙ ANNI CON FEDELTÀ E CANDORE NELL’ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES IN TORINO
E MORIVA SANTAMENTE IN MONDONIO
IL 9 MARZO 1857
PER SEGNI NON DUBBI CHE EGLI È PREDILETTO DAL SIGNORE
LA SPOGLIA SUA MORTALE DAL PUBBLICO CIMITERO ERA QUI TRASFERITA NEL 1864
PER CURA DEI SUOI AMICI E DI QUELLI CHE AVENDO PROVATO GLI EFFETTI DELLA SUA CELESTE PROTEZIONE
GRATI E ANSIOSI ATTENDONO LA PAROLA DELL’ORACOLO INFALLIBILE DI SANTA MADRE CHIESA
Come si vede, il Santo ne auspicava chiaramente la beatificazione e canonizzazione. Riportiamo la sintesi che D. Caviglia presenta del pensiero di S. Qiovanni Bosco a questo riguardo (o. c., 584): « D. Bosco riteneva per santo Savio Domenico. Fu udito più volte a dire che, se fosse dipeso da lui, per l’intima conoscenza che aveva delle virtù del Servo di Dio, l’avrebbe proclamato Santo, e che di questa sua persuasione aveva parlato anche con Pio IX (S. P., Francesia, 397). O, con altre parole: “ Non avrei alcuna difficoltà, se fossi Papa, di dichiarare Santo Savio Domenico ” (ivi, Francesia, 376). Egli ripeteva, dice la Cronaca di D. Domenico Ruffino, di ritenere le virtù del Savio per nulla inferiori a quelle di S. Luigi Gonzaga. E non solo lo proponeva ripetutamente (intendi: in quegli anni primi, di cui parla la Cronaca) all’imitazione dei giovani, ma anche ebbe a dire più d’una volta essere egli convinto che Domenico Savio avesse emulato lo stesso S. Luigi, e che perciò la Chiesa l’avrebbe un giorno elevato all’onore degli altari».
Il 4 aprile 1908 fu aperto a Torino il Processo Ordinario informativo e il 14 febbraio 1914 venne introdotta la Causa di Beatificazione per il Processo Apostolico. Allora si pensò di trasportare i resti mortali del Servo di Dio nella basilica di Maria Ausiliatrice. Un primo tentativo del 19 ottobre andò fallito per la risoluta opposizione della popolazione di Mondonio; ma un secondo del 27 ottobre riuscì felicemente. Così quei resti furono tumulati nella basilica.
APPENDICE SOPRA ALCUNE GRAZIE OTTENUTE DA DIO PER INTERCESSIONE DI SAVIO DOMENICO
Fra le moltissime grazie che si reputano da Dio ottenute ad intercessione di Savio Domenico, io ne trascelgo alcune, che tra esse presentano un carattere più ordinario. Di codeste grazie esiste nella Curia Arcivescovile di Torino una relazione autentica firmata da coloro stessi che hanno ricevuti tali celesti favori e che ne fecero pubblica deposizione. Affinché poi ogni cosa si esponga con maggior esattezza e veracità, ho pensato di scrivere i fatti tali quali esistono nelle mentovate autentiche relazioni; sono come segue.
Guarigione da febbri maligne
Se è proprio del Cristiano tenere nascosti i fatti che ridondano a gloria di se stesso, egli è però suo dovere il rendere manifeste quelle cose, che servono a glorificare i servi di Dio ed esaltar il santo di lui Nome in faccia agli uomini.
Questo dovere è quello appunto che mi stringe a pubblicare un fatto riguardante al servo di Dio Domenico Savio, che io riconosco mio protettore dinanzi a Dio e benefattore di mia famiglia.
Io mi era già alcune volte raccomandata al giovane Luigi Comollo, siccome avevano fatto altri; e Dio nella sua grande bontà mi aveva sempre esaudita; più volte purè mi raccomandai a Savio Domenico, la cui intercessione mi fu sempre efficace presso al Signore. Motivi particolari mi persuadono a tacere vari fatti, ma per compiere la mia promessa, uno almeno io debbo rendere manifesto, sia per dare a Dio l’onore che gli è dovuto, sia per glorificare in faccia ai cristiani quel servo fedele che Dio stesso ha fatto depositario de’ suoi tesori.
Ecco il fatto: non racconto altro che la pura e coscienziosa verità.
Il giorno 8 di settembre 1858 fui sorpresa da una costipazione, che dopo avermi legata qualche settimana al letto, degenerò in febbri.
Mi sono assoggettata ad ogni cura dei periti dell’arte, ma tutto inutilmente. Anzi la gracile mia complessione e la mia sanità già prima cagionevole, in breve mi condussero a grave debolezza e ad una pressoché totale prostrazione di forze.
Rimedi, visite, consulti, cambiamenti di aria e di paesi furono per me senza risultato. Ai malori del corpo si aggiunsero le afflizioni dello spirito che mi si andavano aumentando, perché non poteva attendere ai miei doveri di madre di famiglia. Povera me! Prostrata in un letto, perduta ogni speranza nei medici e nelle medicine, nulla più mi rimaneva che l’aiuto del cielo, e questo non mi mancò. Era stato stampato da pochi giorni il libretto che conteneva la vita del Savio Domenico; e mossa dalle belle virtù che in vita egli seppe praticare, e mossa assai più dalle grazie che altri a sua intercessione avevano ottenuto, deliberai di raccomandarmi a lui per essere sollevata dalle mie angustie.
La notte del 20 febbraio 1859, confidando nella potenza di Dio, che in copia concede i suoi favori per intercessione di coloro che gli furono fedeli in vita; spinta dal bisogno di qualche conforto nelle mie afflizioni ed un sollievo a’ miei mali, proferii queste parole: «Oh tu, Savio Domenico, che nei pochi anni di vita, sapesti giungere a così alto grado di virtù, conferma la potenza e la bontà di Dio, fammi conoscere che tu sei ne’ cieli e che da quel luogo di beatitudine proteggi i tuoi devoti. Ottienimi dal Signore che io sia sollevata da’ miei mali, e possa riacquistare la mia primiera sanità. Io ti prometto che racconterò ovunque io possa, il favore che tu sarai per ottenermi dal Signore».
Finiva appena le ultime parole, quando sento un brivido in tutta la persona. Il mio spirito rimane sull’istante sollevato: si calmano i miei mali, scomparisce la febbre, ed un dolce sopore mi invade per modo che riposai tranquillamente tutta la notte. Al mattino io era perfettamente guarita. Il dott. Frola, da cui era visitata, rimase non poco stupito di tale miglioramento.
— Non so, egli disse, quale rimedio le abbia potuto fare tanto bene. Certamente la mano di Dio ci ha preso parte.
Io mi levai dal letto e mi trovai tosto in perfetta salute dopo una malattia, a cui non sarebbero bastati più mesi di convalescenza.
Scorsero già otto mesi da che sono guarita da’ miei malori, e finora, grazie a Dio, e all’intercessione del santo giovanetto Savio Domenico, non sono più andata soggetta ad incomodo di sorta. Quanto io qui racconto spontaneamente, desidero che sia pubblicamente stampato ovunque si giudichi tornare a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime: e son disposta di confermare le stesse cose in presenza di qualunque persona. D’allora in poi feci altre volte ricorso a questo celeste benefattore, e ne fui sempre esaudita. Valgano questi fatti ad eccitare fiducia in altri fedeli cristiani onde facciano ricorso a questa fonte di benedizioni e trovare nei bisogni spirituali e temporali un efficace conforto in colui che santamente visse sopra la terra, e che oggi glorioso ci protegge dal cielo.
Torino, 15 ottobre 1859. Contessa Buschetti, nata di Mezzenile.
Guarigione da grave mal d’occhi
Era l’anno 1858 circa il finire di maggio, quando fui preso da forte mal d’occhi. Questo ora crescendo, ed ora diminuendo, mi travagliò sino a novembre del 1859.
Cominciando poi da marzo di quest’anno crebbe a tale, che fui costretto da principio a lasciar quasi del tutto lo studio, in fine di abbandonarlo affatto. Giunto però ai primi giorni di luglio il mio malore si aggravò a segno, che il collegio medesimo, dove si stava molto bene, mi parve insopportabile.
Di modo che sia pel male che pativa, sia per un’afflizione che mi struggeva il cuore nel vedere i miei condiscepoli a faticarsi per ottenere un buon esito nei vicini esami, dovetti andarmene a casa. Ero persuaso di trovare nel paese miglioramento, ed infatti migliorai alquanto. Ma questo fu di breve durata.
Erano appena scorsi quattro o cinque giorni dacché aveva cominciato a star meglio, che il male peggiorò, e non solo fui ridotto allo stato di prima, ma ad altro di gran lunga più deplorabile. Ricorsi allora ad alcuni dottori. Uno di essi mi ordinò di prendere 400 pillole di non so qual materia. Le ho prese secondo l’avviso datomi, ed ho fatto puntualmente tutto quello che mi fu detto di fare, ma sempre invano. Mi sono fatto fare quattro salassi ed il male era sempre allo stesso grado. Per cinque volte mi furono messi dei vescicanti dietro le orecchie, ma non si vedeva alcun giovamento. In questo tempo mi era anche fatto visitare da altri dottori i più accreditati in fatto di mal d’occhi, quali sono il cavaliere Sperini, il dottore Fissore ed il dottore Paganini, ma dopo avermi assoggettato a varie prove dell’arte, mi risposero chiaramente, che il modo di curare il morbo di cui io era affetto, era almeno per essi ancora sconosciuto. Allora io stanco di me stesso, non sapeva a chi rivolgermi. Passava i miei giorni sempre in una camera oscura. Ogni divertimento mi era venuto in aborrimento, ed intanto il dintorno degli occhi si era fatto talmente rosso, che questi sembravano due gemme accerchiate di scarlatto. Verso il fine però di ottobre mi pareva di sentir qualche miglioramento. Perciò colla speranza di acquistare ben tosto una perfetta guarigione mi recai al collegio.
Ma non erano passate due settimane, che con tanta forza gli occhi mi si ammalarono, e mi lasciarono incerto se ancor avrei potuto seguire i miei studi. Allora mi son fatto mettere vescicanti alle braccia ; li ho fatti rinnovare ; così pure alle orecchie più volte, ma nullo era il profitto. Mi avvicinava spesso al nostro Direttore, affinché mi consolasse con quei detti che egli sapeva essermi di vantaggio temporale e spirituale, con l’incoraggiarmi ad aver pazienza, col darmi qualche speranza di presto guarire. Una sera fra le altre, mentre tutti i miei compagni radunati ciascun nella propria classe cantavano, io pensieroso e tristo, col volto tra le mani stava seduto ed appoggiato alla tavola presso cui era il Direttore. Quando egli alzandosi mi si accostò pian piano e, toccatemi le spalle, quasi ridendo mi fece questo motto:
— Che non possiamo una volta liberarti da questo male? La voglio finita. Voglio che prendiamo Savio Domenico pel ciuffo e non lo lasciamo più andare finché ci abbia ottenuto da Dio la tua guarigione.
A queste parole io lo guardai fisso in volto, e non aprii bocca. Allora egli seguitò a dire:
— Sì, tu prega tutti i giorni di questa novena [era la sera del giorno prima che si incominciasse la novena dell’Immacolata Concezione] Savio Domenico affinché interceda per te e ti impetri questa grazia. Procura di trovarti in tale stato da poter fare la santa comunione ogni mattina di questa novena. La sera poi prima di coricarti digli così: Savio Domenico prega per me, ed aggiungi una Ave Maria. Io promisi di fare puntualmente quello che m’aveva detto. Ed egli:
— Bene, disse, tu fa’ quel che t’ho detto ed io in tutti i giorni di questa novena mi ricorderò di te nella santa Messa. E chi sa, proseguì, chi sa che questa volta Savio Domenico non ci scappi prima che tu sia guarito.
Il giorno stesso che ho cominciato a far la mia novena, sentiva già qualche alleviamento nel mio male. Allora con maggior fervore continuai le mie pratiche di pietà. E qual ne fu il premio? Io ben lo vedo. Gli occhi miei
furono in pochi giorni perfettamente guariti. Io durante la novena avevo promesso a me stesso, che se dopo un dato tempo non fossi ricaduto, avrei fatto il possibile per far palese in onor di Savio Domenico questa grazia da lui ricevuta. Ora mantengo la mia promessa, poiché il tempo fissato (1° febbraio 1860) è corso, ed io sto benissimo. Spero che Savio Domenico vorrà continuare il suo favore ed io farò quanto posso per essergli riconoscente studiandomi d’imitarlo in quelle virtù che egli fece cotanto risplendere nella vita mortale. Sia intanto lode a Dio e a Savio Domenico, per la cui speciale protezione ho ottenuto questa grazia.
Torino, 1 febbraio 1860. Grazie a Dio continuo tuttora nel buon essere di perfetta salute degli occhi miei e confermo quanto sopra. Torino, 20 marzo 1861
Donato Edoardo di Saluggia.
Guarigione istantanea da mal di denti
Avendo letto la vita del santo giovanetto Savio Domenico, io me ne era scolpita una profonda venerazione.
Ma un fatto degno di osservazione che mi obbliga infinitamente verso questo Angioletto di paradiso è quello che sono per esporle, pregandola di dargli quella pubblicità che V. S. stimerà conveniente. Fin dal mattino del giovedì 7 aprile del corrente anno (1859) io mi sentiva affetto da un legger mal di capo. Non vi badai credendolo passeggero, ma sentii che verso il mezzodì, e più verso sera, andava aggravandosi, e non mi lasciò lavorare punto quel giorno, né dormire la notte seguente. Alzatomi venerdì col dolore sempre crescente, mi si aggiunse un mal di denti così acuto, che malgrado mi sia sforzato di andare a scuola, non potei attendere né allo studio, nè alle spiegazioni, nè ad altra cosa, tanto mi crucciava lo spasimo del dente. E come aveva cominciato, così pure continuava a dolere non solo, ma ad accrescersi, finché la sera, reso io troppo esacerbato dall’acutezza della doglia, mi diedi ad un piangere dirotto. Era l’ora della scuola serale, io mi andava vagando per la casa dal dolore malmenato, quand’ecco mi sorprese in quello stato il Prefetto mentre piangeva sul balcone, che guarda il cortile rustico.
— Raccomandati a Savio Domenico, mi disse egli, poiché intese la cagione per cui mi doleva. Raccomandati a Savio Domenico, egli può guarirti, se vuole.
Ringraziai di cuore il Prefetto di un tanto consiglio, e rimproverai me stesso di non averci pensato prima. Corsi tosto all’altare di Maria, m’inginocchiai in quell’angolo della predella che era stata tante volte consacrata dalla presenza del Savio, dove egli si ritirava nel silenzio del santuario a spargere le lacrime della sua filiale tenerezza verso la più cara di tutte le madri, e dove egli veniva ad attingere in tanta copia l’amore, lo zelo e la pietà che ora gli fanno bella corona in cielo. Colà prostrato feci il segno della santa croce, e cominciai a pregare, risoluto di ottenere la guarigione ad ogni costo, purché fosse secondo la volontà di Dio. Il male aveva sempre più che mai infierito fino allora. Quando alle parole: Sed libera nos a malo sentii istantaneamente in un baleno cessarmi la doglia. Il sangue ripigliò il suo corso regolare, la guancia tornò al suo stato normale, ed io mi trovava bello e sanato e tranquillo, senza più traccia alcuna che rimanesse a ricordarmi lo spasimo sofferto!
Qual fu, qual è, quale dovrà essere la mia riconoscenza verso questo caro angioletto, che così prontamente mi ha esaudito? e quanto più propenso non debbo stimarlo pel bene dell’anima mia colui che con tanta celerità guariva il mio corpo? Voglia la S. V. prendere in considerazione quanto mi è accaduto ed usarne in quel modo che giudicherà più atto a promuovere la gloria di Dio e la confidenza verso del santo Savio Domenico.
Obbedientissimo figlio Galleano Matteo di Caramagna.
Deposizione d’una madre che aveva il suo figliuolo ammalato a Torino nell’ospedale dei santi Maurizio e Lazzaro
Contava già circa un mese dacché io aveva nell’ospedale dei santi Maurizio e Lazzaro il mio unico figliuolo infermo. Il suo male era prodotto dal sangue, che, essendogli furiosamente corso al cervello, lo faceva delirare. Fra le altre circostanze della sua malattia merita specialmente di essere notata questa, che egli si era messo in capo di non volere più proferire parola. Niuno può immaginarsi il dolore di una madre che mira l’unico suo figliuolo travagliato da malattia che non ammette più speranza di guarigione. Nella mia cadente età non avrei più avuto soccorso di sorta, prevedeva per me una vita infelice.
Un giorno in cui acerbo dolore mi opprimeva il cuore, mi recai all’ospedale con alcuni miei parenti. Poiché fummo al letto dell’infermo, all’udire il gran numero di salassi a lui già fatti, al vederlo pallido e sfinito come un cadavere, diedi in dirotto pianto: nè cosa del mondo mi poteva consolare. Ma viva Dio, che si degnò di recarmi inaspettato soccorso e cangiare i miei affanni nella più grande consolazione! In quel momento io vidi un giovane, avente un piccolo libro tra le mani; si appressa ad un letto vicino a quello del figliuolo mio, ed apertolo, mostrava all’infermo ivi giacente l’immagine di un giovanetto, nell’età di quindici anni circa, di cui quel libro narrava le virtuose azioni. Egli consigliava ed esortava l’infermo a voler ben leggere, ed imitare le virtù di quel giovanetto che visse e morì da santo. Alla vista di quel libro e di quell’effigie, credetti tosto che il giovane in essa rappresentato fosse qualche santo; ed avvicinandomi cogli occhi lacrimosi: — O caro giovane, dissi a quello che teneva il libro fra le mani, concedetemi per amore di Dio e della Beata Vergine uno di questi libretti pel mio figliuolo. — Egli rispose non avere difficoltà alcuna a donarmi uno di quei libri, ma essere cosa inutile il darlo a leggere ad un infermo delirante, esser meglio che si raccomandasse a quel giovanetto di santa vita, chiamato Savio Domenico, implorando da lui la guarigione. Approvai decisamente la proposta, e fattami all’orecchio del quasi agonizzante mio figliuolo, con voce tremante:
— Caro figlio, gli dissi, ascolta, raccomandati al giovane Savio Domenico, affinché ti ottenga da Dio la guarigione. — A queste parole l’infermo non proferisce sillaba; volge un occhio severo alla madre, e sta immobile alcuni momenti, quindi con grande stupore degli astanti, e con grande mia consolazione, prorompe in questi detti;—Mi raccomando. — Non ho parole di esprimere la gioia, il contento che provò il mio cuore all’udire la voce di un figliuolo, di cui aveva pressoché perduto ogni speranza di guarigione, all'udir quella voce che già da diciotto giorni più non suonava all’orecchio. Allora feci ogni sforzo per fargli conoscere la santità e la virtù del Savio cui ci eravamo ambedue caldamente raccomandati.
Cosa meravigliosa! poco dopo sentirsi quasi perfettamente risanato da una malattia per cui i medici l’avevano già condannato alla tomba, o almeno al manicomio.
Ora sia ringraziato il cielo: colla più grande consolazione vedo in perfetta e florida salute quel mio figliuolo che mi trasse dal cuore tanti sospiri, e mi fece spargere tante lacrime.
Torino, 10 aprile 1860.
Paira Maria
Altra guarigione da mal di denti
Io sottoscritto udii una sera a leggere una lettera, in cui si raccontava come un mio compagno poco prima tormentato da gravissimo mal di denti, si era raccomandato a Savio Domenico, ed istantaneamente ne era rimasto affatto libero. Io mi trovavo pure tormentato da parecchie settimane dallo stesso male, di modo che da molto tempo era costretto a tenere la faccia avviluppata, senza che però ne potessi ricavare alcun miglioramento. Animato dal felice successo del compagno, chiesi al Direttore:
— Dovrò pur io fare la prova di raccomandarmi a Savio?
— Sì, fanne la prova, mi rispose quegli, digli di questa sera medesima un Pater ed un’Ave e poi confida in lui.
Recatomi in camera, recitai l’orazione indicatami, quindi pieno di fiducia di rimaner guarito mi posi a letto. Mi addormentai ben tosto, ed invece che le notti antecedenti doveva passarle in gran parte vegliando a motivo del dolore dei denti, questa notte la passai tutta intera dormendo saporitissimamente senza essere minimamente disturbato. Quando al mattino fui svegliato, subito secondo il solito presi il pannolino per avvilupparmi nuovamente il volto, ma che? pensando come mai avessi potuto dormir sì bene mi accorsi che io era perfettamente guarito. Lasciato allora il pannolino, tutto allegro mi levai facendo noto ai compagni la grazia ricevuta, cagione della straordinaria allegrezza. D'allora in poi non ebbi più a provare mal di denti. Perciò riconoscente pel benefizio ricevuto da Savio Domenico, mentre di cuore
lo ringrazio, ne fo la presente testimonianza.
Revello, 20 aprile 1859
De matteis Carlo
Altra guarigione da grave mal d’occhi
Un altro giovane fa la seguente dichiarazione: Da più settimane travagliato dal mal d’occhi, io mi trovava nella necessità di dover abbandonare la scuola. Udite le pronte grazie ottenute da miei compagni, fui ripieno di gran fiducia nella protezione di Savio Domenico. Un giorno (era mercoledì santo 1859) dissi: — Debbo provare anch’io di raccomandarmi a Savio? Ha guarito tanti altri che non l’hanno neppur conosciuto; ed io che gli era compagno non vorrà ottenermi la grazia di poter guarire dal mal d’occhi? — Io doveva lavorare pel santo sepolcro, che suole farsi in detto giorno. Il Direttore mi rispose: — Bene, prova anche tu, recitagli un Pater ed una Ave, e domani tutto confidando in lui, fa i lavori che hai
da fare: procura però di offrirli ad onore di Dio. — Alla sera recitai la breve preghiera; e il giorno dopo mi sentii molto migliorato; di modo che potei compiere i miei lavori senza incomodo. Al sabato io era perfettamente guarito. Pieno di riconoscenza, ne fo la presente testimonianza, onde sia dilatata la gloria di questo servo di Dio, ed altri, mossi dall’esempio, ricorrano pure a lui con fiducia nei loro bisogni.
Torino, 20 luglio 1859
Mazzucco Giacinto di Nucetto
Guarigione repentina da gravi doglie intestine
Fra le varie cose operate in favore di persone, che ebbero ricorso al giovane Savio Domenico, è degna di essere riferita la meravigliosa guarigione di un giovane studente. Io stesso ed una moltitudine di giovani fummo testimoni oculari. Ecco come egli stesso narra il fatto.
Tre anni or sono, fui colpito da un’ernia, male terribile cagionato dallo spostamento di un viscere, per la cui guarigione ebbi a soffrire dolori acerbissimi. D'allora in poi nessuno indizio più si manifestò in me di quel male. Se non che al 20 del mese di febbraio di questo anno 1860, mentre mi trastullava con i miei compagni, fui colto dal malore medesimo. Non potendo più reggermi in piedi, fui costretto a pormi sull’istante a letto, travagliato dai più acuti dolori. Oppresso dal male e dagli affanni, non sapendo a qual partito appigliarmi, mandai a chiamare il Direttore, affinché mi suggerisse qualche rimedio, e mi desse qualche consiglio. Venne egli tosto presso al mio letto, e vedutomi straziato dai dolori, accondiscese al mio desiderio, e mi confessò. Intanto mandò a chiamare il medico, a comperare legacci, e per timore di troppo ritardo fu apparecchiata una vettura per condurmi, ove fosse d’uopo, all’ospedale, onde avere una pronta operazione. In questo mentre il dolore divenne così intenso, che io era fuor di me stesso e come in delirio. Anzi seppi poi che alcuni mi credevano moribondo e taluno anche morto, formandosi tale giudizio dal gran male che io pativa. Allora a caso il pensiero si portò sopra il defunto mio compagno Savio Domenico, di cui aveva letto la vita ed i favori che altri a sua intercessione avevano da Dio ottenuto, e sentendomi crescere la fiducia in lui, proferii queste precise parole: Se è vero che tu sia in cielo, fa’ di alleggerire questo mio male. E recitai un Pater, Ave e Gloria a suo onore. Terminava appena la preghiera quando m’invade un dolce torpore, che come un balsamo mitigò il male e quasi sull’istante presi sonno. Dormii circa un quarto d’ora. Di poi alcuni miei compagni mi svegliarono dicendomi essere pronti i legami per l’operazione, ed anche pronta la vettura per condurmi all’ospedale. — Non ho più alcun male, — risposi con grandissima mia e loro sorpresa, e di fatto io era perfettamente guarito, e mi sarei tosto alzato da letto, se la sera non fosse stata inoltrata, e non mi avessero consigliato a non farlo. L’indomani mi levai, tutto fu finito, ed ora sono in ottima salute.
Ciò tutto io debbo al giovane Savio Domenico, che intercedette per me presso il Signore Iddio, e mi ottenne un così segnalato favore, per cui conserverò la più viva gratitudine verso Dio e verso il celeste mio benefattore.
Bellino Carlo di Bard, provincia d’Aosta.
Altra guarigione da acuto mal di denti
Giacinta Patrone in attestato di riconoscenza verso Savio Domenico desidera che sia conosciuto il seguente favore che ella stessa ottenne ad intercessione di questo servo di Dio. Da buona pezza ella era molestata da grave mal di denti che non le lasciava più prender né riposo durante la notte, nè ristoro durante il giorno e persino la distraeva dalle cure della famiglia. Fece il tentativo di applicarvi quei rimedi che vengono suggeriti per mitigare tali doglie, ma tutti le riuscirono inutili: perciocché il suo male continuava a tormentarla colla stessa forza. Teneva essa appeso un quadro contenente l’immagine
di Savio Domenico, immagine che era stata regalata al suo figliuolo nell’Oratorio da lui frequentato. La vista di quella immagine le fece venire in mente le grazie che aveva letto essersi ottenute a di lui intercessione. Chi sa, disse fra se stessa, se il Savio non vorrà pure far sperimentare a me la forza della sua protezione? Per tanto a lui si rivolse a fine di ottenere ciò che non aveva potuto ottenere coi temporali rimedi, ed inginocchiata si mise a recitargli un Pater noster. Non aveva ancora finita sì breve orazione, quando sentissi interamente libera in modo che in appresso non fu mai più da esso molestata. Riconoscente per tale favore, introdusse nella sua famiglia la pia usanza di recitare ogni giorno un Pater ed Ave in onore di Savio Domenico, e desidera che molto si propaghi la devozione verso di lui.
Torino, 1 marzo 1861.
Patrone Giacinta
Altra guarigione di un’ernia pericolosa
Nella città di Chieri fu ad intercessione del Savio ottenuta una grazia degna di essere conosciuta. Certo Bechis Carlo di questa città da ben tre anni si trovava gravemente indisposto della persona a cagione di un’erma. Egli non poteva più sostenere alcuna fatica, perché il minimo sforzo che avesse fatto, per i forti dolori che ne seguivano, gli venivano meno le forze, né più si poteva reggere in piedi. Egli aveva già fatto uso di quanto l’arte medica e chirurgica sapesse suggerirgli; ma tutto invano, poiché l’incomodo invece di diminuire andava ognora crescendo. In principio di quest’anno medesimo mentre era tuttavia fortemente travagliato dal suo male, gli capitò tra le mani la vita del Savio Domenico. Egli che non poteva attendere ad altro lavoro, attentamente, e con gusto la lesse e rilesse. Al vedere come altre persone travagliate da diversi mali ed anche dalla sua medesima infermità avevano a lui ricorso ed erano state istantaneamente guarite, si senti ripieno di fede e cominciò a sperare fermamente di ottenere anch’egli dal Savio la sua guarigione. Senza frapporre tempo diede subito principio ad una novena in suo onore, diretta a tal fine. La novena consisteva in tre Pater, Ave e Gloria. Promise inoltre che ove avesse ottenuto il tanto desiderato favore, si sarebbe recato presso il sacerdote Bosco per fare la deposizione del fatto. Appena ebbe incominciata la novena prese a migliorare. Dopo tre o quattro giorni poté togliersi le bendature, che si usano per tale malattia, cui da lunga pezza non aveva più potuto deporre. Finita la novena egli tentò di lavorare, a far gravi fatiche e tutto gli riuscì benissimo senza più sentire il minimo dolore; egli era perfettamente guarito. Correva il mese di marzo e d’allora in poi non soffrì più il minimo incomodo e poté riprendere i suoi lavori di agricoltore che da circa due anni aveva dovuto abbandonare.
Il medesimo attesta ancora che il Savio Domenico non si limitò ad ottenergli questa grazia temporale, ma gliene ottenne pure un’altra spirituale di gran lunga più considerevole. Egli da anni non si era più accostato al Sacramento della penitenza e di più vi sentiva tale un’avversione, che gli sembrava insuperabile senza un aiuto speciale del cielo. Per la qual cosa nel tempo che gli chiese la grazia surriferita, gli chiese pure la sua guarigione spirituale; ed il Savio mentre gli procurò la guarigione del corpo, gli compartì pure la guarigione dell’anima, o per dir meglio gli amministrò i mezzi per ottenerla, giacché fece in lui 'svanire la grande avversione che sentiva riguardo alla confessione e lo riempì di una santa volontà di riavvicinarsi con Dio. Laonde il Bechis non appena si sentì liberato dalla sua infermità, per ringraziare il Signore e il santo suo servo Domenico, volle accostarsi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione con grande sua interna consolazione.
Il sottoscritto scrisse tale relazione raccolta dalla bocca stessa del Carlo Bechis che è pronto a fare qualunque deposizione.
Torino, 10 marzo 1861.
Sac. Rua MICHELE
Guarigione da grave mal d’occhi
Un fatto che mi pare di somma importanza mi spinge a scriverle, ed è questo. Al 19 gennaio di quest’anno, essendo da otto e più giorni tormentato da un grave mal d’occhi, ed avendo inutilmente provato ogni rimedio materiale, ricorsi ad uno spirituale, che solo fu quello che mi giovò. E poiché mi venne in mente il suo antico allievo Savio Domenico, e le tante grazie da lui ottenute da Dio a favore di chi l’invoca di cuore, subito ricorsi a lui, ed ecco che nel momento della preghiera mi parve che mi avessero miracolosamente lavati gli occhi, e da quel momento mi svanirono i dolori e mi restò libera e chiara la vista.
Conobbi da ciò quanto siano vane le cose del mondo, e quanto fruttuose quelle del cielo. Questo desidererei ardentemente che lo aggiungesse, se le fosse possibile, agli altri miracoli da Dio a gloria di lui operati, poiché me ne par degno.
Gradisca i miei cordiali saluti, e mi creda sempre suo umile servo
Carmagnola, 1 aprile 1861.
Pelazza Lorenzo
La 5a edizione (1878) si chiude con questa relazione del Pelazza. La seguente del Pellegrini, sebbene dal contesto risulti che la guarigione avvenne nel 1871, comparve solo nella 7® edizione (1890), come anche quella del Garino. Delle grazie pubblicate esistono relazioni autentiche negli Archivi; di altre alle quali D. Bosco allude, non si trova più quasi nulla.
Guarigione dal catarro bronchiale
Molto Reverendo Signore,
È la gratitudine e l’affetto inverso il benemerito di lei scolaro Savio Domenico che mi spinge a indirizzarle codesta mia. Sollecitato da non poche pie e dotte persone di rendere conscia la S. V. della guarigione impetrata dal sullodato pio giovanetto, vorrei pregare la benemerita di Lei persona a rendere noto il sommo favore ricevuto, aggiungendolo alle altre grazie ottenute per intercessione del giovanetto Savio, allo scopo di eccitare i più fedeli, massime i giovanetti, a esperimentare la di lui intercessione, ad eccitarli all’imitazione delle sue virtù e a diffondere vieppiù la proficua devozione a questo amabile di Lei scolaro, a cui vado sommamente debitore.
In sul principio di luglio nell’anno 1871 venni assalito da una tosse sì ostinata che nè di giorno nè di notte potea trovare requie. Si andò pel medico, se ne esperimentarono tre, ma tutto indarno. Se non che passati alcuni giorni ed ornai rassegnato al beneplacito di Dio, mi sentivo assai debilitato in forze, ed oppresso da un catarro che continuamente mi impediva la respirazione. La tosse che durava da lungo tempo aveva fatto ammalare anche i bronchi sicché la malattia andava convertendosi in una pericolosissima bronchite. La tosse va di male in peggio, il medico ormai mi spedisce. Mi si proibiscono libri meditativi, e di scuola, e tanto per ingannare un po’ il tempo andava di quando in quando leggendo la dilettevole vita di Savio Domenico, resami famigliare da parecchi anni. La vita esemplare di questo giovanetto nonché i favori ch’egli accordò ai suoi devoti, m’inspirarono il pio sentimento di raccomandarmi a Lui. Feci un triduo recitando tre Pater, Ave e Gloria, con la fiducia d’esser esaudito. Quando il medico mi venne a visitare rinvenne sì sensibile miglioramento di salute ch’egli non sapeva credere che fosse accaduto per opera umana, ma divina. Mi parve un’illusione, egli così mi diceva. In quell’istante si sciolse quel- l’ostinata tosse che mi tenne straziato per 3 mesi, cessò in un subito il repentino morbo che mi traduceva quasi insensibilmente alla tomba, ed ora sano e robusto vo benedicendo l’angelico Savio per sì strepitosa grazia ottenuta. L’inaspettata guarigione colpì di meraviglia tutti i conoscenti, sicché benedicendo andavano Domenico Savio.
Pellegrini G. B., Ch. nel ven. Semin. dì Como.
1860 - Relazione di due grazie ottenute da Savio Domenico in mio favore
1° Era l’anno 1860 ed io mi trovava affetto da un grave mai d’occhi, e tale che più non poteva attendere allo studio. Al par di me soffrivano mal d’occhi alcuni miei compagni, i quali si affidarono a valenti dottori, da cui vennero curati. Io pure avrei dovuto mettermi nelle mani dei medici, ma non seppi decidermi, sentendo dai miei compagni quanto in tali cure dovevano soffrire. Allora palesai il mio male a D. Bosco, il quale mi disse che la signora madre di D. Rua, la quale stava nell’Oratorio, conservava qualche pezzo di seta nera, con cui Savio Domenico soleva coprirsi gli occhi, quando li aveva infermi. Tosto chiesi alla detta Signora, se conservasse tale pezzo di seta, ed avutolo, andai a mettermi sul letto per riposare alquanto, mentre i miei compagni erano alla scuola. Mi gettai, così come era, sul letto come per dormire, ma prima mi posi ben applicato ad ambedue gli occhi il pezzo di seta nera avuto dalla signora Rua. Contro ogni mia speranza presi subito sonno, e dormii saporitamente per circa due ore, cioè sinché fui desto dalla campanella che indicava il fine della scuola. Appena svegliato, mi levo il pezzo di seta nera dagli occhi, e quindi me li lavo con acqua fresca. Da quel punto mi trovai guarito completamente, e cogli occhi così sani, come se nulla avessi dovuto soffrire. Ne fecero le meraviglie i miei compagni, i quali intanto dovevano subire spesso dai medici curanti dolorosissime operazioni. Tale grazia ottenuta così improvvisamente, io l’attribuii e la attribuisco tuttora unicamente all’intercessione di Savio Domenico, da me in tale circostanza invocato.
2° Passarono pochi anni, ed ecco nei mesi più caldi dell’estate (mi pare che fosse il mese di luglio) fui colpito da altra specie di mal d’occhi, da cui vennero pur affetti altri miei compagni. Io non soffriva alcun dolore agli occhi, ma giunta la sera, e sull’imbrunire, più non ci vedeva, come se fossero già tenebre fitte, mentre re
stava tuttavia un po’ di giorno ben chiaro. Per questo, tanto io quanto altri miei compagni, all’approssimarsi della notte, dovevamo farci guidare per mano da qualche caritatevole amico. Or bene nello stesso anno avendo dovuto portarmi a Fossano, e quando appunto era soggetto a questo incomodo, una sera mi recai al duomo per ricevere la benedizione che vi si dava col SS. Sacramento. Quando, impartita la benedizione, uscii di Chiesa, sebbene non fosse ancora oscuro, mi accorsi del mio incomodo; poiché nulla ci vedeva, come se fosse notte perfettamente oscura. In tale stato, non sapendo come fare, nè a chi raccomandarmi, ritornai in Chiesa, mi inginocchiai e pregai fervorosamente Savio Domenico, affinché, come mi aveva aiutato altra volta, così volesse aiutarmi anche al presente. Recitai un Pater, ed al dimitte nobis mi parve che i miei occhi divenissero di un tratto liberi da ogni incomodo. E lo furono veramente, perché, uscito di Chiesa, sebbene fosse già più presso a notte, tuttavia vedeva benissimo, e potei liberamente da solo recarmi alla casa in cui dimorava. D’allora in poi più non ebbi a soffrire simile incomodo, da cui venni in tal occasione liberato per avere invocato Savio Domenico.
Torino, 1889.
D. Garino Giovanni
NUOVA APPENDICE
I - LA PAROLA DI TRE PAPI
1 - Pio X
(Da un'udienza del 20 luglio 19x4 a Mons. Salotti, che egli narrò e pubblicò nella sua Vita di D. S., pp. 334-6)
... Confortato dall’alta opinione, che Sua Santità aveva di D. Rua, mi feci ardito a dimandarle, cosa pensasse dell’antico quasi condiscepolo di Don Rua ed allievo del Ven. Don Bosco, Domenico Savio. — Cosa penso? m’interruppe allora il Santo Padre. È il vero modello per la gioventù dei nostri tempi. Un adolescente, che porta nella tomba l’innocenza battesimale, e che durante i brevi anni di sua vita non rivela mai alcun difetto, è veramente un Santo. Che cosa vogliamo pretendere di più?
Eppure, Beatissimo Padre, quando nel febbraio scorso s’introdusse la causa di Beatificazione, che a me fu riserbato l’onore di difendere, qualcuno mi obbiettava, che il Savio era troppo giovane per innalzarlo agli onori degli altari.
Ed il Pontefice di rimando: — Ragione di più per santificarlo. È tanto difficile per un giovinetto osservare le virtù in una maniera perfetta! E Savio vi è riuscito. La vita che Don Bosco ne scrisse, e che ho letto, mi ha dato l’idea d’un giovinetto esemplare, che merita d’essere additato quale modello di perfezione.
Feci allora notare a Sua Santità, quanto sia grande la simpatia, che specialmente la gioventù nutre pel piccolo Savio; quando si parla di lui, è un interessamento, una commozione, un entusiasmo che s’impossessa di tutti. Ed aggiungevo che la sera innanzi, nel commemorare la figura di Savio nell’ampio cortile dell’Ospizio del S. Cuore a Castro Pretorio, in occasione della solenne premiazione dei giovani dell’Istituto, avevo osservato nel pubblico questa stessa impressione. E Pio X, compiacendosi di questa commemorazione del pio giovinetto, mi aggiunse queste parole, che ho la coscienza di riferire testualmente: — Tutto quello che potete averne detto di bene, è poco. Adoperatevi a spingerne avanti la Causa. Che i Salesiani non abbiano i pregiudizi di qualche Congregazione religiosa, la quale ha trascurato d’interessarsi della glorificazione de’ suoi membri, prima di aver promosso quella del Fondatore. La figura e l’opera di Don Bosco è troppo vasta e complessa, e forse richiederà molto studio. Per la vita breve e semplice del Savio non occorre, credo, tutto questo; perciò non si perda tempo; la sua Causa si sospinga innanzi alacremente.
Attratto da questo inno di simpatia e di ammirazione, che il Vicario di Gesù Cristo aveva sciolto per il caro giovinetto di Mondonio, dissi: «Padre Santo, di questo giovinetto scrivo una Vita, nella quale vado raccogliendo non solo quanto apprendemmo da Don Bosco, ma quanto i suoi condiscepoli narrarono o scrissero di lui,
o attestarono nel Processo canonico di Torino».
— Se terminerete presto questa Vita, soggiunse il Pontefice, me ne porterete una copia, la leggerò volentieri.
2 - Benedetto XV
(Da una lettera inedita di D. Francesia a D. Albera, Roma, 16 agosto 1915).
... Sua Santità girando l’occhio d’attorno, pose la mano sopra un libro stupendamente legato. — Sa di chi è questo caro volume? Di Mons. Salotti, e per onorare uno di quei santi che fanno per il nostro tempo. È la Vita di Savio Domenico, vostro dilettissimo discepolo. Tornerà questa Vita più accetta che quella di S. Luigi: lui soave con tutti, lui giovanetto amico della ricreazione e quasi quasi chiassosa. Il secolo non si figura più i Santi tanto penitenti e rigorosi. E Savio Domenico piacerà ai giovanetti che vedranno in lui un giovane proprio come loro.
Io era ammirato di tanta bontà e ripeteva tra me e me: — Mi pare di sentire D. Bosco quando ce ne parlava cinquanta e più anni fa.
Soggiunsi: — Ma veramente l’Oratorio respira ancora l’aria di Savio Domenico ed è mirabile l’influenza che egli continua ad esercitare tra i nostri giovani, specialmente dopo che i suoi resti mortali furono trasportati a Maria Ausiliatrice...
3 - Pio XI
(Discorso del 9 luglio 1933 nella lettura del Decreto sull’eroicità delle virtù)
Torna, dilettissimi figli, torna in mezzo a noi e proprio in questo luogo, la grande figura del Beato Don Bosco, quasi accompagnando e presentando, in persona e di sua mano, il suo piccolo, anzi grande alunno, il Venerabile Domenico Savio. E Ci pare rivederlo, il grande Servo di Dio, proprio come lo abbiamo veduto,
— grande favore, questo, che mettiamo fra tutti quelli di cui la divina Bontà Ci ha elargito — proprio come lo abbiamo veduto, in mezzo ai suoi alunni ed ai suoi cooperatori ancora.
Ed è veramente mirabile nei disegni di Dio, nei disegni, nelle preparazioni della Divina Provvidenza; è veramente mirabile questo ritorno del Beato Don Bosco, con questo frutto, tra i primi, fra i più belli, tra i primi il più bello, si può dire, il più squisito dell’opera sua educativa, dell’opera sua apostolica, poiché tutta la sua vita, tutta l’opera sua fu sempre un apostolato. Egli infatti, di spirito dell’apostolato tutta quanta pervase la sua esistenza, già permeata dello spirito che si esprimeva concisamente e completamente in quelle sue parole, in quella che fu la vera sua parola d’ordine, ereditata poi così fedelmente dai suoi figli: Da mihi animas, cetera tolle.
Provvidenziale veramente questo ritorno: quando si pensi alle condizioni nelle quali si trova oggi, si può dire in tutto il mondo, la gioventù; quando si pensi a tutti i pericoli ed a tutte le male arti che insidiano la sua purezza; quando si pensi a questo turbinio di vita esteriore, a questa eccessiva cura — e lo dicono anche quelli che sono unicamente condotti da considerazioni di umana pedagogia — a questo culto del corpo, delle forze fisiche e materiali, del materiale sviluppo, della materiale, fisica educazione, come dicono, in questa così diffusa e, si può dire, proprio educazione alla violenza, a nessun rispetto di nessuno e di niente. Quando si pensi dunque a queste condizioni fatte alla gioventù odierna, a questi pericoli che ad ogni piè sospinto le si parano davanti; quando si pensi a questo sciagurato apostolato (se è lecito applicare tale parola) apostolato del male, tanto attivamente, e con così terribile e malefica industria condotto per mezzo della stampa, della facile stampa appropriata ad ogni condizione, ad ogni gradazione di età; a questo sfoggio continuo, generale, quasi inevitabile, per quelli che ci vivono in mezzo, a questo sfoggio di cose non solo inedificanti, ma veramente provocanti al male, allorché si abusa anche delle più belle, delle più geniali trovate della scienza, che dovrebbero servire unicamente all’apostolato del bene, alla diffusione della verità, della bontà; quando si pensi a tutte queste cose ed al grado che hanno raggiunto proprio ai giorni nostri, allora veramente c’è da ringraziare Iddio, da ringraziare la Divina Provvidenza che suscita e mette in atto, in piena luce, questa figura così edificante del buono e santo giovanetto. C’è proprio da essere, in modo speciale, profondamente grati al Signore per questa santità di vita, per questa perfezione di vita cristiana in un giovanetto che non ha nessuno di quei grandi aiuti che tanto si confanno al compimento delle grandi cose: povero, umile figlio di modesta gente e di modestissima famiglia, non ricca che di aspirazioni cristiane, di vita cristiana, vissuta, sebbene nelle più modeste condizioni, nell’esercizio ordinario, nel compimento degli ordinari doveri di una vita comune; un giovanetto che non passa i suoi anni rinchiuso, come appunto il decreto accennava, in un orto particolarmente custodito; ma, prima in mezzo al mondo, e poi là dove la Provvidenza lo aveva collocato, e quindi in mezzo ad una gioventù che la grande anima del Beato Don Bosco, adunava e formava, e veniva formando, riformando, santificando, ma dove era tanta miscela di buoni e non sempre buoni esempi, di buoni e non sempre buoni elementi. Era, infatti, il segreto del grande Don Bosco, di mettere, talvolta, la mano proprio su elementi non buoni, con meraviglia di coloro che non avevano la sua fiducia in Dio e nella bontà fondamentale della creatura di Dio; era il segreto suo di mettere, allargare, allungare la sua mano ovunque, per trarre anche dal male il bene, proprio come fa la mano di Dio.
Ma, per tornare subito al nuovo Venerabile ecco la prima felice constatazione. Alla scuola del Beato Don Bosco, crebbe, al suo esempio soprattutto, in rapida ma breve corsa, questa vita di adolescente che, a 15 anni, doveva chiudersi; questa vita, come fu detto con piena verità, del piccolo, anzi del grande gigante dello spirito: a 15 armi! A quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognavano a Noi, ai nostri giorni, per poterle presentare alla gioventù dei nostri giorni, perchè è una vita cristiana, una perfezione di vita cristiana sostanzialmente fatta, si può ben dire, per ridurla alle sue linee caratteristiche, di purezza, di pietà, di apostolato; di spirito e di opera di apostolato.
Una purezza veramente liliale, angelica, ispirata alla Santissima Vergine, Madre ispiratrice di ogni purezza; e circondata delle cure le più sollecite: dapprima le cure materne e paterne, poi le cure del grande Servo di Dio e dei suoi cooperatori; ma dal giovinetto custodita, sempre custodita, quasi si direbbe, con un vero istinto, con una vera continua aspirazione di purità, un bisogno nobilissimo; onde tutto quello che sembrava anche da lontano poter offendere questo candore, svegliava tutte le energie di quella piccola, anzi grande anima, alle più sollecite attenzioni, alla più fedele custodia. La purezza! questa prima disposizione, premessa a tutti gli altri doni di Dio, dono delle più alte vocazioni; la purezza, questo amore di Maria, questo amore del Divino suo Figlio, del Divino Redentore; questo profumo al quale il Cuore di Dio si apre come a cosa graditissima; la purezza: quanto bisogno di elevare uno stendardo di questo splendore, di questo candore in mezzo alla gioventù di oggi!
Ma si direbbe proprio che il piccolo, grande Servo di Dio dicesse a se stesso quelle parole che la Divina Sapienza mette in bocca appunto allo spirito che va in cerca della purezza: Quando ho veduto e considerato, Dio mio, che senza l’aiuto Vostro io non potrei essere continente e puro, mi sono rivolto a Voi e da Voi ho domandato questo tesoro. Per questo la purezza del Venerabile Domenio Savio veniva sempre assistita da un grande spirito di pietà; in lui era proprio la pietà alla custodia della purezza; una pietà fatta di preghiera, di divozione alla Santa Vergine, di. divozione al Santissimo Sacramento, di ispirazione la più alta, di ispirazione ai più elevati coefficienti della purezza stessa. A questa pietà poi, a questa preghiera dello spirito, un’altra preghiera andava sempre congiunta, quella che ben si può dire la preghiera del corpo, la preghiera propria della carne, la preghiera del corpo, come fu ben definita, ravvivato dallo spirito, la pratica cioè della penitenza cristiana, che, quasi per istinto, sa e sente le possibili complicità del corpo e della materia, delle offese alla purezza, dei pericoli per la purezza; e corre al riparo, proprio come d’istinto: l’istinto dell’agnello che si difende dal lupo, dalla potenza nemica.
Una vita perciò quella di Domenico Savio, tutta di preghiera e di penitenza, quella penitenza che se non assurge alle asprezze che la storia della santità conosce, è proprio però penitenza vera: anzi è quella di più utile istruzione a noi tutti e specialmente alla gioventù nostra, perché è una penitenza a tutti possibile; essa infatti si riduce alla sua migliore sostanza, consiste in un esercizio continuo di vigilanza, di dominio, impero dello spirito sulla materia, di comando della parte più nobile sulla parte meno nobile; nell’impero insomma dell’an'ma, di chi deve comandare, sopra la parte che deve obbedire a lei; uno spirito di penitenza preziosissimo che, da solo, allontana tanti pericoli, che, da solo, esercita nobilmente, fruttuosamente, le migliori energie dell’anima e dello spirito, che insegna al corpo, insegna alla parte meno nobile quello che anche essa deve fare e il contributo che deve offrire non a rendere più difficile la virtù, ma a renderne più agevole e meritorio l’esercizio e la pratica.
E con tutto questo e come preparazione soprannaturalmente naturale, uno spirito d’apostolato che anima tutta la vita del felicissimo adolescente, tutta la vita di questo piccolo e grande cristiano. Appositamente abbiamo detto: una preparazione soprannaturalmente naturale, perché, in fondo e in sostanza, è quella naturale tendenza del bene a diffondersi, a dilatarsi, a comunicare il più largamente possibile i propri benefici, specialmente là dove ne è più visibile il bisogno, la privazione, tendenza che grandemente si riscontra nel caro giovinetto.
Piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni: attentissimo a coglierle, a crearle, facendosi apostolo in tutte le situazioni, dall’insegnamento formale del catechismo e delle pratiche cristiane fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene.
Or ecco appunto la vera provvidenza per i nostri giorni. È quello che Noi veniamo sempre proclamando e inculcando alla cara gioventù, che, con tanto nobile slancio, risponde, in tutti i Paesi del mondo — ed a Noi piace di rilevarlo con vivissimo senso di gratitudine a Dio ed agli uomini — al nostro appello; questa cara gioventù che in tutte le parti del mondo risponde alla nostra chiamata, di schierarsi in favore, a servigio della Azione Cattolica, che non altro vuol essere, non altro deve essere che proprio la partecipazione del laicato all’apostolato gerarchico.
E appunto per essere tale, per poter entrare in questa linea, essa deve essere innanzi tutto una formazione più profonda, consapevole, squisita, di vita cristiana, di coscienza cristiana, e soprattutto nella purezza della vita, nello spirito della pietà, nella partecipazione innanzi tutto a questa grande pietà della Chiesa, alla incessante sua preghiera ed unione con Dio. Siffatta corrispondenza è così vasta, e, nella sua abbondanza, così squisitamente preziosa, che veramente riempie il nostro cuore della più alta riconoscenza, e schiude anche l’animo nostro alle più belle speranze, che non sono unicamente nostre, della Chiesa, della Santa Religione, ma, per felice necessità, sono anche le speranze, le promesse sicure per la famiglia, per la società, per tutta quanta la umanità.
È vero; Noi li abbiamo sempre chiamati questi cari giovani, sotto la gloriosa bandiera della preghiera, dell’anione, del sacrificio, perché è con la preghiera e col sacrificio che si prepara l’azione, è con la preghiera ispirata alla pietà, con il sacrificio prima intimo, sacrificio personale, quel sacrificio che prende le sue radici sempre nello spirito, nella penitenza, nella mortificazione cristiana: è così, è unicamente così che ci si può preparare all’azione feconda dell’apostolato, una azione che non può compiersi con soli accorgimenti umani, per quanto altissimi, per quanto generosi, ma che ha bisogno essenziale dell’aiuto divino che non si può ottenere altrimenti. Ma,"appunto per ciò torna di nuovo, ben a proposito, la figura del grande Servo di Dio, del Beato Don Bosco, Maestro del piccolo Venerabile Domenico Savio; torna ancora quella grande figura come Noi stessi l’abbiamo veduta tanto da vicino e non per fuggevole ora, e proprio così, come il suo piccolo discepolo ce l’ha ripresentata nella sua vita, nei -caratteri più cospicui della sua breve esistenza: un ardore incessante, divorante di azione apostolica, di azione missionaria, veramente missionaria, anche fra le pareti di una umile camera; missionaria tra le piccole folle di bambini, di ragazzini, di adolescenti che continuamente Io circondavano; spirito di ardore, di azione; e con questo ardore uno spirito mirabile, veramente, di raccoglimento, di tranquillità, di calma, che non era la sola calma del silenzio, ma quella che accompagnava sempre un vero spirito di unione con Dio, così da lasciare intravvedere una continua attenzione a qualche cosa che la sua anima vedeva, con la quale il suo cuore si intratteneva: la presenza di Dio, l’unione a Dio. Proprio così. E con tutto ciò uno spirito eroico di mortificazione e di vera e propria penitenza, per la quale, anche nei termini i più solenni, sarebbe bastata quella sua vita continuamente prodigata al bene altrui, sempre dimentica di ogni propria utilità, di ogni anche più scarso riposo; una vita di penitenza, non soltanto mortificata, ma di vera penitenza, a forza di essere apostolica.
Queste cose Noi abbiamo trovate un poco nelle rimembrarne del nostro spirito, e, ben più ancora, nelle suggestioni carissime della breve, ma nobilissima vita del Venerabile Servo di Dio Domenico Savio. Queste cose, questi esempi, queste grandi linee rimangono sempre le linee sostanziali, essenziali, anche della vita tracciata a linee le più gigantesche dalla mano di Dio; e questi elementi, in fondo, cosa sono? Gli elementi della vita cristiana, della vita cristiana vissuta, non come che sia, come purtroppo tanti e tanti si riducono a fare, ma con generosa fedeltà ai principi, ma con delicata cura, e non con negligenza. Ora è proprio un’indegna cosa, servire negligentemente un Signore così buono, un Redentore così generoso; la vita cristiana, come Noi abbiamo avuto occasione di dire or non è molto in presenza di alcuni devoti pellegrinaggi, deve essere vissuta non con una corrispondenza frammentaria, discontinua ai precetti, agli insegnamenti, agli esempi del Divino Redentore, del Divino Maestro e dei Suoi migliori discepoli, come quello che oggi stiamo ammirando, ma con uno spirito di nobile precisione. Questa è vita cristiana, ed è già gran cosa poterla chiamare così perché è inestimabile il tesoro che quel nome esprime; ma quanta vita cristiana vi è, oggi, con nessun senso di precisione, senza alcuna cura diligente, generosa, almeno un poco diligente, un poco generosa, corrispondente agli esempi, agli insegnamenti, ai desideri del nostro Divin Maestro!... Quanto bisogno invece di questi esempi proprio di precisione, di vite cristiane diligenti, generose come il Cuore di Dio, il Cuore del Redentore le vuole! È questo un pensiero tanto più opportuno nel provvidenziale e magnifico consolantissimo svolgersi, al quale assistiamo, di questo Anno Santo della Redenzione, perché il beneficio che noi celebriamo e ricordiamo con gratitudine dobbiamo anche con ogni diligenza, dopo diciannove secoli del gran fatto della Redenzione nostra, far in noi fruttificare, in noi appunto alimentando la vera vita cristiana, poiché essa è proprio la vita totale venutaci dalla Redenzione divina; è il grande dono datoci dalle braccia del Figlio di Dio distese sulla Croce.
Il mondo non la conosceva questa vita; conosceva la vita pagana, con tutti i suoi errori ed orrori; appena iniziata, la vita cristiana subito si svolse con una meravigliosa fioritura di celesti bellezze, di celesti preziosità; sin dai primi momenti, da quei fanciulli che il Divino Redentore carezzava e abbracciava Egli stesso, fino ai Tarcisi di tutti i tempi, sino a questo nuovo Venerabile Servo di Dio.
Ecco il dono, il grande dono, il completo dono della Redenzione; essa è sempre la stessa cosa portata ai diversi gradi di perfezione ai quali la mano di Dio sa portarla; poiché è proprio la perfezione divina, per quanto irraggiungibile nella sua pienezza, quella che ci viene proposta; e tale perfezione è la vita cristiana, quella che ci si presenta nell’umile fedele, nella più modesta misura anche dell’ultimo fedele, fino alle più alte figure, alle più magnifiche, alle più gigantesche figure della agiografia, della santità di tutti i secoli; è la vita cristiana, grande, immensa ricchezza che noi portiamo dall’istante stesso del dono del santo Battesimo, poiché è in quell’ora benedetta che noi abbiamo cominciato a vivere questa vita, e quale preziosissimo tesoro noi la portiamo dentro dentro le anime nostre, nei nostri corpi. È dunque perciò, di continuo, immanente in ciascuno e proprio incessante il richiamo: approfittare di questo grande dono e non lasciarlo inerte, negletto, scoperto con le nostre imprecisioni; approfittare, invece, con precisione, di questo tesoro magnifico, di questo tesoro di cui abbiamo una misura adeguata proprio in quel Sangue che, quale prezzo, il Divino Redentore, ha pagato: il prezzo appunto del Sangue suo, della Sua Vita, della Sua Croce. Ora noi vogliamo innanzi tutto rallegrarci con la famiglia, anzi con le famiglie del Beato Don Bosco, qui così degnamente e largamente rappresentate, così largamente e meritoriamente rappresentate, si può ben dire, in tutte le parti del mondo — anche ieri leggevamo di alcuni tentativi, di nuovi conati dell’apostolato salesiano in regioni ancora impervie e non mai penetrate[2] (1) — con queste due famiglie, e con tutti quelli che ne vivono le opere e le aiutano, e con le preghiere e con i soccorsi ancora, Noi vogliamo felicitarci.
II - LA VOCE DEL CIELO
Terminato il Processo delle virtù, furono presi in esame due fatti ritenuti miracolosi e presentati come tali alla S. Congregazione dei Riti dal Postulatore della Causa. Quel su- premio Tribunale, dopo lungo e minuzioso studio di periti, riconobbe in essi due veri miracoli.
Non senza provvidenziale disposizione del Cielo sembra essere avvenuto che a suggello della santità di un giovanetto men che quindicenne accadessero due prodigi verificatisi in un fanciullo e in una fanciulla. Anche in questa circostanza il grandi Pio XI avrebbe forse additato uno di quegli eleganti disegni della Provvidenza divina, che egli si compiaceva di ravvisare in certi eventi umani.
1°
Il primo fatto successe a Siano in quel di Salerno. Albano Sabato, ragazzetto di 7 anni, nel marzo del 1927 venne repentinamente colpito da grave malore. Il medico Federico Palmieri, chiamato dopo alcuni giorni al letto del piccolo infermo e osservatolo con ogni diligenza, riscontrò una forte infezione viscerale con spiccate complicazioni ai reni. Al sesto giorno di cura constatò una forma molto seria di setticemia con bronco-polmonite bilaterale e nefrite. Appresso il bambino andò peggiorando, poiché si aggiunsero gravi fatti alle meningi e al cervello ed altri fenomeni assai inquietanti, finché, perduta completamente la coscienza, si avviava a sicura e straziante agonia.
Trascorse circa due settimane dall’esordio del male, il medico una sera dichiarò perdute tutte le speranze, e disse che il fanciullo si sarebbe senza dubbio spento nella notte. Dinanzi a sì dolorosa certezza egli aveva già redatto e firmato uno statino di morte da consegnarsi l'indomani a qualche familiare, non appena fosse annunciato il decesso.
Il dì dopo invece gli toccò una grandissima sorpresa. Ritornato verso mezzogiorno a casa da un paese vicino, dove erasi recato per una operazione, udì da uno zio di Albano che il nipote era in vita e vegeto. Stentando a credervi, si diresse tosto a quella volta e potè vedere subito il cambiamento di scena: non più la mestizia della sera antecedente, ma allegrezza in tutti. Il cadaverino di prima era risorto con conoscenza piena. Il piccolo guardava con nostalgia i pochi modesti giocattoli che lo circondavano, e un gran numero di santini che facevano corona al capezzale. Il medico volle visitarlo e dovette accertarsi che il suo ex infermo era ritornato sano con restitutio ad integrum di ogni organo, sistema e facoltà, come scrisse di poi.
Che cosa era mai accaduto? La madre, dopo aver udita la ferale sentenza, confermata da un altro medico chiamato a consulto, aveva posto un’immagine di Domenico Savio sul comodino, accendendovi la lampada innanzi; indi aveva messo altra immagine sotto il cuscino con un piccolo frammento di veste del Servo di Dio. A ciò l’avevano incoraggiata alcune pie donne di Siano.
Applicare la reliquia e cominciare il bambino a star meglio fu un punto solo. Il miglioramento progredì rapidamente fino alla perfetta guarigione. L’accertamento periziale fatto durante il Processo negli anni 1931 e 1933 riconobbe tutta la gravità del morbo, senza riscontrarne più traccia alcuna.
2°
Il secondo miracolo si ebbe nella Spagna, a Barcellona.
Il 1° marzo 1936, nell’Oratorio tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice in via Sepulveda, un’allieva per nome Consuelo Adelantado, giocando alla palla nel cortile, cadde in terra sul fianco sinistro. Il colpo fu sì forte che subito avvertì un acuto dolore al gomito e tosto s’accorse di non poter compiere senza soffrire i movimenti del braccio. Ad ogni mossa dell’arto o della mano il dolore si acuiva.
Al violento trauma primitivo si aggiunse di lì a poco l’opera inconsueta di un empirico parente dell’Adelantado, che abitava nelle vicinanze. Solo il 3 marzo la condussero dal dottor Pamarola che, sottopostala a un esame radiografico, scoperse essere il gomito fratturato in due parti con dislocazione di frammenti ossei.
La copia positiva di quella radiografia esiste negli atti del Processo, completata da altre due retrospettive fatte cinque anni dopo dai periti della Sacra Congregazione. Tutte insieme rivelano la lesione gravissima subita dal gomito al momento del trauma e aggravata dall’erronea e dannosa terapia dell’empirico.
Orbene nella notte del 22 marzo la fanciulla ebbe un sogno. Vide un ecclesiastico sconosciuto che le diceva: — Fa’ una novena a Domenico Savio con molta fede e fiducia e io ti assicuro che venerdì prossimo avrai il braccio guarito,
10 moverai bene e sonerai il piano. Ti resterà un segno sul gomito, perché si veda il male che hai avuto. Promettimi che lo farai.
Presentatele dalle Suore alcune fotografie, riconobbe in una colui che le aveva parlato: era il Card. Cagliero.
Quel venerdì era il 27. A dispetto di coloro che ridevano al racconto della fanciulla, ella cominciò la novena. Contemporaneamente si pregava il Venerabile in due case delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Venne il sospirato venerdì. Fra l’una e le tre di notte l’inferma provava a muovere il braccio, sforzandolo con la mano destra. Impossibile! Gonfiore e dolore persistevano dal gomito fin sotto l’ascella. Alle quattro invocò fervorosamente Domenico Savio, perché le facesse quello che aveva detto
11 Cardinale. Sull’istante sentì come se dal braccio sinistro le avessero tolto un gran peso e lo moveva liberamente senza dolore alcuno e in tutte le direzioni. Acceso il lume, lo vide totalmente sgonfiato, senza più alcuna piaga. Le sembrava di non avere mai avuto male di sorta. Verso le sei e mezzo andò a Messa e poi telefonò al collegio. In giornata riprese a sonare il piano. Con viva emozione e gratitudine terminò la novena in azione di grazie.
Di tutto questo furono molti i testimoni. I medici dopo i loro ripetuti e accurati esami non poterono fare altro che dichiarare essersi l’istantanea, perfetta e completa guarigione operata in pieno contrasto con le leggi naturali.
[1] Tale venerazione e confidenza nel giovine Savio crebbe grandemente da che fu ivi fatto un curioso racconto dal genitore di Domenico, che è pronto a confermare la sua asserzione in qualunque luogo e in presenza di qualunque persona. Egli espose la cosa così:
« La perdita di quel mio figliuolo, egli dice, mi fu causa di profondissima afflizione, che si andava fomentando dal desiderio di sapere che si fosse avvenuto di lui nell’altra vita. Dio mi ha voluto consolare. Circa un mese dopo la sua morte, una notte, dopo essere stato lungo tempo senza poter prender sonno, mi parve di vedere spalancarsi il soffitto della camera in cui dormiva, ed ecco in mezzo ad una grande luce comparirmi Domenico con volto ridente e giulivo, ma con aspetto maestoso ed imponente. A quel sorprendente spettacolo io son rimasto fuori di me. — O Domenico! mi posi ad esclamare: Domenico mio! come va? dove sei? sei già in paradiso?—SI, padre, rispose, io sono veramente in paradiso.—Deh! io replicai, se Iddio ti ha fatto tanto favore di poter andar a godere la felicità del cielo, prega pei tuoi fratelli e sorelle affinché possano un giorno venire con te a godere l’immensa felicità del cielo. Prega anche per me, replicai, prega per tua madre, affinché possiamo tutti salvarci e trovarci un giorno insieme in Paradiso. — SI, si, pregherò. — Ciò detto disparve, e la camera tornò nell’oscurità come prima ».
Il padre assicura, che depone semplicemente la verità e dice che né prima né dopo, né vegliando né dormendo, ebbe ad essere consolato da somigliante apparizione.
[2] Sembra che il Santo Padre alludesse a un articolo del Bollettino Salesiano di luglio (pag. 215) intitolato « La nuova Missione di Saharanpur » nell’India.
Da: San Giovanni Bosco, Il beato Domenico Savio. Torino, SEI 1950 pp. 187-229
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